Alla ricerca
Leggendo il giornale e guardando il telegiornale da qualche tv in esposizione, Marcus si era accorto che nessun aveva accennato alla tragedia di ieri. Certo, la notizia non doveva aver turbato più di tanto la cittadina in quanto il luogo del crimine era abbastanza distante e isolato, ma rimase lo stesso stupido che nessuno ne avesse parlato, nemmeno dei curiosi o semplici vecchiette pettegole. La visita al parco aveva in un certo senso fatto svanire questo dubbio, tuttavia trovandosi lì, a fissare l'erba, non poté fare a meno di ritornare con la mente ala sera prima. E così, sentendosi in parte in colpa per essere corso via come un criminale spaventato e impaurito, decise di fare un sopralluogo in quella zona a cui oramai dava già l'appellativo di maledetta. Prese un taxi e dopo un'oretta o poco più arrivò. Di giorno non era spaventosa quanto di notte. Anzi la si poteva considerare quasi una cittadina tranquilla ed ospitale. Una di quelle dove le piccole famiglie sognano di comprare una villetta. Non vi era una sola carta a terra, strade senza alcun disvelamento. Perfino le piante e fiori erano disposti ordinatamente ai fini di creare un delizioso effetto cromatico. Si trattava sicuramente della zona della città destinata alle persone più facoltose ma a differenza di molte altre cittadine vicine si riusciva ancora a mantenere eleganza e un minimo di decenza. Marcus si incamminò per quel vialetto fiorito, determinato e sicuro e di certo non impaurito come la sera precedente. Con sua grande sorpresa non si perse. Ricordava abbastanza bene la strada, inoltre era molto difficile smarrirsi. Le strade era larghe e spaziose e non vi erano inutili vicoletti che confondevano le idee. Sempre dritto, una volta a destra, una volta a sinistra ed ecco arrivati. Si trovava nella piazzetta principale ma non era quello il luogo del ritrovamento del corpo, bisognava addentrarsi ancora un po'. Il clima sembrava sereno, quasi come se nessuno si fosse accorto della tragedia o come se non avessero interesse a parlarne. Sotto un gazebo vi era un gruppetto di anziani che giocava a carte e poco più avanti una giovane madre accompagnava i figli a scuola. Approfittò del circolo anziani che s'era creato per indagare un po'. Prese dalla tasca di jeans una penna e un foglietto di carta, oggetti indispensabili senza i quali non usciva di casa. Si appoggiò a una colonnina più spessa del gazebo e iniziò a scarabocchiare qualcosina.
"Salve. Ho sentito dire che da queste parti è stato ritrovato un corpo, si ipotizza un suicidio. Ne sapete qualcosa?" Questo diceva il messaggio.
Probabilmente era stato un po' troppo diretto ma il foglio era troppo piccolo per perdersi in stupide formalità. Gli anziani prima fecero una faccia stranita, sorpresi dal modo di comunicare dell'uomo, poi ripresero fiato e quasi unanimemente chiesero se fosse sordo. Marcus scosse il capo e indicò solo le labbra. Gli uomini fecero cenno di aver capito e una voce a tratti bassa e rozza iniziò a parlare.
"Caro turista sarai stato vittima di qualche brutto scherzo! In una città del genere non succede mai nulla di interessante. Secondo te perché ce ne stiamo tutta la giornata ad oziare sotto il sole?" disse l'uomo seduto proprio di fronte Marcus. Lui aveva intenzione di controbattere, di dire che aveva visto il cadavere con i suoi stessi occhi ma non lo fece per due motivi. Uno era muto. Due a che scopo? Ormai già gli avevano detto che non ne sapevano nulla. Pur volendo non poteva ricavare nulla da quel gruppetto di uomini. Certo poteva chiedere ad altre persone ma la città a quell'ora era quasi deserta e inoltre non gli andava di fermare altre persone ed ostentare il suo mutismo. Non si sa mai come le persone possano reagire. Anche un solo sguardo di disprezzo l'avrebbe potuto ferire. Questa era la prima lezione di un corso da lui inventato nella sua mente, "la vita di muto". Nonostante le parole manchino, la testa trabocca di pensieri e le cosa orribile e non riuscire ad esprimerli in modo consono. In fin dei conti non è tanto brutto, basta solo farci l'abitudine. Così Marcus decise che avrebbe fatto tutto da solo, come sempre.
