Capitolo 44
Aveva sfogliato una dozzina di volte quella cartella clinica e aveva trovato molte conferme alla strada che aveva già intrapreso: essenza di dittamo per coagulare, valeriana per calmare, belladonna, aconito e papavero come antispasmodici. Erano questi gli ingredienti fondamentali su cui lavorava.
Aveva appreso come il morso di Nagini era stato trattato sia con pozioni da ingerire sia con pomate da applicare localmente, voleva dunque provare a fare qualcosa del genere. Anche il vischio poteva tornarle utile come antipiretico e per la probabile emorragia interna.
Le lacrime di fenice le avrebbe usate sulla ferita aperta, dovevano entrare immediatamente in circolo e contrastare il veleno. Iniziò dunque dalle pozioni che erano ciò su cui si sentiva più sicura.
Accese un unico fuoco, voleva concentrarsi totalmente su un lavoro, se non fosse riuscita avrebbe ricominciato ma aveva bisogno di tutta la sua attenzione. Iniziò dalla base di una semplice pozione calmante ma aumentò al momento dell'inserimento la quantità di valeriana, si voltò per recuperare le bacche di vischio ma sussultò nel ritrovarsi un uomo sul ciglio della porta.
"Oh Salazar! Severus, mi hai spaventata!", il mago la stava osservando da un po'. L'aveva vista intenta sul calderone con una cura maniacale e dopo pochi passaggi aveva intuito stesse preparando una pozione calmante.
"Non era mia intenzione" le rispose entrando nel laboratorio.
"E ci mancherebbe", lo vide avvicinarsi a lei e scrutare il calderone. "Ha una sfumatura di azzurro strana" le fece notare. "Lo so".
"Hai messo troppa valeriana", "Lo so". Rispondeva freddamente, tesa per la sua presenza.
"Che succede? Stai poco bene? Sei tesa per qualcosa?" le chiede sinceramente preoccupato.
"Io... sto lavorando a una cosa. Ma sinceramente non so proprio come procedere" gli confessò. Era esausta, faceva un errore dopo l'altro, brancolava nel buio da settimane.
"Che devi fare?"
"Non è semplice dal spiegare" non sapeva se voleva coinvolgerlo, era troppo acuto per non capire tutto da poche parole. Lo vide agitare la bacchetta e il calderone a cui stava lavorando scomparve. "Era da buttare, la valeriana che hai messo ne avrebbe alterato gli effetti, vieni parliamo e spiegami". Andò a prendere degli sgabelli che per questioni di spazio erano stati messi da parte e li portò vicino a un bancone. Le fece segno di sedersi e lei lo ascoltò torturandosi le dita dietro la schiena.
"Spiegami che devi fare" le disse con tono calmo e voce bassa, la guardava fissa in viso mentre lei rifuggiva i suoi occhi.
"Vorrei riuscire a fare qualcosa che possa contrastare dall'interno alcuni sintomi come: febbre, tremore, irrigidimento muscolare e emorragie interne." disse elencando vagamente la funzione.
"Si può fare, ci servono valeriana, papavero, belladonna, camomilla, vischio ma vedo che li avevi già presi. Solo che va fatta ex novo, non si può partire dalla pozione calmante; la belladonna non ci concilia con alcuni ingredienti." Artemisia ascoltava rapita, le era sempre piaciuto imparare da lui.
"Mi sento un'incapace" disse frustrata alzando lo sguardo al soffitto. "Non hai potuto finire gli studi, ma lo farai, dopo la guerra ti prometto che andrai a un'Accademia incredibile e mi supererai ampliamente" cercò di rassicurarla lui.
"Eppure ho letto tanto, la teoria la so", "Ti manca la pratica, e sembra strano detto a te, ma sono cose completamente diverse da quelle che si fanno a scuola, e comunque hai studiato alchimia, è una branca molto diversa da questa", la convinse perché non protestò più.
"Vieni, lavoriamo insieme, come ai vecchi tempi" la prese per mano a la condusse ai fuochi.
"Mi devi preparare gli ingredienti. Estrai la linfa dai papaveri, trita la radice di valeriana e la camomilla insieme, poi polisci il vischio, foglie e bacche vanno fatte al mortaio, prendi direttamente l'estratto di belladonna dalla dispensa, è più stabile." mentre dettava le istruzioni Artemisia lo vide riempire il calderone con acqua di sorgente. Lavorarono insieme per un paio d'ore, senza alcuna sosta. Artemisia preparava tutti gli ingredienti mentre Piton calcolava le quantità e i tempi per poi aggiungerli nel calderone. Quando terminarono erano molto stanchi. "Funzionerà?" chiese preoccupata la ragazza. "Dubiti del sottoscritto?" la prese in giro l'uomo facendola ridere. Seguirono attimi di silenzio nei quali Piton ebbe il tempo di guardarsi intorno.
