- 36 - What A Lunch!


Mi rilassai sul divanetto cercando di accantonare la tempesta emozionale di qualche istante prima: ansia, entusiasmo, disperazione, esasperazione, rabbia, frustrazione e poi finalmente gioia.
«Ti piace l'abito che ho scelto?», domandai a Rick che si godeva la comodità dei cuscini tenendomi stretta a sé. Mi appagava sentirmi ripetere che era un vestito stupendo, come se fossi stata una bambina vanitosa e viziata.

Abbassò lo sguardo su di me e sorrise, «Certo che mi piace, quando lo avevi indosso sembrava che avessi visto la Madonna, perciò: ciò che ti rende felice piace anche a me.», mi sciolsi e mi abbracciai di più a lui, ma il suo discorso - contrariamente a quanto pensavo - non era finito.
«Anche se...»
Alzai la testa dalla sua spalla, allarmata.
«Preferivo quello rosa, sai com'è...», vaneggiò trattenendo uno dei suoi soliti sorrisi perversi.

«Uomini!», esclamai esagerando il mio fastidio, «Pensate solo a quello.», sbuffai roteando gli occhi e tenendo le braccia conserte.

«Sì e no... È che so che ti arrabbi e adoro quando ti arrabbi. Te l'ho detto fin da subito.», disse con sorriso gagliardo, ad un palmo dal mio naso. Arrossii. Dopo tutto quel tempo ancora mi facevano quell'effetto le sue allusioni e il suo sguardo a pochi millimetri dal mio.

Accidenti, cosa mi fai, Olson?

«Sai che non sono davvero arrabbiata, altrimenti saresti già stecchito.», avanzai pavoneggiandomi e lui ridacchiò.

«Lo so, lo so. So anche che ti diverti in fondo, perché alle volte sei peggio di me.», mi sussurrò nell'orecchio creandomi una fitta coltre di brividi lungo la schiena, scatenando nella mia mente visuali perverse e poco adatte all'occasione.

«Ricky!», lo ripresi con voce esitante.

«E poi quest'abito va bene lo stesso, tanto come l'altro alla fine va tolto.», concluse con la sua perla di saggezza.

«Ricky! Ti picchio!», lo minacciai colpendolo imbarazzata.
Che bambinone.

«Oh sì, fallo. Puniscimi, baby!», urlò simulando i moniti del coito.

«Sei un coglione.», lo sgridai cercando di tappargli la bocca, sentendomi in soggezione.
«Oggi era un giorno che doveva aver l'atmosfera romantica!», mi lamentai.

«Appunto. Cosa c'è di più romantico del farlo?», disse a voce appositamente ben alta facendo girare l'intera ala del negozio.

«Ha ragione.», Ryan disse la sua beccandosi uno sguardo torvo, di quello carichi di rabbia bruciante, ma che gelano. Ne riservai uno anche a Rick che rideva di gusto per la mia vergogna, rossa sulle guance, e per la mia stizza.

Per fortuna, dopo qualche minuto, Giulia apparve sorridente in un abito molto aderente e di seta avorio; ora ero pronta ad accantonare la mia ira. La osservai attentamente: era bella, ma solo bella. Stava bene, ma non la vedevo all'altare con quel vestito e il suo sguardo ne era consapevole.
Storsi il naso, «Nah, non è nel tuo stile, ti voglio vedere più principesca.»
Sua madre mi diede ragione, così, dopo dieci minuti Giulia riapparì con l'abito che secondo me doveva comprare ad occhi chiusi.
Il corpetto era di seta ed era continuo con la gonna sinuosa sino al ginocchio, da lì si apriva in voluminose balze.
Era un trionfo di tessuto bianco come la neve e si intonava perfettamente col sorriso radioso di chi lo portava indossando.
«Wow, doppio wow!», sospirai ammaliata mettendomi composta sul divano, «Giulia, sei mozzafiato. Sono sicura al 101% che Devin stramazzerà al suolo quando ti vedrà!»

