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Era bello. Su questo non c’ erano dubbi. La salopette scendeva morbida sul suo corpo, metteva in risalto il suo sedere e la sua figura slanciata. Vincenzo era uno di quei tipi che si torturavano con la bellezza e provavano un leggero piacere nel vedere altri, belli come loro, soffrire un po’. Mentre ai suoi amici quel collegio li stava formando, in Vincenzo aveva risvegliato una vena masochistica e dolcemente perversa del suo essere. Sapeva che stava crescendo, sapeva che stava cambiando e, in qualche modo, si era auto- convinto che le punizioni corporali si addicessero più alla sua età che a quella di tutti gli altri. ‘È adesso che ho questo corpo’ si diceva amaramente nei suoi pensieri ‘non ce l’ avrò per sempre. Ecco perché mi trovo qui’.  Tuttavia, il cervello di un adolescente è complicato quanto la Psicopatologia che lo studia e, se i giovanissimi sono fissati con il loro aspetto esteriore fino a renderlo simile a un’ icona del web, c’è da ringraziare soprattutto i social network.
Aveva appena finito di studiare Etica quando si decise a scendere in giardino. Era il 25 aprile e il sole batteva da est. Di solito, nei giorni di pioggia, alle Otto Valli, erano quasi tutti un po’ più agitati e la notte si facevano più incubi. Quando il sole era alto in cielo, però, quella gotica e rozza scuola sembrava più un’ antico, piccolo castello adatto per una vacanza in mezzo alla natura. Se non ci fossero stati studenti o insegnanti, in estate, sarebbe potuto diventare una casa vacanze di qualche turista avventuroso.
Sedendosi tra l’ erba più alta si scattò qualche altro selfie e ne caricò il contenuto su Facebook e Instagram. Era una fortuna che, fuori dall’ orario scolastico, non erano obbligati a indossare l’ uniforme. Poi, stanco del caldo emesso dai forti raggi, si stese del tutto e socchiuse gli occhi. Benché il sole picchiettasse sul suo volto chiaro e gli insetti gli ronzassero intorno per pungerlo dove trovavano la pelle scoperta, si addormentò. Sognò un ragazzo, identico a Oliviano, sebbene un pochino più giovane, con addosso la salopette che aveva rubato. Il misterioso personaggio rideva e sembrava sadicamente contento che qualcuno aveva portato via il suo indumento dall’ armadio. Si svegliò grazie al pizzico di una vespa, che aveva puntato alla sua natica sinistra. Quando aprì gli occhi vide una ragazzina sui 13 anni, vestita come negli anni ’70 e con lunghe trecce scure, che lo stava fissando. “Che ci fai qui? Non dovresti essere a casa tua?” Le domandò, massaggiandosi dove l’ insetto l’ aveva punto. “Sono Sharpay” si presentò lei, con voce lenta e glaciale “tu sei?”
“Mi chiamo Vincenzo. Mi sembra di averti visto alla festa”
“Sì, c’ ero. La mia bambola, però, è caduta sul fiume. Non riesco a recuperarla da sola… mi aiuteresti?”
“Come hai fatto ad entrare qui dentro? Questo è un collegio per maschi!”. La strana giovinetta fece dei bizzarri movimenti con le braccia “Bambola- Fiume- Caduta. Sono entrata dal cancello”.
“Il cancello è sempre chiuso qui, almeno finché non lo apre il personale”.
“Oh no, era aperto…” lo indicò e la vecchia, arrugginita ferraglia si aprì, seguita da un colpo di vento. ‘L’ ha aperto lei o il vento?’ Si chiese il sedicenne, sentendosi percorrere da un lieve brivido. “Fiume- Bambola” ripeté lei e con le sue piccole dita strinse la sua mano, facendolo alzare e conducendolo verso il fiume. In effetti, dentro all’ acqua del torrente, bloccata da due pietre dure e compatte, galleggiava un giocattolo inerme, con le gambe al vento e la testa sott’ acqua. “Bambola- Fiume- Annega” singhiozzò Sharpay, stringendosi nel suo completino da marinaretta. Non appena le lunghe braccia dell’ adolescente ritirarono la bambola, lei svanì. “Dove sei, ragazzina?” Si guardò intorno Vincenzo “L’ ho ripresa la tua bambola. Ora puoi tornare a casa!”. Nessuno rispose. Lui sospirò indispettito e appoggiò il gioco vicino a una quercia oramai seccata “Potevi almeno ringraziarmi, sai?” Gridò al vento “Non si fa così!”. Quindi, offeso, rientrò. Non sapeva se era più arrabbiato per il ‘comportamento’ della giovinetta o per il pizzico della vespa, che ricominciava a fargli male. In generale, ce l’ aveva un po’ con tutto e con tutti, incluso sé stesso.