Respirò profondamente e per la prima volta sentiva scorrere nel suo corpo un po' di adrenalina: iniziò così la sua escursione, se tale si poteva definire. In quella zona della città, sebbene fosse il centro, non era ben curata come il vialetto di prima. Gli alberi crescevano come madre natura ordinava; in tutte le direzioni, tanto da ostacolare il passaggio. L'erba era alta e incolta, probabilmente era il luogo prediletto dai cani per fare i loro bisogni. Marcus stava sempre attento a dove mettere i piedi, ma l'erba tanto alta gli impediva la visuale ed incorrere in spiacevoli sorprese. Si dovette affidare al caso. Ma nonostante la cattiva manutenzione, quel luogo aveva ancora qualcosa di magico. Quel qualcosa che non si riesce a spiegare a parole, lo si sente e basta. Forse il fascino della natura nella sua semplicità, ma c'era dell'altro. Era come essere trasportati in un altro mondo...un attimo prima era in una cittadina di circa dieci mila abitanti ed adesso solo lui e la natura. I fiori erano di un colore magnifico, sembrava quasi che cambiassero a seconda della luce e dall'angolazione. Quelli viola aveva attirato la sua attenzione. Avevano grandi petali che si arricciavano all'estremità, divenendo più scuri. Il solo tatto lasciava una piacevole sensazione come toccare un tessuto pregiato. E in mezzo a quei folti cespugli sembravano stelle che illuminavano quel funesto verde. E l'aria. L'aria era diversa. Ora odorava di foglie, poi di pioggia, poi di nulla e di nuovo d'acqua. Era leggera, leggerissima, intangibile ma allo stesso tempo era come se ti imprigionasse, una gabbia che non lasciava via di fughe. Giocava con i tuoi sensi, sembrava quasi farti ammattire e dopo ti tranquillizzava. C'era qualcosa di dannatamente strano in quel posto ma l'uomo era troppo stregato per accorgersene. L'erba calpestata lasciava un buon profumo su Marcus. Odorava di spensieratezza, di gioia. Odorava come i bambini che si rovesciano nell'erba, vantandosi delle loro capriole. Sembrava quasi d'annusare l'odore della felicità,
E così quasi in trance, condotto dal magico profumo dei fiori e dell'aria, trovò l'esatto punto in cui l'uomo si era ammazzato. Ma non c'erano divieti, cartelli o qualsiasi altra cosa ne impedisse il passaggio. Nessun forestiero, passando di lì, si sarebbe accorto che c'era qualcosa di strano. A Marcus non sfiorò nemmeno per un istante l'idea d'essersi sbagliato. Era sicuro che quello fosse il posto giusto. Sentiva l'odore di morte, l'acre e pungente odore che non passa inosservato. Nessuna lacrima versata, nessun pianto trattenuto, nessun sorriso di cortesia, nessuna condoglianza fatta per tradizione, nessun uomo ma l'odore di morte era troppo forte per non appartenere ad alcun uomo. Rimase a fissare quella porzione di boschetto che gli sembrava tanto piccola. Con gli occhi sbarrati guardava, ma non osservava. Con la testa era altrove, in un posto dove non era mai stato, in un posto che non ricordava tanto familiare. E con gli occhi aperti e la bocca lievemente socchiusa, le narici dilatate, guardava (ma non osservava) una misera erbetta ondeggiata dal vento da destra a sinistra, da sinistra a destra.
E improvvisamente si accasciò. Cadde sulle sue ginocchia e iniziò a piangere. La testa si faceva pesante, la mani e i piedi leggeri, quasi come se non gli appartenessero. Le dita erano schiacciate dal peso del suo corpo. Il collo in tensione gli faceva male e la schiena stava assumendo una strana curva. Non era un uomo magrissimo, ma nonostante ciò si scorgevano le clavicole e tutte le vertebre. I polpacci gli bruciavano ma lui non se ne accorse. Il vero dolore lo covava all'interno e finalmente adesso lo stava esternando. Non sapeva per quale motivo, non sapeva se fosse giusto profanare un luogo del genere, ma sentiva l'impellente bisogno di lasciar che le lacrime rigassero il suo volto. Erano incessanti e non si fermavano. Non riusciva proprio a controllarsi. La maglietta oramai era totalmente inzuppata e in quel momento l'unica cosa a cui pensava era la sua voce. Voleva tanto averla. Voleva provare l'ebrezza di ascoltare il suo suono. Voleva poter urlare, urlare come si deve. Voleva urlare a per di fiato, con il vento che soffiava nella direzione sbaglia, senza che nessuno lo ascoltasse. Voleva urlare tanto da perdere la voce, ma il destino aveva già provveduto. E mentre pensava, le lacrime uscivano più forte di prima. E quasi bruciavano, lasciando cicatrici prima sotto gli occhi, poi sulle guance, sul collo e sul petto. Sentiva che gli faceva male e per questo era liberatorio.
