Seth - Capitolo 10


Mi trovo nella zona più ricca della sezione, destinata per la maggior parte alle case dei Funzionari e degli Scienziati. La strada è un manto di divise marroni che si muovono. Portiamo gli stessi abiti, abbiamo tutti il simbolo di Antevorta, il Koru, ricamato all'altezza del cuore, ma conduciamo vite diverse. Un ragazzo poco più vecchio di me trascina un carrello a mano con sopra dei secchi di vernice, ha il volto segnato dalla fatica più della donna che attraversa la strada dietro di lui, che avrà il doppio dei suoi anni. Sarà la moglie di un Funzionario lei, e forse nemmeno immaginerà che, mentre stasera il suo ragazzino dormirà con la pancia piena, qualche altro snifferà la vernice rimasta sul fondo di quei secchi. Non farà caso alle bende sulle braccia dell'anziana al suo fianco. Non si domanderà se si sarà ferita in fabbrica o se, per aiutare un marito prostrato dai debiti, si sarà fatta prelevare un quadratino di pelle alla volta.

In questo puzzle di vite io mi muovo come un automa. È la prima volta che vìolo una regola più considerevole del coprifuoco e ho paura di portare sul viso la scritta "colpevole". L'andatura e le espressioni mi sembrano meno naturali del solito. Continuo a domandarmi se la mascella è troppo contratta, se tengo la schiena in una rigidità innaturale, se le braccia buttate lungo i fianchi siano tese. Modulo il respiro, posiziono un piede dietro l'altro con attenzione calcolata, mi impegno a rilassare i muscoli del viso.

Davanti l'edificio lascio sfuggirmi un sospiro liberatorio. Controllo le chiavi prelevate di nascosto strette nel pugno, per assicurarmi che siano ancora intatte. Le ispeziono con la coda dell'occhio alla ricerca di qualcosa, una traccia, la macchia indelebile della mia colpa.

«Ciao, Seth» Trasalisco e quasi il mazzo mi scivola dalla mano. È Glauco a parlare, l'immunologo e Sindaco della città.

«Buongiorno»

«Ti vedo in forma» Due fessure azzurro ghiaccio mi fissano. Il suo sguardo gelido mi ha sempre inquietato, ha la capacità di scandagliare le persone. A otto anni io e alcuni ragazzini ci arrampicammo su un'impalcatura, caddi e mi slogai il polso. Venni portato da Glauco per la fasciatura e ci pensò lui stesso. Durante tutta la medicazione il suo sguardo affilato cercò di cavarmi i nomi degli altri. Non parlai. Non avrei mai messo nei guai i miei amici, però mi costò molta fatica, furono dieci minuti infiniti.

Adesso quelle stalattiti uncinate mi sprofondano nelle membra, si torcono e attorcigliano nelle carni, mi scavano dentro. Sono alla ricerca di quello che, dietro la mia forzata maschera d'indifferenza, sto cercando di nascondere.

«Hai mai pensato di proporti anche tu come volontario per le ricerche scientifiche? Sono tantissimi i ragazzi che accettano, per il bene della comunità. Non è niente di troppo pericoloso o invasivo. Voglio dire, noi non imponiamo nessuna donazione. Sono tutte volontarie, lo sai bene.»

Le donazioni e le ricerche scientifiche ci consentono di trovare vaccini capaci di tenere lontane le malattie, soprattutto la Mephista. Ciò che muove i ragazzi che si arruolano come cavie, comunque, sono i soldi e non una sviluppata coscienza comune. A casa mia siamo sempre stati contrari a ogni tipo di mutilazione e ci siamo promessi a vicenda che, per nessun motivo, andremo oltre le donazioni di sangue di mia madre. E poi non ho tempo per farmi dissanguare o dissezionare: ho un portellone da aprire.

«Ti ringrazio ma al momento sono molto impegnato con il lavoro.»

«Quando eri piccolo mi chiedevi spesso perché con te l'evoluzione non avesse avuto successo. Adesso sei abbastanza grande per sottoporti ai controlli. Sai, stavo pensando che potremmo dare un'occhiata ai tuoi geni e capire cosa c'è di diverso» Fa una pausa e torna a osservarmi, «non vorresti saperlo?»