"A che ti servivano aconito e dittamo? E soprattutto..." si accorse troppo tardi che puntava alla cartellina. "...cos'è questa?". Non provò neanche a fermarlo, lo vide solo leggere il referto con attenzione per poi posarlo stancamente sul ripiano in marmo.
"Perché hai questa?", "Severus, per favore, siamo già abbastanza stanchi" cercò di dissuaderlo.
"Non mi è mai importato della stanchezza, spiegami".
Artemisia si accasciò sullo stesso sgabello su cui stava prima e lo guardò con occhi lucidi.
"Il Signore Oscuro non si separa mai da quel serpente, ho pensato fosse utile prevenire un possibile attacco". Cercò di argomentare
"Non mi mentire", "Non usare la legilimanzia con me!", "Hai le difese alzate, si vede dal modo in cui ti passi la mano tra i capelli". Solo in quel momento si rese conto di aver compiuto più volte quel gesto.
"Per chi stai preparando queste pozioni?" chiese con mortale serietà l'uomo avvicinandosi a lei e standole difronte. Artemisia non riusciva a parlare, il solo pensiero le bloccava la gola con un nodo che si sarebbe sciolto in un pianto.
"Chi morderà quel maledetto serpente?!" chiese con più insistenza Piton alzando leggermente la voce. La ragazza scuoteva il capo incapace di dirglielo, lo sguardo al pavimento, la mano sul viso che stropicciava compulsivamente gli occhi e frizionava la pelle.
"Artemisia, sei sconvolta. Non portare da sola questo peso. Dimmi chi morirà!" la scosse tenendola saldamente per le spalle, poi in un gesto del tutto istintivo se la tirò al petto e la abbracciò. La donna avrebbe voluto evitarsi di scoppiare in lacrime ma quel calore e quella stretta la fecero aggrappare con forza alle sue vesti e il nodo che aveva in gola si sciolse in singhiozzi. Ma ancora non riusciva a dirglielo.
Una cornice, che si era anche dimenticata di avere in quel laboratorio perché sempre vuota e nera si riempì di una veste lilla, ricca di dettagli dorati, una lunga barba bianca e due occhi azzurri e tristi.
"Tu, Severus. E non sai quanto me ne rammarichi"
Nel laboratorio vi furono interi minuti di silenzio, anche il pianto di Artemisia si era fermato sentendo le parole del preside, erano tutti in uno stato di turbamento paralizzante. "Non ci posso credere" furono le uniche parole di Piton prima che abbandonasse la stanza a grandi falcate. Artemisia rimase ancora un attimo immobile ma poi gli andò dietro preoccupata, lo vide sparire nelle fiamme verdi del camino ed era pronta a seguirlo se non fosse stato che non sapeva dove fosse andato. "Tornerà" le disse la voce di Phineas dall'alto ma quello non la rincuorò, anzi la gettò ancor più nello sconforto. Con gesti metodici, senza prestare veramente attenzione a ciò che faceva trascinò il copriletto dalla sua stanza al divano, rinvigorì il fuoco, e si stese coprendosi con la coperta. Si addormentò quasi immediatamente, di un sonno profondissimo.
Il camino di Spinner's End si illuminò di un fuoco verde e dalla cenere emerse la nera figura di Severus Piton. La casa era avvolta nell'oscurità e nel silenzio, tutto era come lo aveva lasciato prima di trasferirsi ad Hogwarts ad agosto. Si guardò intorno ancora sconvolto da ciò che aveva coperto, la sua mente lavorava a una velocità inafferrabile.
Lui che aveva sempre desiderato morire, da oramai 17 anni, da quando era entrato nella cameretta di un bambino e aveva visto il corpo della donna che aveva sempre amato riverso a terra privo di vita. Ricordava come se la stesse vivendo in quel momento la sensazione del suo corpo ormai freddo e semirigido stretto al suo petto, la consapevolezza che fosse morta a causa sua. E da quella notte aveva desiderato morire, solo quello, raggiungerla nel mondo dove vanno le anime che sono abbastanza coraggiose da non diventare fantasmi, e riconciliarsi con lei.
Dondolava leggermente sulle gambe, totalmente perso nei suoi pensieri, quasi catatonico, in mezzo alla stanza.