Piangere.
Non lo faceva da un po'.
Era come un bambino. Stava facendo qualcosa che tutti ritenevano sbagliato. Ma lui imperterrito continuava. Era come un bambino che finalmente scopre il brivido di fare qualcosa per sé stesso. E la cosa peggiore era che stava disubbidendo senza un motivo apparente. Ma stava bene così e non pensò ad altro.
Un ramo si spostò improvvisamente e cadde, sorpreso dalla forza del vento. Alcune foglie si incastrarono fra i capelli di Marcus, rovinandogli un po' la capigliatura. E con gli occhi appannati, riuscì ad intravedere una chiazza di colore azzurro. Adesso tendente al blu, ora al rosso e di nuovo azzurro. Un magnifico lago, abilmente nascosto dalla fitta vegetazione. Come mai non se ne era accorto prima? E con quella visione tanto celestiale, si accasciò completamente a terra. All'ombra del ramo caduto, ora dormiva beatamente. Ironia della sorte l'uomo e il cadavere si somigliavano. Nello stesso luogo, nella stessa posizione. Ma il primo era colmo di vita, come se fosse appena nato mentre l'altro era solo carne e nulla di più. Sul viso dell'uomo si diffuse un'espressione felice, chissà a cosa stava pensando. Era strano come una giornata tanto orribile potesse migliorare in così poco tempo. Come qualcosa di tanto opprimente potesse essere scacciata semplicemente piangendo. Alcune volte basta solo ricordarsi di sé stessi.
L'uomo si svegliò qualche ora dopo, sorpreso d'essersi accasciato proprio lì. Si alzò lentamente, ancora in parte stonato. Il sole ora era più forte, quasi gli girava la testa. Era all'incirca mezzogiorno e lui non aveva programmi, d'altronde era stato appena licenziato. Il pensiero non gli provocò né rabbia né tristezza, anzi quasi una sensazione liberatoria. Un ultimo sforzo, fece leva sui piedi e si alzò completamente. La mano gli faceva male e si accorse che era costellata di graffi. Non erano troppo profondi, probabilmente erano stati causati da qualche pianta, tuttavia da alcuni di essi sgorgava ancora un po' di sangue. Si asciugò frettolosamente la mano su un fazzoletto e ritornò sui suoi passi. La strada di ritorno, pur essendo la stessa, gli sembrò diversa. Era certo che non si fosse sbagliato ma era consapevole che qualcosa non andava. Lui risultava ancora più impacciato nei movimenti: era inciampato più e più volte, la vista a tratti gli si offuscava e sembrava quasi che le braccia non gli appartenessero. Ora la vegetazione si diradava; rimaneva solo qualche antico albero e gli unici ostacoli che intaccavano il suo cammino erano le radici di questi alberi che sporgevano dal terreno. Il sole si fece più forte. Marcus non era mai stato un uomo tollerante al caldo e la sua pelle chiara e delicata di certo non migliorava la situazione. Sentiva già che la pelle si stava seccando e in alcuni punti era diventata rossastra. E mentre avanzava facendo passi lunghi e lenti, si ritrovò in una porzione di terreno dove sembrava che la natura fosse stata forzatamente estirpata. L'uomo oramai era certo che proseguendo su quella strada non sarebbe giunto a destinazione. Dovette ammettere, con risentimento, che si era perso. Squadrò la zona, alla ricerca di punti di riferimento. Ma più osservava più il paesaggio cambiava. L'aria diventava irrespirabile. Il terreno cedeva sotto i piedi. La sensazione di smarrimento aumentava. E qualcosa sembrava impedirgli di respirare. Un peso. Un enorme peso desideroso di uscire che lo stava martoriando dall'interno. E il respiro divenne più lento. Le gambe più deboli: non poteva contare più sulle sue robuste caviglie. Il cuore batteva ad ogni istante più veloce ed ogni singolo battito diventava una condanna. Una scossa dalle dita dei piedi fino al ciuffo più alto dei capelli lo percorreva. Gli tremavano le mani. Chiuse gli occhi e aspettò che tutto finisse.
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