«Ho imparato ad accettarmi tempo fa. Adesso scusami, mio padre e il resto della squadra mi aspettano» Mi volto prima che risponda, non gli permetterò di continuare a giocare con le mie debolezze, e poi voglio allontanarmi da quello sguardo che mi mette i brividi.

«Come sta tua madre, Seth?» La sua voce mi raggiunge quando ho già fatto alcuni passi. Mi immobilizzo, le gambe si trasformano in pietra. «Mi hanno detto che sta donando il sangue spesso, in questo periodo» Una vampata di calore mi affluisce alla testa, le chiavi mi feriscono adesso che ho i pugni serrati con forza. «E tua sorella? Il prossimo anno avrà la prima tassa da pagare, non è così?» Chiudo gli occhi e deglutisco a fatica.

Glauco nel frattempo mi ha raggiunto e mi dà una pacca sulle spalle. Mi volto verso di lui, ha un sorriso bonario sulle labbra, ma gli occhi sono ancora due spilli affilati, due spiedi che mi trafiggono.

«Pensaci, va bene? Nessuna pressione» Sembra che stia per andare via invece aggiunge:

«A ogni modo, che hai da fare qui?» Indica l'edificio davanti a me, la cabina dei comandi, e le chiavi che ho in mano. Adesso ho di nuovo l'impressione che sappia esattamente cosa sia venuto a fare.

«Devo fare un controllo» dico, cercando di modulare la voce, così da camuffare il nervosismo.

«Non sono stati fatti da poco?» domanda, alzando un sopracciglio bianco. Non può sospettare il mio piano. Devo solo rispondere in maniera tranquilla.

«Sì, ma ci siamo accorti di non aver controllato una cosa» In effetti ci siamo occupati di questa parte della città solo sei mesi fa, ma spero che la mia scusa regga lo stesso. Glauco annuisce e si allontana.

La luce al neon si accende in differita. Osservo i comandi alla parete. Quelli di destra gestiscono l'apertura dei portelloni di contenimento e la sonda esterna, quelli di sinistra le luci della città e altri impianti.

Per quello che so della città, nel progetto originale del bunker c'erano delle sirene d'allarme collegate alle vie di fuga, ovvero le sonde e il portellone. Ho ragione di credere che durante l'epidemia sia stata attivata quella tra le due sezioni. Bisognava essere certi che gli ammalati infetti non tentassero di ritornare da questa parte. Devo controllare se è ancora attiva e se posso manometterla, per questo stamattina ho prelevato delle chiavi dall'armadietto di mio padre e sono venuto qui.

Osservo la leva che apre il portellone, mi basterebbe sollevarla e la sezione B si aprirebbe. Glauco mi ha visto venire qui, quindi forse non è prudente fare questo passo proprio oggi. E poi, per quanto ne so, a parte lui mio padre è l'unico, in quanto Capitano della manutenzione, ad avere le chiavi. Se un Funzionario mi vedesse intrufolarmi nella sezione deserta non è escluso che metterei nei guai anche la mia famiglia, e questo non permetterei mai che succeda. No, aspetterò qualche giorno, quando sarà più sicuro.

Identifico la leva che attiva la sirena, le tre lucine appena sopra di essa lampeggiano: come pensavo, è attiva.

Immagino la notte dell'epidemia. Il suono dell'allarme sarà stato assordante. Chissà se mossi dalla paura avranno esiliato qualcuno anche senza aver appurato che fosse infetto. E loro, i malati, avranno supplicato di non essere esiliati? Avranno accettato il loro destino per il bene della comunità o avranno urlato per giorni e colpito il metallo indistruttibile fino a sanguinare? Dove saranno arrivate le loro urla, al cuore della città? Dentro le case?

Ho la nausea quando alla fine mi decido ad abbassare la leva.

Mi guardo intorno per assicurarmi di non aver lasciato niente fuori posto e un piccolo schermo attira la mia attenzione, è spento. Sono certo che sia una telecamera posizionata nella sezione B, risalente ai tempi in cui era adibita a magazzini. Mi avvicino e poggio l'indice sul tasto di accensione, indeciso se premerlo. So che non dovrei, così come non avrei dovuto disattivare l'allarme, ma sono curioso di scoprire come sia dall'altra parte. Ci saranno cibo e provviste o sarà coperto di scheletri? Chiudo gli occhi e accendo lo schermo. In fondo che differenza c'è tra violare la legge una volta o due?

