- 30 - What A Dinner!
(Scusate, ma devo commentare questa cosa bellissima. Il sorrisetto di Ryan quando Rick gli poggia la testa sulla spalla! :33333 *gay ship*)
«Ho proprio voglia di dormire e non svegliarmi fino l'anno prossimo!», esclamò Ricky gettandosi sul comodo letto dell'hotel. Il viaggio lo spossò particolarmente e la sua voce rispecchiava esattamente la sua stanchezza.
«Siamo alle porte di ottobre, non manca molto all'anno prossimo.», commentai con un sorriso apprensivo, esaminando la stanza. Mi diressi verso l'armadio e vi sistemai i vestiti cercando qualcosa d'interessante per la cena di quella sera.
«E comunque devi mangiare con la mia famiglia.», gli ricordai sbuffando: non trovavo nulla di adatto.
«Non voglio.», piagnucolò buttandosi le coperte in faccia.
«Devi.», risposi seccamente.
«Accidenti!», imprecai a denti stretti, con la testa nell'armadio.
«Cosa?»
«Non trovo niente da indossare.», mi lamentai chiudendo le ante con un gesto deciso, carico di frustrazione.
«Meglio: vai nuda.», ammiccò risorgendo dalle coperte, «Miglioreresti la mia serata.», continuò con un sorriso sghembo.
«Non dire stupidaggini, sono veramente disperata. Non ho nulla da mettere.», sentenziai sconsolata.
Avrei preferito non mettermi il solito nero o colori spenti, ma volevo rimanere fedele a me stessa pur sembrando entusiasta di trovarmi con la mia famiglia, di nuovo, indossando qualcosa che mi facesse risultare cresciuta e piacevole allo sguardo.
Con modi teatrali, mi accasciai a terra, in ginocchio sul cumulo di vestiti lanciati sul pavimento.
«Donne...!», commentò Ricky alzandosi dal letto e raggiungendomi.
Mi prese dolcemente le mani riportandomi in piedi e facendomi sedere sul materasso.
«Stai tranquilla, è la tua famiglia, non serve che ti metta in ghingheri. Vestiti casual, non ti giudicheranno e non è una serata di gala.», mi tranquillizzò sottolineando quella sequenza di "non", «Ora riposati con me; ci penseremo dopo.», mi sorrise infondendomi fiducia ed impostò una sveglia per poterci preparare in tempo.
Tirai giù la tapparella e spensi anche la mia abat-jour cercando di addormentarmi al caldo e al sicuro tra le sue braccia.
«Però se non sarò carina me lo farai presente, vero?», chiesi ancora pensierosa, interrompendo il silenzio.
«Tu sei sempre carina.», mi rassicurò nuovamente, accoccolandosi meglio a me.
«Ma se-»
«Sofia, stai zitta.», mi interruppè seccamente, con voce esasperata.
Risi e gli concessi il mio silenzio, lasciando che si addormentasse.
La mia gola era secca, bramava acqua fresca. Aprii gli occhi senza vedere granché, neanche uno spiraglio di luce entrava dalle fessure della tapparella.
Mi mossi appena accorgendomi di aver le gambe incastrate con quelle di Ricky che ancora dormiva, e il mio busto, era circondato dalla sua presa allentatasi dall'incoscienza del sonno.
Mi leberai da lui controllando l'orario: mancavano circa sette minuti al suono della sveglia.
Raggiunsi il bagno della camera per sciacquarmi la faccia e pensare se truccarmi o meno. Probabilmente avrei soltanto applicato un filo di mascara ed un qualcosa per sistemarmi le labbra orribilmente screpolate, forse un rossetto nude o un semplice burro cacao.
Uscii da lì e servendomi dello schermo del cellulare, per rischiarare l'ambiente senza svegliare Rick, e diedi un'occhiata a guardaroba che continuava a sembrarmi vuoto.
«Tu sei malata.»
Trasalii per poi girarmi verso la provenienza di quella voce.
«Sei ancora davanti a quell'armadio per andare a mangiare a casa dei tuoi?»
