1 Capitolo
1 Giorno
Pulire, Diletta non doveva fare altro. Tutto quanto doveva essere luccicante come un diamante, brillante come uno specchio. Su e giù, su e giù, proprio come le aveva spiegato sua madre più volte e il suo braccio ormai faceva gesti semplici quanto ben studiati, tenendo stretto lo straccio bagnato.
"Olio di gomito Diletta, olio di gomito" diceva sempre sua madre,"Per avere l'anima limpida, bisogna prima pulire la propria casa."
Dopo le noiose festività natalizie, con parenti venuti da ogni dove, buon vino ed ottimi piatti, nuovi addii e nuove promesse, tanto macello e grosse risate, la grande villa affiancata da un bosco era ridotta come una vera e propria scena del crimine.
-Dopo tutto questo disastro, il minimo che devo fare è rimettere a posto.- Si lasciò sfuggire mentre si prese una piccola pausa, mettendosi in ginocchio e stiracchiandosi la schiena tutta indolenzita.
Le ultime coperte macchiate erano in lavatrice, i vetri opachi ora risplendevano a quella tenue luce già filtrata anche dal bosco accanto alla casa ed aveva appena finito di lavare i pavimenti di marmo bianco.
-Il salotto è sistemato, la cucina anche e l'entrata è più pulita che mai. Ora mi toccherà sistemare il bagno e la lavanderia o saranno davvero guai.- Continuò Diletta parlando da sola, come faceva sempre più spesso. Ogni azione, ogni piano, nella sua mente aveva una tabella di marcia con le varie tappe da percorrere che ricordava mano a mano a voce alta come se stesse dando istruzioni a qualcuno accanto a sé... Ma non c'era nessuno ad ascoltare, ormai era sola.
Quello strano silenzio la inquietava, come se le evidenziasse un punto della sua tabella che aveva saltato o a cui non aveva dato abbastanza attenzione e la sua famiglia non era lì per ricordare che cosa stesse sbagliando. Sua madre Agata, suo padre Federico, i suoi fratelli maggiori Leonardo e Letizia, erano andati via lasciandola da sola in quella grossa casa che da lì a poco avrebbe abbandonato anche lei. Il tempo di far asciugare i pavimenti, ritirare il bucato, controllare che tutto fosse in ordine, finire la valigia al volo e sarebbe andata via anche lei da quella maledetta e splendida casa che odiava tanto.
Si alzò in piedi facendo ripartire la circolazione alle gambe e si sistemò le maniche della camicia bianca che aveva rubato dall'armadio di suo fratello. Si mise anche una vecchia e calda felpa grigia, ma proprio alzandosi la zip si ricordò, fra le altre cose, che doveva anche chiudere i riscaldamenti. Si avviò in uno dei tanti corridoi verso la caldaia quando notò che un oggetto era fuori posto; a terra, vicino a un comodino di mogano, c'era una cornice con il finto vetro incrinato. La studiò attentamente, una delle infinite foto di famiglia, scattata in una di quelle vacanze costose che facevano ogni estate. Prese quella cornice, "L'avrà rotta mamma quando ha sbattuto contro il comodino..." si disse avendo cura di sistemarla al posto suo. Continuava a fissare quello scatto, quel momento di felicità che non sarebbe mai più ritornato, come se quel ricordo la catturasse... e all'improvviso il rumore vivace del campanello la spaventò, tanto da irrigidirsi e trattenere il respiro.
Qualcuno aveva suonato, ma chi? Chi poteva disturbarla alle quattro del pomeriggio in quel solare 28 di Dicembre? Ma avevano veramente suonato o era solamente uno scherzo della sua mente?
Il secondo squillo rispose alla sua ultima domanda.
L'ansia le stava salendo, era immobile in quel corridoio che stava diventando sempre più grande e allo stesso tempo la soffocava facendole mancare l'aria.
Chi diavolo poteva essere? Forse qualcuno che avrebbe sventato il suo tentativo di fuga da quella gabbia dorata? Doveva sapere, ma allo stesso tempo era spaventata dalla risposta.
"Voglio andarmene, non voglio rimanere qui dentro un minuto di più."
Si tolse le scarpe e con passi leggeri raggiunse velocemente l'entrata, indugiò davanti alla porta possente e chiusa con tre catenacci, con un piccolo spioncino dorato. Sbirciò sempre stando attenta a non fare rumore e, nel vedere che era solo un ragazzo, si tranquillizzò sospirando e buttando fuori tutta la tensione. Aveva lo sguardo ingenuo, capelli castani arruffati come se si fosse appena alzato, un viso tondo e paffuto e tentava di tenere uno sguardo serio anche se per alcuni attimi la bocca si contorceva da spasmi, ma non poteva essere sicura dato che lo spioncino lo deformava in modo innaturale.
