Giorno 2 - stupida
Non capisco.
Le parole scorrono sotto i miei occhi.
Si confondono.
Le formule si susseguono senza un apparente senso logico.
Eppure mi trovo qui.
Seduta a gambe incrociate nel centro del baldacchino che mi ha vista crescere.
A sussurrare a fior di labbra frasi sconosciute.
È tutta la notte che non chiudo occhio.
Il libro poggiato sul comodino era un richiamo troppo forte.
L'impulso di aprirlo era troppo forte.
Il ricordo di ieri era troppo forte.
E sono confusa.
Da me stessa.
E da Severus Piton.
Lo immagino sepolto nella sua aula umida.
Con il fuoco acceso.
Un libro tra le mani.
E non so perché.
Vorrei solo scacciarmi la sua immagine dalla mente.
E più ci provo, più il suono della sua voce torna a invadermi i ricordi.
Così solitario, scontroso, e saturo di una cultura che sa togliermi il fiato.
Il russare di Ron scandisce i minuti che si trasformano in ore.
E io resto qui.
Sveglia in mezzo ad una notte piena di stelle e di vento.
Con un libro aperto sulle ginocchia.
E la mente stretta in un ricordo che non vuole lasciarmi in pace.
Mi sfioro il palmo della mano.
Lì, dove le sue dita si sono appoggiate per un istante troppo lungo.
Scuoto la testa.
Cerco di scacciare il pensiero con ogni briciolo di forza.
Poggio il libro sul comodino.
Mi corico accanto a Ron che ormai dorme nel mio letto, in un dormitorio privo dei suoi vecchi incantesimi.
Lo osservo.
Ha il viso sereno.
Mi costringo immobile per qualche istante.
Poi torno a sedermi.
Prendo nuovamente il vecchio volume tra le mani.
E leggo.
Leggo fino a veder sorgere l'alba dietro al lago.
E la scuola si sveglia.
Il mattino prende il posto dell'alba.
E tutto ricomincia.
Ancora.
Mi vesto di fretta.
Lego i capelli in una coda di fortuna.
Indosso i miei abiti sgualciti dalla polvere e dal lavoro.
I miei compagni si muovono velocemente.
Mi parlano, forse.
Io li seguo con lo sguardo perso.
Mentre la stanchezza comincia a farsi sentire.
E mi ritrovo immobile, ad osservare la vita scorrere.
- "Ci hai passato la notte con quel libro in mano Herm?...
Che fai? Scendi a colazione con me?"
Ron mi riporta alla realtà.
Sorride.
Sembra felice.
E forse lo sono anche io.
Devo solo trovare la forza di accettare le cose.
Questa scuola distrutta.
Gli amici persi.
Un nuovo inizio da affrontare.
E lui.
Il suo sguardo glaciale, la sua voce profonda, le sue mani calde, tutto quel sapere di cui è intrisa l'aria che lo circonda.
- "Herm?"
Lo guardo interdetta per un attimo.
Mi riscuoto.
- "Comincia a scendere tu Ron, io non ho fame..."
Lui alza le spalle.
Ancora una volta.
Si gira.
Raggiunge Harry che lo aspetta davanti alla grande porta di mogano scuro.
Mi lancia un'occhiata sorridente.
E sparisce.
Lontano da me e dai pensieri che non smettono di tormentarmi.
Osservo il libro che ho abbandonato sul copriletto.
Lo stringo al petto.
E mi scopro gelosa.
Degli occhi verdi di Harry.
Gli stessi che so tormentare le sue notti.
Stupida!
Inforco la porta.
Percorro una strada che tenta con ogni briciolo di forza di ritrovare il suo antico splendore.
Mi incanto davanti alle enormi scale che cambiano direzione improvvisamente.
Sorrido.
Proseguo la mia corsa.
Raggiungo il portone immenso della sala grande.
I quattro tavoli di nuovo al loro posto.
Gli stendardi cangianti di Hogwarts a penzolare stancamente da un soffitto che sembra infinito.