Aveva accettato il suo compito, allora, proteggere il ragazzo per lei, ma alla fine di tutto, portato a termine quell'incarico sarebbe voluto morire. Per mano di Voldemort o propria, ma non sarebbe rimasto sulla terra a dannarsi per chi sa quanti anni. Era questo ciò che aveva sempre agognato, anelato, e pian piano, ogni giorno, lo aveva portato avanti, non curandosi della sua salute, del suo aspetto, facendosi odiare da tutti, mettendosi volontariamente in pericolo, bevendo quasi ogni sera, addormentandosi ogni notte sperando di non svegliarsi la mattina successiva.
Lo aveva davvero desiderato.
Quel flusso di pensieri si interruppe bruscamente come quando si rompe uno specchio, con lo stesso suono fastidioso.
Ora non lo desiderava più.
Si spostò nell'ombra e con poche falcate raggiunse la libreria, afferrò una manciata di libri con entrambe le mani e in un gesto violento li tirò giù.
Non lo desiderava più e proprio ora la morte bussava alla sua porta.
L'aveva istigata tanto tempo e proprio quando aveva smesso di cercarla lei gli portava il conto.
Decine di altri, amatissimi, libri seguirono i primi, la furia ceca fece persino saltare la mensola dai fermi facendola ricadere in una posizione obliqua. Impossibilitato a distruggere ulteriormente quel mobile, e ancor più innervosito per questo, si voltò di scatto e con un calcio collerico colpì il tavolino di fianco alla poltrona facendolo rovesciare con tutto ciò che vi stava sopra.
Pianificava il suo futuro e gli andavano a dire che non ci sarebbe stato quel futuro. Forse la colpa era stata anche sua, bisogna sempre state attenti a ciò che si desidera perché potrebbe realizzarsi, lui un futuro non l'aveva mai voluto e giustamente gli veniva tolto.
E Artemisia, che stupida, lei lo sapeva fin dal principio e non glielo aveva detto, aveva portato quel macigno da sola, e stupida, lo aveva ancor più appesantito innamorandosi di lui. Un uomo che sarebbe morto lasciandola sola. Non si sentiva indispensabile per lei ma... anche solo il pensiero che lei dovesse soffrire ancora...
Strappò da una vetrinetta una bottiglia di rum, la aprì, bevve un sorso generoso, e poi la lanciò contro la parete mandandola in mille pezzi.
Quel rumore di vetro, tanto simile a quello che avevano causato i suoi pensieri, lo scosse nel profondo. Si guardò intorno, il caos che aveva creato, la stanza che aveva devastato, e si adagiò sulla poltrona, unica superstite della sua ira.
Che stupida quella ragazza ad amarlo. Piton già sapeva cosa sarebbe successo dopo la guerra: lui sarebbe morto per il morso di una ridicola bestia, una morte da miserabile, e se fosse riuscito avrebbe parlato con Potter, gli avrebbe raccontato l'indispensabile, dunque di Lily e di Silente, ma si sarebbe tenuto solo per sé il ricordo di Artemisia, e nessuno avrebbe saputo che aveva amato di nuovo, nessuno avrebbe saputo che avrebbe voluto vivere. Avrebbero pensato che aveva finalmente trovato la pace, da quella vita tanto ingrata, quando la sua pace l'aveva trovata in quegli ultimi due anni.
Si addormentò su quella poltrona, stravolto dalla stanchezza.
Il mattino successivo si svegliò con le prime luci dell'alba, si guardò intorno notando il caos che aveva generato e scosse il capo contrariato. Avrebbe potuto riparare tutto con un colpo di bacchetta ma aveva bisogno, dopo aver distrutto, di rimettere insieme i pezzi. Si tirò su le maniche della giacca e iniziò a sistemare. Partì dalla libreria, poichè la sua rabbia si era particolarmente accanita sui libri che tappezzavano il pavimento, riposizionò le mensole e iniziò a raccogliere i volumi da terra spolverandoli e ristendendone le pagine. Quando ebbe concluso quel lavoro andò alla ricerca di una scopa, che doveva pur stare da qualche parte in quella casa babbana, e raccolse i cocci di vetro. Riordinò il resto e tirò su il tavolino, ma per la gamba rotta fu necessaria la magia, poi lavò il pavimento con acqua e detersivo.