Che cosa diavolo voleva? Doveva proprio disturbare lei in quel momento? Non poteva andare da un'altra parte a vendere le sue cose o a propagare la sua religione?
Comunque a Diletta non le interessava e con altrettanta velocità stava per andare di nuovo verso la caldaia recuperando nel tragitto le scarpe da ginnastica, ma qualcosa la bloccò nuovamente. Quello stupido ragazzo non staccava il dito da quello stupido campanello, un rumore così fastidioso e irritante che faceva crescere il mal di testa a Diletta in modo esponenziale, tanto che alla fine scoppiò.
Di corsa tornò all'entrata, mise le mani a fatica sui tre catenacci e aprì di tre centimetri la pesante porta di metallo. Il ragazzo era lì, tentò di guardare all'interno incuriosito sia da lei che dall'elegante abitazione. Ora che lo vedeva meglio, aveva veramente il viso ingenuo e occhi azzurri, grandi da bambino, e il viso paffutello non lo aiutava di certo anche se era più alto di lei e sicuramente più grande. Era certa che avesse la stessa età di sua sorella, sui ventiquattro anni, ma non poteva esserne sicura con quel viso infantile.
Aveva freddo e si vedeva, indossava solamente una maglia e una felpa sportiva rossa con i pantaloni abbinati, si muoveva anche un po' tremante dato che fuori la temperatura non arrivava nemmeno a 5°.
-Ciao,- iniziò tutto tremante, e lei stroncò subito quel tentativo di conversazione chiedendogli cosa volesse; le rispose che aveva bisogno di aiuto e tutto tremante si tolse la felpa rossa; al braccio sinistro, sotto al gomito, una brutta ferita gli aveva lacerato la pelle ed era sporca di sangue e terra.
-Ho avuto un incidente con la bici e sono caduto su una pista poco lontana da qui. Come uno stupido sono andato contro un albero e ho strusciato il braccio su una roccia... e fa un male cane.- Le sorrise ingenuamente, un sorriso piccolo e luminoso, mentre lei non poteva far altro che guardarlo con sospetto.
Aprì la porta per guardarsi intorno, su quella strada non c'era nessuno; le case dei vicini erano vuote e spente dato che erano partiti tutti per le vacanze natalizie, tutti tranne lei evidentemente.
-E la tua bici dov'è?
-È inutilizzabile, l'ho lasciata vicino a dove sono caduto, non sono riuscito a portarla.
Tremava davanti a lei, sia per il dolore che per il freddo, facendola innervosire.
-E che vuoi che faccia io?- Chiese Diletta con un pizzico di acidità nella voce, -Vuoi che chiami qualcuno per la bici?
-No...- Abbassò lo sguardo, era sicuramente un tipo tranquillo, tanto che non gli piaceva quando qualcuno gli rispondeva in modo sgarbato e l'unica cosa che poteva fare era rattristarsi e guardare le sue scarpe da ginnastica.
-Vorrei...Vorrei disinfettare la ferita, mi fa molto male...
Diletta esitò, ma ripensandoci l'unico modo per mandarlo via era aiutarlo, -Va bene, ti vado a prendere dell'acqua ossigenata, tu aspetta qui.
Fece accomodare il ragazzo infreddolito e chiuse la porta, gli raccomandò un'altra volta di rimanere lì e si avviò in bagno. Doveva togliersi quella seccatura il prima possibile, così avrebbe potuto finire le sue faccende ed andare definitivamente via da lì. L'unico modo per levarselo dai piedi era andare a prendere quel benedetto disinfettante. Arrivata al bagno e preso l'acqua ossigenata con dell'ovatta, si affacciò alla lavanderia dove le due lavatrici avevano appena finito di lavare le ultime coperte e a Diletta sfuggì un sorriso di compiacimento.
Rapidamente ritornò all'entrata, accorgendosi con sgomento che lo sconosciuto non era più lì. Si allarmò all'istante e fortunatamente le bastò girare la testa e sporgersi per trovarlo tranquillo nel salotto principale seduto sul divano blu.
-Ehi! Ti avevo detto di rimanere fermo!- Lo sgridò avvicinandosi e lui semplicemente girò la testa per guardarla.
-Scusa, è che ero curioso e mi sono perso nel guardare questa bellissima villa, è proprio grande e ben curata.- Disse sorridendo e guardandosi intorno come uno scolaro in gita al museo.
