Capitolo 24

Il suo arrivo a Villa Malfoy il pomeriggio successivo non fu accolto con entusiasmo, anzi, aveva potuto percepire chiaramente l'astio di Narcissa quando aveva varcato l'ingresso con i suoi bagagli al seguito. Un astio che era dovuto alla sua fuga dal Ministero, a dispetto del marito che si trovava ad Azkaban in attesa di processo. La famiglia Malfoy aveva perso tutto il prestigio di cui aveva goduto in quegli anni, ormai smascherata la sua fedeltà all'Oscuro che era incontrovertibilmente tornato. Draco, a sua volta, era arrabbiato ma soprattutto era spaventato, sapeva che sarebbe arrivata su di lui la ritorsione di Voldemort prima o poi.

Con un pesante macigno sulle spalle Artemisia si fece spazio tra le stanze di quella villa, si sistemò nella sua lussuosa stanza: grande più dello studio si Severus, adornata di argento e velluti verdi, mobili intarsiati e marmi candidi. Le sarebbe sembrato di essere una principessa se non si fosse sentita profondamente prigioniera. Appena sedutasi alla scrivania avrebbe voluto prendere penna e calamaio e scrivere a Severus, non sapeva se l'avrebbe implorato di venirla a tirare fuori da lì, o se l'avrebbe rassicurato simulando di star bene, comunque non gli scrisse. Non poteva scrivergli. Non poteva vederlo.

Si sollevò irascibile dalla scrivania e decise di sistemare le valige, voleva mettere ordine almeno all'esterno per non soffrire troppo il caos che imperversava dentro di lei. Trovò, in cima al baule la sua divisa: gonna, camicia, cardigan e cravatta verde-argento. La carezzò con delicatezza e la mise in fondo a un ripiano dell'armadio, non le sarebbe più servita ma disfarsene le sembrava un gesto troppo drastico. Quando ebbe ordinato tutto, persino i suoi libri sulle mensole e uno sul comodino, si ritrovò, drammaticamente, a dover scendere al piano inferiore per la cena.

Il primo dei molti pasti che avrebbe affrontato al Maniero Mafoy fu uno dei più tranquilli eppure le sembrò invivibile. Lei stava seduta in fondo, di fronte sedeva Draco con affianco sua zia Bellatrix, poi Narcissa. Artemisia scoprì con fastidio che al suo fianco sedeva Dolohov, poi un posto perennemente vuoto, probabilmente riservato a Lucius. A capo tavola un altro posto vuoto, col tempo Artemisia scoprì che invece era spesso occupato da Voldemort, e in quei casi non erano momenti piacevoli.

"Ah, la ragazzina è arrivata", fu la prima cosa che si sentì dire non appena ebbe messo piede in sala. Bellatrix era estremamente incuriosita da lei.

"Si, Artemisia sarà da noi per tutta l'estate, e forse per tutto l'anno", le parole piene di risentimento di Narcissa.

"Hai finalmente finito quella insulsa scuola?" le chiese Antonin mentre prendeva posto di fianco a lui.

"Sì, giusto ieri ho avuto i risultati" la risposta di cortesia.

"Conoscendoti avrai preso il massimo in tutto" le parole piene di infame ironia di Draco.

Artemisia soppesò la risposta da dargli, a quel tavolo si sentiva esposta e poco portata a farsi notare.

"Le conoscenze apprese ad Hogwarts non sono rilevanti, imparerò molto di più qui, sbaglio Dolohov?" si rivolse con inaspettata cordialità al suo vicino che ne parve compiaciuto.

"Certo! Se vuoi iniziamo già domani mattina", anche Antonin sembrava più cortese, forse, nel profondo si sentiva debitore per l'intervento di Artemisia con il Signore Oscuro.

Una finta tosse interruppe la loro conversazione, Narcissa li stava richiamando alla tavola dove il cibo stava per essere servito.

Le sue giornate al Maniero furono abbastanza ripetitive: ogni mattina si alzava e faceva colazione da sola, qualche volta incontrava Narcissa che come lei si alzava molto presto ma non si scambiavano mezza parola neanche di cortesia, poi raggiungeva Dolohov in giardino o in una sala adibita agli allenamenti e passava con lui diverse ore, pranzava, e poi aveva interi pomeriggi vuoti. Erano il momento peggiore quei pomeriggi. Passava un tempo non quantificato a combattere con le domande, i dubbi, le mezze risposte, la frustrazione, la mancanza. Una mancanza che le toglieva il respiro e le faceva venire un groppo in gola che non poteva sciogliere se non piangendo.

