Capitolo 10
Dopo quella conversazione Piton divenne più irascibile del solito, Albus non gli aveva risposto ma lui sospettava le motivazioni dietro e non ne era contento. Non sopportava l'idea di ritrovarsi quella ragazzina lì, al cospetto dell'oscuro, l'anello più fragile della catena e il primo sacrificabile, non sopportava che potesse essere costretta a uccidere, che potesse sporcarsi di ombre, sangue ed urla, che potesse essere torturata per un compito non assolto. Si fidava di lei, delle sue capacità, avrebbe potuto sopportare tutto quello, ma lui? Avrebbe rivisto troppo di sé che da giovane aveva commesso il peggiore sbaglio della sua vita, ma l'aveva fatto di propria volontà, non indotto da qualcun altro. Non capiva il perché Albus, che l'aveva sempre vista come un pericolo, si fosse improvvisamente ricreduto.
Quando la vedeva spensierata con i suoi amici una sensazione di fastidio gli attanagliava lo stomaco, lei non sapeva cosa l'attendesse e non conosceva i piani di quel folle di Albus. La osservava alla mattina in Sala Grande ripetere sui libri ripassando un'ultima volta prima delle lezioni, quello era un anno difficile per lei, aveva gli esami a fine anno e in quel clima causato dal ministero sarebbe stato tutto più pesante.
Quel senso di fastidio lo portò a essere ancora più scostante nei suoi confronti, a trattarla con una tale sufficienza e scortesia che a volte temé che gli avrebbe sbraitato contro davanti a tutti ma così non era stato. Si limitava a fulminarlo con gli occhi e mordersi l'interno della guancia per non maledirlo, a volte era capitato che quegli occhi non esprimessero rabbia, lo guardava dal basso in alto, la bocca leggermente schiusa in una muta domanda non espressa per la rassegnazione e quella stessa rassegnazione la portava ad abbassare lo sguardo lontano dal suo e sospirare appena.
Una sera tornando dalla Sala Grande dopo cena si era fermato in biblioteca a prendere un libro dal reparto proibito. Stava girando tra gli scaffali semibui, talmente silenzioso che si sarebbe potuto pensare levitasse a qualche centimetro del pavimento. La biblioteca era vuota, dopo cena tutti tornavano nelle rispettive Sale Comuni, solo una scrivania leggermente in disparte sotto una vetrata era illuminata. Piton non se ne interessò continuando la sua ricerca ma passò proprio lì vicino e si rese conto che la ragazza seduta era Artemisia, addormentata su un libro di trasfigurazioni con la mano sotto al viso e gli occhi stanchi chiusi delicatamente, sembrava serena. L'aveva già vista dormire, era capitato si addormentasse nel suo studio seduta sulla poltrona dopo una lezione particolarmente stancante, non si era però mai soffermato a osservarla. Era tenera, nulla gli ricordava la ragazza determinata, con la risposta sempre pronta e gli occhi vivi di ironia.
Gli mancavano i discorsi con lei dopo cena, gli mancava essere continuamente stupito dalle sue capacità e dal suo acume. Ricordava distintamente una sera: lui era alla scrivania intento a comporre le verifiche e lei vicino al camino stava leggendo un libro di magia avanzata, aveva alzato la testa verso di lui e aveva detto: "Professore ma quali sono i limiti della magia?", lui l'aveva guardata curioso, "La trasfigurazione ad esempio, se si è abbastanza potenti si può modificare la forma, la dimensione, la materia stessa di un oggetto. Per la forma ci troviamo ancora ma con la dimensione? Quando si trasfigura una penna in un ago, dove va la materia in eccesso? E se fosse il contrario allora da dove viene? E quando si fa evanescere o si evoca un oggetto dove va? Da dove viene? E quando si trasforma un oggetto in un animale gli si dà un'anima o è solo un involucro vuoto?", Piton non si era mai posto quelle domande ma ora che lei gliele metteva davanti così non sapeva cosa rispondere: "Immagino che vista da quest'ottica possiamo accettare la verità di Democrito, che la realtà sia fatta di atomi che aggregandosi a seconda della geometria con cui si aggregano ci appaiono in modo diverso.", Artemisia però lo smontò subito avendo già ragionato su quell'ipotesi.
Era immerso in quei pensieri quando vide la ragazza agitarsi prossima al risveglio, fece alcuni passi indietro poggiandosi contro una libreria, se ne sarebbe dovuto andare ma rimase lì, a guardarla mentre si svegliava. La vide aprire appena gli occhi, lui era dietro di lei leggermente alla sua destra e non fu notato. La ragazza sbatte alcune volte le palpebre, sbadigliò e inspirò profondamente. Si voltò per mettere i libri nello zaino e sobbalzò appena lo vide, imprecò tra sé e sé prima di rivolgersi a lui.