Appena raggiunse l’ atrio vide Michael Zurri con gli occhiali da sole, che osservava il cielo. “Ehi! Non sei ai Caraibi, lo sai?” Gli lanciò un’ occhiataccia “Perché sei qua fuori? Stai troppo antipatico al tuo compagno di stanza?”
“Ma vai a quel paese!” Gli rispose Michael, mostrando il dito medio “Siete tutti così qui dentro!”
“Non t’ hanno preso come insegnante, eh? Sono ancora soffici le tue chiappe, benché sei padre!”
“Pensa alle tue!”.

Anche Michael Zurri, come tutti gli altri 'studenti', aveva i suoi segreti: era vero che era nato in una famiglia benestante; ma era vero anche che, se non fosse stato per psicologi e psichiatri, sarebbe stato un laureato come tutti gli altri. Per fondare la scuola era stato costretto ad esibire le leggi 68 e 104. Per creare un partito politico lo stesso.
Le Otto Mura era il solo luogo in cui non necessitava della 'tutela' di nessuno, perché era solo un alunno, come tutti gli altri.
Uscì appena dal cancello, stando attento a non cadere di nuovo sul campo di ortiche. Indossava delle sneakers della Nike multicolore, con sopra un semplice jeans e una felpa bianca.
Superato il pericolo raggiunse il percorso che dava sul bosco, dunque sul fiume. A poca distanza dal torrente sentì un nitrire di cavallo e, tra i grandi alberi e l' erba alta, vide un uomo robusto e alto; che preparava dei rami. Toglieva da essi l' eccesso e li levigava fino a renderli simile a dei frustini a otto o nove code. Poi li legava insieme.
Incuriosito da un mestiere così antico, che da anni non si praticava più, si avvicinò ancora e riconobbe, in quel tizio grosso come una montagna, l' insegnante di Equitazione che aveva intravisto alla festa. Era la prima volta che vedeva un professore così da vicino: aveva la pelle più scura di molti altri individui, ma non abbastanza da essere definito un arabo. Sembrava di più un colore passato, lontano da quello dei corpi moderni.
"Che ci fa di tutti questi rami?" Gli chiese. "Sono per voi..." rispose quello.
"Per noi?"
"Se non farete bene la lezione di Equitazione di domani, ve ne accorgerete". Nelle sue parole, più che un tono di minaccia, c' era qualcosa di certo. Michael deglutì "Non...non ci picchierete davvero!"
"Sì, invece, lo farò eccome...se non mi ascoltate..."
"Ma...non potete farlo..."
"Noi delle Otto Mura possiamo, gli altri non lo so". Quelle parole bastarono a farlo scappare via e a rifugiarsi in camera. 'Allora ciò che ha detto Fiamma non sono solo parole' disse tra sé e sé, accendendosi una sigaretta e affacciandosi alla finestra. Le nuvolette di fumo volarono al vento e si confusero con quelle grigie del cielo, le quali promettevano pioggia e neve.
"Già di ritorno?" Gli domandò Achille, dopo essere uscito dalla doccia.
"Possono picchiarci davvero?" Si voltò di scatto. "Sì, possono, Zurri. Possono eccome. Possono e lo fanno, molto spesso" si strinse nell' accappatoio della Bassetti "domani toccherà a te, perché sei l' ultimo arrivato e gli ultimi arrivati non conoscono ancora le regole delle Otto Valli". Michael si portò d' istinto le mani verso il sedere "Fanno male?"
"Sì, fanno molto male di solito...ma, stranamente, non lasciano mai cicatrici. Bisogna farli infuriare parecchio per lasciare qualche piccolo segno sulla nostra carne..."
"Perché nessuno li ha mai denunciati? Ci sono anche minorenni qui!"
"Perché questo luogo non esiste più in nessuna carta, né in Google Maps".
"Questo lo sapevo già, ma...basta avere i nomi dei docenti..."
"Non è possibile. Risultano tutti morti nel 1942". Quella frase fu come un bagno ghiacciato dopo una giornata di sole rovente "Non esistono i fantasmi".
"Michael, dammi retta. Riposa il culo. Nei mesi che starai qui, il dolore lo sentirai parecchio. Farai qualche incubo e vedrai cose strane, ma alla fine è tutta una questione di abitudine" si sedette sul letto, lasciando che l' accappatoio si aprisse un po' sul suo petto virile "è solo per nove mesi, puoi resistere eccome! Resistiamo tutti, non vedo perché tu no...tornerai cambiato a casa tua, è la sola promessa che posso farti. Poi ti piacerà anche un po'..."
"Utilizzare questi metodi? In un collegio a otto stelle? Con una piscina, un campo di Equitazione e un giardino così grande?"
"È un collegio. Punto. Un collegio che è rimasto al 1942, tutto qui. Il dolore è una cosa da giovani, non da vecchi" e rientrò in bagno ad asciugarsi i capelli.
Zurri rimase alla finestra, con il mozzicone di sigaretta che andava pian piano spengendosi tra le sue dita...

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