Capitolo 12
Quasi tremava mentre stava davanti a quella porta scura. Era passata prima in dormitorio per posare i suoi acquisti e per cambiarsi, i suoi vestiti erano umidi e troppo caldi per la temperatura che c'era di solito nelle stanze di Piton. Aveva indossato una gonna a tubino nera con sotto le calze e una camicia bianca morbidamente infilata nella gonna.
Finalmente si decise a bussare, erano quasi le otto, tardi per una cena inglese. Trovò Piton seduto sulla sua solita poltrona, lui si alzò appena la sentì entrare, la squadrò la capo a piedi perdendosi infine nei suoi occhi verdi, si rese conto che l'aveva sempre fatto, l'aveva sempre osservata con attenzione ma non aveva mai ascoltato le reazioni che gli causava.
"Ci hai messo tempo ad arrivare", "Si...mi scusi", "Non fa nulla, era una semplice constatazione", mettere le persone a proprio agio non gli riusciva naturale ma Artemisia lo sapeva.
"Stai bene così vestita" la ragazza arrossì di colpo, i complimenti di Piton avevano tutt'altro effetto rispetto a quelli di Lidia. "Ah, ehm, grazie" si sentiva una ragazzina alle prime armi ma lei non lo era, aveva avuto una relazione importante durata due anni con una persona che amava, ci era stata insieme, aveva avuto le sue esperienze, ma ora davanti a lui, che era capace di metterla in soggezione solo guardandola, si sentiva una novellina.
"Anche lei sta bene vestito in maniera meno formale", "Mi hai visto spesso così", "E ho sempre pensato che stesse bene", Piton sorrise ironico facendole cenno di sedersi al loro solito tavolo e accompagnò la sedia mentre si accomodava, poi si sedette di fronte a lei e chiamò Winnie che arrivò già con il cibo.
Iniziarono a mangiare il filetto che l'elfo aveva portato, e a bere il vino elfico, Artemisia però dopo qualche sorso si fermò rendendosi conto che, complice il whisky di qualche ora prima, stava iniziando a darle alla testa. "Non bevi?", "Ho già dato ai tre manici di scopa, e ho discusso con gli altri", Piton alzò un sopracciglio guardandola interrogativo, "Cose da teste di legno. Gabriel e Lidia avevano fatto una stupida scommessa", "Per questo eri sola?", "Sì, mi hanno dato fastidio e me ne sono andata", non indagò oltre. Finirono di mangiare e si alzarono per spostarsi sulle poltrone, Piton si sedette osservandola camminare fin quando non si fermo per chiedergli: "Posso fare una cosa?", non attese risposta e si diresse verso un quadro, "Scusi preside ma non è gradito", e voltò il quadro al contrario con Phineas Black che si lamentava.
Quando si voltò di nuovo verso l'insegnante, lui la stava osservando con un sorriso divertito e soddisfatto, quello sguardo era così ardente che si passò una mano tra i capelli a disagio.
Si sedette come al solito sul bordo del camino ma si dovette spostare sulla poltrona di fronte perché il caldo era insopportabile. Tra loro c'era un silenzio opprimente ma Piton non sembrava percepirlo, così Artemisia si fece coraggio: "Cosa sta pensando?". Attese qualche secondo prima di risponderle: "Potresti anche darmi del tu a questo punto sai?", "Si, certo, cioè, va bene, io..." non riusciva a formulare una frase di senso compiuto e quando Piton si alzò avvicinandosi di quei due passi che dividevano le sedie le fu talmente difficile che ci rinunciò. "Da quando ti mancano le parole?", "Da quando nella mia testa non c'è un minimo di ordine", lui rise con voce roca e lei avvertì una stretta al basso ventre, si fece più dritta per recuperare una parvenza di compostezza ma così facendo si trovò talmente vicina alle labbra di Piton che sentiva il suo respiro sul viso, e il cuore rimbombava nelle orecchie e nel petto. Piton voleva un cenno da lei, uno qualsiasi che lo facesse desistere ma questo non arrivò, anzi: "Severus..." sussurrò lei con voce tremante a quel punto l'uomo quasi aggredì quelle labbra a cui aveva pensato tutti il giorno, le labbra di quella ragazza a cui pensava da molto più tempo. Lei rispose a quell'assalto con altrettanto trasporto e prese l'iniziativa stupendo positivamente Piton: si alzò dalla poltrona senza spezzare mai quel contatto e lo spinse indietro fino alla sua poltrona, lo fece sedere e si posizionò sopra di lui. Le mani dell'uno scorrevano sul corpo dell'altro ma nessuno osava spingersi più in là, fu Artemisia, dimostrando che non era una ragazzina alle prime armi, a prendere le mani grandi dell'uomo e spostarle all'altezza dei suoi seni e iniziare a sbottonarsi la