«Ne sei sicura?», chiese non riuscendo a trattenere la sua felicità.

«Certo.», risposi sorridente, notando Sitkowski che annuiva con un sorriso velato.

«Sei stupenda!», commentò Ryan-Ash, con sguardo sognante.

«È l'abito giusto?», chiese la commessa uscita da qualche horror scadente.
Giulia iniziò a commuoversi riducendosi ad una fontanella, così annuì perché non riusciva neanche ad articolare una frase di senso compiuto.
Era talmente euforica che iniziò a saltare, o almeno ci provava, piangendo e battendo le mani, abbracciando chiunque capitasse sulla sua strada.

«Cosa sta facendo?», domandò Ricky spaventato da quello che ormai era diventato un uragano vestito di bianco.
Non lo degnai di uno sguardo.
«Sto parlando con te.», insistì punzecchiandomi la guancia con un dito.

«Non ti parlo più.», mugugnai offesa.

«Lo hai appena fatto.», mi apostrofò con sguardo di sfida, gongolando la testa.

«Sono offesa. E furiosa. E da ora non ti parlo più.», mi imbronciai di più ed incrociai le braccia al petto dirigendomi verso l'uscita del negozio.
Giulia era a cambiarsi, ci avrebbe raggiunti fra una decina di minuti, a pagamento finito.

«Peccato. Pensavo di portarti dai miei, ma a loro non piace la gente poco loquace.», Rick rispose sistemandosi meglio la borsa col computer sulla spalla.

Non rispondere, Sofia. Non dargliela vinta. Non mostrarti emozionata all'idea. Non-, ma le mie buone intenzioni furono stroncate quando mi giarai di scatto, ancora più infastidita.
«Questo è un colpo basso!»

«Allora mi parli ancora.», sorrise a si avvicinò a me circondandomi con un braccio e poggiando la mano sulla mia spalla.
«Scusami, non pensavo di aver esagerato. Non volevo farti arrabbiare.», lo fulminai con un'occhiata eloquente, «Ok, volevo, ma non così tanto.», ritrattò con tono seriamente pentito e mi fece sorridere, quindi guardai da un'altra parte per non farlo notare.

«Sei veramente pentito?», domandai distaccata, gustandomi l'imminente risposta.

«Sì.», il suo tono si fece supplichevole.

«Ti inginocchi?», iniziavo a divertirmi molto.

Si pose davanti a me, sbarrandomi la strada, alzando in dito in aria minaccioso, «Ora non te ne approfittare.», disse liberando un ghigno.

Mi gettai sulle sue labbra, su quel sorriso troppo bello per non volerlo sul proprio.
«E chi se ne approfitta?», risposi sarcasticamente lasciandomi andare nel suo abbraccio, sentendo il caldo che il suo corpo emanava contro il mio.
Scosse la testa ridendo appena e mi disse di andare a casa, che era ora di dormire o "altro".
E ti pare?
Ci incamminammo verso l'auto e mi squillò di nuovo il cellulare, il numero segnato era quello di Chris.
«Pronto?»

«Ciao, Sofia. Sono Chris, mi passi Ryan? Devo chiedergli come e dove piantare le sue petunie.», alzai lo sguardo verso Ricky che, cingendomi, sentì tutto anche lui.
Seriamente, da quando Chris era diventato "partner in crim-... In garden" con Ryan?

«Ora te lo passo.», scostai il telefono dall'orecchio e mi girai a cercare con lo sguardo il chitarrista.
Lo adocchiai, «Ryan è per te, trattasi delle tue petunie.», gli passai il telefono e Rick mi guardò di nuovo ricevendo come risposta una mia alzata di spalle.

«E mi raccomando: metti il concime quello buono. Solo il meglio per le mie piccole petunie. Comunque fra poco arrivo a casa e finiamo il lavoro assieme.», Ryan trattenne un sorriso eccitato mordendosi il labbro inferiore.
«Adopo, Chris.», chiuse così la telefonata, restituendomi il cellulare.