«Sono agitata, ok? Voglio che vada tutto bene e mi sono impuntata su questo.», risposi cogliendo di sorpresa anche me stessa: ecco il nocciolo del problema.
Ricky si alzò dal letto ed accese la luce, mi si avvicinò e si mise a spulciare tra le grugge, sbadigliando.
«Perché non ti metti quei pantaloni che hai comprato e non hai mai messo? Quelli neri a sigaretta. Ti fanno un bel culo.», dopo un po' li trovò e me li porse. Li afferrai squadrandoli come se si trattasse di un manufatto alieno. Grugnii un "sì" a metà tra il convinto e l'arrensivo.
«Poi ti metti i tacchi altrimenti stai di merda...»
«Grazie, tesoro.», risposi sarcasticamente.
«Hai chiesto tu di dirti quand-»
«Sìsì.», tagliai corto, «Ma non infierendo così.»
Iniziai ad indossare il pantalone, notando che effettivamente, senza lo slancio delle scarpe, mi arrivava sotto i talloni e mi faceva risultare ulteriormente più bassa.
«E comunque anche tu non sei una stanga.», commentai indispettita, guardandomi allo specchio e maledicendo i miei geni.
«Io, però, non te l'ho chiesto.», precisò continuando nella sua ricerca. Dopo qualche secondo si girò verso di me.
«E io sono un uomo.»
«E con questo?», chiesi premendo un paio di tacchi.
«E con questo», mi guardò di nuovo, con sguardo di vittoria, «Io posso vantarmi della regola della L.»
Fece un inchino e poi, con un movimento circolare del polso, indicò la sua zona pelvica e appena sotto, soddisfatto.
«Fai proprio schifo.», sentenziai scuotendo lentamente la testa e concentrandomi sul mio look.
Rick emise un sonoro "Ah!" che sapeva di puro compiacimento un secondo prima di aver l'idea illuminante.
«Eccola!», esordì con un velo d'entusiasmo, «Metti questa camicietta bianca. Mi piace tanto quando la metti per farmi gli spogliarelli.», si passò la lingua sulle labbra asciutte e giocò con le sopracciglia rendendomi rossa in viso.
«No!», protestai ridendo.
«Ora per colpa tua se metto quella mi sentirò in soggezione tutta la serata.», mi coprii il volto con entrambe le mani, trattenendo un sorrisetto divertito.
Alzò gli occhi al cielo e sosprirò.
«Basta che non ci pensi. Indossala così sarai già pronta per il dopo show.», ammiccò nuovamente.
«Il fuso orario ha brutti effetti sui tuoi ormoni.», scherzai guardandolo in un'improvvisazione di un ballo del ventre, incentrato su movimenti del bacino, che non lasciava immaginazione ai suoi pensieri.
La pseudo esibizione finì in fretta perchè anche lui scoppiò a ridere.
Riottenuto un minimo di contegno, mi lanciò l'indumento che scelse, candido e profumato di lavanderia.
Mi arresi e la indossai ammettendo che l'outfit funzionasse.
Andai in bagno, seguita dal ritmico "click" dei tacchi sulle raffinate piastrelle. Mi incrostai le ciglia col mascara e stesi uno strato lieve di rossetto scarlatto sulle labbra; inutile dire chi mi abbia imposto di metterlo.
«Soddisfatto?», domandai uscendo da là e girandomi su me stessa, per sfoggiare il mio outfit.
Lui era già pronto: indossava dei semplici skinny jeans color fuliggine - come sempre -, delle scarpe nere piuttosto eleganti ed una camicia della medesima enuance ed aderente, le cui maniche arrotolate fin sotto il gomito lasciavano spazio ai suoi tatuaggi. Si ravvivò i capelli e decise di non truccarsi, togliendo addirittura i piercings.
«Sembro abbastanza normale per i tuoi?», chiese portandomi un boccolo dietro l'orecchio, era sfuggito dallo chignon basso ed allentato che portavo sulla nuca; ad esser sincera perdevo ciocche da ogni dove.