Faccio per entrare.
Poi mi fermo.
E mi prenderei a schiaffi.
Perché so dove voglio andare.
E prego le mie gambe di non permettermelo.
Stupida!
Sono solo una stupida.
Una stupida che si osserva le mani immaginando il tocco delle sue.
Delle tue Severus.
Perché è da questa notte che ti chiamo per nome.
Senza nemmeno essermene resa conto.
Mentre la tua immagine nera continuava a prendermi a calci lo stomaco.
E non so neppure il perché.
Forse ti sento così simile a me.
Più di chiunque altro qui dentro.
È come se non riuscissi più a relazionarmi con nessuno.
Li vedo tutti così pieni di allegria.
Così inclini a non accorgersi della decadenza.
A non voler affrontare il lavoro.
E mi sento sola.
Mi sono sempre sentita sola.
Da quando la guerra è finita.
Fino a ieri.
Quando un mago dall'anima scura ha cominciato a leggermi le pagine di un libro.
Un libro a cui anche tu avevi pensato.
Come ci avevo pensato io.
E ad un tratto ho capito di non essere l'unica.
Scuoto la testa cercando di scacciare l'immagine dei tuoi occhi dalla mia mente.
Ancora una volta.
E mi ritrovo sulle scale che conducono ai sotterranei.
La luce è diversa.
È come se si vergognasse di disturbare questo posto nascosto dal resto del mondo.
La porta della tua aula mi appare con una rapidità che mi fa tremare il respiro.
E adesso sono qui.
E non so cosa dirti.
Io che parlo sempre.
Che conosco sempre la risposta giusta.
Adesso sono senza parole.
E vorrei solo trovarle.
Ed entrare.
E vederti.
Anche solo per un attimo.
Faccio per abbassare la maniglia.
Mi fermo.
Sono un'idiota!
Devo tornare in sala grande.
In mezzo al mio mondo.
Ai miei amici.
Lontana da te.
La porta si apre di scatto.
La tua figura nera conquista il mio sguardo.
E io sento tremare ogni vertebra della schiena.
Perché sono una stupida.
E non so cosa ci faccio qui.
O meglio, ho una paura fottuta di saperlo.
E soprattutto ho una paura fottuta che possa saperlo tu.
- "Ha intenzione di restare qui sulla porta o vuole venire dentro?"
Lo dici sibilando freddo.
Come sempre.
Ti guardo.
Cerco in ogni modo di regalare alla mia voce una parvenza di disinvoltura.
- "Io... Stavo per bussare quando lei..."
- "Stava per bussare da cinque minuti, Granger?"
Punto gli occhi nei tuoi.
Sono impassibili ed infiniti come la notte.
Non ho intenzione di permettertelo.
Ho affrontato troppo per darla vinta alla ragazzina terrorizzata.
E a te.
- "Immagino non sia un segreto per nessuno! Bussare alla sua porta non è mai stata una cosa facile, professor Piton..."
Lo dico.
E poi mi lascio scappare una risata velata di sarcasmo.
Tu resti immobile.
Sollevi un sopracciglio.
Fai un sorriso obliquo.
Uno dei tuoi sorrisi che mi hanno terrorizzata per anni.
E che adesso sembrano ipnotizzarmi.
Stupida!
Ti volti.
Raggiungi la libreria.
Afferri un nuovo, enorme volume.
Lo poggi sulla scrivania.
Lo apri con una maestria che tradisce la tua abitudine.
A leggere.
A studiare.
A conoscere.
E io mi incanto a guardarti.
Perché sono una stupida.
Ti chini sulle pagine.
Allunghi una mano verso di me.
Ed io mi paralizzo.
Sollevi lo sguardo.
Lo punti nel mio.
- "Vuole darmi il libro o nutre una qualche recondita speranza che sia lui a raggiungermi di sua spontanea volontà, Granger?"
Scuoto la testa.
Sorrido.
