- 37 - Memories Of The Future

(Oddio, avrà avuto massimo 20'anni (': )


«A quel punto pensi di essere inutile, che la tua nascita sia stato uno sbaglio e che, se in grembo non sei morto col cordone ombelicale attorno al collo, allora morirai con una corda di yuta nella tua camera.», sospirò Ricky spegnendo la terza sigaretta.
Odiavo quell'odoraccio, ma non potevo impedirgli di fumare, non in quel momento.
Era così provato e fragile a riscavare tra i suoi ricordi per raccontarmeli che avrei potuto accarezzarlo e ridurlo in mille frantumi.
«Era un periodo particolarmente buio, più degli altri, e vedere mia sorella così felice e circondata da gente che la amava mi fece salire una gelosia incontrollabile. Lei, come tutti, possedeva ciò che io non avevo: serenità, gioia ed amore. Tutti mi criticavano, ripudiavano, schernivano solo perché io ero come ero: un ragazzo fintroppo riservato che ascoltava musica anormale, si vestiva da anormale ed era anormale. Di certo non avevo una grande autostima per ribellarmi al bullismo, sono cresciuto con un padre violento che mi detesta e con una madre che non faceva nulla per fermarlo.», sospirò di nuovo e perse tempo giocherellano con i piercings usando la lingua.
«Così, feci ciò che meglio mi riusciva. Mi sono isolato in camera mia con le auricolari al massimo su un pezzo degli HIM ed ho iniziato a fumare fino ad impregnare tutta la stanza dell'odore rincuorante delle mie Marlboro Rosse. Ho iniziato a riascoltare mentalmente tutti gli insulti che mi dissero quel giorno, "Ucciditi che fai un favore a tutti" era quello più ricorrente, quello a cui davo maggiore ascolto. La pensavo allo stesso modo, perciò, dopo aver finito una bottiglia intera di Jack Daniel's ho preso a pugni lo specchio fino a romperlo. Mi sanguinavano i pugni, ma il dolore della carne era nulla confronto a quello che provavo dentro, tanto che quando mi tagliai a fondo il braccio, recidendo anche la vena maggiore, ho solo avvertito un bruciore e nulla di più.»

«Poi cos'è successo?», chiesi cautamente, con voce bassa, sfiorandogli lo zigomo con un dito. Allora si girò guardandomi con occhi languidi ed un sorriso amaro.
Vedere la mia più grande fonte di forza piangere equivaleva ad un terremoto emotivo, a sentire il mio equilibrio interiore in pericolo. Il suo dolore era il principio del mio e nel suo sguardo, per quanto seppelliti dagli anni, vedevo la stessa sofferenza e lo stesso Ricky all'età di diciassette anni.

«Ovviamente ho iniziato a sanguinare molto, se avessi tagliato un'arteria avrei perso ancora più sangue, ma era già abbastanza per perdere lentamente i sensi. Ringrazia la mia ignoranza, o non sarei qua. Ho scoperto a posteriori che tagliando verticalmente, per la lunghezza del braccio, si muore prima. Se lo avessi saputo lo avrei fatto allora; invece ho tagliato orizzontalmente qua», si indicò un punto sul braccio qualche centimetro sotto l'incavo del gomito. Lo toccai e sentii la pelle irregolare ed osservando meglio notai che i tatuaggi coprivano la cicatrice di quello che fu uno squarcio enorme.
«Arrancai fino alla finestra con l'intenzione di buttarmi, ma un amico di mia sorella che stava in giardino mi vide ed allarmò tutti. Ricordo solo che qualcuno mi bloccò da dietro portandomi al sicuro nella stanza. Non vedevo più nulla: tra la perdita dei sensi, la sbronza e le lacrime, la vista si era appannata. Mi risvegliai in ospedale dove mi cucirono il braccio e mi trasfusero del sangue, salvandomi.»

