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Heric:
Non posso stare in camera con gli occhi di Mattia che mi guardano steso a pancia in giù, come a volermi dire ogni cinque minuti: 'Ho cercato di fartelo capire, ma ti sei voluto iscrivere lo stesso...e ora ne paghi le conseguenze!'. Se non avessi il sedere in fiamme, sosterrei quello sguardo e gli risponderei a tono; ma sento troppo dolore per poterlo fare. Gli faccio capire che non mi deve guardare così, gli lancio perfino uno dei cuscini del letto. "E allora?" Dico tra i singhiozzi "È un collegio tradizionale, e allora?". Perché per le sculacciate, che siano date con mano o con frusta, indipendentemente dall' età, si finisce per piangere sempre? La sola persona che non piangerebbe per queste cose è anche l' unica che non sente alcun dolore. Ho letto di una ragazza che è nata incapace di sentire il dolore fisico. Ed è una storia vera. Comincio a capire il perché non ci sono femmine qui dentro. A loro non servono punizioni per soffrire! E, d' altra parte, è meglio così; anche se le mani di una donna, che mi accarezzano la parte indolenzita, adesso mi servirebbero...
Mattia mi rilancia il cuscino. "Smettila!" Mi fulmina. Vedo che ha gli occhi lucidi, quindi sto fermo. "Non me lo potevi dire semplicemente, vero?" Continuo a punzecchiarlo "Ho dovuto scoprirlo da solo alla fine! E poi cos' era quella 'forza' che mi teneva bloccato mentre incassavo le botte, che mi impediva di reagire? Con il gruppo di Stefano non ci sono andato tanto leggero. Perché, di tutti noi, non è riuscito a ribellarsi nessuno? Compaiono e scompaiono diari vuoti dal nulla, ci si iscrive attraverso scartoffie e non attraverso internet. Si studia Retorica. Cos' altro c' è qui dentro?".
"Quando te lo dicevo? Durante gli 'shooting'? Ti ho detto che dovevi venire in bagno con me, ti avrei fatto vedere i 'risultati di questa disciplina' di persona... non ti 'suonava strano' che siamo tutti belli qui dentro? Mai una volta che questi 'picchiatori' abbiano fatto il sedere a strisce a uno brutto! È un 'trattamento' pensato appositamente per noi".
"È un film dell' orrore, non una scuola".
"L' horror è parte della vita, ognuno ha i suoi incubi. Ognuno ha i suoi fantasmi. Per fortuna, tra otto o nove mesi saremo già fuori. Tu ti sei iscritto quindici giorni dopo di noi, dunque uscirai da qui un po' più tardi...la sola cosa positiva in tutto questo è che, almeno, avremo un attestato; che vale tanto..."
"Tutto questo per una specie di laurea? E come scriveranno il voto finale, con il nostro sangue?"
"Ogni cosa si ottiene con dolore, ogni cosa".
"Finiremo per diventare tutti masochisti... qualcosa mi dice che 'quelli' hanno il diritto di farci questo. Dovremmo scappare via".
"Non siamo bambini, possiamo solo aspettare che tutto finisca".
"E se ci fossero veramente i fantasmi qui dentro? Gli insegnanti sono strani e anche il bidello".
"Anche i fantasmi erano esseri umani una volta. Possono farci male, non ucciderci. Facciamo 'i bravi' e punto. Vediamola così: veniamo puniti per invidia". Ci fa le battute, ma una lacrima gli scende dal viso. Non voglio piangere, non voglio dare soddisfazione a chi mi ha fatto questo. Basta singhiozzi. Vedo le braccia di Mattia che si avvicinano a me. Ha la stessa felpa mia, grigio scuro. Mi stringono. Lo sento piangere e sospirare. "Quanto sei scemo, razza di stupido!" Mi rimprovera "Perché sei venuto qui? Tu sì che sei matto, altroché le donne!". Lo abbraccio a mia volta, è forte ma trema. Ora sì che avrei bisogno di una ragazza, invece che di lui. 'Dimmi che non è vero. Dimmi che questa scuola non ci renderà importanti. Dimmi che è solo un inferno. Perché, alla fine, gli angeli caduti somigliano a noi? Perché, per vivere in Paradiso, bisogna prima attraversare l' Inferno? Quei poveri sfigati che non saranno mai nulla, li invidio tutti! Perché, se fossero tutto; noi, finalmente, non saremmo niente!'. 'Ahii! Ahio!'. Le natiche mi bruciano, ogni minuto il dolore sale anziché scendere. Non resisto più e scoppio in lacrime, con il capo sulla spalla di Mattia.

Onofrio tirò fuori dal gilet dell' uniforme primaverile un foglio bianco, ripiegato in quattro; con scritti il nome dell' antibiotico, la grandezza dell' ago e il dosaggio. L' infermiera lo guardò incuriosita "Hai trascurato i sintomi di una malattia in passato, vedo...ed ora sei messo così".
"Ero con mio padre al mare quando mi ammalai. Mi contagiarono un gruppo di adolescenti" spiegò lui, con noncuranza "quando ci rendemmo conto che non ero più me stesso, decise di farmi curare".
"Una puntura al mese per 17 anni...una cura così può lasciare alcuni segni sulla tua pelle..."
"Fortunatamente, l' ho cominciata circa sei anni fa...quindi è per altri undici, non per altri diciassette". La giovane donna ripiegò il foglio "Mi dispiace ma io non posso aiutarti".
"Perché no?" Sul suo volto furbo e aristocratico si stampò un sorrisetto malizioso "Ha paura di farmi male? Una volta mi ha perfino bucato un dottore mezzo cieco, crede di potermi fare più male di lui?"
