- 29 - Flight To Milan

«Oh sìsì! Assolutamente!»

Volevo spararmi.

«Ti prego, tramortiscimi.», mi scongiurò Ricky, stringendomi convulsamente una mano.

Giulia. Era più di un'ora che stava strillando entusiasta al telefono con Eleonora: sua migliore amica da tempo indeterminabile.

«Tesoro, quanto durerà ancora la tua telefonata?», le chiese Devin con i nervi a fior di pelle cercando di contenere il nervosismo.
Eravamo tutti e tre disperati dalle sue continue chiacchiere, come il resto dell'aereoporto d'altronde.
Alla fine, dato che anche Devin avrebbe dovuto conoscere i parenti della sua futura mogliettina, partimmo tutti e quattro per l'Italia, prevedendo di rimanere qualche giorno.

«No, teso', ti assicuro che vomito come una dannata per colpa di sta bestiola che ho in grembo!», continuò lei senza prestare attenzione alle parole del compagno.

«Giuli! Non urlare, ti rendi conto di ciò che dici?», le sibilai diventando paonazza dall'imbarazzo.
La gravidanza l'aveva trasformata in un pozzo di volgarità e modi di dire del tutto "politically scorect".

Lei si scostò per un attimo la cornetta dalla bocca e mi disse con naturalezza, a voce troppo alta, «Amo', ma qua nessuno capisce ciò che dico!», e si mise a ridere sguaiatamente. Poter parlare italiano in America la faceva sentire potente.

«Perché ho studiato italiano all'università?!», imprecò un uomo d'affari acchiappando la ventiquattr'ore e svignandosela.

«The flight from Wilkes-Barre to Milano-Malpensa is leaving in 15 minutes.»
Una voce maschile e potente parlò all'interfono fornendoci l'informazione che era già tempo di imbarcarci.
Staccai a fatica Giulia dal suo telefono e ci alzammo dalle poltroncine. Raggiungemmo il banco dove avrebbero controllato i nostri biglietti per farci salire sull'aereo con i nostri bagagli a mano. Non distava molto da dove eravamo accomodati, solo un paio di minuti a piedi.

"Stiamo per decollare. Vi mando un messaggio quando arriviamo a Milano."
Premetti "invia" facendo arrivare la notifica a mia madre che rispose con una miriade di Emoji colorate e senza senso compiuto.
Si può sapere perché ai genitori risulta difficile rispondere con un "Ok." al posto di inviare dei pulcini gialli?

«Scusi? Non nota che sonO INCINTA?! VILLANO!», Giulia non diede neanche il tempo di alzarsi ad un signore che sedeva nella sua stessa fila. Il poveretto si alzò sconcertato e mortificato, schivando per poco un colpo di trousse by Giulia.
La balenottera azzu... Ehm... Mia sorella per scelta™ si andò a sedere sprofondando nella sua comoda poltroncina e Devin la seguì scusandosi umilmente con l'uomo accennando agli sbalzi d'umore dell'amata.
«Cosa? Io non hO SBALZI D'UMORE! CHE CAZZO DICI?! TU MI TRATTI MALE!», dall'urlo isterico passò alle lacrime, «VAI VIA! Sofi, amo', puoi sederti tu accanto a me?»

«Io veramente volevo stare vicina a Ric-»

«VIENI QUA, STRONZA! TI PARE IL MODO DI TRATTARE LA TUA SORELLINA INCINTA?», mi aggredì dimenando i pugni per aria colpendo quel santo di Devin.

«Signora, tutto bene?», chiese cortesemente un'hostess che le si avvicinò sorridente.

«Signora? Signora? Ma come osi?! Io hO DICIANNOVE ANNI E MEZZO, NON QUARANTA!», si adirò ancora di più. Devin guardò di sottecchi l'assistente di volo esortandola a lasciar perdere con lo sguardo. Giulia lo notò.
«Cosa minchia guardi? LUI È MIO!», urlò fuori di sé intimorendo l'assistente di volo.

«Devin, scambio di posti!», gli dissi decisa a salvarlo e in men che si dica mi cedette il suo sedile. Almeno io avevo qualche possibilità di calmarla - almeno speravo.

«Sis mia, nessuno capisce come sia dura la gravidanza!», mi piagnucolò sulla spalla.

«Signorina...», esitò l'hostess imparando dall'errore precedente, «La capisco, io ho tre figli.», intervenne con dolcezza, le porse una coperta ed un bicchier d'acqua.

«Va' via tu! Arpia che vuole il mio piccolo Devin!», il suo pianto si intensificò, «Devin, cucciolo! Amore mio, mi manchi, torna qua.»

È uno scherzo, vero?, mi chiesi esasperata. Alzai gli occhi, roteandolo, e mi alzai per cedere il posto al bassista, a corto di pazienza come me.
Lui s'accomodò affianco a Giulia per poi abbracciarla ed accarezzarle i folti capelli fino a farla addormentare.

Devin candidato al premio "santo dell'anno".

Io e Ricky ci voltammo in contemporanea guardandoci a vicenda con sguardi sconvolti.
«Niente bambini!», ci dicemmo all'unisono per poi ridere.
Mi infilai le auricolari e feci partire "Unspoken" — The Defiled, un pezzo che ho sempre adorato, poggiai la testa sulla spalla di Rick e chiusi gli occhi godendomi la musica.
Il confine tra la stanchezza causata da Giulia e il sonno profondo fu così sottile che i miei occhi si riaprirono molte ore dopo.

