CENTRO DE ARTE REINA SOFIA

È tornato il sole, il cielo è di nuovo di un azzurro brillante. Fa freddo. Meglio, non sudo considerando il mio passo.
Ripasso accanto al Prado che ha cambiato aspetto con questa luce. E poi un monumento appariscente costruito in memoria della scoperta dell'America. Mi fermo ad ammirare le acrobazie di alcuni ragazzi con la bicicletta.
- Posso farvi un video?- Chiedo loro più con i gesti che con le parole. Mi fanno cenno di sì con il capo e un sorriso.

In passato, quando visitavo grandi musei,  commettevo un errore: arrivare impreparata senza aver fatto una selezione delle opere, con la presunzione di poter visitare tutto. Il risultato era uscire con una gran confusione senza riuscire a trattenere quasi nulla. Tutto non si può vedere, o meglio, certo che si può vedere, ma non in un pomeriggio. Ora mi preparo e faccio una ricerca di ciò che m'interessa e mi concentro soltanto su alcune opere o artisti e approfondisco. Se mi resta tempo visito altro.

Al Reina Sofia l'opera più importante è Guernica.

Tanto quanto stimo l'arte di Pablo Picasso tanto disistimo l'uomo. Il rapporto con le donne, con Dora Maar in particolare, mi rattrista.
Ma ora mi concentro sull'artista. Picasso è considerato il più grande pittore del XX secolo. Perché? Perché distrugge. Che cosa distrugge? Tutto quello che c'è stato prima. Nel 1907 lui ha 26/27 anni ed dipinge un quadro che distrugge tutto quello l'aveva preceduto Les demoiselles d'Avignon. In questo quadro c'è una figura di schiena, eppure ci sta guardando. Com'è possibile? Picasso immagina di poter girare intorno a quella figura. È come se noi ora prendessimo il telefonino e cominciassimo a scattare foto intorno a un tavolo, sopra, sotto, di lato. Vedremo così tutte le parti di questo tavolo. Dopodiché questi fotogrammi potremmo metterli uno accanto all'altro. In questo modo il tavolo potrebbe essere osservato da più punti di vista. La pittura si era occupata di un solo punto di vista, quasi sempre quello del pittore, quello centrale. Picasso ne introduce tanti. Anziché fotografare, dipinge. Gira intorno alla figura e ritrae ciò che vede.
Introduce il tempo, la IV dimensione e fa collassare le altre, la tridimensionalità. Introduce qualcosa di nuovo che evolverà nel cubismo.

Picasso dice "Ci vuole tutta la vita per diventare un bambino". Cosa vuol dire? Che lui è partito da Giotto e ha attraversato tutta la storia dell'arte per arrivare dov'è arrivato. Ha la consapevolezza che tutta la pittura precedente sia una grandissima illusione, una finzione: non si può creare la III dimensione su una superficie piana.
Picasso sapeva dipingere in un altro modo? Eccome! "Scienza e carità" lo dipinse a sedici anni.

Siamo nel '900, la bellezza pittorica non coincide più con la bellezza naturale. C'è un nuovo modo di pensare alla pittura, la pittura diventa mentale. Non è più la pittura che deve sottostare alle regole della realtà, ma è la realtà che deve sottostare alle regole della pittura.
Guernica è davvero imponente come dimensioni, 3,5 m di altezza per 8 m di larghezza. Il 26 aprile del 1937 venticinque bombardieri tedeschi distrussero questa città spagnola, fu il primo bombardamento aereo della storia, durante la Guerra Civile spagnola, dove Mussolini e Hitler appoggiarono Franco. Questa fu la prima opera di denuncia politica, un manifesto del dolore universale causato dalle guerre. Nel 1937 il governo del fronte popolare chiese un'opera a Picasso da esporre nel padiglione spagnolo di una grande mostra internazionale a Parigi. Ci mise cinque settimane a realizzarlo.
Lo ispirarono i reportage sulla guerra. I colori che vanno dal bianco al nero, passando attraverso le diverse tonalità di grigio, ne sono l'espressione.

Sulla sinistra una madre con un bambino morto in braccio, il collo è allungato in uno spasmo di dolore e la bocca spalancata in un urlo sordo e fortissimo. Il volto e il grido sono diretti verso l'alto. Pare un'invocazione, una disperata richiesta d'aiuto. Corpo scomposto che racconta un dolore scomposto. La testa del bimbo è rivolta verso il basso. Gli occhi sono privi di vita e la bocca è chiusa. Silenzio che si contrappone al pianto della madre. Questo è il particolare su cui più mi soffermo. Un toro, simbolo della Spagna offesa, un uomo caduto, un cavallo urlante, due donne, un uomo travolto dalle fiamme. Gli animali sono rappresentati come animali fedeli all'uomo e condividono lo stesso destino. E altro ancora...

Dolore, orrore e sofferenza si percepiscono mentre lo osservo.