"Non le hanno insegnato che non si fissano le persone mentre dormono?" lo aggredì, era arrabbiata con lui, giustamente. "A lei non hanno insegnato che non si dorme in biblioteca?", Artemisia sbuffò già rassegnata, non voleva parlargli, era una perdita di tempo in ogni caso e lei stava solo peggio dopo. Era perennemente combattuta in sensazioni contrastanti, quando lo vedeva un senso di euforia incontrollato la pervadeva poi però subentrava quel senso di rabbia e delusione e le mancavano le forze e la voglia anche di parlare.
"Allora che ci fa qui?", chiese lei mentre metteva i libri apposto, se lui era lì dopo settimane ad ignorarla doveva esserci un motivo.
"Devo prendere un libro", "Va beh" sbuffò tra sé la ragazza, sperava che volesse parlare, prese lo zaino in spalla pronta a tornare in dormitorio. "Buona serata professor Piton", la osservò andare via senza dire nient'altro.
Artemisia si svegliò di assoluto malumore, il pensiero di avere due ore di pozioni si era presentato come prima cosa appena ebbe aperto gli occhi. Indossò la divisa, si truccò decentemente, prese i libri e andò in Sala Grande dove i suoi compagni la aspettavano. "Tutte bene Artemisia?" chiese Lidia preoccupata vedendo la sua espressione scura, rispose di sì e si sforzò di farlo apparire vero sorridendo.
"Ragazzi qualcuno ha fatto la ricerca di erbologia?" chiese Charlotte, "Si, ti serve?" rispose Michael e così la bionda e Gabriel, che si era aggregato, avevano iniziato a copiare la ricerca del castano. Artemisia non prestava attenzione a loro, era troppo impegnata a ricordare l'incontro di un paio di giorni prima, si sentiva una stupida, era evidente che si era aspettata che lui fosse lì per parlarle, ma non era così o almeno era stato bravissimo a mentire.
Andarono tutti insieme in Sala Grande a mangiare, quando Piton prese posto al tavolo dei professori Artemisia non poté che guardarlo camminare e sedersi con quei movimenti che sembravano sempre calcolati, il mantello stesso sembrava muoversi come lui comandava. Solo una gomitata di Kathrine la riuscì a risvegliare, "Ma sei scema?" le chiese la mora massaggiandosi le costole, "No, tu sei scema, ma vuoi finirla? Andiamo avanti così da un mese e mezzo, fattene una ragione".
Dopo pranzo avevano pozioni e Artemisia li costrinse tutti ad arrivare in aula in anticipo, non poteva andarci da sola ma voleva essere certa di prendere le ultime file, più gli stava lontana quel giorno meglio era. Quando Piton arrivò erano quasi tutti in aula, scrisse alla lavagna gli ingredienti necessari alla pozione di quel giorno e spiegò velocemente quali fossero i passaggi fondamentali, si andò a sedere alla scrivania scrivendo su dei fogli.
Artemisia aveva quasi finito, non era una pozione semplicissima dopotutto erano al settimo anno, ma lei era abituata a molto peggio così andò spedita lavorando incessantemente, doveva aspettare dieci minuti prima che la pozione fosse pronta. Si guardò intorno osservando i calderoni dei compagni, mediamente erano buoni. Passati i dieci minuti prelevò una fiala di pozione prima di ripulire tutta la sua postazione, era sempre stata ordinata mentre lavorava, con la coda dell'occhio vide Gabriel prendere delle code di salamandra per metterle nel calderone, le ci volle un attimo per notare che erano di un'altra specie rispetto a quella indicata dal libro. Si allungò e gli fermò il polso appena in tempo, il rosso la guadò interrogativo.
"Sono sbagliate", prese quelle che le erano avanzate sul banco, "Vedi? Sono diverse, devi usare que-", "Carter!", la voce di Piton era più vicina di quanto si aspettasse, si voltò e se lo trovò appoggiato al suo banco, era nero in volto e la sormontava.
"Mi rendo conto che il suo desiderio di eccellere ostentando una conoscenza che non le appartiene sia grande, tuttavia, il compito di supervisionare i vostri intrugli spetta a me e non tollero che una ragazzina boriosa lo faccia al mio posto", la rabbia stava montando dentro Artemisia, per un attimo pensò di fare come sempre, abbassare la testa chiedendo scusa e sperare che lui la lasciasse in pace, ma le occhiate compassionevoli che le lanciavano gli studenti le diedero talmente fastidio che furono la scintilla che accese la miccia.