Abbassai lo sguardo verso terra guardando una formica. Concentrai l'attenzione sul microscopico animale, per evitare di piangere; dovevo esser io quella forte in quel momento delicato.
Eravamo seduti sui gradini appena fuori dalla nostra porta principale.
Vidi la sua mano avvicinarsi alla mia fino a prenderla. Lo guardai e lui mi sorrise già molto più calmo.
«Stai tranquilla: è tutto passato, sto bene ora. Sono un uomo, ormai, no?»

Lo osservai, e sì, era un uomo. E non per via dell'accenno di barba sul mento, non per le mani e la muscolatura forte, non per la voce profonda, ma perché era capace di fronteggiare la vita, piegandosi ad essa senza farsi spezzare; non più.

«E con il tuo psicologo?», domandai in pensiero. Ogni volta che aprivo il mobiletto in bagno trovavo le sue pillole, ma non toccavamo quasi mai l'argomento.

«Va bene, il dosaggio per ora è giusto.», tagliò corto.

«E tu come stai?», chiesi accarezzando col pollice il dorso della sua mano.

«Bene.», rispose sinceramente con un sorriso rilassato che mi scaldò il cuore, rassicurandomi.
«Su, andiamo dentro. Fa freddo ed ho voglia di cioccolata calda.», mi disse aiutandomi a tornare in piedi.

«Concordo.», risposi contenta della sua proposta: la cioccolata calda di Rick era la bevanda degli dei.
Entrai in casa sentendo guance, dita e punta del naso formicolare a causa del caldo a contrasto col gelo di poco prima. Mi tolsi la giacca e sistemai anche quella di Ricky che andò a lavorare in cucina.

«Dove vorresti celebrare il nostro matrimonio?», mi chiese quando mi accomodai al tavolo, mentre lui girava il composto in un pentolino appostato davanti ai fornelli.

«In Toscana o sulle Alpi. Ti prego!», piagnucolai. Ricky scosse la testa ridendo appena e si girò verso di me.

«A me va bene, ma scegli uno dei due. Vuoi una cerimonia grande o più intima?», continuò a chiedere.

«Intima, penso.», risposi sovrapensiero. Felix mi aveva raggiunta sul tavolo per farsi coccolare ed ero assorta nei miei pensieri mentre lo accarezzavo: il racconto di Rick mi scosse parecchio.

«...ovviamente anche mio cugino David. Amore, mi stai ascoltando?», Rick mi porse la cioccolata e tornai presente.
«Tutto bene?», chiese preoccupato.

Sospirai affranta, «No, Ricky. Dopo quello che mi hai detto... Non lo so, sono in pensiero per te. Ho paura che tu possa soffrire ancora e che io non possa far nulla per evitarlo o aiutarti.»

«Ehi, guardami.», disse accarezzandomi il volto fino a portare un mio boccolo dietro l'orecchio, «Sono adulto e vaccinato. Ti ho già detto che riguarda il passato e sto bene ora.», mi sorrise e mi porse la tazza fumante una seconda volta.
«Ti farà tornare il buon umore. Ci penseremo un'altra volta ai preparativi.»

«Grazie.», abbassai lo sguardo sulla cioccolata e, dopo averla raffreddata soffiandoci sopra, ne bevvi un lungo sorso. Scottava dalla punta della lingua fino all'esofago, ma mi sentii subito meglio, gustandomi il suo sapore amaro seppur addolcito dal pizzico di cannella che Rick era solito aggiungerci.

«Stavo pensando...», iniziò lui attirando la mia attenzione. Lo guardai corrugando lo sguardo per un istante.
«Lo facciamo un figlio?», chiese con naturalezza.

Rimasi basita, con gli occhi sbarrati e la mascella scardinata.
«Ricky... Io... Insomma...», iniziai a balbettare in uno stato confusionario. Stetti zitta per qualche secondo, riordinando le idee, «Non sono pronta.»

«Ti prego!», insistì facendo il labbruccio tremolante.

«No.», tagliai corto.

«Dai!», mi pregò una seconda volta.