È tanto il tempo in cui rimango davanti al quadro. Ne ammiro la genialità nella modalità di rappresentazione del tema, ma in tutta sincerità, non mi fa scattare nulla di profondamente emozionante. Apprezzo di più altre sue opere.
Fu proprio Dora Maar, sua compagna di vita durante la realizzazione del quadro, a fotografare Picasso mentre lo stava dipingendo. Solo lei lo poteva fotografare. Creò un diario fotografico con tutte le fasi di realizzazione del quadro.
Lei ha 29 anni, lui 54 quando a Parigi s'incontrano. Sarà sua compagna e musa per 7 anni. Il loro rapporto è burrascoso da subito.
Lei dirà "Sono la donna che piange, sono la donna verde dei quadri del genio, sono l'idea stessa del dolore, il mio, il suo, il dolore del mondo". È una grande fotografa, una donna molto bella. Lui la convince ad abbandonare la fotografia per tornare alla pittura. Lei lo asseconda subendo le sue critiche distruttive. Solo io so quello che lui è: uno strumento di morte. Non è un uomo, è una malattia". Viene inghiottita dalla depressione mentre Picasso incontra una nuova e più giovane amante. Viene ricoverata in una clinica psichiatrica, poi la psicanalisi con Lacan. Dopo due anni ritrova l'equilibrio e riesce a riprendere in mano la sua vita."Tutti pensavano che mi sarei suicidata, anche Picasso lo pensava. Il motivo principale per non farlo fu privarlo della soddisfazione". A settant'anni si riavvicina alla fotografia. Muore sola, nel 1997, nel ricovero che la ospita. Nessuno sa chi sia. Non lascia eredi e il suo patrimonio, di notevole entità, viene messo all'asta.
Ho incontrato la storia di questa donna in uno spettacolo teatrale. Un monologo scritto da Concita De Gregorio, recitato da Federica Fracassi. Tendo a dimenticare a distanza di tempo, questa storia non la dimentico.
Che cosa una donna è capace di sopportare per amore, quali torture psicologiche. La sofferenza, la depressione, la psicanalisi e poi la forza di uscirne. Patisco anche soltanto a scriverne. Quando ho iniziato a scrivere di Picasso non sapevo che avrei parlato di lei, eppure è stato più forte di me.

E poi Salvador Dalí, artista eclettico, emblematico del surrealismo.
Cento opere sue esposte, ma una in particolare cattura la mia attenzione:

È una delle sue opere più intense e geniali, sebbene tra le più deliranti. Fa parte di una serie di pezzi di estremo potere allucinatorio fondati su "deformazioni onirico - paranoiche". Molti simboli daliniani si trovano all'interno del quadro: i sassi, le conchiglie, la cavalletta - che qui ha il ventre in putrefazione e ricoperto di formiche nere brulicanti -.
Molteplici sono le implicazioni sessuali, mostrate da una serie di simboli fallici piuttosto espliciti come la lingua arrossata del leone africano, emblema dell'energia e del desiderio prorompente che punta verso l'alto, come ad alludere a un'erezione. In questo pezzo Dalí ritrae tutte le sue ossessioni. Si appassiona alle teorie Freudiane. Esprime la sua complessa personalità attraverso la chiave surrealista. Nulla è come sembra, come in tutte le sue opere.
Ambiguità.

E ancora "L'uomo con la pipa di Mirò".

Mi concentro su questi tre artisti e poi percorro ancora i vari corridoi con le rispettive stanze sui quattro piani.

In ascensore sono con due coppie rappresentative di fasi diverse della vita. I due ragazzini che potrebbero avere sui quattordici anni si baciano e baciano ancora. Lei bacia lui. Sul viso di lui si legge un leggero imbarazzo. L'uomo tedesco anziano, alto e affascinante, abbraccia la donna anziana, alta e affascinante quanto lui. Le posa la mano sul ventre, la stringe alle sue spalle e le bacia i capelli. Lei sorride lievemente con la bocce e con gli occhi. Anche questo è un bel quadro.
Ogni bacio è un'opera d'arte, penso.

È tardi e l'orologio mi dice che ho percorso 20 km, oggi.
Finita la visita, prendo un taxi, scrivo a Carlotta.
Tu un taxi... non ci credo, mi risponde.
Tra un'ora andiamo a cena, sono costretta.
Ah ecco, solo perché sei costretta.

- Che ne pensi di uno spettacolo di flamenco?- dico stamattina a Carlotta.
- Bella idea, mamma!
- Mi hanno suggerito il "Cardamomo", pare sia uno dei migliori locali di flamenco della città. Possiamo prenotare per stasera. Ti cerco il numero.
Carlotta telefona e prenota. La ragazza che risponde è molto gentile, dice che ci riserva un tavolo in prima fila sotto il palco.

Il locale è in un quartiere caratteristico di calles strette.
Entriamo. È piccolo, buio, intimo. Il cameriere è gentile, ci accompagna al tavolo che è il più strategico come posizione. Cominciano a servirci la cena, poi arriva un artista a presentare lo spettacolo. Parole stracolme di pathos. Parla del flamenco come ragione di vita e visione del mondo. Entrano gli altri: due musicisti, due cantanti, due ballerine di età diverse e due ballerini. Iniziano. Sono forze della natura, tutti. I pezzi sono improvvisati, e siamo letteralmente investite dall'energia sprigionata da ognuno di loro, ballerine soprattutto. Passione, dolore, tormento, sentimenti di sfumature diverse si materializzano nella danza. Li sentiamo, ce li fanno vivere. I volti parlano. Non capiamo ciò che dicono i cantanti, non ce n'è bisogno. Parlano i corpi. Parla la danza. Parlano i colori. Che magia!
Non so quanto sia durato lo spettacolo, ma di quella magia ne avremmo voluta ancora.
Usciamo contente. È un sapore, un profumo della Spagna da gustare, da sentire, il flamenco. Un'energia potente.


N.d.A. Le immagini dei quadri non sono fotografie, ma immagini scaricate dal web.

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