Diletta era stufa di quella situazione, non doveva ficcare il naso dove non doveva e questo la stava facendo ancora di più innervosire. Gli passò il disinfettante e l'ovatta e molto lentamente il ragazzo si medicò come poteva.
-Fa troppo male.- Disse contorcendosi dal dolore e fermandosi.
-Ho capito, lascia fare a me o faremo notte.- Gli disse lei prendendo in mano la situazione. Con l'ovatta umida toccò delicatamente la ferita e a quel contatto il ragazzo voleva ritirare il braccio per quanto gli avesse fatto male, ma lei lo trattenne decisa.
-Devi resistere, vedrai che dopo non sentirai più niente. Sto facendo piano vedi, stai calmo e pensa solamente alle cose belle.
Cercò di tranquillizzare quella persona che non aveva mai visto prima d'ora, che aveva le lacrime agli occhi proprio come un moccioso. Doveva calmarlo in qualche modo o non sarebbe riuscita a disinfettarlo e a mandarlo via. Lo consolò con parole dolci, lo distrae da quel dolore e pareva funzionare, infatti quel ragazzo era come incantato da lei.
-Finito, scusa ma non ho trovato nulla con cui puoi fasciarti la ferita. Sinceramente da come ti comportavi pensavo fosse una cosa seria, invece è solo superficiale, già è tanto se ti rimarrà la cicatrice.
-Grazie.
Sembrava essere finita, lo accompagnò gentilmente all'uscita, ma lui indugiò su quella pesante porta chiusa.
-Posso sapere il tuo nome?- Le chiese con voce bassa ed insicura.
-Diletta.- Rispose con molta educazione, nonostante non nascondesse una certa impazienza nel voler far uscire quel ragazzo.
-Diletta? Che strano nome, ma non è un aggettivo? Che cosa ridicola, odio i nomi che non sono veri nomi.
Credeva sinceramente di aver capito male; la voce che aveva appena sentito era schietta, frizzante e maleducata, nulla in confronto alla voce timida che aveva ascoltato fino ad un momento fa. Stessa tonalità e timbro, ma personalità totalmente diverse. Eppure le voci erano le stesse, eppure erano loro due da soli in casa, ma la voce che aveva appena sentito non era uscita dalla bocca serrata davanti a sé. Girandosi Diletta capì.
Non erano da soli in casa.
Per la seconda volta le bastò girare la testa e sporgersi per trovare un altro ragazzo che tranquillamente girava per il salotto.
Era uguale identico al timido personaggio dalla felpa rossa, ma con spalle più larghe e petto in fuori, portamento altezzoso e passo sicuro nell'esplorare quella casa, vestito in modo comodo con camicia a righe azzurre che sbucava da un maglione bordeaux e pantaloni scuri. I due sconosciuti erano sicuramente fratelli, erano sicuramente gemelli.
-Chi sei?- Cercò di essere intimidatoria Diletta.
-Mi pare ovvio, sono suo fratello e come tale mi preoccupo della sua salute. Come stai Tommy? Va meglio adesso?
Tommy, il ragazzo dalle spalle strette coperte dalla felpa rossa accennò ad un si, mentre si lasciava fissare dallo sguardo sbigottito di Diletta.
-Sta bene tuo fratello, adesso andate via.- provò a di dire con poca autorità, naturalmente surclassata dalla superiorità della personalità del nuovo arrivato.
-Ma che padrona di casa scortese,- Iniziò a dire avvicinandosi mentre la guardava dritta negli occhi, -E se non volessimo? Infondo è una bella casa e ci piacerebbe molto rimanere qui un altro po', e fuori fa anche freddo, credo che nevicherà.
La padrona di casa scortese cercò di tenere testa a quel gelido sguardo, ma già dopo pochi secondi perse contro di lui. Guardò a terra per poi muoversi ed andare in cucina.
Se non poteva cacciarli lei stessa, l'avrebbe fatto qualcun altro.
In silenzio andò in cucina, molto sorpresa nel vedere che nessuno la stesse inseguendo, alzò la cornetta per comporre il numero della polizia, ma il telefono era stranamente silenzioso. Era stranamente staccato.
Allora capì, anzi aveva già compreso la sua situazione e cercava comunque di mantenere il controllo, ma ormai era tutto inutile.
-Non funziona il telefono? Che strano...- Le disse lo sconosciuto da dietro le sue fragili spalle.
-Dovreste stare più attenti, dei ratti vi avranno rosicchiato i cavi del telefono. Sarà anche una casa per ricconi, ma i topi si insinuano dappertutto, perfino nei castelli dei re.
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