"Gusto" o "Mangiate"
David si protese sul cruscotto a cambiare per l'ennesima volta la stazione radio.
-Alice, quante volte ti ho detto che va bene tutto ma non le canzoni d'amore?-
Il ronzio del motore coprì lo sbuffo irritato della moglie che guardava imperterrita oltre il finestrino buio dal lato del passeggero. Erano passate le nove e solo uno spicchio di luna regnava sul cielo nero.
-Stiamo camminando da due ore buone, ho già le scatole piene dei soliti quattro tormentoni in croce. Almeno varia un po'...-
-Se per variare intendi gente che mugola su un microfono e fa rime come "cuore, amore", beh, per me è un no.-
-Oh Gesù, Dave, ma perché devi essere sempre così esigente.-
-Io? Esigente? Sto guidando da due dannatissime ore nella campagna per andare al compleanno della tua amica Susy che non vedi da decenni e sarei io quello esigente?-
Alice si girò, aveva gli occhi ridotti a fessure e sulla bocca un ghigno storto. Guardò il profilo di Dave volto ancora verso la strada buia illuminata solo dai fari gialli dell'auto.
-Lo sai perché ci stiamo andando, smettila di dare sempre la colpa a me. Non ci vado mica per mio piacere...-
-Potevi anche evitare di accettare di fare da testimone al suo futuro matrimonio.-
-E sentiamo, di preciso, che avrei dovuto dirle? Forza Dave, spiega.-
David sollevò entrambe le mani dal volante e socchiuse gli occhi in cenno di resa. La macchina filò dritta nella sera buia, senza sbandare.
-Metti le mani su quel dannato volante, per cortesia!- gli urlò la donna.
Lui vi mise un dito sulla parte superiore e si girò a guardarla negli occhi. –Non passa nessuno su questa statale, potrei stare a guardarti così per ore senza andare a sbattere contro anima viva.-
Gli occhi di Alice si ridussero a due fessure ancora più strette, le rughe dei trent'anni passati si raggrinzirono ai lati delle palpebre. Lo odiava quando faceva così, con tutto il cuore.
-Girati o ti do una sberla. Ci sono le curve, fai attenzione a quelle.-
David roteò gli occhi con sufficienza e li riportò sulla strada. –Come hai detto che si chiama il posto?-
Alice fece un verso strozzato con la bocca. –Porca miseria... "Baglio Sant'Angelo" David, "Baglio Sant'Angelo". Te lo ripeto per la centesima volta.-
David sbuffò mentre faceva scricchiolare il volante durante una leggera curva a destra. –Oh, e dai. Lo sai che sono una frana coi nomi. Hai preso il tutto-città?-
-Certo che l'ho preso.- Alice frugò in uno scompartimento incassato nello sportello, poi ne emerse con un rumore di carta.
-Ecco qua.- la copertina blu, sgualcita e logora, si confondeva nelle ombre scure dell'abitacolo.
David continuò a guardarla di sottecchi mentre la donna rimaneva immobile con lo stradario in mano, lo tamburellava di tanto in tanto sul cruscotto a tempo con la musica della canzone di qualche poco conosciuto gruppo rock.
-E allora? Vuoi dargli un'occhiata o no? Rimaniamo così per il resto della strada, che ne dici?-
Alice sbuffò. –Tu mi hai detto di prenderlo e basta!-
-Certo e di tenerlo in mano come una scema!-
-Non chiamarmi scema!-
-Se ti comporti da scema, ti chiamo scema quanto mi pare!-
Alice fece per dargli un colpo col tutto-città sulla testa. –David, brutto pezzo di...-
Il colpo però non arrivò mai a destinazione. In quel momento Alice sentì l'abitacolo prima torcersi verso destra, poi verso sinistra.
David contemporaneamente mormorò un'imprecazione a denti stretti, coperta dal rumore delle ruote che fischiavano sull'asfalto. Alice lo vide mentre muoveva il volante cercando di far recuperare la traiettoria all'auto, poi però ci fu un tonfo sordo e l'abitacolo sembrò sollevarsi in aria solo per piombare a terra poco dopo in un colpo secco. Il tutto-città volò via dalle mani di Alice che cacciò un urletto strambo, a metà tra un pigolio e un singhiozzo; accanto a lei David stritolava il volante talmente tanto che le nocche gli erano diventate blu.