«Accidenti, Ricky! Si tratta di un bambino, mica di un giocattolo, e non mi sento in grado di essere una madre.», lo rimproverai.

«Cosa non ti fa sentire tale?», si sistemò sulla sedia, tutt'orecchi per la mia risposta.

«Non lo so, pensavo di completare gli studi o concentrarmi meglio sul lavoro. Sono troppo giovane per... Non credo di essere pronta per essere una buona mamma; sopratutto se tu sarai distante.», dissi scavando a fondo nelle mie apprensioni. Cercai un'altra volta di immaginarmi madre, ma quell'idea stonava fin troppo con ciò che ancora ero allora.

«Potresti studiare da privatista, a casa, con gli orari che vuoi tu. Inoltre lavori per Ryan-Ash, ti lascerebbe spazio di essere madre. Non saresti sola; potrei sempre far subentrare un sostituto quando vuoi tu.», cercò di persuadermi elettrizzato dall'idea di diventar padre - cosa che non mi sarei mai aspettata.

Feci segno di no col capo, «Non voglio.»
Caló un silenzio che mi illuse, piacevolmente, che l'argomento fosse chiuso.

«Ti va di fare un accordo?», domandò Ricky ostinato.

«Dipende.», biascicai dubbiosa.

«Voglio provare a convincerti. Lo faremo una volta soltanto senza precauzioni e se non capiterà ok, ma se rimarrai incinta ti lascerò scegliere se tenerlo o abortire.», spiegò gesticolando animatamente.

«Si tratterebbe di uccidere il nostro possibile figlio, è una cosa crudele e non ne sarei capace!», iniziai ad urlare incredula. Era un'idea orribile.

«Sarebbe togliere una cellula e basta.», commentò esasperato.

«La cellula che diventerebbe il bambino che scorrazzerebbe per casa nostra! Stai dicendo delle mostruosità!», scoppiai in un'ennesima crisi isterica alzandomi dalla sedia ed iniziando a camminare per la cucina.
«Tu toglieresti la vita con così tanta leggerezza all'essere che ameremmo più di noi stessi?»

Ricky sorrise e conoscevo quel ghigno, indicava soddisfazione, «Visto che ci tieni e che vuoi diventare madre?»

«Ovvio che voglio, non ho mai detto il contrario, ma non lo voglio ora.», iniziai a calmarmi. Voleva solo raggirarmi e c'era riuscito.
Anche lui si alzò e mi raggiunse, ponendosi davanti a me ed afferrandolo il viso con entrambi le mani, accarezzandolo coi pollici.

«Fidati che io so capire il tuo sguardo meglio di chiunque altro, persino meglio di te. Te lo si legge negli occhi che vuoi, hai solo paura.», disse sicuro di sé, in un soffio che mi sciolse.
Mi posò un bacio sulla fronte e sospirai profondamente. Odiavo quando faceva così, perché aveva ragione è quella determinata "ragione" mi era scomoda.
«Accetti la proposta?», richiese poggiando la sua testa alla mia ed intrecciando le nostre mani. Il suo sguardo carico d'aspettative, pareva quasi implorante, era incatenato al mio.

«Sì.», risposi con un filo di voce. Si leccò le labbra guardandomi intensamente, come un leone affamato guarda la sua preda. Iniziai a tremare sotto quello sguardo penetrante, sentendo subito le sue mani iniziare a lasciar le mie per esplorare il mio corpo, riprendendo ciò che l'arrivo dei suoi genitori aveva interrotto ore prima.

Senza accorgemene, troppo concentrata sul profondo bacio che ci legava, mi ritrovai nella vasca da bagno, nuda contro la sua pelle altrettanto spoglia.
L'acqua bollente grondava dai miei capelli, ne sentivo ogni goccia che scorreva giù per la schiena fino ai piedi. La percepivo evaporare in parte dai nostri corpi fradici e roventi; la nostra pelle si stava per ustionare sotto quel getto d'acqua che pareva fuoco, ma non ci facemmo caso: troppo lontani dalla realtà per sentire dolore, troppo vicini tra noi per non sentire la necessità dell'uno e dell'altra.