Maledetti capelli ribelli.
«Stai benissimo.», mi sorrise con uno speciale luccichio negli occhi, che scesero ad accarezzare le mie labbra con il loro sguardo cielo terso.
Mi regalò un bacio leggero.
«Quindi?», mi esortò a rispondere alla sua domanda.
«Tanto sanno già come sei. Basta cercarti su internet, ma penso apprezzeranno lo sforzo di sembrare normale.».
Ricambiai il suo sorriso ed afferrai la borsa buttandoci il telefono alla rinfusa.
Sotto l'albergò passò Giulia con Devin e sua madre al volante accompagnata da Fabrizio, il suo compagno.
Il padre della mia amica e Stefania erano separati, ognuno con una nuova vita e partner, lui addirittura con una figlia di ormai otto anni: Isabel.
Le rispettive parentele non si vedevano di buon occhio e Giulia soltanto era il perno pacifista tra le due. Temevo che si sarebbero scontrate tra loro.
Per far largo alla troppa gente a cena dai miei, mio padre spostò tavolino e divano (non Devin) in cucina guadagnando molto spazio nel salotto.
A tavola erano già seduti Salvatore, padre di Giulia, con Isabel e sua madre Lola. Accanto a lei sedeva il nonno paterno di Giulia e difronte ad egli erano accomodati i nonni materni, Antonio ed Antonia, assieme ad Andrea, fratello di Stefania quale si sedette vicino assieme a Fabrizio.
Anche mia madre, mia nonna Antonia e mia zia Domemica erano sedute.
Mancavamo solo noi quattro ospiti d'onore e mio padre che stava ai fornelli aiutato da Jonathan.
Sui posti liberi c'erano dei cartoncini mal tagliati con scritto: "Sofia", "Giulia", "Divano" e "Rudy".
Non era Ronald?, mi accigliai divertita.
«Rudy sarei io?», mi bisbigliò Ricky confuso, annuii e lui si sedette trattenendo una risatina a riguardo.
«Who is Divano? Dude, i can't find my seat.», disse Devin con dolcezza a Giulia.
«Sei tu Divano.», gli chiarì Giulia scoppiando a ridere, così da attirare l'attenzione. Subito fu assalita dai parenti attratti dalla novità del matrimonio, ancor più dall'evidente gravidanza inoltrata.
Lei, lusingata, si concesse al suo attimo di gloria mentre mia madre intratteneva un discorso con Ricky e le due Antonia si scambiavano quattro chiacchiere in dialetto.
Mi alzai per andare in cucina e vedere a che punto era la preparazione, ma prima che potessi entrare mio fratello uscì carico di piatti.
«La cena è servita.», annunciò con voce squillante, troppo profonda per le mie abitudini.
Il menù prevedeva: carbonara, insalata con filetto di salmone e tiramisú per completare l'opera.
Aiutai a servire e solo in quel momento i commensali si accorsero della mia esistenza. Mia nonna si alzò a fatica dalla sedia e mi chiamò a suo cospetto urlando.
«Dove sono i vostri morosi?», chiese rivolta a me e Giulia.
«Mamma, sono lì. Robert e Divano!», li indicò mia madre allegra.
«Pensavo fossero ragazze robuste... Be', ma sono carini Roberto e Poltrona. Che nomi particolari hanno questi indigeni!», concluse mia nonna guardandoli con interesse.
«Cosa stanno dicendo?», chiese Divan... Devin. Devin.
«Fidati, non lo vorresti sapere.», gli sussurrò Jonathan trattenendo un risolino.
«Nonna! Non sono indigeni!», le sibilai risentita.
Sia benedetta la differenza d'idioma.
«Come no?», intervenne il nonno paterno di Giulia, «Basta guardare i capelli di Poltrona.»
«Si chiama Devin.», lo corresse Stefania, «Idiota...», commentò sotto voce, ma fu sentita.
«Da che pulpito!», tuonò Lola. Tra le due non scorreva buon sangue.
La tensione salì e persino Isabel che si stava abbuffando di pasta si fermò ad ascoltare.
