- 25 - Back Together


Passarono anche le settimane, portando con sé le risate ed i drammi, i progressi ed i disastri.
Allie mi fece combattere ardue battaglie per non permetterle di sprofondare nell'alcol.
Ogni volta che versava una lacrima le porgevo un fazzoletto, togliendole - talvolta strappandole - bottiglie di vino dalle mani. La spronai ad aprirsi di più, almeno con Ryan-Ash che conosceva da anni, ormai.
In quanto a me, decisi di dedicarmi maggiormente come commessa all'emporio dei Balz, il The strange and unusual, piuttosto che tatuare le persone.
Il timore di far pastrocchi mi faceva perdere anni di vita ogni volta che l'ago penetrava nella pelle di qualcuno, mentre il ronzio della macchinetta mi faceva perdere altro: la pazienza.
Inoltre una tatuatrice non tatuata, ovvero me, di per sé non è una buona garanzia.
Ryan-Ashley e Allie diventarono dei punti di riferimento molto importanti per insegnarmi a vivere a Scranton, la quale era troppo nuova ai miei occhi per lasciarmi sola alla balia di quella città.

Col tempo Felix acquistò peso diventando una creatura di una bellezza sempre più ipnotica.
La notte si addormentava sul cuscino accanto al mio ed il mattino serpeggiava tra le mie gambe, in cucina, alla richiesta di cibo.
Anche la casa iniziava a diventare inesorabilmente mia, in ogni angolo c'era qualcosa che testimoniava la mia presenza costante tra quelle mura: dallo spazzolino in bagno, alle scarpe in entrata.
Mi stavo abituando ad una vita in America; mi stavo abituando a vivere senza Rick, ma col suo pensiero fisso in testa.

Però ancora per poco.
Quella notte non chiusi occhio per via dell'emozione, mi vestii con tale velocità che in un mattino prima di andare a scuola mi sarei sognata.
Corsi con l'anticipo di tre quarti d'ora da Ryan-Ashley svegliandola; sarei andata con lei all'aeroporto.
«Penso che fra poco arrivino.», era eccitata quanto me mentre mi stritolava la mano nella sua.
Allie non venne, evitava suo marito come la peste; era combattuta tra l'odiarlo o no.
Sapevo che se fosse venuta gli avrebbe pianto addosso invendogli contro, lo avrebbe baciato e preso a schiaffi in una continua altalena emozionale.
Ciò di cui non ero certa era se Giulia fosse stata con i Motionless o meno.

«ECCOLI!», strillò una ragazzina da un gruppo di persone vestite completamente di nero, sicuramente delle fans appostate per poter ricevere qualche autografo.
Decisi di lasciarle fare, di permettere loro di assalire la band incluso Ricky, perché era giusto così.
Oltretutto sarebbe stata un'occasione per testarmi, avrei visto fino a che punto potevo tollerare.
Lo sciame di teen-agers si lanciò contro i MIW armate di fotocamera interna.
Schiamazzavano felici, abbracciando i loro idoli e versano lacrime di gioia per loro. Sorrisi nel vederle finchè una stupida troietta di neanche tredici anni, morta di cazzo ed arrapata come una mucca pazza sotto ormoni si mise a sbaciucchiare Ricky.

Oh, no.
È troppo.

Ryan-Ash cercò di trattenermi, invano.
Mi avvicinai facendo brillare gli occhi di Rick che poi rimase sconcertato.
«Levati dalle palle.», la tirai per la coda di cavallo trascinandola almeno sei metri lontana dal mio uomo, spaventando le altre ragazzine.
Infine mi trasformai io nella stupida teen-ager arrapata gettandomi sulle sue labbra, rivendicando il suo cuore, il suo tempo, il suo essere.
«Mi sei mancato da matti.», gli sussurrai lasciando che gli occhi si inumidissero di gioia.

«Anche tu, terminator.», si mise a ridere riferendosi al mio modo barbarico di trattare quella fan fin troppo espansiva.

«Sempre meglio che averti marcato pisciandoti sulle scarpe come fanno i cani.», risposi abbozzando un tono saccente. Gli strappai un sorriso e finalmente mi sentii a casa, tra le sue braccia, riflessa nei suoi occhi.

«Puoi anche tappezzarmi di post-it con scritto che ti appartengo. Puoi far ciò che vuoi.», mi sorrise tenendomi stretta.

«Mi sembrerebbe troppo da Francesco Sole.», mi guardò perplesso, «Un tipo che praticamente mantiene gli operai che fabbricano i post-it. Si narra che in testa abbia un post-it con scritto "Non aspettarmi, non torno più. —il tuo cervello".», scoppiammo entrambi a ridere non finendo più, come se la risata l'uno dell'altra fosse ossigeno dopo una lunga apnea.

«Mh, non sembri stimare molto questo... Francesco?», storse il naso ed annuii.

«Ehi, piccioncini!», ci richiamò una voce troppo famigliare per non essere distinta.