La macchina continuò la sua avanzata, almeno finché non arrivò oltre la cunetta del bordo strada. Lì si fermò in un rumore di vetri infranti e uno stridore di ferraglia.
Alice si teneva stretta alla cintura, una mano all'altezza del petto, l'altra vicino al ventre. Non sentiva dolore quindi pensò di non aver subito ferite. David invece aveva lo sguardo fisso oltre il parabrezza rotto. La sua schiena si alzava e si abbassava al ritmo cupo dei suoi respiri ansimati. Anche lui però sembrava incolume.
-David, che diavolo...- fece per chiedergli Alice ma quello la interruppe, aveva la voce frettolosa come quando si trovava in situazioni difficili da gestire.
-Chi diavolo erano?- disse.
-Che?- Alice non capiva.
-Quelli... In mezzo alla strada.-
-Io... Stavo guardando te, non ho visto nessuno...-
-C'era un gruppo di persone ferme sulla strada.-
-Che vuol dire "ferme sulla strada"?-
-Erano ferme, cazzo, Alice. Che vuol dire ferme?-
-Ho capito ma siamo nel bel mezzo del nulla e...-
David si girò a guardarla, aveva gli occhi impauriti. Un rivolo di sangue gli scendeva dai capelli e gli scorreva sulla fronte.
-Erano fermi sulla strada. Seduti a terra. Erano...-
Alice aprì la bocca per dire qualcosa di pungente, poi si bloccò. Non aveva mai visto il marito in quel modo. Sembrava stranamente spaventato, non solo impaurito dall'incidente ma anche da qualcos'altro.
-David stai bene? Non è che hai perso il controllo e ti stai inventando...-
-Alice, erano ferme sulla strada, sedute a terra. Ce n'era uno o una, non so, in mezzo al cerchio ed era l'unica figura in piedi. Aveva un cappuccio sulla testa ed era nuda dalla vita in giù...-
La goccia di sangue che gli era rimasta aggrappata a un sopracciglio cadde in un "plock" leggero sulla sua spalla chiusa nel cappotto. Alice si accorse che David aveva le labbra esangui.
-N-n-nuda?- balbettò mentre un sorrisetto strambo le si apriva sul volto. Non sembrava la stesse prendendo in giro, anche se capitava che si prendesse gioco di lei solo per riderne un secondo dopo. Questa volta però sembrava serio, troppo serio. E la situazione non era certo delle migliori visto quello che era successo alla macchina.
David fece per risponderle, poi si bloccò. Sollevò un dito tremante e lo portò alla bocca.
Le luci dell'auto, fuori dal parabrezza rotto, illuminavano il paesaggio confuso in una miriade di crepe. Davanti a loro però non c'era molto da vedere. Erano atterrati sulla cunetta che correva lateralmente alla strada e oltre il muso della macchina si estendeva solo campagna incolta e contorta da alberi neri nel buio della notte.
-Che c'è?- sussurrò Alice in un soffio di voce. David continuava a tenere il dito sulle labbra biancastre mentre volgeva gli occhi oltre il parabrezza e oltre il finestrino in modo alterno.
-Non hai sentito?-
-No. Cosa?-
-Passi...-
Alice spalancò gli occhi quando udì uno scricchiolio appena accennato provenire dal suo lato dell'auto.
-Dave...- sussurrò.
-Sta' tranquilla, mi raccomando, devi stare tranquilla.-
-David chi diavolo erano... Dimmi che è uno scherzo.-
-Alice, guardami, sta' tranquilla. Devi stare calma. Qualsiasi cosa succeda, guarda me e stai... e stai...-
David boccheggiò, le parole gli andarono morendo in gola lentamente come una radio a cui viene tolto il volume. Aveva lo sguardo perso oltre il finestrino alle spalle di Alice. Gli occhi che si andavano allargando e la faccia che si andava scolorendo, assumendo un colore stranamente simile al latte inacidito.
Allora Alice si voltò, improvvisamente, non lentamente come avrebbero previsto tutti i cliché del caso. E lo vide. C'era qualcuno oltre il finestrino crepato. Aveva una maschera di maiale, una di quelle rosa acceso che si usano per carnevale o alle feste in maschera. Indossava una felpa logora e ingiallita che un tempo forse doveva essere bianca. Non portava pantaloni, era nudo dalla cintola in giù, ed era un uomo.
