- 24 - Yin & Yang


I giorni passavano ed osservavo la vita divisa a metà tra il punto di vista di Allie e quello di Ryan-Ashley.
Una devastata dall'amore di un uomo troppo assente e poco amorevole, l'altra esattamente l'opposto in quanto piena di speranza e positività.
Non passava giorno che non pensassi a quale delle due versioni sarei appartenuta.
La parte negativa dell'amare o il lato luminoso?
Vero che, tutto ha alti e bassi, buio e luce, ma uno dei due deve prevalere sull'altro, o no?

Questi pensieri mi assalirono nuovamente mentre le guardavo discutere animatamente nel tattoo shop di Ryan-Ashley.
Da pochissimo avevo iniziato a fare apprendistato con lei, osservandola tatuare e disegnare i bozzetti da realizzare ad inchiostro nella pelle dei clienti.
Allie le aveva appena rivelato la sua volontà sul consorte, presto ex-marito.
Non ne voleva più sapere di Ryan, convinta che non meritasse più altre chance: non gli rispondeva, nè alle chiamate nè ai messaggi, dagli SMS a quelli via Twitter o Facebook - dove lo bloccò anche.

«No, Ash!», così la chiamava, per non ricordarsi il marito, «Io ho già preparato tutto. Tornerò a vivere da mio padre e non se ne parlerà più.», strizzò le palpebre aiutando le lacrime nella loro discesa verso il mento ed inforco la sua giacca indossandola in fretta, si riappropriò della borsa e tempestò fuori dalla porta facendo suonare il campanello.

Ryan-Ash sbuffò e si lasciò sprofondare su una poltrona, emotivamente spossata. Si massaggiò le tempie attenta a non graffiarsi con le lunghe unghie smaltate.
«Oggi devo procedere con Malcom, quell'omone di ieri col tatuaggio sul polpaccio. Più tardi arriva una ragazzina che vuole farsi fare una sciocchezza sul polso, più che altro è il suo primo tatuaggio e sarà terrorizzata dall'ago.», iniziò a dire all'improvviso, spezzando il cupo silenzio e facendomi sussultare dalla mia postazione dietro la cassa. Nascose ogni emozione adottando un tono piatto e fissando un punto fisso sull'agenda.
Neanche leggeva, se lo ricordava a memoria, era solo un escamotage per non farmi notare il rammarico nei suoi occhi.
Sapere di quell'imminente divorzio la scosse molto, forse perché temeva lo stesso per il suo matrimonio.
Io, con occhio esterno, non avrei mai dubitato su lei e Josh: erano l'emblema dell'amore.

«Ok.», mi limitai a rispondere per poi uscire a prendermi una cioccolata dal bar accanto.

«Sof, potresti prendermi la schiuma e il rasoio?», la tatuatrice stava facendo il risvolto ai pantaloni del cliente rivelando la bozza del disegno in parte già campita di colore.
Le passai il necessario e rasò la ricrescita sul polpaccio dell'uomo.
La macchinetta entrò in funzione iniettando indelebilmente il suo passaggio sulla pelle arrossata di Malcom. Il rumore perpetuo divenne fastidioso e mi causò mal di testa.

«Ryan, non mi sento benissimo.», mi lamentai con lei che si prese un secondo dal suo operato ed osservò il mio incarnato più pallido del solito.

«Mmh... Noto.», commentò increspando le labbra in una smorfia dispiaciuta.
«Se vuoi prendere una boccata d'aria fai pure. Se torni entro due ore mi faresti molto piacere, così mi aiuti.»
La ringraziai ed uscii sfuggendo da quel trambusto infernale, peggio di un tarlo nel cervello.