«Giulia!», mi accorsi di lei solo in quel momento. Mi fiondai tra le sue braccia stringendola così forte da soffocarla, infondo lei fece lo stesso perciò ero giustificata.
«Dunque...?», lanciai uno sguardo a Devin ed intese il mio quesito eloquente, ma fu Rick a prender parola.

«Sì, stanno felicemente assieme. Erano l'invidia di tutto il tour bus.», rispose infastidito.

«Anche voi eravate assieme a bordo.», commentò Giulia indispettita.

«Sì, ma per neanche tre settimane. Voi mi avete fatto ingelosire due mesi, mentre ero lontano da lei.»
Sentivo il cuore ballare sfrenatamente per quanto fossi lusingata.

«Come vuoi!», lo liquidò la mia migliore amica, «Tale Sofia, tale ragazzo.», vaneggiò rivolgendoci una linguaccia.
Era la solita Giulia e ne ero infinitamente felice.

«Intendi dire?», alzai un sopracciglio fingendomi interdetta, per reggere il gioco.

«Ah, già. Tu capisci l'italiano... Addio privilegi.», disse con una nota di dispiacere. Le diedi un pizzico e si lamentò, per poi guardarmi.
«Mi sei mancata.», ammise sorridendo e mettendomi un braccio sulle spalle mentre ci avviavamo verso l'uscita.

«Non cercare di distrarmi.», la guardai con un'espressione indagatrice, «Intendevi con "tale Sofia, tale ragazzo"?», le feci pressione per una risposta.

«Nulla, solo che siete testardi.», chiarì alzando le mani in segno di resa lasciando per un attimo la presa sul trolley.
«Che poi mi chiedo... Cosa si lamenta? Ormai il tour è finito ed ha tutto il tempo e la privacy che vuole ora.»

«In effetti.», soppesai le sue parole ed imitai il suo sguardo perverso finchè non scoppiammo a ridere.
Mi mancava la nostra complicità ed averla accanto mi riempiva di sicurezza, regalandomi un senso di familiarità che da settimane cercavo anche negl'angoli più nascosti di Scranton.

«Si può sapere cosa state confabulando voi due?», ci chiese Ryan trascinando i suoi bagagli.

«Nulla.», risposimo all'unisono.

«Non saluti?», commentò guardandomi offeso.
Lasciai la valigia che stavo portando a Giulia e gli saltai in groppa in segno d'affetto lasciandolo di stucco, ma presto si intenerì e mi caricò meglio sulla schiena e si mise a girare su sé stesso un paio di volte.
Persino quel tontolone rompi scatole mi era mancato.
«Allie?», mi chiese preoccupato, una volta soli nel parcheggio.

Continuai a sistemare le sue valigie nel bagagliaio per evitare di rispondere.
Cercò il mio sguardo, in attesa.
Presi un profondo respiro, scegliendo le parole giuste. Di certo, dopo il trattamento che lei gli serbò, capì che qualcosa non andava, ma aver la responsabilità di dargli una tale notizia, così devastante e delicata, fu terribile. Gli poggiai una mano sul braccio e lo guardai con tristezza, trasmettendone anche a lui.
«Mi spiace, non crede più in un voi. È partita ieri per tornare a vivere da suo padre.»
Fu arduo dirglielo e l'amarezza travolse anche me, per quanto poco la conoscessi, mi ero legata a quella ragazza burbera. A Ryan iniziarono ad inumidirsi gli occhi, vederlo così era surreale, fu straziante.
Quando Ricky mi chiamò per salire in auto mi trattenne per un polso.
Voleva un mio abbraccio, necessitava di qualcuno a cui affidare parte del suo dolore, iniziò anche a piangere sulla mia spalla fino a non sembrar più lo stesso ragazzo burlone di sempre.
«Le hai detto che la amo?», mi chiese con voce nasale per il pianto. Feci segno di sì con la testa, muovendola mestamente.

«Tutti i giorni.», precisai rammaricata.

«Hai fatto ciò che avrei dovuto fare io, da subito e sempre...», sussurrò pentito; si asciugò gli occhi e guardò il cielo per calmarsi.
«Vai da Ricky.», mi disse guardando quest'ultimo che si stava sbracciando dall'auto farsi raggiungere.
Ryan mi rivolse un sorriso amaro e mi salutò, lo tenni d'occhio finché l'auto di Rick non uscì dal parcheggio impedendomi di controllarlo.
Non si mosse, rimase chino sul volante a sfogarsi, a prenderlo a pugni, a maledirsi.

«Perché quel muso lungo?», mi chiese Ricky mentre guidava serenamente.

«Per Ryan.», risposi criptica, dubbiosa.
Dovevo dirglielo o aspettare che glielo raccontasse l'amico?

«Ti ha offesa di nuovo?», si allarmò.

«No...», diniegai e mi presi qualche secondo, poi mi girai per guardarlo mentre era concentrato sulla strada.
«Allie ha preso una decisione e non è positiva.», confessai cupa.
Lui mi rivolse uno sguardo veloce, per chiedermi silenziosamente una risposta più esplicita.
«È finita, Ricky. Vuole il divorzio.»