Alice gridò, sentì le mani di Dave stringersi intorno ai suoi polsi mentre cercava di attirarla a sé dall'altra parte dell'auto.
-David!- gridò nell'abitacolo girandosi verso il marito che aveva gli occhi cerchiati di nero. E gridò più forte quando vide che anche dalla sua parte dell'auto c'era un figura che si avvicinava lentamente e scrutava all'interno della macchina. Aveva la maschera di un mastino, nera e grigia, che si stagliava in modo quasi innaturale nelle ombre cupe gettate dai fari dell'auto. In quel momento ci fu un rumore di lamiera contorta e Alice sentì l'aria della notte sfioragli le caviglie sotto la gonna lunga che aveva indossato. Non voleva girarsi, non voleva guardare. Guardava fisso il viso di Dave e la maschera del mastino dietro di lui, mentre la bocca le si storceva in una smorfia di paura e gli occhi le si riempivano di lacrime tanto abbondanti da offuscargli la vista.
Poi sentì delle mani che l'afferravano. Mani rudi, callose, l'avevano presa per le caviglie. Si sorprese ad urlare come mai aveva fatto in vita sua e nelle sue orecchie udì Dave che gridava a sua volta e strattonava la cintura per liberarsi. Ci fu un rumore di qualcosa che si lacerava e la sua cintura, che nel frattempo le si era serrata sul ventre, si allentò e lei fu trascinata fuori dalla portiera. Le mani di David le scivolarono tra le sue mentre vedeva i suoi occhi rimpicciolirsi e il suo viso offuscarsi.
Atterrò sull'erba secca. Nell'aria c'era ancora un odore di gomma bruciata dovuto sicuramente alla frenata.
-Vi prego...- sussurrò allora. Non vedeva nessuno, le lacrime rabbiose fuoriuscivano appannandole gli occhi ma lei parlò lo stesso. –Vi prego, non fateci del male. Stavamo andando a...-
Ma l'uomo con la maschera di maiale entrò nel suo campo visivo solo per qualche secondo, il tempo necessario per colpirla sul capo con qualcosa.
Alice si sentì svenire e il suo mondo incominciò a rimpicciolirsi in un punto sempre più lontano, posizionato sul grugno della maschera suina. Prima di svenire sentì David che urlava a squarciagola, urlava il suo nome.
***
David si risvegliò con i pensieri confusi, in qualche modo. C'era un assordante brusio che proveniva da qualche parte alla sua destra eppure non riusciva a capire che diamine fosse. Sentiva un dolore pulsante sulla fronte, talmente forte che stentava perfino ad aprire gli occhi.
Cercò di portarsi la mano al viso ma con stupore notò che era incastrata da qualche parte, forse tra le lenzuola. Non aveva la benché minima idea di che diavolo stesse succedendo, poi i suoi pensieri si avviarono ferocemente come una lavatrice in piena centrifuga. Forse era stato l'odore, non familiare di lenzuola appena lavate, ma di terra umida, bagnata, e di erba e di bosco. Odore di campagna o qualcosa di simile. Allora i pensieri incominciarono a rincorrersi veloci nella sua mente: le persone ferme sulla strada, l'incidente, Alice che veniva presa... "Alice!"
Cercò di aprire gli occhi ma il primo tentativo non andò a buon fine. Gli bruciarono talmente tanto che riuscì ad intravedere solo una luce rossastra prima di richiuderli di nuovo e serrarli su piccole lacrime che gli si andavano formando intorno alle palpebre. Ci riprovò. Stavolta andò meglio, riuscì a tenerli aperti per qualche secondo e, seppur con la vista annebbiata, riuscì a capire che si trovavano all'aperto, sotto un qualche albero dai rami frondosi e illuminato dalla luce di un fuoco.
Acuì allora l'udito e capì che il rumore possente che veniva dalla sua destra non era altro che un enorme falò, o almeno doveva esserlo se non per quello strano ronzio che vi sentiva intorno.
Ma per il momento doveva aprire gli occhi, doveva riuscirci. Il terzo tentativo andò oltre lo sperato. Riuscì a intravedere lo spicchio di luna che si tuffava oltre le montagne, segno che dovevano essere passate almeno alcune ore da quando avevano avuto l'incidente sulla statale. L'albero sotto cui si trovavano era un grossa quercia, i rami completamente inondati dalla luce arancione di un enorme fuoco che lui ancora non riusciva a scorgere.