Presto ci ritrovammo distesi nella grande vasca e non potevo più sopportare quella piacevolissima tortura provocata dalle sue labbra serrate attorno un mio seno. Affondai le mani tra i suoi capelli bagnati e inspirai il profumo che emanavano.
Le sue mani percorsero tutto il mio corpo più e più volte, esplorando alla cieca ogni centimetro della mia pelle e lasciando delle scie di brividi al loro passaggio.
Il suo corpo scivolò sul mio fino a portarlo al mio basso ventre.
«Al bambino ci penserò dopo. Ora voglio l'antipasto.», esplicitò passando il viso sul mio busto, inebriandosi del mio odore.
Passò un palmo dal mio fianco lungo la coscia lasciando che la mia gamba cingesse la sua schiena, iniziando ad assaggiare la sensibile pelle dell'inguine.
Il getto d'acqua continuava a sferzare il mio busto inarcato per la goduria, le gocce scorrevano verso il basso, oltrepassando l'ombellico ed incontrando il volto di Ricky.
I movimenti circolari della sua lingua contro le mie intimità mi provocarono una scossa che dal cervello scese lenta e dolce verso il mio centro di piacere.
Quando sfiorai l'apice diventando tutta un fremito, Rick si interruppe sorridendomi malevolo.

«No...», sospirai con voce rotta, lamentandomi.

«Io sono soddisfatto.», si leccò lentamente le labbra distese ancora in quel ghigno perverso.

«Ti prego.», lo implorai indolenzita dal piacere.
Allora le sue labbra tornarono a danzare con le mie e le sue anche si mossero in modo da fargli strada dentro di me.
Abbassò di qualche grado la temperatura dell'acqua che continuava a scivolare dal suo corpo grondandomi addosso.
Staccai le labbra dalle sue per prendere fiato e in quel frangente spinse più a fondo facendomi scappare un gemito di sorpresa e gradimento.
I suoi movimenti si fecero più decisi e profondi trasportandomi definitivamente nella sua dimensione di passione.
Passò a marchiarmi il collo come il suo istinto possessivo gli dettava, dando vita ad un piacevolissimo dolore appena sotto l'orecchio.
Mi morsi il labbro per non ansimare, ma riuscii solo a soffocare appena il mio verso e se ne accorse.

«Ti sto facendo morire, per caso?», chiese guardandomi vittorioso.
Scossi la testa, non potevo dargliela vinta, ma l'assenza dei suoi baci sul collo era una sofferenza acuta, difficile da non ammettere.
«Posso farti soffrire di più. Scommettiamo?», mi sussurrò lussuriosamente all'orecchio scatenandomi nuovamente dei brividi attenuati dall'acqua calda.
Riprese a succhiare la pelle sotto l'obo, questa volta con più insistenza, mordendola con una gentilezza ben calcolata. Le scosse di dolore erano ciò che preferivo mentre il suo corpo era ancora fuso col mio.
I suoi movimenti regolari e forti erano scanditi dal suo fiato rovente, la sua voce diventò mano a mano più profonda fino a ridursi ad un urlo graffiante e rauco.
I suoi muscoli iniziarono a tremare e a contrarsi bruscamente quando iniziò a riempirmi della sua essenza.
Osservai per qualche istante la sua espressione corrucciata e poi chiusi gli occhi, abbandonandomi agli ultimi istanti di estàsi, quelli più intensi.

Ricky si accasciò sfinito sul mio petto, respirando a fondo. Chiuse l'acqua e il freddo gli increspò la pelle candida della schiena in un manto di pelle d'oca, la accarezzai disegnando dei cerchi in punta di dita.
Guardai il bagno. La condensa copriva ogni vetro e piastrella, tutto era circondato dalla foschia di vapore caldo. Quest'ultimo rendeva l'aria pesante, intontendoci.
Il sonno e lo stordimento ci assopì lentamente fino a farci calare in un sonno profondo.

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