camicia mentre lui la carezzava completamente assorbito da quella visione. Piton a quel punto le sfilò l'indumento scoprendo l'intimo nero in pizzo, si abbassò a baciare quei seni piccoli e giovani, e vi lasciò alcuni segni rossi percorrendo l'orlo del reggiseno. Stava impazzendo, voleva che si sbrigasse ma lui se la prendeva comoda e la esasperava, con le mani che non ne volevano sapere di smetterla di tremare sbottonò anche la camicia dell'uomo soffermandosi a osservare ogni parte di quel corpo, le spalle larghe e ben definite, i muscoli delle braccia ben disegnati e armoniosi con il fisico asciutto e tonico. La baciò sul collo facendola ansimare rumorosamente, era come essere ubriachi. Le portò le mani dietro la schiena e la accompagnò in un movimento ondulatorio che accrebbe il suo desiderio, le sganciò il reggiseno liberandola da quella costrizione. Si alzò in piedi e Artemisia stupita quasi urlo e si strinse con le gambe ai suoi fianchi stretti. Piton si diresse verso la sua camera da letto e la adagiò sul materasso iniziando a baciarle leccarle e morderle i seni per poi scendere verso la gonna attillata, stava per sfilargliela quando Artemisia lo fermo. "Aspetta" ansimava ma nei suoi occhi c'era un velo pesante, "Mi dispiace... io...", egli la zitti con un dito sulle labbra, c'era voluta una grandissima forza di volontà per fermarsi ma la capiva e la rispettava profondamente. "Non preoccuparti, prendo i tuoi vestiti", si stacco da lei, e il contatto di quel corpo le mancò come l'aria. Aspettò che tornasse, sola su quel letto dalle lenzuola pregiate, non sapeva neanche lei perché l'avesse fermato, sapeva solo che se non l'avesse fatto se ne sarebbe pentita. Si sarebbe scusata per un'altra mezzora se quando Piton fosse tornato non avesse esordito così: "Ma tu non eri lesbica?", Artemisia arrossì all'istante, "Sì... cioè no! Sono bisessuale però non sono mai stata con un uomo". "Mentre con Eva sì" disse mentre con tutta la calma del mondo si toglieva i pantaloni rimanendo in boxer per poi iniziare a infilare il pigiama, Artemisia lo osservava desiderosa e infastidita contemporaneamente, come si poteva avere così tanta disinvoltura a spogliarsi?
"Siamo state insieme due anni! Ci conoscevamo da cinque!" si mise lei sulla difensiva, "Non ti sto giudicando, era solo una domanda".
Artemisia decisamente a disagio si passò una mano tra i capelli. "Ti rilassi?", chiese esasperato con le braccia al petto, "Non mi è proprio facile", "Eppure questa dinamica non ti è nuova professore-alunna, un caso o un vizio?" commentò cinicamente ghignando sardonico, "E dai, Severus!".
Lui rise di gusto, beandosi del suo nome pronunciato da lei, e si mise sotto le coperte mentre lei rimase seduta ai piedi del letto ad osservarlo disorientata.
"Stavo pensando" disse dopo un attimo l'uomo, "domani non ci sono lezioni, potresti dormire qui", lei era assolutamente confusa: "Come vuoi tu, immagino che il mio letto non sia fatto ma ci penso io non ti preoccupare". Si alzò dirigendosi verso la porta quando Severus la richiamò: "Intendevo qui, non nella tua stanza", "Ah..." fu la prima risposta di Artemisia, "come vuoi", egli alzò gli occhi al cielo, "Se te l'ho chiesto".
Incerta trasfigurò la sua camicia e il suo pantalone in quelli di un pigiama. "Posso usare il bagno?", chiese indicando quello in camera e lui accennò un sì con la testa. Quando fu davanti allo specchio si guardò: aveva le guance arrossate, gli occhi leggermente lucidi, si sentiva imbarazzata e confusa ma cercava di non pensarci.
Tornò in camera e spostando appena le coperte si sdraiò, si mise su un fianco osservando Piton che leggeva un libro tenendolo in una mano mentre nell'altra aveva la bacchetta che gli faceva una leggera luce sulle pagine. Doveva stare molto scomodo. Si sollevò leggermente avvicinandosi all'oggetto magico.
"Aspetta", allungò una mano stringendo in un pugno quella piccola sfera si luce, se la rigirò sulla punta delle dita in modo incredibilmente fluido mentre quella le illuminava il viso con una luce sempre diversa, Piton si ritrovò a pensare per l'ennesima volta a quanto fosse bella.
Le aveva chiesto di restare e si rendeva conto fosse stata una richiesta insensata ma ora che l'aveva affianco a sé non se ne pentiva affatto. Artemisia lasciò quella luce abbandonandola una decina di centimetri più in su del libro. Lui la guardò con affetto e desiderio, "Buonanotte Artemisia", "Buonanotte Severus".