«Sul serio, amico. Devi prenderti un animale, almeno puoi dar sfogo a tutto il tuo lato affettuoso-coccoloso.», lo derise Ricky che si beccò un lieve scappellotto dal diretto interessato.
Forse non aveva tutti i torti, magari Ryan doveva rivolgere a qualcuno la sua attenzione ora che il suo matrimonio con Allie era finito.
Probabilmente chiamava proprio con quel nome le sue petunie.

«Penso ci vedremo domani in studio.», disse Ryan al migliore amico, aprendo la sua auto.

«Ok.», rispose Rick, «A domani.»
Ryan ci salutò con un cenno del capo e salì in macchina per poi metter in moto e dirigersi di fretta verso casa, dove Chris lo attendeva nella serra.
Lo stesso facemmo noi, vedendo che Ryan-Ashley partì dando uno strappo a Giulia.

Per tutto il tragitto ci fu un sereno silenzio; una volta in casa, invece, fu di tutto tranne che quello.
Ricky parcheggiò in garage e rimase in auto a sistemare un qualcosa. Io rimasi lì ad aspettarlo, appoggiata sul fianco contro l'auto, nel frattempo si chiuse automaticamente la saracinesca ed io, col telefono, ingannai il tempo rispondendo ai soliti insulti su Instagram e Twitter; a molte fan non andava giù l'imminente matrimonio tra me e lui.
Improvvisamente, da dietro, una mano mi spense il telefono accantonandolo, mentre un paio di calde e morbide labbra iniziò ad assaggiarmi il collo.

«Ricky...», sospirai cercando di farlo smettere, ma le sue mani mi liberarono della giacca e salirono sotto la maglia, sganciando il reggiseno e facendolo scendere fino all'ombellico.
Ad ogni sua carezza equivaleva una scossa e la mia forza di volontà si ridusse a zero, fino a girarmi verso di lui e lasciare completamente nuda tutta la pelle del mio busto, alla mercè del freddo e dei suoi roventi baci che si erano spostati sulla spalla.
Lo spinsi contro il muso dell'auto dove si sdraiò con la maglietta attorcigliata attorno il collo, pronta per essere sfilata. Continuò a far strofinare tra loro i nostri bacini, facendomi eccitare di più. Mi lasciai sfuggire un sordo sospiro e Ricky sorrise soddisfatto.

Una volta che fui io con la schiena sulla carrozzeria Rick abbandonò le mie labbra per scendere lungo il collo, passando per il seno fino all'ombellico.
Approfittai di quel momento chiedendo, a stenti, di poter andare sul letto o almeno sul divano; la lamiera della macchina era scomoda e fredda.

«Come vuole, sua altezza.», acconsentì lui prendendomi il braccio e ricominciando ad inseguire la mia lingua con la sua. Con qualche piccola difficoltà aprimmo la porta che dal garage dava sulla cucina. Entrammo nel locale in cui, sul tavolo, si trovava uno spumante con tanto di fiocco regalo, ma non gli diedi particolare attenzione. Ricky si diresse subito nel salotto dove tre individui non identificati urlarono "SORPRESA!"

Per poco Rick non mi fece cadere a terra per lo spavento, ma quando notò la coppia di coniugi sulla 60'ina con accanto a loro Sabrina in tutto il suo splendore firmato Olson, lui mi strinse di più al suo petto per nascondere ciò che non era coperto a dovere.

«Mamma, dovevate venire fra un'ora!», strillò Ricky con voce strozzata. Girai la testa smettendo di guardare i suoi genitori scovolti.
Strinsi di più la gambe attorno alla sua vita per non cascare e nascosi il rossore contro l'incavo del suo collo.

«Non ti è arrivato il messaggio che saremmo passati un po' prima?», chiese lei distogliendo lo sguardo. L'imbarazzo era così pesante, denso, da poter essere palpabile.

