- 44 - Silly, Silly Men...!


«Come sta?», chiese Ricky a Chris, in un sussurro affaticato dallo sforzo.
Appena avuta la notizia ci precipitammo a casa, a Scranton, col primo aereo, mandando al diavolo le vacanze.
Dal parcheggio sino alla camera in cui alloggiava Ryan, Rick aveva corso, preoccupato che l'orario di visita fosse agli sgoccioli.

I due erano affacciati alla piccola finestra ricavata nel legno della porta che li separava dal paziente.
Entrambi erano tesi, avvolti da un silenzio cupo e nervoso, così avidi di notizie riguardo l'amico che erano appiccicati al vetro, appannato per via del fiatone di Rick.

«Non lo so.», rispose il più grande in un soffio, gli occhi fissi sul malato e la mente altrove, immersa nei ricordi.
Ryan dormiva: i capelli castano-scuro erano sparpagliati sul cuscino, le braccia da cui partivano tubicini della flebo erano stese lungo i fianchi, la bocca era socchiusa e decorata da un filo di barba incolta, e le occhiaie sotto gli occhi scavati gli conferivano un'aria pietosa.
Era provato dalla giornata precedente, in cui fu ricoverato a sottoposto a molti, lunghi e spossanti test e controlli.

Mi andai a sedere accanto a Balz e Devin, quest'ultimo era arrivato poco prima di me, accompagnato da Giulia.
«Guarirà?», domandai a Josh che si tormentava le mani.

«Non ne ho idea, ma lo spero vivamente. Non sappiamo ancora se lo sottoporranno alla chemioterapia o ad un intervento.»
Mi guardò per un secondo esibendo i suoi occhi arrossati, prima di voltarsi verso Ryan-Ash, che gli prese una mano tra le sue, per consolarlo ed impedirgli di martoriarsi le pellicine.

«Quanto è lunga la lista d'attesa per l'intervento? In caso servisse...», chiesi sentendo un nodo alla gola rendere le mie parole più languide.

«Lunga. Troppo lunga.», intervenne Chris coinciso, gelido, posto davanti ad un doloroso deja-vu.
Pareva distaccato, come se fosse stato in un'altra dimensione, da cui la sua voce giungeva arcana.
Neanche si girò subito, prima si concesse ad un sospiro di rammarico che lo rese più vicino a noi e al nostro stato d'animo.
Ci squadrò tutti con sguardo assente e occhi stravolti.
«Io...», esitò, «Io penso di andare.»
Si scusò frettolosamente e tagliò la corda, come se si fosse dimenticato il gas acceso a casa col rischio di farla saltare in aria, ma la sua fuga era più disperata, più frenetica e più misteriosa.

Stava correndo via da Ryan e la verità che lo circondava, rifiutandosi di accettarla, negando l'evidenza che lentamente lo soffocava.
Scappava dal dover ammettere quel che ancora non riusciva a confessare a sé stesso.
Cercava rifugio in scuse e bugie che potevano sembrare comode inizialmente, ma che col tempo chiedevano, insistevano, pretendevano di tramutarsi in franche realtà; consumandolo da dentro, pur di diventare verità.

«Signori, l'orario di visita è finito venti minuti fa. Mi spiace dirvelo, ma create intralcio qua in corridoio; dovete andarvene.», un'infermiera, la stessa che sedeva dietro lo schermo del vecchio computer della reception, ci chiese il più educatamente possibile di levar le tende.
Eravamo rimasti tutti fuori dalla stanza di Ryan, in corridoio, in silenzio.
Chi seduto, chi in piedi, ma tutti con lo sguardo rivolto verso al basso, a pensare.
Alcuni di noi erano accaniti su ricordi felici vissuti con Sitkowski, speranzosi di poterne collezionare altri.
Altri pregavano.
Altri ancora era pentiti di non aver mai apprezzato abbastanza il ragazzo, di averlo criticato fin troppo; come Ricky ad esempio.

Io, invece, rimuginavo sulle parole di Chris, sul suo tono, sulla sua uscita di scena.
Pensavo anche a Karma, domandandomi se fosse vera o frutto di qualche bicchierino di troppo, chiedendomi perché solo noi potessimo vederla.
In fine, fu uno stralcio di discorso a farmi ridestare da quel torpore causato dal mulinello di pensieri che avevo in testa.
"Ha falsificato le carte assicurando il cuore a sua sorella."

Quella frase, pronunciata da Rick non molti giorni prima, mi vorticava nella mente, ed ero consapevole che contenesse il motivo per cui Ryan giaceva in un letto ospedaliero: il prezzo di Chris.
E se avesse usato l'errore stesso per risolvere l'errore? Se avesse facilitato il dono d'organo per salvare Ryan?