«Cosa?!», sbiancò e si accostò sul ciglio della strada spegnendo il motore.
«Da quando?», si voltò di scatto verso di me fissandomi con gli occhi strabuzzati.

«Era prevedibile, non gli rivolgeva più parola da molto.», commentai avvilita, posando la mia attenzione sul ciglio della strada, fuori dal parabrezza.

«Come sarebbe a dire? Lui non mi ha detto nulla.», rivelò evidentemente confuso. Emise un verso rauco, esasperato.

«Non ne sapevi?», chiesi confusa.

«Mi pare chiaro di no. Anzi, diceva che tra loro non poteva andar meglio.», scosse la testa.
«Non mi ha detto nulla, sono il suo migliore amico, cazzo!», pensò ad alta voce, amareggiato.

«Allie non torna più indietro, ha deciso una volta per tutte.», dichiarai poggiando la testa contro il finestrino e guardandolo appannarsi ogni volta che espiravo contro il vetro.

«Non mi ha detto nulla.», sussurrò di nuovo, tra sé e sé, ancora scosso dalla notizia.

«Tutto ok?», chiesi preoccupata poggiando la mia mano sulla sua che stringeva il volante.

«Sì.», scosse la testa, per scacciare via ogni pensiero, prese un respiro profondo e rialzò lo sguardo dritto davanti a sé. Mise in moto l'auto procedendo con lo sguardo vacuo, pensieroso finché non parcheggiò davanti al garage.

Aprì la porta e si riempì i polmoni dell'aria di casa.
«Com'è bello essere di nuovo qui... È Felix?», indicò il gatto affascinato.

«In carne ed ossa.»

Rick si lanciò a strapazzarlo di coccole, «È bellissimo questa pallottola di pelo.», prese una delle sue zampe manovrandola come se fosse stato una marionetta.
«Ma sei un cucciolo tu? Ma sei un cucciolo? Sì che sei un cucciolo!», iniziò ad adottare una voce artefatta, quasi da imbecille, mentre continuava a grattargli il mento con l'indice.
Era definitivo: si era innamorato del micio che dopo poco lo mordicchiò per farsi liberare dalle sue torture.
Balzò giù dalle sue braccia infastidito, con le orecchie all'indietro ed il pelo sgualcito.
«Ed ora...», la sua voce accattivante si rivolse a me mentre si voltò leccandosi le labbra, come faceva sempre.

«Sì?», chiesi divertita. Presagivo dei quarti d'ora molto intriganti.

«È il tuo turno di coccole.», concluse avvicinandosi al mio collo ed inebriandosi del mio profumo dopo aver spostato una ciocca di capelli.
Si avventò sulle mie labbra smanioso, armeggiando con i miei skinny jeans, intenzionato a non togliere soltanto quelli.
Come travolta da un'onda anomala, sentii un forte calore irradiarsi dal petto ed iniziai a dimenarmi, ma ben presto accettai quel contatto che tanto mi mancò.
Portai le mani ai suoi capelli che liberai dal beany nero, gli sfilai la giacca e lui mi tolse il maglione strappandolo sul colletto.

«Che irruenza!», commentai quandò si staccò per sfilarsi la maglia.

«Se permetti, sono in astinenza!», disse tutto d'un fiato prima di rituffarsi su di me. Mi prese in braccio ed iniziò ad incamminarsi verso il divano.

«MEEEEEOHWW!»

«Cazzo, staccati!»

Ricky inciampò in Felix, il quale, per vendetta si aggrappo alla sua gamba piantandoci gli artigli dentro.
Iniziai a ridere a crepapelle fino ad accasciarmi ai piedi della poltrona.

«Tu lo trovi divertente?», Rick mi lanciò uno sguardo furente, ma non riuscii a smettere di sbellicarmi.
«Allora? Lo vuoi fare o no?», mi squadrò con cipiglio serio e le braccia conserte, ma vederlo così tutto d'un pezzo senza maglia e senza una scarpa, con i pantaloni slacciati ed il gatto che lo voleva attaccare, mi fece ridere di più.
«Come vuoi... Vado a disfare le valige.»

«No!», protestai battendo un pugno sul cuscino della poltrona.
«Abbiamo un conto in sospeso da Berlino, quindi tu ora fai l'amore con me fino a farmi male!», gli ordinai mentre mi accomodai sul divano.
Fu il suo turno di ridere.

Si avvicinò a me divertito e mi fece stendere sul sofà. Il suo corpo trovò appoggio sul mio ed avvicinò i nostri visi.
«Vediamo come farti soffrire.», mi sussurrò lussurioso.

Fu una dolce tortura.
Fu un modo di risentirci vicini.
Fu un'occasione per il vicinato di mandarci al diavolo, perché diciamolo, Christian Gray a confronto non è nulla.

Insomma, si tratta di 50 Sfumature di Procione.

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