Quando ebbe finito non c'era più alcuna traccia della crisi della notte scorsa. Tutto gli apparve più affrontabile. Aveva fatto una promessa che era vivere il dopoguerra con la sua compagna, e avrebbe almeno provato ad adempiervi. Artemisia stava effettivamente lavorando a qualcosa, non si era persa d'animo e se lei credeva che ci fosse una soluzione allora anche lui poteva crederci. Gli tornarono alla mente solo allora la discussione che avevano avuto settimane prima:
"Andiamocene Severus, andiamocene via finché possiamo. Scappiamo da questa guerra" gli aveva detto. E adesso gli era così chiaro il perché di quella richiesta... avrebbe dovuto capirlo allora, invece di lasciarla sola in quell'ufficio.
Uno scoppiettio vivace e molto vicino fece aprire di scatto gli occhi verdi di Artemisia che vide un'ombra nera passarle velocemente davanti.
"Severus!" lo chiamò tirandosi rapidamente seduta. Lui si voltò improvvisamente incuriosito: "Hai dormito là?" le chiese. Lei gli fece un segno affermativo col capo e poi si alzò in piedi avvicinandosi.
"Mi spiace di non avertelo detto", "Non importa" la rassicurò "Ora andiamo in laboratorio e lavoriamo a qualcosa però, non ho nessuna voglia di morire". Quella solita ironia la fece quasi sorridere mentre lo seguiva, più fiduciosa che insieme a lui sarebbero giunti alla soluzione. Entrarono nel laboratorio: "Che avevi in mente?" le chiese serio.
"Ho molto materiale ma per ora non ha funzionato nulla, cioè..." recuperò un cofanetto con entrambe le boccette di veleno e lacrime. "... ho questo che è il veleno di Nagini, ti faccio vedere" eseguì i soliti passaggi per mostrargli quel veleno al microscopio, lui si avvicinò alla lente e vi guardò attraverso, quando sollevò il viso era impossibile capire cosa ne pensasse, annuì solamente con il capo.
"E poi ho queste che speravo bastassero da sole ma così non è, il veleno le corrode" disse porgendogli la seconda boccetta semivuota.
"Sono..." disse sta volta con stupore, "Lacrime di fenice, sì" lo anticipò lei.
"Come le hai avute?", "Fanny, me le ha donate, quella notte che sono sparita ero andata a cercarla" vide gli ingranaggi nella mente di Piton muoversi per rimettere insieme i pezzi. "Per questo hai detto che avevi sistemato le cose", "Si ma poi sperimentando così non è stato. Stavo valutando di contrastare in un primo momento il veleno con pozioni che agissero sui sintomi, modificando anche queste per renderle più potenti, così magari le lacrime possono fare effetto più facilmente" spiegò, iniziando a seguirlo mentre lui prendeva diversi ingredienti e libri ai capi opposti del laboratorio.
"Mi sembra un'ottima idea, lavoreremo su questo, poi faremo una prova. Quante lacrime abbiamo?" chiese pratico, disponendo tutto il necessario meticolosamente su un bancone. "Quattro, una l'ho dovuta per forza usare per vedere gli effetti".
"Capisco"
Si misero nuovamente a lavoro.
"La pozione di ieri contrasta spasmi e tremori, dovrebbe calmare la natura vorticosa e corrosiva del veleno. Fai una prova: due gocce di pozione e una di veleno, e vedine gli effetti mentre il lavoro a un unguento" dettava ordini come se lei fosse ancora la sua assistente ed era qualcosa che la catapultava a due anni prima rendendola serena in maniera indescrivibile.
Si spostò al microscopio e al vetrino con la goccia di veleno aggiunse la pozione, osservò l'effetto e con gioia ancor più grande scoprì che quel movimento rapido e caotico rallentava fino a essere un placido ondeggiare da destra a sinistra. "Funziona!" quasi urlò correndogli vicino ma frenò il suo entusiasmo per non disturbarlo mentre lavorata. Gli si mise affianco e lo aiutò nella preparazione dell'unguento che doveva avere qualità antinfiammatorie, antisettiche e cicatrizzanti. Finirono in tarda mattinata, in tempo per andare a pranzo, entrambi erano visibilmente assorti.
Mancava poco, lo sapeva bene. Appena pochi giorni prima era andata dai Weasley e insieme a Severus sembrava avessero trovato una soluzione. Sembrava, perché non avevano voluto sprecare lacrime per fare una prova definitiva, tanto non ci sarebbe stato il tempo di provare altre strade, e allora tanto valeva che la prova definitiva fosse l'unica occasione di utilizzo. Questo dava non pochi pensieri a entrambi, ma anche solo una goccia poteva fare la differenza, e a loro quella differenza era indispensabile.