«Signorina?», sempre la stessa donna in camice cercò scocciatamente la mia attenzione.
Alzai lo sguardo distrattamente verso di lei, osservandola con smarrimento per qualche secondo. Tornai presente e notai che gli altri si erano già alzati e diretti verso l'uscita del reparto senza accorgersi della mia assenza, forse troppo assorti nei loro ragionamenti, come me.
Lasciai la scomoda sedia in plastica e mi avviai verso le scale con gli altri, ricominciando ad esaminare l'ipotesi nata poco prima.

Semplicemente no. Non poteva essere.
O almeno ci speravo.
Escludendo il fatto che non aveva più l'appoggio della sua ex, giovanissima infermiera ai tempi, non lo avrebbe fatto proprio in quel momento in cui neanche si sapeva esattamente come trattare il tumore.
Tratte quelle conclusuoni, sospirai sollevata.
Chissà cosa sarebbe potuto succedere se lo avesse fatto, se, inconsapevolmente, avesse ingannato il fato e non avesse pagato.
Che il prezzo aumentasse? Fino a quale punto, poi?
Tremai.
Rallentai per stringermi di più nella mia giacca, sentendo improvvisamente freddo.

«Sofia, vuoi muoverti?», Rick, mi richiamò voltandosi verso di me.
Allora qualcuno si era accorto che ero rimasta indietro.

«Sì, arrivo subito.», risposi sommessamente, allungando il passo.

«Tieni le chiavi, torna pure a casa.», mi diede le chiavi dell'auto dopo aver frugato nelle tasche del suo giubbino.
«Io vado con gli altri da Chris, ha chiamato poco fa e ci vuole parlare.»

«Di cosa?», domandai con tono piatto.

«Penso si tratti di Ryan... E della band.», rispose a fatica, «Io vado, ti faccio sapere se torno per cena. Ci penserò io alle mie valige.», mi lasciò un bacio tra i capelli e si allontanò con i compagni.
Li seguii con lo sguardò finché le loro sagome scure non sparirono dentro la vettura di Vinny - l'unico che non avesse una moglie o ragazza a cui lasciare l'auto per rincasare.
Sbuffai e mi guardai i palmi delle mani dove stavano le chiavi della nostra macchina. La aprii e partii verso casa di malavoglia, sentendomi la noia attorno e l'apatia salirmi fino alle punte dei capelli.
Dentro l'abitacolo mi sentivo isolata dal freddo pungente e dal cielo plumbeo che oscurava il sole.
Dal fitto tappeto di nuvole filtrava appena una luce opaca e a breve avrebbe piovuto, o peggio, grandinato.

Passai nei pressi dell'abitazione di Ryan perché era di strada e ripensai, intenerita, a come era spesso in pensiero per le sue piante e parcheggiai poco lontano.
Il brutto tempo di quella giornata le avrebbe di certo rovinate, perciò decisi di prendermene cura, ma quando arrivai nel suo vialetto capii che qualcun altro ci aveva pensato prima di me.

L'auto di Chris era parcheggiata davanti al garage di Ryan.
Con fare circospetto e passo felpato mi diressi in giardino dove vidi la figura di spalle, inginocchiata e rivolta verso i fiori, di Chris.
Le sue grandi mani erano piene di terriccio che probabilmente proveniva dal sacco accanto a lui, la cui scritta recitava "Concime ad alto contenuto vitaminico".

«Ciao, Alex, Trina, Steph, Phoebe, Boo Boo.», Chris salutò mestamente le piante, con una nota di tristezza mista a dolcezza nella voce.
«Lo so, è passato tanto tempo, ma zio Chris ha litigato con papà Ryan e non sono più venuto a salutarvi.», sfiorò con infinita cura un petalo di un fiore scarlatto e si lasciò andare alla tristezza sospirando.
«Penso di aver fatto un gran casino.», ammise con voce rotta alle rigogliose piante, parlandoci come se fossero dei bambini.
«E mi sento molto in colpa, mi sento un egoista codardo, non volevo ferite così il vostro papà e ora lui sta tanto, tanto male. Eppure, anche sapendo di sbagliare, continuo a comportarmi male per proteggere me stesso. Sono cattivo.», si passò le mani sui jeans, non curandosi di sporcarli, e si asciugò le lacrime.
«Ho paura che Ryan non guarirà e io non voglio perderlo. Ho avuto un'idea, ma non so ancora cosa farò...»

Chris si alzò improvvisamente e mi spaventai, temendo di essere vista, indietreggia di scatto.
Lui si voltò nella mia direzione e accigliò lo sguardo, confuso.
Strinsi gli occhi e trattenni il fiato, sperando che non si accorgesse di me.

«Meow.», fu tutto ciò che dissi.

«Pff, un gatto.», Chris si rilassò e tornò a guardare i fiori.

Aveva funzionato.
Tirai un sospiro di sollievo e lui, guardando il cielo da cui precipitarono le prime gocce di pioggia, iniziò a sistemare i fiori dentro la modesta serra dell'amico.

