- 10 - The Stadium

Il capo della squadra dei tecnici sonori, quell'uomo scorbutico e dai modi grezzi, tentò di attirare la mia attenzione facendo cessare la musica.
«Perché ho sprecato tempo mandando un'oca a sbrigare il lavoro!», si lamentó con sé stesso.
Si direbbe che il walky talky funzionasse dato che lo sentii alla perfezione.
Anche Ricky evidentemente lo udì, infatti gli si incamminò a passo grave e minaccioso.
Sfoderai il binocolo datomi da Sebastiano e osservai il tutto ascoltando dal walky talky, tesa.

Non fare stupidaggini, ti prego.

«L'oca sarà tua moglie, ok?», iniziò, furioso, indicandolo con l'indice che si scontrò contro il grasso petto di... Mauro? Doveva chiamarsi così.
«Vuoi sapere quale sarà il tuo prossimo rapporto sessuale? La mia chitarra su per il tuo culo, capito? Chiedile subito scusa!», gli ordinó perentorio.

«Ricky, calmo.», Chris cercò di avvicinarsi, ma era come intimorito.
Vinny guardava la scena chiaramente sorpreso, non aspettandosi una tal reazione da parte del chitarrista.
Iniziai a scendere, preoccupata, raggiungendo Senastiano.

«Sono entrambi due testa calde, giusto?», commentò pessimista.

L'uomo che mi offese emise un verso di disapprovazione, sfidando il più giovane con lo sguardo.
«Credo di sì.», ormai ne ero certa e non era rassicurante.

Il capo squadra con un movimento brusco della mano, si tolse dal torace il dito di Rick.
«Io non chiedo scusa a chi interferisce col mio lavoro e mi fa perdere tempo. Se mai è lei che si deve scusare.», rispose sprezzante.

Fu la goccia che fece traboccare il vaso.
Ricky lo prese come un affronto e si fiondó su di lui. A che scopo, poi?
«Cazzo!», esclamammo io e Sebastiano all'unisono, fiondandoci giù dagli spalti, lui con qualche difficoltà per via degli anni.
Subito Josh, che era il più vicino ai due, si lanciò a trattenere l'amico mentre Chris era imbambolato dalla sorpresa.
Vidi bene, nonostante il caos generale, che che il tecnico ne uscì con il naso sanguinante.

«Ricky, ricomponiti! Vai un attimo fuori e datti una calmata!», gli impose Korel, il loro manager, scombussolandolo per le spalle.
Il ragazzo, con movimenti veloci e furenti, si tolse dal collo la tracolla della chitarra, lasciando lo strumento per terra. Si diresse verso le scalette per scendere dal palco, passando vicino a Ryan e Devin che si ritrassero prontamente, intimoriti, per lasciarlo andare.

«Figlio di puttana!», sibiló Rick fissando il tecnico di sottecchi prima di andarsene in fretta, lasciando dietro di sé il gruppo di soccorso attorno all'uomo che sanguinava.
Le prove furono sospese per una decina di minuti e, senza tanti convenevoli piantai tutto ed uscii a vedere come stesse Rick.
Lo ritrovai seduto su un panettone del traffico appena fuori da un gate dello stadio, fumava per tranquillizzarsi.

«Ehi.», mi annunciai sfiorandolo dolcemente. Lo guardai: lo sguardo imbronciato e perso nell'orizzonte, si scontrava contro delle auto parcheggiate, alberi, abitazioni e passanti.

«Ciao.», rispose secco, mantenendo gli occhi rivolti verso qualsiasi direzione che non portasse al mio viso.
Allora, determinata a farmi ascoltare - a rischio di farmi sbraitare contro, per via della sua ben nota indole - mi piazzai davanti a lui strappandogli quella maledetta sigaretta che usava come espediente per non considerarmi, si concentrava su quella e non mi ascoltava.

«Cosa è successo sul palco?», domandai ostinata, con un tono che non permettava scuse. Incrociai le braccia al petto e continuai a fissare il suo capo abbassato, che teneva tra le mani per contente la rabbia.
Sbuffò e si arrese a salutare la sua amica cancerogena e a darmi una spiegazione.

«Quel bastardo ti ha insultata senza motivo!», sbottò ancora furente, alzando il viso che si fece rosso e gesticolando vivamente.

«E lo hai picchiato per questa sciocchezza?», il mio stupore lo scosse.
Secondo me, c'era qualcos'altro sotto, lo sentivo, ed era un qualcosa che non mi avrebbe detto facilmente, che non avrebbe rivelato presto. Più guardavo lui, i suoi occhi misteriosi, gli sguardi di fuoco che si scambiavano Devin e Ryan in circostanze che riguardavano me e Rick, più percepivo che un dannato qualcosa mi era sconosciuto, nascosto.
«Lo hai fatto per altri motivi?»