Mia nonna cercò di calmare le acque.
«Comunque sono carini, per un attimo ho pensato di essere dell'altra sponda. Sono adatti a voi due, belle signorine.», proseguì l'anziana, soddisfatta, facendo sputare l'acqua nel bicchiere a mia zia che rise sotto i baffi.
Che fosse l'anima gemella di Ryan?
«Nonna, basta.», dissi tra i denti diventando purpurea quanto il mio rossetto. Ci mancava che mia nonna aggredisse sessualmente "i due indigeni Roberto e Poltrona".
Ricky e Devin decisero di alzarsi a turno per presentarsi mentre mia madre fungeva da interprete per i meno sapienti in inglese.
Quando Rick si sedette, a fine presentazione, mia nonna applaudì convinta si trattasse di una poesia in mio onore.
«Che romantico!», finse commuoversi.
«Poltrona, mi passeresti l'olio?», chiese Salvatore.
«Gianpaolo, mi passi l'olio. Certo, papà.», Stefania iniziò a replicare la pubblicità della Farchioni giusto per infastidire l'altra metà di famiglia di Giulia. Lola fece una smorfia soddisfatta e subito dopo la sua rivale gemette di dolore.
«La stronza mi ha tirato un calcio!», si alzò indignata.
«Che succede?», mi chiese Ricky non capendo le serie di insulti che i due lati di tavolo si stava lanciando.
Giulia iniziò ad agitarsi, a piangere, ad implorare a tutti di calmarsi.
«Succede che si odiano e le cose stanno finendo male.», risposi allarmata mentre nonna e Jonny se la ridevano.
«Per favore. Basta!», Giulia era diventata rossa dal pianto, era scossa e preoccupata di come potesse degenerare la situazione.
«Signori, ve ne prego. Calmatevi.», intervenne mio padre placidamente senza ottenere miglioramenti.
I Naccarella ed i Furía continuavano a darsi titoli ad alta voce, a rifacciarsi fatti anche di molti anni prima finché mia madre prese la situazione in mano.
Salì sulla sedia munita della trombetta che usavamo durante i mondiali di calcio.
Quell'affare infernale per una volta placò il caos, anziché crearlo, e tutti si diedero un contegno per l'amor comune di Giulia.
La cena proseguì caratterizzata da lunghi silenzi pesanti, interrotti da domande - dettate da congetture sociali, non da reale interesse - rivolte a noi quattro.
Quando arrivammo al dolce Rick si alzò nuovamente cercando l'attenzione di tutti quanti battendo, con delicatezza, il cucchiaino contro il bicchiere di vetro.
Si schiarì la voce rumorosamente.
Alzai gli occhi verso la sua figura in piedi e perciò svettante sulla mia umile statura. Sorrisi e ringraziai il cielo di essere stata con lui.
«Volevo farvi un annuncio importante.», dalla tasca del cappotto estrasse un piccolo scrigno, di quelli che ti danno in gioielleria per conservare orecchini o... Anelli.
Ripensai a ciò che Ryan si lasciò sfuggire la mattina seguente alla pseudo-proposta e capii tutto.
Ricky si inginocchiò davanti a me, «Davanti a voi tutti volevo chiedere la mano di questa giovane, bellissima, forte donna.»
Con un dito asciugai sul nascere le lacrime di gioia. Mi alzai dalla sedia tenendo la sua mano grande e calda. Ero decisa a pronunciare quel "sì" a voce alta, ma non fui io ad urlare.
«AAAHH! MI SI SON ROTTE LE ACQUE!», tutti si voltarono verso Giulia, la sua faccia contorta nello spavento. Fu di nuovo trambusto.
Qualcuno suono con insistenza il campanello e subito mio fratello aprì finendo a terra, urtato con violenza dalla porta aperta con altrettanta forza e decisione.
Grilletti alla mano e mira pronta.
Pettorine della polizia.
«SOFIA PIGATO E RICHARD OLSON, VI DICHIARO IN ARRESTO!»
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