Chris, aveva un'idea? La mia medesima?
Comunque sia non sapeva ancora cosa fare, perciò avevo tempo per dissuaderlo dal metter in atto qualsiasi piano bislacco gli passasse per la testa.
Intanto lui terminò di rifugiare le piante ed iniziò ad incamminarsi verso la mia direzione, solo quando me lo ritrovai davanti mi resi conto che ero nei guai.

«E tu cosa ci fai qua?», domandò stupito, quando, per un pelo, non si scontrò contro la mia figura impalata dal pensare.
Prima di collegare effittivamente la bocca al cervello, balbettai imbambolata davanti a lui.

«E... Ecco... Io...»

«Lo so, sei stranita perché pensavi fossi dai ragazzi, giusto?», domandò in buona fede, fornendomi da solo una buona scusa.
Annuii con vigore e rimasi a guardarlo nell'attesa di una valida bugia da proprinargli, per spiegare la mia presenza nel giardino sul retro di Ryan.
«Da quanto sei qua?», chiese guardandomi con insistenza.

«Oh, be'... Io, son-sono appena arriva.», conclusi dondolandomi sui talloni e le punte dei piedi.

«Sicura di stare bene?», si preoccupò poggiandomi una mano sulla spalla e scuotendomi gentilmente, come a volermi svegliare dal mio stato di lentezza mentale.

«Sìsì.», affermai con troppo entusiasmo, insospettendolo di più.
«Sono qua perché Ryan si è svegliato dopo che sei andato, ha notato il cielo scuro e ha chiesto di sistemare le sue piante.», mentii, mentre nella mia mente visualizzavo una piccola me ballare la conga, felice per aver trovato un'idea per giustificare il perché fossi lì.

«Ci ho pensato già io.», mi fece l'occhiolino rassicurandomi e camuffando alla perfezione il suo stato d'animo reale.

Chris, smettila di mentirci, di mentirti.

«Vai pure a casa, prima che le strade siano impraticabili.», mi consigliò appena prima di uscire dal giardino.
«Sono in ritardo, corro dai ragazzi. Ciao!», mi salutò affabilmente da lontano, scuotendo la mano.

Il ticchettio della pioggia contro la finestra era violento e veloce, continuo.
Ormai quello era un temporale che durava da ore.
Mi ritrovai rannicchiata sul divano sotto un pile, a guardare quel vetro appannato e scalfito dalle gocce d'acqua gelide che cadevano dal cielo, scontrandosi col duro terreno.
Amavo le tempeste, ma quella sera non era una delle migliori.
Felix si era acciambellato accanto a me e dormiva già da un po', io, invece, continuavo a guardare l'ultimo messaggio di Ricky, tenendo nell'altra mano una tazza di thé fumante.

"Cucina per te qualcosa, io ceno qua e penso di far tardi. Appena posso ti farò sapere."
Inviato alle 19:34.
Erano già le 22:56.
Un mistume di apatia, provata in precedenza all'ospedale, si fuse con i pensieri di ciò che disse Chris ai fiori; questo mi portò a non volermi neanche dedicare alla cucina, oltre che al disfare i bagagli, così mi limitai a scaldare una pizza in microonde.

Viva la pigrizia.

«Sono a casa!», la voce di Rick risuonò squillante per tutta la casa, la quale era avvolta nel silenzio più totale.
«Sei sveglia?», comparve in salotto col cappotto madido di pioggia ed il naso arrossato dal freddo pungente.

«Sì.», risposi semplicemente concedendomi uno sbadiglio.
Accantonai i miei rimuginamenti, sforzandomi di parere serena.
«Quali sono le novità?»

«Noi dobbiamo fare un tour fra un mesetto, lo sai, no?», annuii guardandolo mentre si sedeva vicino a me e al gatto, al quale dedicò qualche coccola.
«Finché Ryan non starà bene», rifiutava categoricamente di ipotizzare, prendere in considerazione la morte dell'amico e lo capivo, «...Avremo bisogno di un turnista. Abbiamo chiesto alle altre band con le quali siamo in amicizia e ce ne hanno consigliati alcuni. Già da domani li contatteremo e "testeremo"»

«E ci avete messo così tanto per questo?», aggrottai la fronte.

«Be', non proprio, abbiamo anche fatto altro.», rispose in difetto, grattandosi la nuca e sbadigliando.

«Cosa?», mi agitai mettendomi seduta composta e rigida.

«X Box...», rispose solamente.

«Potevi almeno avvisarmi!», mi scaldai e lui scappò al piano superiore.
Lo avevo aspettato tutte quelle ore e per cosa? Per i videogames.

«Non ti ho sentito!», mentì palesemente.
«Io sono stanco e domani dovremo cercare il turnista. Buonanotte!»

«CERTO CHE MI HAI SENTITA, STO URLANDO!», risposi su tutte le furie.
Si era comportato e continuava a comportarsi da immaturo.
Non pretendevo molto, solo due righe di SMS per avvertirmi che non sarebbe tornato presto.

«Ti amo, notte!», disse e si rifugiò in camera - come se non potessi raggiungerlo.

Stupidi. Stupidi uomini.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top