«No!», liquidò confuso e, tutto d'un tratto, allarmato.

Bingo.
Sorrisi amaramente.
Dimmi cos'è che mi nascondi, l'implorai nella mia mente.

«E si tratta di te non è una sciocchezza! Quello non immagina neanche quanto vali e osa chiamarti oca!», si giustificò fiero tutto d'un fiato, fiero.

«Ma io non sono così importante da far spaccare il naso per una stupidaggine simile...», non sapevo neanche io se fosse un rimprovero o no, o addirittura un'insinuazione, ma comunque mi rabbuiai posando il mio sguardo umido sulle scarpe, convinta delle mie parole.

«E tu che ne sai? Per me quella non era una stupidaggine.», mi sussurrò prendomi il mento tra due dita ad alzandomi il volto.

Sono un'assassina, fuggitiva, fifona.
Questo basta a pensarla così.
I miei pensieri affluivano in una scoraggiata risposta che rimase silenziosa, perché mai pronunciata.

Senza che me ne resi subito conto, perché persa nei meandri della mia mente, Rick mi sollevó sul panettone su cui prima era seduto ed appoggiò la testa sul mio fianco.
«Ti piace Titanic?», mi chiese tenendomi in equilibrio sul cemento giallo.

«Commetto un crimine dicendo che non l'ho mai visto?», scherzai, ma dal suo sguardo scandalizzato dedussi che, sì, era un vero crimine.

«Non importa, questa scena la conoscono tutti.», minimizzò.
Mi spalancó le braccia mantenendomi  sempre in equilibrio e poi urlai entusiasta capendo cosa stesse facendo.
La scena di Rose e Jack sulla prua del transatlantico.

«Allora, ti senti la regina del mondo? Perché tu lo sei.», mi disse con voce calda e lusinghiera.

«Non lo sono e non mi interessa esserlo. Voglio solo essere la tua regina se tu sarai il mio re.», chiarii scendendo da là e arrampicandomi sul suo collo per dargli un bacio innocente.

Poco male per "ragazzo e ragazza in prova".

«Ci sto.», concordò sorridendo e poi riavvicinò le sue labbra alle mie, iniziando ad esplorarmi la bocca con la sua morbida e cauta lingua.
Quando si scostò lentamente da me mi fissò intensamente gli occhi cercandone la fine.
«Stai tremando.», constatò e mi strinse a sé, ulteriormente, per scaldarmi.
Lui era l'essenza del fascino primordiale: occhi di giacchio e sangue incandescente.
Mi rifugiai nel suo abbraccio strofinando il naso infreddolito contro il suo petto, godendomi quel momento chiudendo gli occhi e ascoltando il suo respiro.
«Domani mi aiuti a rifarmi la tinta?», alzó i capelli e riveló la ricrescita bionda. Provai ad immaginarlo biondo, ma non mi piaceva granché quell'idea, forse perché ero troppo abituata al suo solito nero pece, che preferivo di gran lunga.

«Ci proverò, non ho mai pastrugnato i capelli di qualcuno con la tinta.», spiegai ridendo senza motivo.

«Pa-stru-gna-to...», ripetè pronunciando il termine a scatti prima di unirsi alle mie risate, «Sicura che esista questa parola?»

«Sì, ricordo che Marge Simpson l'ha detta, in un episodio.», la mia convinzione scemò ad ogni parola, perché mi resi conto che non fosse una scusante molto valida.

«Dai, entriamo.», mi pizziccó una guancia dolcemente e mi scortó verso lo stadio sotto braccio.
La testa poggiata contro il suo costato oscillava ad ogni nostro passo in sincrono, e con quella, anche la vista.
Chiusi gli occhi rilassandomi e prestai attenzione alla sua mano che per un momento scivolò fino al confine tra la schiena e ciò che ci sta sotto, poi risalì facendo camminare le sue dita sino a raggiungere le scapole per poi circumnavigare il mio busto e strizzare gli air-bag, come li chiamava Ryan.

«RICKY!», urlai in preda alla vergogna e al dolore.

«Sei così carina da arrabbiata.», mi prese in giro tappandomi la bocca con un bacio leggiadro quanto veloce.
Scappò consapevole che quel gesto di affetto non avrebbe placato la mia rabbia.

«RICHARD ALLEN OLSON II DETTO PROCIONE, TORNA QUA!», gli urlai dietro mentre correva al riparo verso lo stadio. Dopo uno sprint intenso riuscii a raggiungerlo tutta trafelata e con la voce spezzata dalla fatica.
«Io ti odio! Mi hai fatto male.», mi lamentai saltandogli in groppa e sferrando pugni scherzosi e per nulla forti.

«Io invece ti adoro.», rispose ridendo di gusto alla mia reazione, finché Devin non ci interruppe.