Il parco era nei pressi del negozio, così mi recai là per sedermi su una panchina in riva allo stagno gelato.
Osservai la superficie di ghiaccio riflettere le nuovole compatte e grigie.
In quella grande città faceva sempre freddo, il ché non mi dispiaceva troppo, ma non mi faceva sentire accolta; probabilmente perché il gelo era più che altro dentro di me.
Seguii con lo sguardo una bambina che sfidava la temperatura sfrecciando sulla sua bicicletta lilla. Faceva avanti indietro per un tratto che comprendeva la mia panchina ed ogni tanto incrociava i suoi occhi a mandorla, neri, innocenti e felici con i miei. Sembrava non curarsi di nulla, nè del freddo, nè dell'imminente pioggia; pareva solamente godersi il vento tra i capelli mogano e la libertà che la sua bici le donava.

Sorrisi distrattamente ripensando alle estati della mia infanzia, quando mi divertivo allo stesso modo con Jonathan.
Vicino a casa c'era una pista ciclabile che la nostra fantasia rielaborava come un sentiero sterrato verso mille avventure e misteri. Era la nostra strada color rosa che ci portava in un mondo fanciullesco e felice, il nostro mondo; di certo non quello che ci attendeva davvero.
Guardai un'ultima volta la piccola vedendo in lei il sorriso di Jonny quando aveva dieci anni. Quanto desideravo che almeno lui, il mio piccolo scrigno di gioia, rimanesse al sicuro tra le braccia dell'infanzia.
Si fecero le cinque inoltrate, così decisi di lasciare quella panchina ormai avvolta dalla nube plumbea dei miei pensieri.

Nel negozio c'era silenzio. Appena entrai sentii la punta del naso e le dita formicolare per lo sbalzo di temperatura.
Ryan-Ashley stava leggendo una rivista ed un suo collega stava disinfettando l'ago che aveva usato fino a qualche minuto prima.

«Mia arriverà fra poco.», mi avvisò accogliendomi di nuovo sorridente.
Evidentemente quello era il nome dell'adolescente che si voleva tatuare il polso.
Quando arrivò era scossa da fremiti di gioia, non vedeva l'ora di farsi tatuare il nome del fratello maggiore.
Robert.
Lui si era già tatuato il nome della sorella almeno due anni prima.
Mia non faceva altro che parlare di lui, lo adorava quanto io adoravo Jonny.
Tanta dolcezza la si poteva scorgere solo negli occhi di due fratelli affiatati.
Riconoscevo lo stesso bagliore negli occhi di Jonathan quando tornava da scuola il pomeriggio tardi.
Io gli correvo incontro e lui, anche più basso dei suoi coetanei, si aggrappava a me oppure mi salutava con un pugno sulla spalla.

«Sofia?», Ryan-Ash mi riportò sul pianeta terra, «Io ho finito la scritta, manca il cuore, vuoi farlo tu?»
Mi ero esercitata solamente sui bambolotti e non mi sentivo sicura, ma quella di Ryan era un'ordine, più che una proposta.
Impugnai la macchinetta cercando di non pensare che qualsiasi cosa, bella o brutta, avessi fatto sarebbe rimasta per sempre sulla pelle di quella malcapitata.

Tutto sommato, riuscii anche a fare un cuore che non fosse uno sputo di lama; anzi: a Mia piacque molto.
Ryan le diede tutte le indicazioni su come curare il tatuaggio per i primi giorni e la ragazza uscì lasciando la madre a pagare.
Andai in cassa a servirla e notai la somiglianza col sorriso della figlia, questo era solamente meno accentuato.

Un veloce colpo di scopa, una passata col mocio e il negozio chiuse.
«Domani devo andare a lavorare da The strange and unusual. È la mia giornata di turno, vuoi venire?»

«Meno sto sola e meglio è.», risposi fingendomi entusiasta, mentre il mio era un commento amaro.
Anni prima non avrei mai sognato di pronunciare certe parole.

«Capisco. Deve essere orribile aver fatto quel che hai fatto avendo una coscienza.», prese la mia mano e la strinse nella sua.
Era una ragazza così bella fuori e dentro, sempre pronta ad aiutare e stare vicino a chi ne aveva bisogno.