Dopo un paio di settimane di quella routine pensò che sarebbe impazzita lì dentro. Si stava allenando fino allo sfinimento con un Dolohov sadico e vendicativo, che a ogni suo errore glielo faceva pagare due volte, la prima quando la compiva e la seconda come punizione.

"Non hai energie! Non è divertente così" sbuffò infine come se gli avessero rotto il giocattolo preferito. Vedendo che non replicava si arrabbiò.

"Guardati! Non ti reggi in piedi. Che fai la notte? Le ore piccole? Ti diverti, eh. Sei giovane, fai divertire anche me a questo punto".

Il suo tono derisorio, le allusioni, la fecero reagire come un gatto a cui si pesta la coda. Si sollevò da terra, dove era caduta dopo uno schiantesimo e conseguente cruciatus.

"Non mi diverto per niente e se provi ancora a provocarmi io-"

"Tu cosa? Non sarai mai neanche capace di disarmarmi, figuriamoci farmi del male" la interruppe ridendo.

"Sei un uomo spregevole e sadico" gli ringhiò contro e lo sfidò sollevando lo sguardo.

"Hey, sono un mangiamorte e se non te lo ricordassi lo sei anche tu", Antonin iniziò a camminare distrattamente lungo il perimetro del giardino seguendo la linea dove al prato si sostituiva la ghiaia bianca.

"Io lo sono diventata per la conoscenza" si difese Artemisia con orgoglio

"Ah già, tu sei quel prototipo di mangiamorte, noiosi ma non i peggiori" commentò ad alta voce.

"Che altri prototipi esistono secondo la tua attenta analisi?" anche lei si fece sarcastica, ora il discorso la incuriosiva. Dolohov arrestò il suo passeggiare e le si avvicinò nuovamente.

"Non tutti i mangiamorte credono negli ideali di sangue, anche se questa è sicuramente la categoria più nutrita; altri desiderano il potere in una sua qualsiasi forma, che sia politica, monetaria, anche l'uso della violenza è potere; altri lo sono per paura, e questa è la peggiore categoria perché se dovessero avere paura di qualcos'altro potrebbero tradire la causa; poi ci siete voi che aspirate alla conoscenza, i cerebrali, una noia mortale", le spiegò.

"E tu ovviamente appartieni alla categoria dei violenti"

"Posso considerarmi un membro illustre, sì" rispose rallegrandosene malsanamente ma non abbe il tempo di gioirne abbastanza che la bacchetta gli volò di mano.

"Stronza, stavamo parlando!" si innervosì andando a recuperare l'oggetto sul prato.

"Ti ho disarmato, prima o poi riuscirò anche a farti del male".

Aveva pranzato e il tepore del sole pomeridiano le stava facendo anelare di buttarsi sul letto e provare a dormire, ma sapeva già che non ci sarebbe riuscita e che, più probabilmente, si sarebbe ritrovata stesa sul materasso con gli occhi sbarrati verso il soffitto a crucciarsi su ogni aspetto della sua vita attuale. Camminò senza una meta per i corridoi incontrando pochi mangiamorte a cui rivolgeva un saluto distratto, fin quando una figura nera le si accostò.

"Ti ho sentita con Antonin prima. E ti ho vista. Deperita. Debole. Ma furba. Hai una bella testa." La voce acuta di Bellatrix le si insinuò dentro pericolosa.

"Salve Signora Lestrange" le si rivolse ossequiosa

"Oh via, via. Niente noiosi formalismi, siamo tutti pari qui. E solo Lui è superiore" parlava con una fastidiosa concettosità, ogni frase era spezzata e subiva improvvise pause ed accelerazioni.

"Va bene, Bellatrix, me lo ricorderò, ora però vorrei andare in camera" cercò di svincolarsi dalla conversazione ma non ci riuscì.

"Antonin ha ragione, sei una cerebrale, eppure si sbaglia, non sei noiosa ma ti annoi. Questi pomeriggi vuoti, le notti ancor di più, con il lumino acceso fino al mattino. Ho qualcosa per te, vieni".

