Margherita
Il colore tenue del cielo era ammaliante per Margherita. Reputava ogni singolo centimetro di natura uno spettacolo per gli occhi e per l'anima. Ogni mattina si svegliava non appena il sole sorgeva. Era solita dirigersi alla finestra e osservare, mentre si stropicciava gli occhi e stendeva gli arti intorpiditi per sgranchirli, il panorama che le si presentava davanti. Con papà Claudio, mamma Chiara e Lorenzo, vivevano in un appartamento abbastanza grande in un enorme palazzo color verde pastello. Le era sempre piaciuta la sua cameretta - ormai troppo piccola per una donna come lei - ed era sempre stata una ragazza rispettosa, educata ed esuberante. Amava profondamente la sua famiglia ed era molto protettiva nei confronti del fratello.
Gheta aveva soli tre anni quando Lorenzo aveva fatto capolino dalla porta in mogano della loro abitazione. Non appena vide quella piccola testolina contornata da folti capelli e quegli occhietti enormi che la fissavano, la bambina non aveva potuto fare altro che abbracciare quel minuscolo corpicino che papà Claudio teneva ben saldo tra le possenti braccia. Gli anni passavano e Gheta rimaneva la sorellona tenera e dolce che proteggeva Lorenzo in qualunque circostanza. Una volta l'aveva beccato in camera sua a fumare una sigaretta e quando vide sul volto del ragazzo un'espressione di terrore, decise di ammonirlo senza dire niente ai genitori. Lei sapeva quanto Lorenzo fosse timido e introverso e di certo non aveva bisogno della solita ramanzina da parte di Claudio e Chiara. Da quella volta Gheta non aveva più visto Lorenzo con una sigaretta in bocca. Aveva provato qualche volta a presentargli qualche sua collega. Tutte ragazze giovani e brillanti, carismatiche e adorabili. Ogni volta però, quell'innocente tentativo di aiutare Lorenzo a relazionarsi con l'altro sesso, sfociava in un litigio furibondo.
Margherita lavorava in una pasticceria vicino casa. Aveva sempre adorato la cucina e ogni volta che ne aveva l'occasione si cimentava nelle più complicate ricette, prendendole come sfide da vincere ad ogni costo. Nonostante il diploma al liceo scientifico e i primi anni di Università nella facoltà di Giurisprudenza, Gheta aveva preso la difficile decisione di cambiare completamente indirizzo. Dopo una lunga ed estenuante chiacchierata con i genitori - i quali ribattevano sempre con "Sei una ragazza brillante, dovresti fare qualcosa di più concreto per il tuo futuro" oppure "Non sacrificare tutti i tuoi sforzi così" - decise di iscriversi e laurearsi alla facoltà di Scienze Gastronomiche. Le piaceva il suo lavoro, adorava i suoi colleghi, amava creare e sperimentare. Era nel suo angolo di mondo.
Gheta stava sorseggiando una tazza di caffè con un pizzico di latte, mentre fuori il sole si faceva spazio tra le prime nuvole bianche apparse dopo mesi. Era un segno evidente che l'estate dai colori vivaci stava lasciando spazio all'autunno con le sue foglie scure. Attorno a lei il solito silenzio. Si portò una mano tra i lunghi capelli lisci e corvini, spostando qualche giocca. Gli occhi color caffè erano contornati da un paio di occhiali scuri. Controllò l'orologio e notò che erano le sei e trenta. Di Lorenzo neanche l'ombra.
Il ticchettio dell'orologio la faceva innervosire più di quanto il comportamento del fratello non stesse facendo. Era ormai un uomo adulto ma avrebbe preferito essere avvisata di un possibile ritardo piuttosto che attendere trepidante il suo ritorno. La stanza glicine di Gheta sembrava avvolta da un manto di preoccupazione e di rabbia. Digitò più volte il numero di Lorenzo e sperava con tutta se stessa di ricevere una risposta.
Al culmine dell'esperazione, sentì la porta d'ingresso aprirsi e un mazzo di chiavi appoggiato con cautela sul tavolo.
《Lorenzo tu sei nei guai.》 Gheta gli si avvicinò con fare quasi minaccioso.
《Posso spiegare. 》 Il ragazzo, abbastanza spaventato, indietreggiò.
《Fallo allora. Non hai idea di quanto io sia nervosa e spaventata. Non penso ci possa essere qualcosa in grado di farmi calmare o almen-》
《Ho conosciuto una ragazza.》 Non appena Gheta sentì questa breve frase, sgranò gli occhi e sul suo volto fece capolino un'espressione sopresa
《Oh.》 Si limitò a dire
Lorenzo rimase qualche secondo in compagnia della sorella per poi chiudersi nella sua camera.
Gheta era rimasta immobile. Non aveva avuto neanche la forza di ribattere o domandare, per lei era una notizia fenomenale.
Bussò alla porta della stanza del fratello.
