Danae - Capitolo 5


Mi premo la carta assorbente imbevuta di alcol sulla spalla. Pochi minuti fa mi è stato somministrato, così come a tutti gli altri membri della comunità, il vaccino annuale. Cammino per i corridoi e mi domando, come ormai mi capita sempre più spesso, come sarebbe la mia vita se tutto fosse diverso. La festa nella sala grande continua; io non riesco a festeggiare. Non so cosa abbia di sbagliato, ma qualcosa deve esserci per forza, visto che non riesco a conformarmi al resto della mia società. Ogni giorno che passa mi sento sempre più intrappolata nella mia vita senza scelte. Eppure gli altri sembrano non porsi il problema, accettando di buon grado l'esistenza inscatolata e già tutta decisa che gli è stata data tra le mani.

Mi muovo verso il corridoio Ovest, senza rifletterci troppo. So che lì dietro non c'è niente proprio come dicono i miei, però mi ritrovo spesso qui, a fantasticare sulla possibilità che ci sia davvero qualcosa. Arrivata davanti ai portelloni che dividono questa sezione da quella deserta, provo a forzare le due estremità lì dove una riga sottile ne indica, come una cicatrice, il punto di giunzione. Inutile dire che non si muove di un solo millimetro. È una porta quindi come tale dovrebbe avere una fessura, mi dico accovacciandomi a terra.

«Danae...» dice una voce alle mie spalle. Mi volto, è mio fratello. Sicuramente si sarà chiesto dove fossi finita non vedendomi più alla festa, soprattutto dato che si tratta della nostra festa di fidanzamento.

«Stavo... ho solo... ho perso una cosa» balbetto, maledicendomi di non aver pensato prima a un'eventuale scusa. Devo ricordarmi di farlo la prossima volta.

«L'hai persa oltre i portelloni di contenimento?» domanda alzando un sopracciglio. È palese che non mi creda. E dopotutto come dargli torto? Avrei dovuto inventarmi qualcosa di meglio.

«Comunque non m'importa, qualunque cosa stessi facendo. Volevo solo assicurarmi che fosse tutto ok.» Mi sforzo di sorridere e mi lascio accompagnare nella mia camera.

Durante il tragitto non parliamo. A un certo punto Ares apre la bocca per dirmi qualcosa, poi tace.

Nei due giorni successivi non facciamo altro che organizzare la festa di benvenuto per il piccolino di Magda. Per una volta ci concediamo un po' di sfarzo, addobbando la sala grande con nastri azzurri e pupazzi di stoffa. Wanda, la madre di Magda e cuoca della comunità, prepara anche dei dolci utilizzando parte delle nostre scorte speciali di zucchero. Ognuno di noi lascia un dono per il nascituro su un apposito tavolo nella sala. Mia zia ricama una copertina; Ronn l'aggiustatutto progetta e realizza una culla; la piccola Selene fa un disegno. Anche a me tocca fargli un regalo, ma non avendo nessuna abilità speciale, non so proprio cosa regalargli. Do un'occhiata in giro nella mia stanza.

Non abbiamo molti oggetti, solo le cose indispensabili. Una serie di divise marroni, la radio-sveglia sul comodino, il vestito azzurro indossato per il primo incontro con il mio futuro sposo, l'uccellino di legno: questo tutto quello che possiedo.

È proprio l'ultimo oggetto a farmi venire un'idea. I due uccelli in carne e ossa che possedevamo fino a poco tempo fa sono rimasti nell'altro lato della sezione, così come tutti gli altri animali che avevamo ancora con noi. Afferro la radio-sveglia e ascolto le melodie. La prima è il rumore delle onde del mare, la seconda è la pioggia che sbatte su un tetto, la terza è un uccello che canta. Sulla base di questa melodia penso a un motivetto e invento una ninna nanna. Io o la sua mamma potremo cantargliela quando non riuscirà a dormire. Basterà far partire il terzo brano e cantare sopra la base. Alla sua nascita avrà anche lui una radio-sveglia come tutti noi. È l'unico oggetto che ci ricorda davvero da dove veniamo e qual è il nostro passato. Si dice che l'idea di registrare tutti i suoni caratteristici della terra sia venuta al trisnonno di mio nonno, poco prima di lasciarla per sempre.

Non passa molto prima che le doglie di Magda si presentino. È notte quando sento rumori in corridoio. Correre di ciabatte, nocche che bussano alle porte, chiacchiericcio sommesso. Mi alzo e sbircio cosa succede fuori, aprendo solo uno spiraglio.

«Danae, muoviti. È ora!» Esclama eccitata mia madre, passando dalla mia stanza. Sorregge una cesta piena di stoffe bianche. Sono mezza addormentata, ma non c'è verso di convincere mia madre a raggiungerla tra un po'. Mi stropiccio gli occhi e la seguo. Mentre attraversiamo, quasi correndo, i corridoi, non fa altro che dirmi quanto sarà emozionante il parto. Assistere una donna sudata e urlante, per di più senza le mutande addosso, non è proprio uno dei miei spettacoli preferiti. Arrivate nella camera di Magda, mi accorgo che le altre non la pensano come me. Osservo le donne accalcate intorno alla partoriente, euforiche se è possibile più di mia madre e mi chiedo, ancora una volta, cosa abbia io di sbagliato. Magda è distesa sul letto con le gambe piegate e divaricate; sorride e conversa come se fosse seduta a sorseggiare tè.