Una bocca calda le baciava il collo, due mani forti la stringevano a sé trattenendola nonostante lei si stesse dimenando. Veniva spinta e bloccata contro il muro e quelle mani iniziavano a vagare lungo il suo corpo, un respiro caldo si scontrava con il suo viso, appiccicandoglielo di un'umidità viscida.
Spalancò gli occhi trovandosi bagnata di un sudore freddo, si mise a sedere ansimando cercando di recuperare un ritmo cardiaco normale. Un senso di oppressione le schiacciava il petto facendole venire voglia di piangere, stava tremando dal freddo. Non si accorse di Piton che si era appena svegliato, la osservò un attimo cercando di capire cosa fosse successo e quando la vide tremare in maniera così incontrollata si drizzò affiancandola, solo quando le mise una mano sulla spalla si accorse di lui sussultando.
"Cos'hai sognato?", "Niente", "Non sembra niente" disse con la voce bassa per il sonno ma che la calmò incredibilmente. "Ho sognato mio padre" ammise infine e Piton capendo cosa dovesse aver sognato si fece improvvisamente serio, "È colpa mia", si dava la colpa, per sognare una cosa del genere doveva aver richiamato con i suoi comportamenti quel ricordo. Lei subito fermò quel flusso di pensieri "No, no! Mi capita quasi tutte le notti di avere incubi, tu non c'entri nulla", rimasero in silenzio per un po', lui cercava un qualsiasi indizio che lei si sentisse ancora poco bene ma si era ripresa dall'incubo e ora lo guardava mordendosi l'interno della guancia.
"Professore dovremmo parlarne?" si convinse a porre quella domanda che la stava assillando. Ora i dubbi si stavano affacciando e lei era divisa in un enorme bivio: assecondare o no? Aveva una risposta ed era godersi tutto, goderselo finché poteva, fino alla guerra, perché l'affetto e la fiducia che provava per lui li aveva sperimentati solo per un'altra persona.
Piton si indurì, e quell'espressione quasi serena che aveva divenne la sua solita maschera: "Decisamente", quel tono privo di qualsiasi inflessione le fece scorrere un tremito d'ansia lungo la schiena. "Tu che vuoi fare? Cioè..." temeva di sbilanciarsi, di essere allontanata, mettere l'argomento in mezzo non le sembrava più una grande idea. Gesticolava mentre parlava e si passava di continuo le mani tra i capelli. "Vuoi dire qualcosa o parlo io?" chiese un suo supporto che non arrivò: "Prego" non era affatto di aiuto ed era certa che segretamente si stesse divertendo a vederla in difficoltà: "Di solito in queste situazioni sono quella che scappa dai discorsi seri" commentò tra sé ma Piton non mancò l'occasione di dare aria alla bocca: "Indovina, anche io". Sbuffò esasperata e si mise più dritta prima di iniziare a parlare:
"Io non lo so cosa vuoi fare però qualsiasi sia non voglio che torniamo a non rivolgerci la parola, a trovare in tutto un motivo per attaccarci, se ho questo come certezza a me va bene qualsiasi modo vada", l'uomo l'ascoltava attentamente osservando come le parole studiate venissero tradite dai movimenti del corpo i quali facevano trasparire l'agitazione. Provò tenerezza.
"Se non lo dico ora, in piena notte, non immagino quando potrei ma dirlo quindi... io non vorrei tornare indietro", ce l'aveva fatta, si era sbilanciata ma aveva fatto il primo passo e ora la palla era a lui, nel silenzio che seguì la tensione fu palpabile.
Piton rimase interdetto per alcune frazioni di secondo. L'averlo fermato prima che facessero sesso, l'incubo in piena notte e il preambolo che aveva dato al discorso lo avevano convinto che la sua volontà sarebbe stata opposta, che gli avrebbe detto di tornare al loro rapporto di sempre. Del resto lui non si sarebbe mai scelto se fosse stato in lei, era un uomo molto più grande, con un brutto carattere, non era bello né affascinante... perché continuare? Un gesto impulsivo come il bacio della sera prima lo poteva capire, anche l'essere stati a un passo dal sesso se considerava di averla apertamente provocata, ma scegliere consapevolmente di continuare gli sembrava incomprensibile. Eppure non volle dare ascolto alla sua scarsa autostima, alle perplessità e i dubbi perché più la guardava più la desiderava. Voleva essere egoista per una volta e tenersi stretto quella donna.
"Neanche io voglio, però... capirai che non ci può essere una relazione tra noi, una relazione stabile", si assicurò di mettere in chiaro.
"Non te l'ho chiesta", "No infatti, e va bene così"
"Vuoi un legame solo fisico? A me va bene, sì mi va bene", si affrettò ad assecondarlo lei, senza dare ascolto a quello stridio dentro di lei che la avvertiva dell'errore. Ma per averlo vicino avrebbe accettato qualsiasi cosa.
"Sì è questo che intendo".
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