Artemisia non si poté sottrarre alla stretta di Bellatrix intorno al suo polso, e la trascinò in un'altra ala della villa facendole varcare un'ampia porta di ebano. Al di là delle ante vi scoprì la biblioteca dei Malfoy, con alti soffitti affrescati e pareti ricoperte di scaffali e mensole decorate, libri dalle copertine antiche e preziose. Gli occhi di Artemisia brillarono.

"Penso che tu abbia più bisogno di questo che di quei patetici allenamenti con Antonin" le disse Bella mentre lei era focalizzata su una sezione dedicata alle pozioni.

"Tieni", si voltò e vide che la mangiamorte le stava porgendo alcuni libri.

"Tutti noi abbiamo iniziato con questi, quando li avrai finiti vieni a chiedermi con cosa puoi continuare", in quell'ambiente sicuro e ovattato anche la mania di Bellatrix sembrava ridimensionarsi, stare lì la riportava a prima di Azkaban, a prima di perdere totalmente il senno.

Artemisia riconobbe il primo dei libri della pila. Era il manuale datole da Crouch l'anno prima e ora che aveva l'opportunità di leggerlo non vedeva l'ora di farlo.

Passò i pomeriggi successivi studiando i libri datele da Bellatrix, era avida di informazioni mentre i suoi occhi scorrevano rapidamente sulle pagine e le sue labbra mimavano incantesimi dalle formule lunghe e contorte, spesso erano vere e proprie cantilene, atti performativi che richiedevano molta energia e concentrazione. Era affascinata da molte delle cose che leggeva, alcune la inquietavano, ma alla base stava una curiosità famelica. Quando arrivava la sera era stanca per le molte ore passate a leggere e si addormentava con molta più facilità. Si stava riprendendo da quelle prime due settimane e la sua nuova quotidianità le riempiva tanto le giornate che il tempo per fermarsi a pensare non lo aveva più, se avesse voluto avrebbe potuto trovarlo ma le faceva più male pensare alla lontananza, al suo compito, al prima, che andare avanti per inerzia.

"Hey, e questo dove l'hai imparato?" le chiese stupito Dolohov dopo essersi visto lanciare contro una maledizione discretamente potente.

"Letta su un libro"

"Ah ecco, la cerebrale", oramai la chiamava quasi unicamente con quel nomignolo. "Che ne dici? Te la senti per uno scontro serio?"

"Quanto serio?" fu la domanda precauzionale.

"Non mortale". "Accetto".

Su accordo di entrambi fu chiamata Bellatrix a presenziare allo scontro.

Artemisia sentiva il cuore batterle furiosamente nel petto, le orecchie ovattate, un fischio continuo in sottofondo. Avanzò: Uno... Due... Tre passi...

Si gettò a destra evocando contemporaneamente uno scudo e la fortuna la sostenne perché nella scommessa 50/50 Antonin aveva puntato a sinistra. Iniziò ufficialmente il duello e i sensi di Artemisia era tornati totalmente vigili.

Incarceramus, stupeficium, everte statim. Nessuno dei suoi incantesimi non verbali lanciati a ripetizione riusciva a rompere lo scudo dietro il quale il suo avversario stava riparato.

Bombarda maxima! Urlò interiormente e una forte esplosione fece cedere la barriera magica. Ma non ebbe il tempo di esultare perché un forte sibilo le giunse alle orecchie e si spostò appena in tempo per non essere colpita dal dolohoferio.

"Avevamo detto non mortale!" gli urlò contro spaventata e arrabbiata.

"Non abbiamo mai detto quanto dovesse o non dovesse essere doloroso" fu la risposta che precedette un lampo di crudeltà negli occhi marroni di Antonin.

Artemisia approfittò: flatus fractus. La punta della sua bacchetta si illuminò e si rispense, temette che l'incantesimo non fosse riuscito, era la prima volta che lo provava, poi udì un tonfo e alzando lo sguardo trovò Dolohov con una mano all'altezza della gola, il respiro affannato, il volto rosso, con l'altra mano agitava la bacchetta spasmodicamente finchè non gli riuscì il contro incantesimo e quella sensazione di soffocamento si dissipò.