"No, non per questo. Sì, anche per questo un po'...ma la verità è che io non conosco questa cura. Ai miei tempi non c' era. Io ho studiato medicina tradizionale, non moderna".
"Allora perché non è un dottore? Ed è solo una povera infermiera? Non ci vuole molto: basta che mi abbasso il pantalone e lei mi inietta quella roba! Non ha il siero? Posso andarlo a comprare in infermeria, con il consenso di Fiamma". La donna lo guardò di sbieco "Per cortesia, non rivolgerti a me con quel tono. Non sono tua sorella".
"Un' infermiera che non sa fare ciò di cui il paziente ha bisogno, a casa mia viene licenziata!"
"E a me non importa niente se sei un Crumiri o altro, ti ho detto che non conosco questa cura. Volente o nolente dovrai rivolgerti a qualcun altro".
"Ha fatto iniezioni a tutti i miei amici, da Mattia per primo; ed io, che ne ho davvero bisogno, non posso farle?"
"Non ho detto che non devi farle. Ti ho solo spiegato che io non conosco questa diagnosi. Qualche anno fa i ricchi non dovevano fare di queste punture. Forse è una malattia nuova".
"No, sono i suoi studi che sono arretrati. Quando si è laureata, negli anni '40?"
"E anche se fosse?" Incrociò le braccia "Cos' hai contro gli anni '40?". Onofrio afferrò il foglio, lo richiuse tremante e sorrise di nuovo; con una piccola scintilla che gli attraversava le pupille azzurre "Oh no" sospirò "lei me le farà, ha capito? Laurea o no. Passerò in farmacia con Fiamma o la incaricherò, le farò avere tutto l' occorrente e lei me le farà. Buon lavoro" fece per andarsene. "Te ne pentirai, vedrai" gli disse da lontano. Lui fece orecchio di mercante e sbatte' la porta.
Per il corridoio trovò a terra un biglietto, scritto con inchiostro rosso porpora: "Mi farai male? Quanto mi farai male?". Gli tirò un calcio con le sneakers rosse e nere della Jordan e si incamminò verso la mensa.
Giunto all' ingresso notò dei piedini che calzavano scarpe molto simili alle sue, ma con la firma nascosta e di tre colori: rosa, bianche e nere. "Ehi tu" disse con una risatina quasi isterica "dove vai con dei piedi così piccoli?"
"Molto, molto più avanti rispetto a te, spilungone!" Rispose a tono una vocina conosciuta e femminile. Era Diamante. Si mise più verso la luce per inquadrare meglio la sua figura: portava un jeans nero e delle calze con merletto dello stesso colore; e un maglioncino grigio scuro, corto alla vita e a collo alto. Tra le braccia teneva un giacchetto rosa di jeans, strappato in alcuni punti, dal quale si intravedeva perfettamente la scritta del Terranova. "Sei venuta a pranzo, bambolina?" Le chiese, porgendole il braccio; che lei prese timidamente. "Hai una presa leggerissima" commentò. Diamante arrossì. La invitò a sedersi, mentre lui appoggiò il gilet sulla sedia.
Le offrì del thè alla pesca. Lei ringraziò.
Tuttavia, non appena appoggiò, di nuovo, la bottiglia sul tavolo; sulla sua etichetta comparve la stessa, identica frase di poco prima: "Mi farai male? Quanto mi farai male?". La strappò e la buttò a terra. Subito dopo il viso vissuto di Fiamma apparve alla sua sinistra, facendolo sobbalzare: "L' infermiera mi ha detto che ti serve il mio aiuto" proferì "a proposito di una cura".
"Sì" confermò lui, con sicurezza "dovresti comprarmi questo prodotto, in farmacia". Le passò il foglio, non facendosi vedere da Diamante. La segretaria lo esaminò "Sei sicuro che non vuoi fartele fare direttamente in farmacia?" Alzò le sopracciglia.
"No, non ho alcuna intenzione di spostarmi una volta al mese, quando in questo collegio c' è un' infermeria funzionante!"
"Hai ragione anche tu, però non posso comprarti gli aghi".
"Non importa. Li ha usati anche su Simon...e per un graffietto. Vuol dire che li ha!"
"Parto subito e ti faccio trovare tutto in camera, allora. Poi vai in infermeria e...tu sai".
"Grazie. Ti serve la mia tessera sanitaria?"
"Ce l' ho già" tirò fuori dalla tasca del cappotto bordeaux una tesserina nuova, con incisi i dati di Onofrio. "Come hai fatto?" Le domandò.
"L' avevi lasciata in infermeria. Eri così arrabbiato che l' hai dimenticata sopra al tavolo".
"Mi dispiace".
"Non preoccuparti, succede quando si vuole qualcosa subito e non si può avere". Quindi, prese in braccio Gino e uscì di corsa.
Stefano, dall' altro lato del tavolo, rovesciò per sbaglio il vino. Sulla tovaglia bianca e ricamata comparve, nuovamente, la scritta: "Mi farai male? Quanto mi farai male?".
"Guarda un po'..." borbottò, leggendo le lettere con i suoi occhietti da falco "a quanto pare non sono il solo ad essere malato qui". In seguito, il suo sguardo si spostò verso il biondino "Sei pronto a farmi compagnia?" Chiese, bisbigliando.
"Che hai detto?" Grugnì Onofrio.
"Buongiorno, signorino Crumiri" rispose, con una risata altezzosa "le auguro buon pranzo!".

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