Si alzò in piedi nonostante l'insegnante fosse comunque molto più alto di lei. Il suo sguardo era illuminato da un astio profondo, da parole non dette, respirò a fondo, recuperò la calma e quando parlò lo fece con un tono calmo ma carico di sarcasmo.
"Mi scusi professore, mi scusi se mi considera boriosa, saccente, incapace, avrei di che commentare su questa immagine che ha dipinto di me, non ho intenzione comunque di dare corda alle sue istigazioni. Mi scusi se ho usurpato il suo ambitissimo posto di insegnante, sta di fatto che se si mettono code di salamandra pezzata invece di salamandra nera all'interno di questa pozione il risultato è il collasso della pozione stessa che si manifesta in una violenta esplosione, se io non l'avessi fermato avremmo rischiato tutti di farci seriamente male", Piton non rispose, alzò un sopracciglio ghignando divertito, prese le code in questione e le inserì nel calderone di Gabriel, tutto questo davanti agli occhi della classe terrorizzata, alcuni si misero sotto i banchi. La pozione iniziò a gorgogliare rumorosamente, da gialla si scurì fino ad assumere una colorazione marrone scura, e quando sembrò che fosse prossima ad esplodere si quietò andando poi a raggrinzirsi sui bordi del calderone. Piton si allontanò tornando dietro la sua scrivania: "Aveva inserito meno radici di bella di notte del necessario", disse semplicemente e probabilmente solo Artemisia capì come le due cose fossero collegate. "Consegni la pozione e si avvii verso il mio ufficio, è in punizione con me immediatamente", la ragazza sbarrò gli occhi, se voleva evitarlo quel giorno aveva fallito decisamente. Si alzò, consegnò la fiala e uscì. Appena fu fuori sbuffò pesantemente, le tremava il respiro, si sentiva mancare l'aria, perché erano arrivati a quel punto? Il suo unico desiderio era che le cose tornassero come prima, quando tra loro c'era complicità, quando lui in qualche modo la considerava, ora le uniche parole che si scambiavano erano di astio, e se non fosse stata lei fino a quel punto a sedare le dispute ogni volta si sarebbero trasformate in un violento litigio. Aspettò una decina di minuti prima di vedere Piton spuntare da un corridoio e camminare verso di lei a passo sostenuto, con un movimento di bacchetta la porta si aprì ed Artemisia entrò prima di lui pur di ritardare il confronto. Quando Piton entrò lei era poggiata a una libreria, le braccia incrociate al petto sulla difensiva.
"Mi chiedo con quale coraggio si sia azzardata a insinuare che io non sappia fare il mio lavoro davanti all'intera classe?", ringhiò avvicinandosi pericolosamente a lei.
"Lo stesso con cui lei mi ha insultata", "Perché mi sbaglio?" chiese l'uomo con un'espressione sadica in volto, "Sì, e lo sa bene, e soprattutto non tollero che mi si dia dell'incapace", Piton si era fermato a meno di un metro da lei, anche lui con le braccia incrociate ma l'atteggiamento era completamente diverso.
Osservava la ragazza con superiorità, si rendeva conto di averla portata al limite ed era consapevole della volontà della ragazza di ricostruire il rapporto che c'era, ma aveva considerato l'allontanarla da lui la soluzione migliore, allontanarla dall'assassino, dal mangiamorte che era tornato ad essere, anche perché sapeva che Silente trovasse come base della sua folle idea proprio quel rapporto preferenziale che aveva con Artemisia. Un paio di giorni prima poi si era reso conto che quel rapporto mancasse anche a lui, e il fatto che metà del corpo docenti gli parlasse sempre di lei per dirgli quanto fosse brava non lo aiutava.
"Non ho detto che è incapace ma che ostenta conoscenze che non le appartengono", "Allora la consideri una sua carenza perché le mie conoscenze vengono da lei" quasi non finì di parlare che Piton l'afferrò per il polso strattonandola ancor più vicina a lui. "Starei attento se fossi in lei", "Se no che fa?", Artemisia lo guardava con i suoi occhi verdi profondissimi illuminati dalla determinazione che l'aveva sempre caratterizzata, i loro sguardi stettero in contatto per tempo interminabile, Piton quasi si perse in quegli occhi che lentamente si oscurarono di delusione e si fecero leggermente lucidi, fu allora che la ragazza spezzò quel legame.