«La prossima sarai tu! Sempre che Magda non darà alla luce qualche altro marmocchio prima di andare in menopausa» dice la madre della piccola Selene, poggiando le mani sulle spalle della bambina e sorridendole. Lei è andata in menopausa due anni dopo la nascita della piccola. Avvenimenti come questi sono motivo di dolore e possono essere paragonati a un lutto. Celebriamo anche quello, ma con un corteo di Lamenti Solenni.

«Certo... devi darti una mossa, se vuoi fare in tempo» sottolinea ancora, posizionando un secondo cuscino sotto la testa della partoriente. Magda ha quarantatré anni e nonostante ci abbia provato innumerevoli volte, solo adesso è riuscita a rimanere incinta. Mia madre controlla la situazione tra le sue gambe e poi si volta a chiudere la porta.

Si inizia! Durante un parto tutte le donne sono tenute ad assistere, mentre gli uomini preparano le ultime cose per la festa che segue subito dopo.

«Tesoro, dammi una mano» dice mia madre e mi fa segno di avvicinarmi. È chiaro che cerchi di coinvolgermi sperando che possa appassionarmi alla cosa. C'è davvero poco rischio che accada, mi dico avvicinandomi ma cercando di non guardare in basso.

«Faresti bene a essere meno sulle tue e a pensare come aiutare la comunità. Il tuo orologio biologico ha iniziato il conteggio alla rovescia, cara» dice, mentre mi indica delle garze che vuole passate.

Pochi minuti dopo è un alternarsi di urla di Magda e pronostici sul fatto che il nascituro sia un maschietto o femminuccia. Sperano tutti sia maschio; il futuro sposo di Selene. Anche la bambina prende parte alla conversazione, assicurando che farà al più presto tanti figli e che sposerà il piccolo. Mi chiedo se anche io alla sua età la pensassi come lei. Ne dubito, comunque.

Quello che succede dopo, avviene così in fretta da non darmi il tempo di metabolizzare. Con un'ultima spinta il bambino viene tirato fuori, tra i pianti e gli applausi generali mia madre lo porta al lavatoio. Il piccolo strilla a pieni polmoni. Poi mia madre mi urla di correre a chiamare mio padre. Dal tono allarmato capiamo tutti che non vuole che lo faccia per annunciargli la nascita. Corro via lasciandomi alle spalle i pianti disperati delle donne che si stringono e lei con il neonato urlante dietro una tendina.

Attraverso i corridoi in un lampo, una svolta dopo l'altra. Irrompo nella sala grande e non ho bisogno di aprire bocca che mio padre si avvicina preoccupato. Devo essere pallidissima e sconvolta. Contagio la mia espressione agli uomini nella sala uno dopo l'altro come fosse una malattia.

Che possa essere malato di Mephista il piccolino?

Ripercorro la strada a ritroso, verso la stanza di Magda e con mio padre al seguito. Non corriamo ma camminiamo svelti. Nessuno di noi parla. Le donne adesso sono tutte fuori dalla stanza e la porta è chiusa. Mi fanno sapere che mia madre le ha fatte uscire. Magda è sorretta per le braccia da due donne; sua madre le porge un bicchiere d'acqua. Il pianto del bambino cessa e dalla stanza non proviene nessun suono. Selene mi osserva con gli occhi sgranati pieni di pianto e io le asciugo le lacrime. Se fossi io a dettare le regole in questa società, non permetterei mai a una bambina così piccola di assistere a questo. Non lo permetterei nemmeno a me, per essere precisi.

Circa un'ora dopo i miei escono dalla stanza. Il piccolo non è tra le loro braccia. Quando mia madre annuncia che non ce l'ha fatta, sento un tuffo al cuore. È vero, non avevo tanta voglia di assistere al parto, però la nuova nascita era motivo di gioia anche per me. Non posso credere che quel pianto rigoglioso si sia spento per sempre. Magda crolla su se stessa, si affloscia, mentre dalla gola le esce un urlo rauco e molto più terribile di quelli di poco più di un'ora fa. Le altre donne piangono con lei e anche le mie guance si rigano di pianto.

Nota dell'autrice: la mia idea iniziale era quella di dividere questo capitolo in due, ma siccome qualcuno mi ha incoraggiato a scrivere capitoli più lunghi, alla fine ho deciso di pubblicarlo per intero. 

Mi scuso per eventuali imperfezioni che potresti aver trovato nel testo e come sempre ti ringrazio per essere giunto fin qui. Lo apprezzo davvero molto. Infine, ti invito a farmi sapere cosa pensi di questo capitolo. C'è qualcosa che non ti ha convinto o che cambieresti? Il tuo feedback è importantissimo per me.

P.S. spero di riuscire a caricare l'illustrazione di Ares stasera. Per un po' la sua immagine prenderà il posto di quella di Astrea in copertina.

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