«Commuovente, ma dobbiamo lavorare, Ricky.», osservò freddamente e con le mani dietro la schiena.
Quando Rick si incamminò verso il palco rendendosi visibile agli altri, Devin cambiò radicalmente atteggiamento.

«Vanno bene le cose allora!», esultò bisbigliando nel mio orecchio e mandandomi un occhiolino.

Annuii col sorriso perché a corto di parole.
Soffre di bipolarità?

«MUOVIAMOCI, FRA POCO DOBBIAMO ANDARCENE!», urló un tecnico delle luci al megafono quando le prove erano terminare ed era giunto il momento di levar le tende.

Chris rispose con nonchalance al microfono.
«Ok, aspetti solo un momento che deve cantare la ragazza!»

«Cosa?!», esordii spaventata mentre vidi Vinny e Balz confabulare divertiti, facendo correre i loro sguardi da Ricky a Devin.
Chris, intanto, mi prese per il braccio e mi fece salire sul palco, non osai opporre resistenza alle sue mani più grandi della mia faccia.
Mi cacció in mano un microfono e mi rivolse un sorriso incoraggiante notando la mia tremarella.
Volevo scendere da là, il più "subito possibile".

«Su, dai, canta!», mi incoraggiò Ryan bonario.

«Ve lo scordate!», respinsi la proposta diventando rossa e cercando di sbarazzarmi del microfono, rifilandolo a Vinchenzo.

«Forza!», insistette Vinny col labbruccio triste, ridandomelo.

«Ha detto di no!», lo rimbeccò secco Ricky, strappandomi il microfono di mano e mettendolo via, con movimenti svelti e rabbiosi.

«Ha le sue cose che si scalda così facilmente, oggi?», borbottò Balz con Korel.

«Ricky, fa niente, sul serio... Ragazzi, non sono tagliata per questo genere di lavoro.», risposi avvilita.

«Va bene, noi sistemiamo gli strumenti e ti raggiungiamo ai furgoni.», disse Chris sempre allegro, nonostante il comportamento incandescente di Ricky.

«Però sotto la doccia canti bene.», mi sussurrò Ryan con un sorriso beffardo mentre arrotolava il filo che collegava il suo strumento all'amplificatore.

«Come scusa?», corrugai la fronte confusa.

«Sai, sono nella stanza affianco alla tua e una scimmia urlatrice farebbe meno rumore.», spiegò lasciandomi di stucco.
Gli regalai una gomitata nello stomaco e mi allontanai infastidita, sentendo la sua risata a distanza.
Dopo almeno una decina di minuti vidi arrivare anche i ragazzi ai furgoni e Devin mi avvicinó e per portarmi in disparte.

«Dice che ti vuole difendere... Per questo è cosi andato oggi.», mi raccontò chiaramente riferendosi a Rick.

«Difendere?», richiesi incredula.

«Dice che gli da fastidio che la gente ti prenda contropiede. Ti vuole rendere il favore che lo hai salvato due volte - questa non l'ho capita - e un'altra faccenda...»

«Quale altra faccenda?», domandai, elettrizzata. Ero convinta si riferisse a ciò che mi nascondevano e speravo in una risposta che, ahimè, ovviamente non arrivò.

«Non lo so.», mentì palesemente, alzando le spalle e dirigendosi al furgone.

«Devin!», lo fermai e si girò di nuovo verso di me, «Quale faccenda?», chiesi sulle spiene.
Perché diamine non vogliono dirmelo? Cosa sarà mai di tanto grave?

«Senti», disse prendendomi le mani confidenzialmente, «Lo dico nel tuo interesse: meglio che tu non lo sappia.»
Lasciò la presa e salì sul furgone, facendomi segno col capo di raggiungerlo, come se niente fosse.

I secondi passavano e il mio cervello si arrovellava, ostinato a porsi incognite su quel qualcosa segreto.
Stremata, emotivamente e psichicamente, deciso di concentrarmi su altro.
Ripensai a quanto riguardo avesse avuto Ricky nei miei confronti: si era infuriato ad un insulto e alla presunzione dell'operaio rompendogli il naso.
Pensai a come mi avesse rivestita di attenzioni e complimenti sinceri, accorgendosi dei miei stati d'animo e sensazioni.
Mi aveva scaldata quando avevo freddo e mi aveva difesa in un momento di soggezione.
Sorrisi, ma per poco, perché continuavo ad essere ossessionata dall'ultima frase che mi rivolse Devin, la quale era in riproduzione continua nella mia testa.
Poi, in un istante, ci fu un cambiamento: percepii un vuoto, non dovuto alla fame, ma alla non condivisione.
Era la mancanza di qualcosa non detto, di qualcuno non sentito.

Era il bisogno di sentire la mia migliore amica accanto in un momento così bello quanto infernale.

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