《Entra.》 Si limitò a dire lui
《Parlami di lei.》 La ragazza era ancora sull'uscio e non aveva alcuna intenzione di violare gli spazi del fratello.
Lorenzo posò sul letto il computer e le cuffie che aveva appena preso e, con le gambe incrociate, rivolse lo sguardo verso Margherita.
《Si chiama Beatrice Castelli, ha 23 anni. Si è diplomata al liceo classico, abita in Via Degli Ulivi e sono stato con lei fino a poco fa. Abbiamo avuto un appuntamento. Dire che è bella è riduttivo. Non riesco a spiegartela la sua bellezza. È una ragazza pura e genuina, ti dice sempre quello che pensa. Nei suoi occhi c'è tanta sofferenza e si comprende bene. Ancora non so il motivo, ma quando sarà pronta mi informerà. Sono cotto di lei.》
Gheta non poteva crederci. Era la prima volta che suo fratello era stato in grado di esprimersi e di parlarle dei suoi sentimenti con lei. Era sicura che Beatrice fosse una ragazza stupenda sia fuori che dentro per aver fatto infatuare in quel modo un ragazzo dai gusti particolari come Lorenzo.
《Sono felice per te, fratellino. 》 Margherita si avvicinò al ragazzo e lo abbracciò. Era sollevata dal sapere che qualcun altro nel mondo era stato capace di accedere al suo cuore e alla sua anima.
《Ti va di mangiare qualcosa?》 Aggiunge la ragazza alzandosi dal letto.
《Perché no.》
Abbandonata la stanza, i due presero posto e portarono sul tavolo in legno qualsiasi alimento potesse essere conforme per la loro colazione. Sulla tovaglia bianca disposti in maniera casuale diversi alimenti; dai biscotti al miele, dal latte al tè verde. Margherita si imponeva ogni settimana di andare a fare la spesa e reperire ogni singola prelibatezza che sapeva essere apprezzata da ogni componente della sua famiglia. Dalla grande finestra filtravano i raggi del sole ed era davvero uno spettacolo piacevole. Attorno, la quieta assoluta.
In un attimo si sentì una suoneria, proveniva dalla camera dei genitori. Gheta accorse correndo per rifiutare la chiamata e assicurarsi che Claudio e Chiara stessero ancora dormendo. Poi uscì cautamente dalla loro camera e si abbandonò a peso morto sul divano.
Il telefono tornò a squillare. La suoneria non faceva altro che irritare i due ragazzi e non appena Lorenzo si alzò dalla sedia bianca in pelle per spegnerlo una volta del tutto, sentirono la madre rispondere e successivamente dirigersi a passo svelto in cucina, con un'espressione di terrore e di panico.
Fu questione di un attimo, le guance di Lorenzo furono bagnate da lacrime calde che copiose scendevano dagli occhi color caffè. Gheta urlò disperata, sul suo volto una smorfia di dolore. Il padre dei due, allarmato dalle urla, li raggiunse e abbracciò forte la moglie che a malapena riusciva a reggersi in piedi. Non capiva bene cosa stessa succedendo, fino a quando gli occhi celesti si scontrarono in quelli scuri e lucidi del figlio.
《Nonno..》 sussurrò Lorenzo.
La corsa in ospedale fu rapida quanto vana, il cuore di Nonno Ste aveva smesso di battere alle sei di quella mattina. Le pareti candide dell'ospedale non erano accoglienti per una famiglia che aveva appena subito una perdita così grave. Le infermiere con le loro divise azzurre camminavano a passo svelto nelle varie camere dove i pazienti giacevano in attesa delle cure. Lorenzo, Gheta e i loro genitori erano seduti su delle scomode sedie nella sala d'aspetto.
Il cellulare di Lorenzo squillò. I jeans scuri facevano da involucro a delle gambe deboli per poter sorreggere il peso di un mondo senza suo nonno. Scosse la testa per un attimo e guardò lo schermo. Era un messaggio di Beatrice.
"Buongiorno! Come va?"
Non aveva la forza di rispondere o di parlare con qualcuno. Avrebbe voluto raccontare a suo nonno la fantastica storia di come lui, timido e impacciato, fosse riuscito a conquistare la sua dolce Beatrice. Avrebbe voluto viaggiare con lui per un'ultima volta in Brasile, dove aveva vissuto per circa dieci anni, parlare con lui di quanto fosse sbagliato e meraviglioso il mondo, giocare a carte divertendosi come bambini, sorridere insieme delle fragilità dell'altro.
Avrebbe voluto avere la forza di battere forte il pugno sulla mensola della reception e maledire tutti gli infermieri che non erano stati capaci di salvare suo nonno. Sapeva bene, in cuor suo, che nessuno avrebbe potuto fare niente.
Rimase seduto su quella fredda e scomoda sedia con la testa chinata, lo sguardo fisso sul muro bianco e il cuore a pezzi.
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