"Olfatto" o "L'odore del successo"

James si sedette con uno sbuffo stanco. Le sue vecchie articolazioni scricchiolavano da qualche anno ormai e non c'era niente di meglio che adagiarsi sulla sua poltroncina preferita e allungare le gambe su una sedia.

Stava incominciando a godersi il momento che il lavello della cucina si chiuse e la voce della moglie gli arrivò rauca alle orecchie.

-Dovresti telefonare a tua figlia- gridò oltre la porta spalancata della cucina.

James sbuffò contrariato. -Non potresti pensarci tu dopo?-

-No, fallo tu ora!-

-Agatha, mi sono appena disteso!-

-Sbrigati! Finisco di lavare i piatti e arrivo.-

James digrignò i denti mentre si sollevava dalla poltroncina che squittì leggermente quando le molle sfondate tentarono di ritornare al loro posto. Cercò il cordless un po' ovunque, dandosi dell'idiota per aver deciso di comprare quell'aggeggio infernale che finiva per scomparire più del telecomando della TV.

Lo trovò fra le pieghe del divano e, già che c'era, mentre componeva il numero si accomodò fra i cuscini. Il telefono squillò a vuoto per qualche secondo, solo il rumore liquido del lavello della cucina si intrometteva fra il "tu-tu" della linea.

-Pronto?- una voce maschile leggermente distorta interruppe quella monotonia di suoni.

-Ciao Bob, sono James.- Cambiò orecchio mentre quello dall'altra parte rispondeva.

-Oh, ciao James. Che bella sorpresa. Come state?-

-Non ci lamentiamo, ma qualche acciacco dopo i sessanta ci sta, non ti pare?- concluse la frase ridacchiando.

Anche Bob rise e James se lo immaginò portarsi una mano davanti alla bocca come faceva spesso, a nascondere un dente rotto che rimandava ormai da decenni di far riparare.

-Lo immagino- rispose, con la risata che si spegneva sulle prime sillabe. -Lo immagino.-

-Beh, senti, ho chiamato per sapere come sta Martha. Non la sentiamo da un mesetto ormai e l'ultima volta sembrava stare male.-

Bob si prese qualche secondo per rispondere, come se fosse titubante. -In effetti, James, Martha sta ancora male. E' su in camera in questo momento, credo stia riposando... Non so se...-

-Te ne sarei grato se tu potessi passarmela.- James cercò di mettere nel tono di voce quanta più fermezza possibile. In trent'anni si era fatto una buona idea su come trattare i fidanzati della figlia e adesso sapeva benissimo come trattare suo marito.

-Va bene- fece Bob accondiscendente, con una risata a stemperare la situazione. -Vado di sopra a dirle di prendere il telefono, aspetta in linea.-

James tamburellò con le dita sul bracciolo del divano. Agatha nel frattempo aveva chiuso la porta della cucina e si era addentrata nel salone, reggendo per le mani uno strofinaccio umido. Lo guardava attentamente, cercando di leggere dal suo volto particolari sulla telefonata.

"Sta ancora male?" gli mimò con le labbra.

James alzò un dito come a chiedergli di aspettare, poi fece un cenno d'assenso. Dall'altra parte della cornetta ancora silenzio.

"Cosa ha?" gli mimò ancora la moglie, i capelli bianchi che le frustavano le guance arrossate.

James fece spallucce e scosse lentamente la testa mentre continuava ad ascoltare. Poi ci fu un tonfo e qualcuno sollevò un telefono nella casa di sua figlia.

-Pronto?- la voce che parlò sembrava lontana, stranamente soffocata come se si sentisse attraverso un cuscino piantato sull'altoparlante.

-Pronto, Martha? Sono papà, sei tu?-

-Ciao papà. Sì, sono io.-

-Hai una voce orribile, tesoro. Che diavolo ti è successo?-

-Sto parlando con il vivavoce, per il momento sono costretta a letto. E' una specie di febbre, almeno questo è quello che mi hanno detto i dottori.-

-Una specie di febbre?- La voce di James era interrogativa.

-Sì, mi stanno tenendo sotto osservazione al momento, ma sto migliorando.-

-Senti Martha...- James tossicchiò come a voler coprire col rumore della bocca le parole che sarebbero venute dopo. -E' lì con te?-

Martha per qualche secondo non rispose. -No. Mi ha detto che andava in garage.-

James si mosse a disagio sul divano. -Senti... Non è che la situazione in cui lui versa, ti sta creando dei problemi? Sai che voglio dire...-

-Papà, no. Va tutto bene.- La voce di Martha seppur quasi irriconoscibile aveva un tono fermo. James decise di non protestare.