Il vetro si fa bianco, poi compare qualcosa. È una stanza vuota. Le luci sono spente e non si vede quasi nulla. Sto per spegnere, quando vedo qualcosa sul fondo. Delle catene, una sedia e... una chioma riccia? La consapevolezza arriva con una velocità rivoltante: non è la sezione B che sto guardando. C'è una persona imprigionata, qui da qualche parte.

Urlo alla donna come si chiami e perché sia lì, non risponde. Percepisco dei suoni provenienti dallo schermo; qualcosa che gocciola e ogni tanto un lamento seguito da uno strattone di catene. Deduco quindi che i microfoni della cabina siano disattivati.

Sono tanto scioccato dalla mia scoperta, da non riuscire a smettere di fissare il video per parecchi minuti. La prigionia di esseri umani è qualcosa che non ci appartiene. Fa parte delle cose che abbiamo perso con il nostro trasferimento sul fondale dell'oceano. O Almeno così credevo.

Quando esco dalla cabina sono ancora sconvolto. La paura di essere scoperto è sparita, adesso mi sento solo svuotato. Mi muovo per inerzia, senza nemmeno guardare dove sto andando. Solo la puzza di vernice che impregna tutta la zona riesce ad attirare la mia attenzione, incatrama i polmoni.

Stanno ridipingendo il cielo. Un uomo in miniatura, in cima a una scala lunghissima che si staglia fino al tetto, sta passando uno strato di vernice su una chiazza di azzurro. Anche questo tipo di manutenzione ogni tanto va fatta. Non so cosa nelle crepe di vernice possa, questa volta, scatenare la Mephista, ma qualcosa deve esserci. Altrimenti i Funzionari non sarebbero così solerti a commissionare il lavoro ai Pitturatori. O forse un cielo con le crepature sarebbe strano e basta.

Nella cabina ho visto una cosa che non avrei dovuto vedere, una cosa che non ci sarebbe dovuta essere: una dissonanza nell'ordine esatto, una crepa.

Trovo la mia via in subbuglio. La madre di Milena mi taglia la strada e neanche si accorge di me, sembra scossa. Altre donne falciano il viale, si guardano intorno, come se avessero perso qualcosa di importante. Mi tuffo in casa con il cuore in gola.

«Mamma?» Mi tranquillizzo solo appena odo la sua voce che mi risponde dall'altra stanza. «Che succede?» le chiedo. La sua testa sbuca dalla cucina.

«Hai visto Milena? Sua madre non riesce a trovarla.»


Note dell'autrice: Ciao! Sì, lo so, ti ho travolto con una valanga di informazioni. In questo capitolo sono successe un sacco di cose, hai visto? Se è andata male non ci avrai capito niente, se è andata bene avrai un sacco di domande. I capitoli di Seth mi danno sempre filo da torcere e quando tocca a lui aggiorno sempre in ritardo. Il fatto è che devo metterti al corrente di tante cose dell'ambientazione che lo riguarda. C'è tanto sulla sua società che devo ancora raccontarti, ma mentre lo faccio devo anche trovare il modo per portare avanti la storia. 

Cosa ne pensi di questo capitolo? Hai consigli da darmi per migliorarlo? Qualcosa non ti ha convinto?

Mentre il povero Seth è sconvolto per le velate minacce di Glauco, per la scioccante scoperta, per una stabilità che sente pian piano cedere sotto i suoi piedi e per la scomparsa della piccola Selene; dall'altra parte stanno succedendo un sacco di cose. Mancano pochi giorni al matrimonio di Danae e Ares e come se non bastasse questo a rendere alta la tensione nella sezione B, ci sono alcune cose che ancora non ci tornano, non è vero? Perché il figlio di Magda è morto? Come faranno adesso che i vaccini e le provviste sono quasi finiti? Perché la madre di Danae e Ares si è chiusa a chiave in una stanza vuota?

Grazie per essere giunto alla fine di questo decimo capitolo e grazie per il tempo che mi hai dedicato. Se ci fossero delle Fidelity Card per i miei lettori Wattpad tu avresti già guadagnato dei punti. <3

Mi raccomando, fammi sapere che sei passato con un commento o anche solo con una faccina. ^_^


Ti lascio il link dei Contenuti Extra di "Città Bunker":

 https://www.wattpad.com/myworks/154482316-contenuti-extra-citt%C3%A0-bunker 


Con affetto,

Giuliana.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top