«Benvenuta tra noi.», mi sorrise Rick, «Fra poco sorvoleremo la Francia.»

«Abbiamo già fatto scalo?», annuì indicando fuori dall'oblò l'ultimo corto tratto d'oceano prima del Golfo di Biscaglia. Guardai dal finestrino godendomi la vista che mi donava quell'altezza elevata.
Vedevo il blu intenso, abbissale, scontrarsi contro le coste frastagliate che, da lì, apparivano strisce di colore che si sfumava da sabbia a verde, sempre più intenso man mano che ci si addentrava nell'entroterra.
Comparivano le strade maggiori, ridotte a serpentelli grigi, i campi di coltivazione che creavano un enorme patchwork e i fiumi che dividevano le terre.

Ricky mi distrasse da quell'ipnotica contemplazione.
«Ancora un paio di ore e saremo arrivati.», mi sussurrò tra i capelli, amava inebriarsi del loro profumo.

«Dov'è il mio telefono?», chiesi non trovandolo più tra le mie mani.

«L'ho spento e messo via quando ti sei addormentata, altrimenti si sarebbe scaricato completamente.», me lo porse e sorrisi alla sua premura riguardo queste piccole cose.
Erano dettagli minimi, ma che reputavo importanti e me lo facevano adorare di più.

«MAMMA!», squittì Giulia felice investendo sua madre e stringendola a sé.

«Non urlare, stupida.», la richiamò Stefania con i suoi soliti appellativi amorosi. Chiuse gli occhi e si godette l'abbraccio della sua unica figlia.

«Oh, mamma. Ora che sto per avere un figlio mi sento veramente così donna!», esordì felice.

«Ah, non ti senti così rompi palle?», intervenii beccandomi delle saette dagli occhi di Stefania.
Intanto non era lei che l'aveva sopportata per tutto il viaggio.

Ricky tornò dal nastro trasportatore che fece comparire una ad una ogni nostra valigia, per fortuna tutte intatte.
Mi passò i miei bagagli e mi avvisò che qualcuno voleva vedermi.
Mi voltai con gli occhi lucidi, già sapendo chi mi stava aspettando.

Il viso di mio padre era più solcato dalle rughe confronto l'ultima volta che lo vidi. Le occhiaie gonfie, sotto i suoi occhi verdi, erano il simbolo del peso del tempo ed un filo di barba trascurata contornava il suo volto arrotondito da qualche chilo in più.
Mia madre, invece, sembrava aver perso parecchio peso a causa della mia scomparsa che la segnò nel profondo. Tra i suoi capelli castani spiccavano alcuni filamenti bianchi ed i suoi occhi altrettanto scuri, che rispecchiavano la mia sagoma, splendevano felicità.
Mi voltai verso Jonathan ormai diventato più alto di me, con un accenno di barba appena sotto il mento ed i lineamenti più duri, da uomo.
Dalle mezze maniche gli spuntavano gli sviluppati bicipiti e le braccia coperte da una virile peluria che contrastava con la sua idea bambinesca impressa nella mia memoria. I suoi capelli, ribelli come sempre, facevano pendant col suo sguardo cioccolato al latte.

A tutti e tre sfuggì qualche lacrima, al ché, finalmente, le mie gambe diedero una risposta al mio impulso di correre loro incontro e stringerli al mio petto.
Jonny mi abbracciò e finalmente lo riconobbi nel suo affetto. Mi lasciò andare così da salutare mamma e papà.
Lui andò in contro a Ricky e gli porse la mano.
«Hai mantenuto la promessa. Grazie.», gli sorrise.

«Grazie a te.», rispose il chitarrista che si incamminò assieme la mia famiglia verso l'uscita dei terminali.
Anche Giulia, sua madre e Devin ci seguirono.

«Volete riposare, vero?», ci chiese mia madre. Noi quattro reduci dal viaggio annuimmo con solerzia.
«Allora vi portiamo al vostro albergo. Dove starete?»

«A Villa Baroni, così non siamo neanche lontani da casa.», le risposi allacciandomi la cintura.

«Oh, davvero? Da qualche settimana tuo fratello lavora lì.», mi raccontò mio padre entusiasta mentre imboccava l'autostrada.

«Ma non mi dire...!», finsi di esserne contenta abbozzando un sorriso tirato. Avere mio fratello nello staff dell'albergo dove avrei alloggiato avrebbe aperto mille possibilità di questioni imbarazzanti.
Prima tra tutte l'essere beccati a far...

«Così posso controllare che non facciate schifezzuole.», Jonny comparve dal nulla dietro il mio orecchio, sussurrando e facendomi saltare sul sedile.

Ecco. Come non detto... O pensato.

«Però sia chiaro, stasera abbiamo già organizzato tutto. Tu e Ronald-»

«Ricky.», corressi mia madre.

«Ah. Tu e Ricky con Giulia e Divano...»

«Devin, mamma, Devin.»
Divano? È seria?

«...E Devin cenerete con: noi, tua nonna e zia, i genitori e nonni di Giulia. Perché questa sta per diventare una grande famiglia!», esultò mia madre congiungendo le mani e sorridendo; i suoi piani stavano per avverarsi ed era entusiasta.

Uh Signur! Ma che ho fatto di male?

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