Palpabile. Appunto.
Ricky stava facendo esattamente quello al mio seno quando la sua famiglia si annunciò. Volevo rinchiudermi in un convento per la vergogna.
«Vi dispiace se andiamo a renderci presentabili?», domandò Ricky deglutendo rumorosamente.

«Fate in fretta, per favore.», tagliò corto suo padre distogliendo lo sguardo.

«Pff, neanche fossimo brutti...», commentò Rick sottovoce strappandomi una risatina sommessa.
Continuò a tenermi in braccio finché non scomparimmo dietro un muro del secondo piano, dove si trovavano la camera da letto ed il guardaroba.
«Doveva essere una sorpresa, ma positiva.», disse lui sospirando ad occhi chiusi, massaggiandosi il capo chino.
Ormai era vestito ed aspettava che io fossi pronta, seduto sul bordo del letto.

«Non posso scendere e pranzare con loro. È troppo imbarazzante.», esclamai esasperata.

«Devi. Non ti preoccupare, hanno solo visto quello che ormai si dava per scontato. Ci stiamo per sposare, penso sia ovvio che... Insomma, no?», e mimò il tutto con le mani, peggiorando la questione.

«Cosa? Ti rendi conto che devo presentarmi ai tuoi genitori dopo la mia entrata in scena nuda, avvinghiata a te? Chissà che idea si sono fatti di me...», sbuffai tornando rossa in viso.

«Tranquilla che li conquisterai anche se penseranno che sei una ninfomane.», mi sorrise rassicurante.

«Ah, grazie. Avevo proprio bisogno di parole del genere!», risposi sarcasticamente e piagnucolando, dirigendomi verso la cucina dove era stato servito cibo cinese, ordinato d'asporto da Sabrina.
Mi sedetti ritrovandomi di fronte il padre di Ricky: un uomo mediamente alto, sulla 60'ina inoltrata, con curati capelli brizzolati ed un cippiglio severo e ceruleo come quello dei figli.
La madre, invece, aveva uno sguardo rassicurante e magnetico, di un verde profondo ed ipnotico. Portava i capelli biondo cenere legati in una crocchia molto formale, ma non indossava trucco a differenza della figlia che contornò gli occhi con una matita blu scuro e molto mascara.

La signora Olson si schiarì la voce spezzando il silenzio teso, «Come ti chiami, cara?», chiese poggiando nel piatto la forchetta.

«Sofia.», risposi cercando di sorridere, ma riuscii solo ad incurvare un lato della bocca creando una smorfia sgradevole.
Guardai Sabrina e lei mi sorrise per rassicurarmi, era incredibile la somiglianza con Ricky.
Probabilmente, se lo avessi vestito da donna sarebbe stato "la sua gemella".
Mi tolsi dalla mente quell'immagine e seguii l'esempio altrui, iniziando a mangiare per soffocare l'atmosfera imbarazzata.

«E dove vi siete conosciuti?», domandò con fermezza suo padre.
Persi qualche battito. Loro sapevano? Avrei dovuto inventarmi qualcosa? Perché Ricky non glielo aveva detto?
Rivolsi uno sguardo verso di lui spronandolo a rispondere, ma era imbambolato come me.

Gli occhi della sua famiglia erano puntati su di me perciò risposi con un "Preferirei che rispondesse Ricky, sapete, lui racconta meglio le storie di me."
Non cercai di sorridere questa volta, avrei solo peggiorato le cose.

Ricky spalancò gli occhi scuotendo la testa in un disperato segno di no, poi assottigliò gli occhi infuriato, ma i suoi genitori rivolsero lo sguardo su di lui e, quindi, abbozzò un sorriso tirato e rispose.
«Un bar.»

«Un bar...», mugugnò suo padre, «Non avevi smesso di bere da quell'evento?», gli chiese.

Quale evento?