-Va bene. Però io e mamma...- e fece un cenno a sua moglie di avvicinarsi. -...stavamo pensando di venire a trovarti, che ne dici? Magari ti sentiresti un po' meglio.-

Agatha fece per parlare ma James la interruppe con un cenno, la odiava quando si metteva a urlare attraverso la stanza per farsi sentire da chi stava dall'altro lato del telefono.

Martha si prese un bel po' di tempo prima di mormorare qualcosa. -Ma è lontano... Non dovete fare tutta la strada per me.-

-Cosa c'entra, tesoro! Veniamo con piacere! Facciamo il prossimo venerdì? Che ne dici?-

Martha fece un verso con la bocca, come un ronzio, poi acconsentì. -Va bene, ma non portare niente da mangiare. Non posso mangiare nulla per il momento.-

James protestò per un po' sotto incoraggiamento della moglie, poi decise di lasciar perdere vedendo che la figlia era totalmente irremovibile.

-Va bene, allora ci vediamo venerdì. Senza dolci, capito. Statti bene, tesoro. Salutami Bob.-

-Ciao papà.- Ci fu di nuovo un ronzio impercettibile e uno schiocco, poi la linea si chiuse e con essa la telefonata.

-Come sta?- gli chiese Agatha in apprensione, torturava lo strofinaccio con le dita umide e bianche.

-Male- fece James sospirando.

-Male. Solo questo ti ha detto?-

-Sì. Probabilmente c'era Bob che ascoltava dall'altro telefono.-

-Ma come diavolo abbiamo fatto a darla in moglie a quel pazzo...-

-Ehi.- James la interruppe mentre cercava di alzare una gamba sul divano.

-Va bene, va bene. Ma uno che fa quelle cose non è normale secondo me.-

-Lo so, Agatha, ma che possiamo farci? Non potevi costringere tua figlia.- James continuava a guardare la moglie con le sopracciglia inarcate. Lei invece proseguiva a spremere lo strofinaccio come se fosse il collo secco del marito di sua figlia, Bob.

-E' stata quella puzza, ne sono sicura.-

-Oddio, di nuovo con questa storia...-

-Sì. Sei stato anche tu a casa loro, l'hai sentito quell'odoraccio che sale dal garage.-

James socchiuse gli occhi e fece per appoggiare la testa allo schienale. -E' per via delle sostanze che gli servono a creare i manichini, le sue opere. Lo sai.-

-I manichini... Io li chiamo abomini.-

-Fa quasi rima.-

-Certo che fa rima. Ci credo che un pazzo scatenato come quello è andato in terapia. Per quanto c'è stato? Un anno?-

-Un anno e mezzo.- James sentiva il torpore incominciare ad avvolgerlo, non capiva perché Agatha si agitava tanto. Bob era un "artista", le sue sculture erano state prese in consegna da alcuni dei maggiori musei di arte contemporanea di tutti gli Stati Uniti. Forse gli mancava qualche rotella, questo sì, ma non sembrava un cattivo ragazzo.

-Un anno e mezzo... James, ma come fai ad essere così tranquillo?-

-Calmati.- James non aveva voglia di litigare men che meno di discutere se Bob fosse sano di mente o no e se fosse un pericolo per la loro Martha. -La nostra ragazza sa il fatto suo. Smettila di preoccuparti. Se ci fosse stato qualcosa di strano, ce l'avrebbe detto in questi due anni di matrimonio, non ti pare?-

-E' andato in terapia, cristo santo! Terapia!-

-E va bene! Ho capito! Vuoi litigare? Dimmelo subito.- James stava perdendo la pazienza esattamente come sentiva di stare perdendo il torpore che lo aveva avvolto fino a qualche minuto prima.

-Non voglio litigare. Voglio solo farti capire che...-

-Allora basta, venerdì è dopodomani, per allora fatti bastare l'informazione che è seguita dai medici e che sta migliorando.-

Agatha sbuffò quando si voltò per andarsene ma James tenne gli occhi chiusi, cercando di mantenere afferrato il sonnellino che tanto aveva agognato per quel pomeriggio. Si addormentò mentre nell'aria si distribuiva l'odore intenso e uniforme del caffè, corposo e dolce, che lo fece sprofondare in un sonno pesante, dove però quell'odore prendeva stranamente le note di marcio che salivano dal garage della casa di Bob e di sua figlia.

***

Il campanello suonò due volte quando James vi appoggiò sopra il dito. La casa si trovava in un vecchio sobborgo accanto alla città, sembrava più vecchia dall'ultima volta che l'avevano vista qualche anno prima, in un certo senso cadente.

