Marcus

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Parte 2
L'ometto era alquanto scosso. Non riusciva a credere a quel che era successo, a quel che lui stesso aveva visto. Era come trovarsi all'improvviso in una di quelle scene dei film horror. Ma lui, di certo, non era l'eroico e a tratti stupido protagonista. Lui era solo un passante che sperava di non fare la fine dell'uomo lì disteso. E così mentre le persone avanzavano, spintonandosi qui e là, lui cercava solo di ritornare in dietro e tornare a casa. Era decisamente un fifone ma ne andava fiero. Si ripeteva, come un mantra, a cosa i curiosi sarebbero andati in contro. E più lo ripeteva, più alzava il tono di voce e più ardentemente desiderava essere altrove. E in fondo chi poteva contraddirlo?

Lui non aveva visto ciò che loro vedevano. Lui ne era disgustato, sul punto di vomitare, ma agli altri, per quanto orrido, ciò infondeva una piccola dose di adrenalina. Ma solo perché ciò che l'uomo aveva visto era molto peggio di un semplice sparo in testa. Quando finalmente riuscì a farsi spazio fra la folla, vide che la polizia era arrivata. "Guai in vita", non poté fare a meno di pensare. E affrettò il passo, quasi fosse un indiziato. Quando fu sicuro che nessuno lo vedeva, si mise addirittura a correre. Con quelle gambe flaccide non durò molto...bastarono soltanto tre minuti di corsa sostenuta per fargli venire il fiatone. Però la sua casa era ancora lontana e, ormai deluso, si decise a chiamare un taxi. Non ne passava uno. Solo dopo una venina di minuti, ebbe un po' di fortuna, se tale si può definire.

Non pioveva, ma l'attesa era ormai estenuante, tanto che l'ometto stava per rimettersi a correre ma proprio in quel momento un taxi si fermò. La vettura non era delle più nuove, anzi il contrario. Il cofano presentava una notevole ammaccatura, uno dei due fari era rotto e dall'andatura incerta, si intuiva che anche il motore aveva qualche problema. L'uomo si precipitò immediatamente all'interno, senza tener conto della pelle dei sedili totalmente rovinata. Oramai non qui importava più come, desiderava solo lasciare quel posto che gli aveva portato fin troppa iella. Chiese al conducente di recarsi, il più velocemente possibile, a *nome* Street, numero 25. L'autista annuì silenziosamente. C'era qualcosa di strano in lui ma l'uomo non se ne accorse. Forse preferì non vedere oppure semplicemente dopo l'accaduto, nulla più lo scioccava. Ma la stranezza non si limita al suo aspetto esteriore; di certo le braccia grosse, i vestiti intrisi di sudore, i muscoli ostentatamente messi in mostra, la testa rasata a zero e il labbro superiore lacerato, non lo rendevano una presenza rispettabile ma l'uomo non volle lasciarsi sopraffare dagli stereotipi e preferì vedere un semplice autista infelice e pieno di rancori. C'erano però alcuni segni che il nostro eroico signore avrebbe dovuto notare. Come ad esempio la collana che indossava quasi come fosse un collare, il tatuaggio dietro la nuca e gli occhiali da sole che portava, nonostante fosse notte inoltrata. Collegare prima tutti questi segni, forse gli avrebbe salvato la vita.

Come ringraziamento a ciò che già aveva passato, l'autista gli fece pagare quasi il doppio: una vera e propria truffa, ma non aveva tempo per pensarci. Arrivò a casa sua. L'ascensore era rotto, in fondo non si trattava di una novità e fu costretto a farsi tutte le scale fino al quinto piano, dove si trovava il suo appartamento. Appartamento forse è una parola grossa. Si trattava di uno squallido monolocale, di quelli grande appena per risultare abitabili. Al suo interno i mobili erano ammucchiati a caso, senza un ordine, senza una funzione. Il letto si trovava in un angolino completamente al buio. Si tolse subito le scarpe, le lasciò al centro della stanza e si lanciò a peso morto sul letto. Non aveva voglia né di mangiare, né di guardare la televisione o qualsiasi altra cosa che richiedesse un minimo di interessamento. Si distese sul letto con la grazia di una ballerina e chiuse gli occhi. A differenza di ciò che credeva, subito si addormentò. Nessun brutto pensiero, nessun incubo. Dormì senza pensarci. Non sognò un bel nulla, se non lui che dormiva beato. E così anche in quel minuscolo appartamento, piombò un silenzio tombale.

L'uomo si sveglio con un gran mal di testa, come in seguito a una grande bevuta. Si sentiva totalmente stonato e i ricordi della sera prima erano sbiaditi, come se si fosse trattato di uno stupido sogno. Il cellulare squillava ininterrottamente, prima o poi avrebbe dovuto cambiare quell'orribile suoneria. Il suono si interruppe improvvisamente. "Grazie a Dio" pensò.

Avevano però lasciato un messaggio in segreteria. Era purtroppo arrivata l'ora di alzarsi. E appena mise piede a terra, si sentì travolto dagli avvenimenti della sera prima. Dovette fermarsi, chiudere gli occhi e respirare molto lentamente. Si sedette sulla sua adorata poltroncina, quella tutta rossa. Era stata un regalo di sua figlia e stranamente si ritrovò a pensare a lei. Era quasi un anno che non la vedeva. Era solo questione di tempo, bisognava resistere ancora un po'. Altre due settimane avrebbe potuto stringerla di nuovo a sé. Non vedeva l'ora. L'uomo si sedette e avviò il messaggio.