«Papà!», sibilò Sabrina, come se il suo intervento fosse inopportuno, mentre Rick strinse gli occhi e sospirò per calmarsi.
Mi ero persa qualcosa?
«Non parlare del tentato suicid-», continuò Sabrina, ma sua madre la bloccò mentre suo padre la ignorò.
Rispolverai le nozioni da fan, ricordando che, dopo una profonda depressione, Ricky si ubriacò e tentò il suicidio mentre stava in disparte dalla festa di compleanno della sorella.
Non me ne aveva mai parlato di persona.

«E poi, una ragazza ad un bar da sola, la sera...», continuò il signor Olson, «Non promette nulla di buono.»

«Chi ti ha detto che era sera ed era sola?», Ricky cercò di non alzare troppo il tono riempendosi la bocca d'acqua.

«Lo sappiamo benissimo che tu vai di sera al bar, sempre solo, a deprimerti; come da ragazzino, sei sempre lo stesso Richard. Io lo so.», Rick iniziò a stringere i denti e serrare i pugni davanti alla saccenza dell'uomo.
«E ti pare che una ragazza in compagnia lasci i suoi amici per parlare con un depresso tutto solo nell'angolo di un bar? Certo che era sola e si è fiondata su di te in ricerca della tua stessa cosa.»
Le sue supposizioni sembravano veramente accurate, se solo non fosse stata un'enorme balla; eppure mi sentivo offesa.

«Si può sapere cosa cazzo stai dicendo?», Ricky si alzò dalla sedia fronteggiando il padre che sembrava del tutto tranquillo, ancora seduto.

«Eravate entrambi in cerca di avventure, no? Ammettilo, Richard. Dillo che è un'altra delle tue puttanelle!», tuonò il padre, ferendomi. La signora Olson si intrappose tra i due, facendo sedere il figlio.

«Caro, stanno assieme da un po', da quanto ci ha detto Richard. Se fosse stata una di quelle là...», sorrise cercando di non sembrare giudiziosa, «Nostro figlio si sarebbe preoccupato di presentarcela e non la avrebbe di certo difesa.»

«Scusatemi. Torno subito.», lasciai il tavolo.

«Sof!», mi richiamò Sabrina, in pensiero; in seguito serbò un'occhiata di rimprovero al genitore.

Non l'ascoltai e mi rifugiai nel bagno dove, qualche minuto dopo, mi raggiunse Ricky.
«Mi vuoi spiegare cosa stesse insinuando tuo padre?», scoppiai in un grido isterico.
«Cos'è, andavi a puttane, eh?!», continuai girando per il bagno nervosa.

«Non proprio.», rispose mortificato.

Non proprio?
«Allora cosa?!», strillai gesticolando agitata. Ero imbarazzata, mi sentivo inopportuna e giudicata come un essere senza valore o ragione d'essere, e mi stavano pure dicendo che Rick "non proprio andava a puttane"?

«Ero solo, non avevo nessuno e... Senti, posso dire che me la spassavo come noi uomini facciamo.», a quel punto iniziai ad uscire dal bagno disgustata, ma mi afferrò per un polso.

«Lasciami andare!», gli ordinai urlando.

«E dove? Dimmi.», disse con tono di sfida, «Lontano da me, forse?», il suo tono si ammorbidì, fino a risultare malinconico.
«Ascoltami, questa storia non ha niente a che fare con te, ok? Non sono più così, da quando ti ho conosciuto.»

«Ah, davvero? E chi me lo assicura? Chi mi dice che durante i tour, quando sei solo e ti senti solo, tu non te la spassi come voi uomini?», sputai velenosa, per non dare all'occhio quanto quell'insinuazione mi stesse distruggendo.

«È così allora? Non ti fidi? Di nuovo.», alzò il tono, «Come ti passa per la mente?», era notevolmente deluso e nei suoi occhi, tra quegli specchi d'acqua cristallini, si capiva che fosse sincero.

«Mi spiace...», abbassai sia lo sguardo che il tono. Ricky afferrò con delicatezza il mio mento fino a portare i miei occhi a contatto con i suoi.