Avevano parcheggiato l'auto di fronte al garage e Agatha non aveva fatto altro che scendere con le dita sul naso e fare tutto il tragitto fino alla porta con la mano in quella posizione. Su una cosa però doveva darle ragione: la puzza che di solito si sentiva dal garage questa volta era decuplicata. L'odore di sostanze chimiche, miste a un sentore di marcio, appestava l'aria invernale in una morsa nauseabonda.

James si augurò che Bob aprisse in fretta, anche a lui quel puzzo stava incominciando a dare il voltastomaco. Forse avrebbe fatto meglio a tapparsi il naso come Agatha.

Per sua fortuna Bob aprì qualche secondo dopo. I lunghi capelli neri e lisci gli scendevano ritti sulla faccia, la quale sembrava spuntare come una luna pallida e biancastra fra due fronde nere di rami. Per un attimo gli sembrò di vedere il volto di una delle sue creazioni, ceree, scarne, cadaveriche. Ma era semplicemente lui, il giovane e anoressico Bob.

-Buonasera- li salutò lui, gli occhi gli corsero velocemente alle dita che Agatha teneva ancora sul naso. Il buon gusto non era mai stato il suo forte, ancor meno fare buon viso a cattivo gioco.

-Ciao Bob- fece James anche per sua moglie cercando di toglierla dall'imbarazzo. -Possiamo entrare?-

Bob volse lo sguardo spento da Agatha fino agli occhi di James, lentamente. La sua bocca si aprì in un sorriso mentre con la mano andava a coprirla.

-Sì, che maleducato, entrate- rispose con la sua vocina flebile.

Agatha superò il marito con una spallata e si precipitò in casa pronta a prendere una boccata d'aria. Liberò il naso dalle dita e inspirò profondamente, almeno finché non fece una smorfia disgustata e si sventolò una mano sul viso. Un gemito le era scappato dalla bocca.

James le si avvicinò chiudendo la porta alle sue spalle e le sussurrò: -Smettila per favore. Sopportalo, fai come me. Poi qui in casa è meno forte rispetto a fuori.-

Bob non poteva sentirlo, era girato di spalle e armeggiava con l'interruttore della luce.

-Va bene- fece lei sconsolata togliendosi il cappotto e prendendo anche quello del marito insieme alla sciarpa rossa. -Ecco qua, Bob. Dove li mettiamo questi?-

Bob perse qualche secondo ancora, poi finalmente una luce si accese sull'androne buio illuminando una scala in legno mezza marcia che saliva al piano di sopra e un lungo corridoio che si perdeva verso il fondo della casa.

-Qui, qui- disse andandole incontro e prendendo in consegna i cappotti. Per un secondo James pensò che quelle sue braccia ossute si sarebbero spezzate sotto il peso degli indumenti invernali. Per sua fortuna non accadde.

Li prese e ad uno ad uno li inserì con perizia su un attaccapanni nascosto dall'ombra in un angolo dell'ingresso.

-Bene- fece poi voltandosi e aggiustandosi con una mano i capelli neri che contrastavano in modo innaturale con la pelle bianca. -Andiamo in cucina? C'è da preparare il caffè ma io sono negato... Solitamente è Martha che si occupa di queste faccende- concluse con un sorrisetto tirato sulle labbra bluastre, senza far intravedere i denti.

-Lo faccio io- propose Agatha annuendo con vigore. -Tu porta James da Martha nel frattempo, che ne dici? Io vi raggiungo appena è pronto. Lei non lo prende?-

Il sorriso di Bob si spense lentamente. -No. Lei sta molto male.-

James lo guardò attentamente. Si vedeva che teneva alla loro piccola Martha.

-Sta tranquillo Bob, non devi prendertela con te stesso. Starà bene presto- gli disse con tono affabile, comprensivo.

Quello lo guardò un secondo interdetto, come se non avesse capito. Poi sorrise benevolo, alzando una mano a coprirsi il dente rotto. La pelle si distribuì uniforme sugli zigomi ossuti.

-Sì, scusami James. Ma prego, mentre la signora Agatha fa il caffè, porterò te di sopra da Martha. Sarà contentissima di vederti.-

James fece un sorriso per mettere a suo agio il ragazzo e incominciò a salire la scala, Bob lo seguì dappresso, i capelli neri lunghi fino alle spalle che si aprivano dietro di lui come un velo. Arrivati in cima l'ultimo gradino scricchiolò sonoramente e James si voltò indietro. Agatha era ancora lì, ai piedi della scala, si torceva le mani e aveva una smorfia apprensiva in volto. Mentre Bob lo superava, cercò di farle un sorriso rassicurante e quella annuì solo per voltarsi subito dopo e dirigersi verso la cucina.