«Lo è.», ammisi sottovoce, abbassando il capo sentendomi rodere dalla vergogna. L'immagine dell'omicidio si materializzò nella mia mente e strinsi i denti, cercando di affogarla nei meandri dei miei ricordi più spiacevoli.

«Pigiama party?», propose cercando di tirarmi su di morale.

«Di punto in bianco?», inarcai un sopracciglio un po' in disappunto.

«Per una notte in bianco!», esultò quello che sarebbe potuto essere uno slogan e mi lasciai trascinare dalla sua euforia annuendo svogliatamente.

«NON HO BISOGNO DI UN UOMO NELLA MIA VITA!»

«SÌ!», le altre seguirono il mio urlo alzando un pugno in aria.

Ero sobria teoricamente, ma star sveglia forzatamente ed in compagnia mi caricava di adrenalina, fino ad un overdose che mi sballava il cervello.
L'approvazione del gruppo mi spiegava sempre di più a far stupidaggini: come salire sul tetto e lanciare le uova nel tentativo di formare un cuore sul giardino.

«Io torno dentro, ho finito la birra.», ci avvisò Allie ridotta ad uno straccio.
Da quando era iniziato il tour aveva cominciato a bere come una spugna, sempre di più, fino a ridursi a singhiozzare e ballare mezza nuda in strada.

«Se dormi, perdi la scommessa!», le ricordò Chelsea, una sua amica, anche lei ubriaca e fuori controllo.
Questa si accese uno spinello e lo passò a Tina che fece un lungo tiro, chiudendo gli occhi e gustandosi il momento. Il fumo passivo iniziò a far effetto anche su di me, offuscandomi la mente.
Quando finirono le uova, entrai in casa trovando Allie riversa a terra.
Solo a quella visione tornai in me, per metà. In quel momento entrai nel pallone: ero sola perché nessun altra era lucida ed io non ero nel pieno possesso delle mie facoltà.
Seguendo l'istinto la scossi chiamandola, ma rispose solo con un mugugno.

«Berry, sull'attenti!», le urlò Ryan barcollando ed imitandò un saluto militare.

Feci aria alla ragazza e poi, usando una pezzuola fradicia, le bagnai il viso.
«Portami a casa.», mi pregò in un sussurro, mantenendo gli occhi chiusi e lasciando il suo corpo rilassato, come esanime.
«Per favore.», implorò una seconda volta a voce ancora più fine, i suoi occhi si aprirono in una fessura lasciando sfuggire le lacrime.

Le presi le chiavi dell'auto e la caricai nella sua stessa cupè.
Ormai diffidente della notte mi armai di un coltello, replicando chi mi attaccò. Arrivai a casa sua parcheggiando nel vialetto e restituendole le chiavi; sarei tornata a piedi, ero abbastanza difesa.
«Rimani con me?»

«Non posso Allie.», risposi combattuta, poggiando sul suo comodino un bicchiere d'acqua con dell'aspirina disciolta.

«Perché tutti se ne vanno da me?», chiese con tono straziato cercando di afferrarmi il viso, senza riuscirci. Le sue braccia ricadderò pesantemente sul materasso.

«Questa volta sei tua a respingere Ryan.», osservai senza pretendere che mi capisse davvero.

«No. È lui che non è mai veramente stato mio, solamente mio.», sospirò e chiuse gli occhi.
«Voglio essere amata.», lo ripeté all'infinito fino a crollare in un sonno profondo.
Le rimboccai le coperte e quella scena mi ricordò molto una delle ultime serate con Giulia, quando si ubriacò con Devin. La differenza tra lei e la mia migliore amica era che Allie era completamente sola.
Neanche le sue amiche più strette riuscivano ad alleggerire le sue pene, no. Si era intestardita sul lasciarsi distruggere.