«Ti prego, non permettere al mio lavoro di separarci.», sussurrò e il suo caldo alito contro il mio viso ebbe l'effetto di un proiettile contro un vetro.
Mi frantumò e le lacrime sfuggirono dai miei occhi, lasciando che i nuovi dubbi e paure fluirono con esse.
Rick mi strinse a sé fino a farmi calmare.

Ne avevo di strada da fare. Mi sentivo ancora una sciocca ragazzina, piena di insicurezze, affiancata da un adulto e, diamine, mi sentivo un peso per lui.
Inoltre si aggiungeva il mal giudizio di suo padre e la compassione delle donne Olson.

«Posso farti una domanda?», la voce vellutata di Rick mi riportò alla realtà. Annuii. «Posso non farti un'altra proposta, darti l'anello e fartelo indossare ora, così da stendere mio padre? Ormai a cosa serve aspettare?», chiese con un sorriso furbo. L'idea era allettante e perciò acconsentii.

Mi sciacquai il viso mentre Ricky mi portò l'anello, ultimato, da indossare.
Lui lo portava già all'anulare e vedere le nostre dita intrecciate tra loro, decorate da quei due gioielli, rese più concreta l'idea del sposarlo, emozionandomi.
Vercammo la soglia della cucina, ma la sua famiglia se ne stava già andando.

«Noi leviamo le tende, goditi la tua sgualdrina.», disse suo padre tagliente.
Non riuscii a trattenere Ricky che si fiondò su suo padre spingendolo contro il frigorifero, facendo cadere alcune camalamite e fogli affissi con esse.

«Ascoltami bene, stronzo, che non ti chiamo figlio di puttana per rispetto di nonna. Offendila ancora una volta ed io sarò dietro le sbarre e tu in una bara, intesi?», gli urlò il figlio tenendolo contro l'elettrodomestico, afferrandolo per il collo e premendo col suo corpo.
«Non ti azzardare a fare ancora il prepotente con me: non sono più un bambino e non sono indifeso. Sono finiti gli anni in cui mi picchiavi e mi rendevi una vita un inferno!», continuò ad urlargli Ricky mentre tra i loro visi, uno furioso e l'altro intimorito, mancava una spanna.
«Sei invitato al matrimonio tra me e lei», mi indicò senza girare lo sguardo, però, «Ma se osi fare o dire qualcosa, qualsiasi cosa contro di noi o la sua famiglia, prometto sulla mia vita che ti sbudello vivo. Con mio grande piacere personale.», sorrise malevolo e lo lasciò andare. L'uomo riprese a respirare portandosi una mano al collo dolorante, ma quando meno se lo aspettava ricevette un pugno in pieno viso.
«Ora esci da casa mia!», sbraitò Rick al padre, terrorizzato.

Questo scappò fuori, spogliato di ogni sua presunzione, lasciando moglie e figlia ancora sconvolte in cucina.
Ricky si avvicinò alla madre e la salutò come se niente fosse, un leggero bacio sulle labbra ed un abbraccio. Le disse che avrebbe chiamato per la data del matrimonio e poi salutò allo stesso modo la sorella, ancora sotto shock.
Quando le due uscirono e si sentì l'auto partire - a tutta birra -, Ricky si girò verso di me con sguardo dispiaciuto.
«Mi spiace che abbia assistito a questo spettacolo.», disse poggiando una mano sul mio braccio incastrato con l'altro. Senza accorgermene mi stavo stringendo da sola, per diradare lo spavento.

«È tutto ok.», risposi poco convinta.
Certo che i problemi contro la rabbia esplosiva e i cambi d'umore repentini non andavano molto bene, come mi ero illusa. Sospirai provata emotivamente.

«Penso ti debba della spiegazioni. Su tutto intendo, sulla mia infanzia e adolescenza, sulla mia famiglia.», mi sorrise calorosamente, stringendomi, cercando di rimediare alla sfuriata.
Tra le sue braccia, riacquistai la certezza che Ricky poteva ferirmi: sì poteva, ma solo facendomi mancare il respiro in uno dei suoi abbracci spacca-costole.

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