prologo - gloria a la muerte

Molti anni dopo, di fronte alla canna doppia di un fucile, Maria Pilar Muñoz Carmín si sarebbe ricordata di quel remoto pomeriggio in cui suo padre la aveva condotta a per la prima volta in quelli che poi avrebbe imparato a chiamare i «laboratorios de la muerte», i laboratori della morte. Avrebbe ricordato l'odore pungente della benzina, quello più lieve del sudore di venti uomini che lavoravano incostantemente sotto il sole, infine le sarebbe tornato alla mente il profumo delicato del fiore che uno degli operai aveva colto per lei. «Serás una farmacéutica?», le aveva chiesto, sorridendole. Lei aveva scosso il capo con timidezza. «Una bailarina
Sono molte le immagini che si vedono davanti alla morte e, sebbene c'è chi sostenga il contrario, sono ogni volta diverse. Maria visse abbastanza a lungo da ricordare almeno quattro o cinque avvenimenti in questa maniera, anche se nessuno intensamente come quello che ebbe nell'istante prima di morire davvero.
Era a Palmira, seduta nella macchina di Jacinto con le gambe a penzoloni fuori dal finestrino. Fumava erba assieme a lui e a un paio di ragazzi dell'università. «Después de lo título, yo voy a Medellín», raccontava tronfio uno di cui Maria non conosceva il nome. Jacinto fumava e lo prendeva in giro. «E che cosa vai a fare, a Medellín?», gli diceva, in inglese. «Vaya a consumir l'hierba!» Tutti ridevano.
Maria non poteva immaginare che quello stesso ragazzo le sarebbe poi comparso davanti cinque anni dopo armato fino ai denti e con l'odio negli occhi. Si inginocchiò tra l'erba, lo sguardo fisso su di lui e i denti che battevano per il terrore. «Tú no me puede matar», sussurrò, la saliva in gola che creava nodi roventi impossibili da sciogliere. «Yo soy Circe
«Circe l'ha uccisa Medellín!», gridò l'uomo con la pistola.
Maria trasalì, ma non abbassò il capo. «Circe non è mai stata viva», rispose. Un altro ricordo la colpì di nuovo. Jacinto la baciava piano e sorrideva, poi attraversava la strada. In un attimo si copriva di polvere e di calore, e la sua stessa esistenza veniva spazzata via dal capriccio, dalla pazzia di un'idea. «Voglio morire sull'erba di un prato», mormorò. Era quello che Jacinto ripeteva ogni volta che lei glielo chiedeva dopo aver fatto l'amore, dopo averlo spiato rivestirsi dallo spiraglio di un lenzuolo mal ripiegato sul suo corpo disfatto.
«Porque un césped?», perché un prato?
Maria sorrise. «Ah, recuerdas?», poi cadde all'indietro e la testa affondò nel fango. Sentì con chiarezza il dolore diffondersi dal petto a tutto il corpo, seguendo il percorso dei nervi lungo la spina dorsale. Chiuse gli occhi e attese la morte, semplicemente. Fu come se un amante del passato la prendesse tra le braccia per portarla a letto. Con la naturalezza di quella che una volta era stata passione graffiante, lasciò che la vita scivolasse nella terra attorno a lei, mischiandosi al sangue e all'odore umido del bosco.
«Ricordi?», disse, quando vide suo figlio accoccolarsi contro il suo petto alla ricerca della madre che non aveva mai avuto. «Una volta, siamo stati bambini assieme.»  

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