Sospirai ed uscii da casa sua, dirigendomi al pigiama party correndo col cuore in gola, attraversando il quartiere deserto.
Era come se sentissi perennemente una presenza dietro di me, un qualcosa da cui scappare. Sentivo gli occhi della notte posarsi sulla mia pelle e farla bruciare mentre l'aria fredda mi prendeva a schiaffi la faccia.
Sfuggii a quella sensazione mettendomi al riparo dell'entrata di casa Olson e poggiando la schiena contro la porta principale.
Poggiai una mano sul petto che si alzava ed abbassava velocemente per via del fiatone che disegnava nuvole di vapore nell'aria gelida.
Entrai realizzando che la musica era a tutto volume. Alzai lo sguardo verso il soffitto da cui provenivano tonfi.
Salii in camera dove le altre stavano saltando ed inciampando a causa dell'equilibrio alterato dall'alcol.

«Ragazze.», cercai la loro attenzione, ma le loro danze continuarono imperterrite.
Ritentai senza risultati.
Afferrai il telecomando che mise in pausa lo stereo e strillai.
«STOP. Fine della festa.», quelle si fermarono e mi guardarono come se fossi un'aliena.
«È ora di dormire.», sentenziai abbassando notevolmente la voce.
Continuarono a fissarmi con gli occhi spalancati, al che, iniziai ad intimorirmi.
«Cosa c'è che non va?», domandai confusa.

Tina alzò il braccio indicando un punto alle mie spalle, con gli occhi sbarrati dal terrore.
Mi girai lentamente trovando dietro di me, in tutta la sua imponente stazza, un agente di polizia.

«Il signor Olson?», chiese tenendo saldamente le mani alla cintura.

Mi si gelò il sangue nelle vene.
Perché cerca Rick? Oppure vuole me? Oddio, mi hanno trovata! Che fine farò?
Sentii le ginocchia voler cedere sotto il peso della mia paura.

«Non c'è.», ridacchiò un'amica di Ryan strusciandosi sull'uomo.
«È lo spogliarellista? Un po' bruttino, non trovate?»

«No. Sono un poliziotto.», rispose secco staccandosi la ragazza di dosso.
«Chi è la padrona di casa? O siete qua senza permesso?»
Mi feci avanti come proprietaria, tremando come una foglia.
Ero certa che avrei perso i sensi a breve.

«Bene.», sentenziò l'uomo che alzò la mano in aria.
Strillai e mi raggomitolai a terra temendo che mi stesse per colpire.
Non sentendo nulla, aprii un occhio, sbirciando l'espressione smarrita dell'agente.
«Signorina?», esitò accigliato. Voleva solamente mettermi una mano sulla spalla, e così fece, quando tornai impacciatamente in piedi.
«Lei mi sembra la più giovane e la più sobria, il che mi fa molto piacere.», sorrise con fare paterno, lisciandosi i baffi, «Sono stato chiamato perché i vicini si stanno lamentando del rumore.»
Il mio cuore riprese lentamente a battere in modo regolare.

Lamentele del vicinato, sentenziai silenziosamente e sollevata.
«Lo so, scusi agente. Ero fuori a riportare un'amica a casa e non le ho sorvegliate. Ora le faccio smettere.», risposi con tono lusinghiero, esibendo un sorridono tirato.

«Bene, arrivederci.», fece un cenno col capo muovendo il suo cappello e scomparì, trovando la via d'uscita da solo.

Ancora scombussolata, mi voltai verso le altre per ordinare loro di coricarsi, però con mio stupore lo stavano già facendo. Magari non in modi molto convenzionali, ma stavano andando a dormire - grazie a Dio -, chi abbracciandosi una bottiglia di brandy, chi neanche azzeccando come stare su un letto.
Spensi la luce e le lasciai dormire, con l'intenzione di raggiungere Allie e dormire da lei.

Non poteva rimanere sola, non potevo lasciarla sola.

Non potevo lasciarci sole.

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