"Marcus!" gridava una voce familiare, lì per lì non la riconobbe.

"È la quinta chiamata. Vuoi degnarti di rispondere? Senti..." solo allora capì chi fosse la persona che sbraitava tanto: il suo capo. E come in un film ricordò tutto. Ieri sera stava trafficando per le zone della tragedia perché doveva ritirare alcuni documenti fondamentali per la riunione del giorno dopo. Alle sette del mattino avrebbe dovuto consegnarle al capo. Guardo frettolosamente l'orologio e si rassegnò. Oramai erano già le dieci e non c'era più nulla da fare. Poteva solamente continuare ad ascoltare la ramanzina.

"...non voglio sprecare altro fiato. Sei licenziato. Questa tua dimenticanza mi è quasi costata la perdita di un contratto importantissimo. Te ne rendi conto? Non voglio più saperne di te".

Il messaggio era terminato. Non troppi giri di parole, da un lato apprezzabile. Se fosse stato un altro probabilmente avrebbe dato di matto. Avrebbe spaccato tutto e si sarebbe strappato addirittura i capelli. E poi magari sarebbe andato di corsa al suo ufficio, cercando di sistemare inutilmente le cose con il capo. Ma lui non era quel tipo di uomo. Certo era rimasto amareggiato, deluso ma non arrabbiato. Non lo era per due semplici motivi. Innanzitutto era colpa sua. Aveva erroneamente dimenticato qualcosa di tanto importante ed era giusto che venisse punito. Il secondo motivo forse è un po' più difficile da capire. Bisognerebbe, come minimo, conoscere un po' più la vita del povero uomo. Diciamo che dopo tutte le sfide che ha dovuto affrontare, mantenere un posto di lavoro squallido e mal pagato, non rientra nei suoi obiettivi.

E così iniziava la splendida mattina del nostro uomo, detto Marcus.

Si alzò dalla morbida poltrona e si andò a vestire. Una semplice maglietta bianca, un po' scucita sul collo, abbinata ad un jeans scolorito. Insomma qualcosa di molto comodo, ormai non doveva più preoccuparsi del lavoro. Andò in uno di quei posti che tanto lo rilassavano, dove le persone non si accorgevano del suo handicap perché erano troppo impegnate a far altro: il parco della città, un po' lontano dalla sua abitazione ma l'atmosfera del parco giustificava il cammino. Lì poteva comodamente sedersi su una panchina e guardare un punto imprecisato del parco; sarebbe sembrato del tutto normale. In fondo per l'età che aveva sarebbe potuto passare per un padre un po' troppo assonnato per badare i suoi figli con attenzione. Uscì di casa e salutò con la mano il portiere e poco più avanti anche il proprietario del condominio, sperando che per il suo essere cortese chiudesse un occhio sull'affitto arretrato. Il proprietario si limitò ad un semplice cenno del capo, la sua espressione però lo tradiva. Era evidente che covasse del rancore. Il portiere invece, quella mattina, si rivelò molto più gioviale. Lo tempestò di domande e gli augurò una buona giornata. Tra le tante domande, chiese anche del suo lavoro. Marcus preferì essere discreto e non gli rivelò nulla, in fondo gli dispiaceva spegnere il suo entusiasmo con un argomento tanto triste.

Faceva caldo ma era comunque una giornata troppo bella per rimanere a casa. Si incamminò e, forse per noia, per distrettezza, gli sembrò che il tragitto fosse molto più breve. Al parco si piombò immediatamente alla fontanella, ancora di salvezza di tutti colori che si trovavano lì. Face un giro veloce. Le persone che facevano jogging non mancavano, tanto meno i bambini che sembravano spuntare da tutte le parti. E per qualche motivo, all'universo oscuro, non esaurivano mai le energie. Marcus guardandoli ebbe una fitta di malinconia. La sua infanzia non era stata proprio come la loro ma comunque rimpiangeva i bei tempi o quello che avrebbe potuto fare se fosse stato un bambino meno speciale.

Distolse lo sguardo dai bambini e continuò a fissare l'erba. Di certo non voleva che qualche madre iperprotettiva lo prendesse per un pervertito, pronto a fissare tutte le ragazzine del parco. E mentre stava lì a pensare in parte alla sua infanzia e in parte a situazioni che non sarebbero mai potute succedere, ebbe un'idea. Una scellerata idea. Un'idea malsana. Un'idea che avrebbe potuto cambiarlo e condizionarlo per sempre. Forse indirizzandolo verso un futuro migliore o forse in uno peggiore.

Ma in fondo non inizia sempre così? Ogni dannata volta, ogni istante, ogni singolo momento. Con una semplice e banale idea, Idee che muoiono all'istante, idee che cambiano tutto, idee che custodiamo gelosamente, idee innocue, idee mortali. O moriamo con loro, o viviamo con quello che ci lasciano. O siamo tanto coraggiosi da seguirle fino alla morte, o ci arrendiamo al primo ostacolo. Ma nascono sempre allo stesso modo. Da uomini annoiati, che pensano troppo. Che preferiscono scoprire che star fermi. Da menti iperattive. Da menti affamate di novità e curiosità. E l'idea del nostro nuovo amico non è mortale, non è pericolosa, non è innovativa. È semplicemente un'idea bramante di curiosità. È un'idea che non riesce a saziarsi con quello che ha visto o con quello che vede. Un'idea innocua, e in parte egoista nata dal semplice gusto di scoprire qualcosa di nuovo. Nata da un uomo.

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