Un silenzio teso era spezzato solo dalla sua tosse nervosa ma Artemisia non ebbe il tempo di sfruttare quel momento perché un accecante lampo scarlatto la colpì mentre l'avversario stava ancora piagato in avanti boccheggiando.

Artemisia urlò e urlò ancora contorcendosi dal dolore della cruciatus mentre, con tutta calma, Antonin si riprendeva e le si avvicinava.

"Questa non ti ammazza, potremmo rimanere così per ore, che ne pensi?" le chiese ilare godendo di quel momento di rivalsa.

Le si avvicinò ulteriormente, la sovrastava ghignando mentre lei si contorceva al suolo, i suoi piedi agitandosi convulsamente urtavano le caviglie del suo aguzzino.

Si concentrò, quel dolore era solo mentale, Severus riusciva a controllarlo, anche lei poteva. Chiuse gli occhi e svuotò la mente, spinse furiosamente dentro un ripostiglio quei coltelli infuocati che le trapassavano la carne e il dolore si fece sopportabile. Un ultimo sforzo, caricò la gamba e calciò contro la tibia. Sentì urlare, il dolore delle cruciatus interrompersi veramente, e a prevenzione evocò uno scudo intorno a sé.

Un'altra maledizione si infranse sulla barriera magica ed ebbe un attimo di respiro da quella insostenibile tortura. Era stravolta ma poteva continuare e sentiva la rabbia scorrerle dentro violentemente, forse erano solo gli strascichi della cruciatus, ma lei si sentiva furibonda. Intanto altri incantesimi stavano cercando di intaccare il suo riparo ma quello reggeva agli attacchi.

Dolohov era indignato, era stato interrotto da un calcio, un calcio alla vecchia maniera sugli stinchi, che l'aveva fatto urlare dal dolore. Doveva ricordarsi che quella ragazzina sapeva picchiare, perché non esitava a farlo neanche sotto maledizione. Inoltre stava scaricando i suoi incantesimi più crudeli su quello scudo che non accennava a disfarsi e man mano i suoi attacchi si erano fatti più rapidi ma anche più prevedibili.

Stava caricando il successivo incantesimo, che era certo avrebbe mandato in frantumi il riparo, quando una dozzina di ragazzine identiche gli si pararono davanti, tutte avvolte da un oscuro fumo nero e violaceo. La voce di Artemisia rimbombò da tutte e dodici le bocche.

"Ti arrendi, Antonin?"

"Ragazzina, finiscila di giocare, stai chiaramente perdendo" urlò contro le figure.

"Peggio per te"

Le copie di Artemisia furono avvolte dal fumo che si deformò in immagini inquietanti e spaventose, poi si compattò a cupola sopra le loro teste gettandoli nell'oscurità priva dei raggi solari.

Artemisia attese, attese pazientemente l'impazienza di Antonin

"Ma che cazzo fai? Non si vede nulla!" si agitò nell'oscurità

Non appena una luce scaturì dalla bacchetta del mago, un Lumos Maximum lanciato al centro dello spazio per illuminare l'ambiente, si ritrovò circondato da sottili fiamme bluastre che illuminarono il suo volto e la sua barba di una luce triste.

Bellatrix si avvicinò incuriosita.

"Io non lo toccherei Bella" la richiamò la ragazza camminando verso il cerchio.

"Si chiama Corona Ignis, è un assedio di fuoco, se facessi restringere l'anello tu moriresti carbonizzato. Ma abbiamo detto 'non mortale', quindi mi accontenterò della mia proclamazione a vincitrice".

"Vincitrice?! Ma che dici? Conosco sicuramente il contro incantesimo!" si agitò l'uomo guardando Bellatrix dall'altro lato cercando di convincerla a non decretare ancora nulla.

"Ne dubito Antonin, se non interrompo io l'incantesimo il tuo unico modo per uscirne è con delle rune. Ma dubito che tu sia un cerebrale" un sorriso furbo si fece spazio sul volto di Artemisia mentre osservava l'espressione confusa dell'uomo.

"Mi sa che ha vinto lei sta volta. Conoscenza 1 – violenza 0", sancì la mangiamorte. 


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Capitolo ex novo, non presente nella precedente versione. Spero vi piaccia e che aggiunga qualcosa sul rapporto di Artemisia con Antonin e Bellatrix. Con questo siamo ufficialmente entrati in quella che è la seconda parte della storia. 

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