James la seguì con lo sguardo finché non scomparve, poi superò l'ultimo gradino e seguì i capelli di Bob che fluttuavano nella penombra del corridoio.

-Ecco- fece infine quello fermandosi di fronte ad una porta anonima. Bussò leggermente ma nessuno rispose all'interno.

-Starà riposando- disse con un leggero sorriso, stavolta dimenticando di portare la mano alla bocca e James vide il dente spezzato scintillare nel buio.

-Oh, non c'è problema, sono sicuro che non si arrabbierà se la sveglio- gli disse James ridacchiando, poi abbassò la maniglia ed entrò nella stanza.

La prima cosa che lo colpì fu l'odore. Era un odore polveroso, di chiuso, come di una cantina stipata di libri dimenticati da tempo immemore. Si staccava completamente dall'odore di marcio e di chimico che appestava il resto della casa. Poi lo colpì la luce. Tagliava la stanza in lame oblunghe che si posavano su mobili incellofanati in una pellicola vecchia e spenta, totalmente ricoperta da ciuffi di polvere. Un raggio apatico illuminava un telefono al centro della stanza, poggiato su un tavolino rotondo. Accanto vi era un apparecchio, una sorta di registratore, abbandonato malamente accanto alla cornetta. James fece girare gli occhi per l'ambiente eppure non vide nessun letto, nessuna brandina. E, cosa più importante, sua figlia non c'era. In quella stanza dimenticata c'erano solo polvere e silenzio.

-Bob, ma che diavolo...- poi sentì lo sparo. Risuonò pesante come un maglio nel silenzio cupo. Avvertì anche il bruciore, leggermente sotto lo sterno. Gli divorava la pelle e gli scottava dentro, nel corpo. Vide uno sbuffo di polvere sollevarsi dalla parete di fronte, dove il proiettile era andato a conficcarsi.

Quindi si girò piano, lentamente, mentre sentiva il corpo cedere e barcollare in avanti. Alle orecchie gli arrivò un urlo soffocato e distante, forse era di Agatha ma non seppe dirlo con certezza.

Poi vide la sua faccia. Bob sorrideva a pieno volto mentre con una mano teneva la pistola puntata in avanti. Un filo di fumo usciva dalla canna rovente.

Allora James sentì le ginocchia artritiche che si piegavano e, mentre il pavimento si alzava stranamente verso di lui, il mondo si fece buio.

**

Bob sollevò la tenda che teneva sulle sue opere. Erano riuscite in modo fantastico. Era la seconda volta che riusciva a scolpire due persone così in avanti con l'età. Chissà, forse perfino a New York li avrebbero voluti in esposizione.

Si sentiva tremendamente eccitato, il corpo gli vibrava per l'emozione. C'era voluto qualche giorno per pulirli e renderli "puri", come diceva lui, ma il risultato era stato fenomenale. Aveva addirittura sorpassato le aspettative.

James era quasi totalmente irriconoscibile. I capelli bianchi erano stati tagliati via, la faccia quasi del tutto scarnificata e bianca riluceva sotto la luce artificiale dei neon. Su Agatha il risultato era stato ancor più soddisfacente. Anche lei aveva perso la sua chioma ed era riuscito persino a farla dimagrire di almeno una ventina di chili, una cosa che non gli era mai riuscita prima.

Batté le mani di gioia mentre si allontanava per ammirarli da più lontano. Si tolse dalla tasca uno strofinaccio e si pulì le dita mentre prendeva un respiro a pieno polmoni: l'odore di putrido gli riempì le narici. Indietreggiò ancora, poggiò su un tavolino basso il canovaccio e si avvicinò alla figura che troneggiava al centro del garage. Biancastra, immobile, appoggiata su un rialzo. Era la sua opera migliore, quella che amava più di tutte, il suo capolavoro.

-Guarda amore- disse accarezzando la testa del manichino seduto sul grosso scranno di legno.

-Guarda, non sono fantastici i tuoi genitori? Era proprio quello che ci serviva non è così, eh, Martha?-

Inspirò a fondo ancora una volta mentre volgeva gli occhi di nuovo alle sue due ultime creazioni. In fondo non gli dispiaceva quell'odore. Quel misto di putrido e nauseabondo che permeava il garage. Era odore di famiglia, odore di lavoro, odore di buono. Accarezzò ancora con una mano la testa liscia del manichino accanto a lui che una volta era stato sua moglie.

-Questo è l'odore del successo, Martha- disse con voce vibrante e si chinò a darle un bacio sulla bocca muta e liscia.

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