Mi avvicino.
Poggio il mio momentaneo tesoro sul piano di legno ingombro di pergamene.
Lo apro sulla pagina che ho quasi imparato a memoria.
Osservo una scrittura obliqua solcare l'enorme volume che rapisce la tua attenzione.
- "Sono quasi uguali..."
Sussurro.
Mi guardi di nuovo.
- "Vedo che ha fatto i compiti, signorina Granger!"
Sorrido soddisfatta.
Perché conosco quelle righe.
Anche se tremo all'idea che tu possa anche solo intuire il perché.
- "Ovviamente professore!"
Lasci il tuo sguardo a vagare nel mio per qualche istante.
Poi sorridi.
Così, senza un preavviso.
Senza l'accento di disgusto che ti ha caratterizzato da tutta la vita.
Sorridi a me.
Con un sorriso che sembra diverso.
E io mi riempio di orgoglio e di coraggio.
Perché sono una stupida.
- "Io cambierei questo passaggio, lo sostituirei con questo..."
Dici spostando le dita da un volume all'altro.
Da una riga all'altra.
Da una pagina all'altra.
- "E aggiungerei questo..."
Io mi incanto a guardarti.
Il tuo sapere mi affascina.
La tua cultura mi stordisce.
Ed io vorrei solo ascoltarti parlare.
Volti la pagina.
Mi indichi nuove righe incomprensibili.
Poi mi guardi.
E lo so che è assurdo.
Che non ha senso.
Ma è come se stessi chiedendo il mio parere.
E io non so cosa dirti.
So solo che sono una stupida.
Che continuo ad essere solo una stupida.
Perché improvvisamente non mi importa più nulla delle pietre martoriate.
Delle fontane distrutte.
Delle imponenti sale ridotte a sgabuzzini polverosi.
E mi importa solo di te.
Mi importa solo di poter restare qui ancora un po'.
A sentire la tua voce parlarmi di cose sconosciute.
E magiche.
- "Io non lo so... Se lo dici tu Severus...."
Lo dico di getto.
Mi porto una mano alla bocca.
Trattengo il fiato.
Consapevole di essermi presa una confidenza non richiesta.
Quasi sicuramente non desiderata.
Ti volti.
Punti i tuoi occhi nei miei con una violenza che mi blocca repentinamente il respiro.
Sollevi ancora quel tuo maledetto sopracciglio.
Quello che ho temuto per quasi tutta la vita.
E che adesso sembra farmi impazzire.
Tiri su le spalle conquistando nuovamente tutta la tua altezza.
Il tuo sguardo cambia improvvisamente.
Chiudi il libro di scatto.
- "Sì, lo dico io. Faremo così!"
Lo dici con una voce che non ti riconosco.
Una voce che sembra attraversata dall'impazienza.
È priva di fastidio.
Io ti sorrido.
Annuisco impercettibilmente.
Tu resti immobile ancora qualche istante.
Poi ti volti.
Ti dirigi verso la tua poltrona.
- "Ci vediamo domani... Hermione"
Lo dici abbandonandoti sul cuscino riscaldato dal fuoco.
Sottolineando il mio nome.
Con un velo di sarcasmo.
Trafiggendomi con il tuo sguardo gelato.
Lo dici a me.
In un'aula nascosta da tutto.
E io chiudo gli occhi.
Mi scopro con il volto solcato dall'entusiasmo.
Rido.
Perché non so trattenermi.
Le guance diventano incandescenti.
Mi volto.
Corro via.
Verso un corridoio che sembra promettermi di poter tornare a respirare.
Lo raggiungo.
Chiudo la porta alle mie spalle.
Ci appoggio sopra la schiena.
Mentre il suono del mio nome continua a rimbombarmi nelle orecchie come un martello pneumatico.
Mi copro la bocca con le mani.
E sorrido.
E rido.
Con le braccia che formicolano e le gambe pesanti.
Perché sono una stupida.
Nient'altro che una stupida.
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