L'insegnante inspirò pesantemente, come se avesse trattenuto il respiro fino ad allora, il cuore gli martellava nel petto e lo stesso faceva quello di Artemisia.
"Andiamo, deve scontare la sua punizione", disse Piton avviandosi verso il suo laboratorio dove fece apparire una decina di calderoni rovinati da farle pulire. Quando entrarono nel laboratorio Artemisia ebbe un moto di malinconia che la fece sorridere appena.
Passarono ore in silenzio, lei puliva e lui leggeva, la campana di Hogwarts suonò ad indicare l'inizio della cena, Piton alzò un occhio su di lei e vide che le mancavano ancora un paio di calderoni.
"Abbiamo finito, è tardi", Artemisia lo fulminò con lo sguardo: "No, voglio finire", "È ora di cena", "Fosse stato un altro non sarebbe cambiato nulla. Sia coerente con sé stesso, magari riesco a capire finalmente cosa pensa di me", Piton non commentò, la osservò continuare a pulire per un'altra ora e mezza. Quando ebbe finito la ragazza si lavò le mani e si pulì i vestiti come meglio poteva, osservò l'insegnante avvertendo un macigno nel petto, forse avrebbe dovuto ancora una volta essere lei a fare il primo passo perché sapeva Piton non l'avrebbe mai fatto. In silenzio l'insegnante l'accompagnò fino allo studio, Artemisia si guardò intorno come aveva fatto l'anno scorso quando aveva dovuto lasciare quelle stanze.
"Professore" lo chiamò incerta, lui la guardò indifferente ma quando vide lo sguardo stanco e lucido della ragazza si addolcì. "Neanche lei ha mangiato", "Manca ancora mezz'ora alla fine della cena", si guardarono mantenendo una distanza che rappresentava benissimo la loro situazione, sarebbero bastati un paio di passi ma nessuno dei due aveva il coraggio di farli, Piton per orgoglio e per un motivo ancor più profondo che non ammetteva neanche a sé stesso, Artemisia per paura di soffrire ancora, ma stava soffrendo più così.
"Ho così tante domande", disse con voce flebile, "Ma non cerca le risposte", "Lei me le darebbe?", "Probabilmente no". Scese nuovamente il silenzio, Artemisia stava con le mani nelle tasche della divisa e si torturava le dita a disagio.
"È stato tutto calcolato? Erano calcolate le serate passate insieme qui?", lo chiese con un disperato bisogno di avere una risposta e Piton pensò che quel momento in cui era così vulnerabile avrebbe potuto ottenere ciò che voleva, avrebbe potuto allontanarla definitivamente, avrebbe potuto slegarla da lui e lui si sarebbe potuto slegare da lei, avrebbe potuto.
"No, questo non lo deve pensare", "Non lo penso ma è quello che appare", "Quello che appare e quello che è sono cose molto diverse", "Lo so, l'ho imparato da lei", Piton avrebbe voluto commentare con il suo solito sarcasmo, smentirla, dirle che lui era esattamente ciò che appariva: uno stronzo, asociale, sadico, cinico. Ma non lo fece.
"La cena è quasi finita" fece notare l'uomo, entrambi si guardarono e un tavolo con due sedie apparve in mezzo alla stanza, "Non so se vuole" disse la ragazza guardandolo incerta e speranzosa. Artemisia in quei momenti avrebbe voluto picchiarsi da sola, perdeva qualsiasi sorta di amor proprio, perdeva l'orgoglio, se lui glielo avesse chiesto avrebbe potuto fare qualunque cosa, nonostante si rendesse conto di ciò era ostinata a non dire a sé stessa la verità, a non dare a quell'affetto, a quella ricerca spasmodica di un contatto, il nome che gli spettava. Piton pensò a lungo a cosa dovesse fare, a cosa fosse meglio fare, ma dopo quasi due mesi ad ignorarsi, dopo il litigio di quel pomeriggio, dopo quella fragilità che gli stava mostrando affidandosi a lui ancora una volta, si rese conto che forse avevano superato un limite e non si poteva più tornare indietro senza farsi troppo male, non lo poteva fare lei e non lo poteva fare lui.
Si voltò e si andò a sedere al posto che era stato il suo per tutto l'anno precedente, Artemisia lo segui sorridendo sinceramente felice, una felicità che Piton non avrebbe mai pensato potesse essere legata a lui. La verità era che loro erano due anime ferite, sole, che si erano riconosciute e stavano iniziando lentamente a capirlo.
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