I primi giorni si erano cercati continuamente, volendo godersi ogni attimo rimanente insieme, poi si erano entrambi isolati, incapaci di guardarsi involto senza provare una sofferenza estrema al solo pensiero di ciò che sarebbe successo. Rimanevano soli nei propri uffici, ma almeno Artemisia poteva distrarsi facendo lezione o scambiando chiacchiere con i colleghi, Severus invece parlava solo con sé stesso e con Silente, chiuso nel suo quadro.
"Ragazzo mio, non sai quanto mi faccia male vederti così" gli ripeteva continuamente quando lo vedeva deconcentrato leggere più volte la stessa pagina, oppure vagare senza scopo nell'ufficio stringendosi nel mantello.
"Fammi il favore, taci" gli rispondeva bruscamente Piton e la conversazione finiva lì.
"Non affliggerti, avete una possibilità, se funzionasse potresti vivere finalmente la vita che meriti" insistette una sera.
"Non ne voglio parlare" lo avvertì l'uomo fermandosi nel centro della stanza a guardarlo con sguardo truce.
"Dico sul serio, potresti uscire alla luce del giorno, mostrare la parte migliore di-"
"Quale parte, Albus?! Ipotizzando che io sopravviva, e al momento penso che così non sarà, subirò un processo, e lo subirà anche Artemisia, qualora ci assolvessero saremo comunque degli ex mangiamorte. Non c'è la luce del giorno per noi. E se io morissi? Io che sono l'unico che può testimoniare il suo doppiogioco? Dovrà affrontare tutto da sola, non hai pensato a questo?!" gli urlò quasi contro, stanco della sua insistenza, delle sue parole rassicuranti, troppo buone, troppo ottimiste, quando non c'era nulla da essere ottimisti.
Con sua stessa sorpresa, Albus era rimasto senza possibilità di rispondere, ogni cosa che avrebbe detto sarebbe stata una frase di circostanza. Fu Phineas dal suo quadro a intromettersi: "Ad Artemisia penseremo noi qualora..." lasciò intendere cosa dovesse succedere "... parleremo con Minerva, basterà spiegare tutto a lei, adora quella ragazzina. Ora però vai a dormire, sei molto provato" cercò di rassicurarlo e forse, complice la stanchezza che gli gravava sulle spalle, ebbero davvero un effetto quelle parole perché Piton si ritirò nei suoi alloggi.
Nel susseguirsi troppo rapido dei giorni poche altre erano state le scene degne di nota. Per Artemisia il tempo stava sfuggendo tra le dita e se ne rendeva conto sempre di più. Era ormai la lezione del giovedì, settimo anno Grifondoro-Corvonero e i ragazzi stavano lasciando l'aula, non li avrebbe rivisti per quella settimana, quando una consapevolezza le attraversò la mente.
"Signorina Weasley!" la richiamò in fretta, quasi scomponendosi. La ragazza sentendosi chiamare con tale urgenza rientrò in aula in fretta e raggiunse l'insegnante.
"Mi dica"
"L'incontro di questo fine settimana, rimandalo a martedì" la intimò.
"Ma ci sono le lezioni martedì" cercò di farle presente la ragazza che era alquanto confusa.
"Nel tardo pomeriggio non ci saranno, lo capirete quando è il momento di andare, io presenzierò" le disse convinta e non volendo dare ulteriori spiegazioni. La ragazza capì che non avrebbe potuto sapere altro e annuì pronta ad avvertire gli altri di quel cambiamento.
L'ultimo fine settimana prima della battaglia...
L'ultimo incontro serale con i colleghi nell'ufficio di Minerva.
Rimase pensierosa a lungo, Rolanda tentava di coinvolgerla nelle loro chiacchiere ma con scarsi risultati, lei era persa nella sua stessa testa che contava le ore.
"Artemisia cara, sta sera sei assente, ti annoiamo?" chiese Minerva sinceramente preoccupata. "No, assolutamente, sono solo molto stanca, l'anno è quasi finito e come primo anno da insegnante è stato decisamente impegnativo" cercò di giustificarsi e le sorrise per rassicurarla.
"È vero! Questo è stato il tuo primo anno, eppure sembra che siamo colleghe da sempre, non è vero Pomona?" disse euforica Rolanda richiamando l'attenzione della professoressa di erbologia con una forte pacca sulla spalla.
"Sì, è proprio così" rispose quella massaggiandosi dove aveva ricevuto la botta.
In mezzo a quelle persone così diverse da lei, tutti molto più grandi, ma cordiali e affettuosi si sentiva al sicuro, era una bolla di tranquillità che sperava di non abbandonare mai. Ma le responsabilità la chiamavano sempre, che lei fosse pronta o no.
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