Tentò di nuovo per la quarta volta e stavolta riuscì a tenere gli occhi aperti per molto tempo. Si guardò il corpo e notò di essere avvolto in funi spesse che gli stringevano le gambe, il torace e le braccia. Girò il volto in direzione del fuoco e gli occhi gli lacrimarono copiosamente alla vista della luce. Tentò di non chiuderli perché c'era molto da vedere. Le figure che aveva tentato di evitare sulla strada circondavano quell'enorme vampa camminandovi intorno e alzando le mani a ritmo. Cantavano qualcosa, o meglio, mormoravano qualcosa. Era quello il ronzio basso, profondo, che aveva sentito. Un suono lugubre, assordante come quello di un cavo elettrico che si contorce dopo essere stato tranciato. David non riusciva ad afferrare le parole, sembravano una lingua sconosciuta o almeno non assomigliavano a nessuna che lui avesse mai udito. Erano parole colme di schiocchi, di fruscii bassi e suoni gutturali, rauchi.
Le figure incominciarono a muoversi più velocemente, riusciva a capire distintamente però chi era quello con la maschera del mastino e quello con la maschera del maiale. Riconobbe anche la figura incappucciata, una donna, l'unica nel gruppo che era in piedi sulla strada durante l'incidente. Gli altri si muovevano in modo troppo confuso perché lui potesse capire che maschera portassero. Poi, pian piano, le loro urla incominciarono a crescere e crescere, sempre più violente tanto da fracassargli i timpani, almeno finché tutti quanti si fermarono in un grido basso e vibrante. Allora sentì, nell'improvviso silenzio. C'erano dei mugolii che provenivano da poco più su, oltre la fiamma che si proiettava verso il cielo e verso le nubi scure che appestavano il cielo.
David alzò gli occhi e vide Alice. Era legata ad una corda che la teneva per la vita e si agitava, la bocca stretta in un bavaglio lercio. Aveva gli occhi arrossati e colmi di lacrime ma le mancava qualcosa... David inorridì, si mise a blaterare parole senza senso mentre la lingua ruvida si muoveva raspando sul palato secco.
"Le gambe! Le hanno tagliato le gambe!"
Impazzì per qualche secondo, cercò di divincolarsi, di urlare e forse ci riuscì, non ne ebbe idea. Si sentiva lontano dal suo corpo, una sensazione di estraniamento lo pervase. Quello che vide fu solo la maschera del suino che si avvicinava, il grugno plastico completamente insanguinato e così pure le mani. Si rannicchiò accanto a lui e con un dito imbrattato di cremisi indicò Alice, il corpo spezzato e appeso sul fuoco che gocciolava sangue.
Poi qualcuno tagliò la corda che la teneva sollevata e lei mugugnò un urlò soffocato prima di cadere e venire inghiottita dalla fiamma. David udì il tonfo fra i ciocchi ardenti che l'accoglievano ma non sentì molto altro, il suo cuore sfarfallò nel petto e svenne per la seconda volta quella notte.
***
David rinvenne mentre una caloria crescente gli si formava intorno. La sentiva sul viso, sulle labbra, perfino sul ventre. Era un'afa omogenea come quella portata dal vento dell'estate, calda e secca. Si sentì stringere in una morsa il petto mentre cercava di divincolarsi, ma non capiva perché dato che aveva gli occhi stranamente accecati da turbinii di vapore.
Poi ci fu una seconda stretta e allora capì che non era stato lui a procurarla, ma che qualcuno lo stava sollevando. Qualcuno lo aveva stretto con una corda e lo stava issando su un enorme fuoco.
I pensieri di David sballottarono ancora una volta, agitandosi nella sua scatola cranica. Il mondo vorticava, non solo per il vapore e il calore, ma anche perché non capiva più nulla di ciò che stava accadendo. Tutto gli sembrava così dannatamente folle da risultare impossibile perfino da credere. Gente mascherata e nuda, lingue sconosciute e Alice... Alice che era stata fatta precipitare in quel fuoco enorme che ardeva sotto il cielo nero... Alice che era stata imbavagliata e legata, e a cui avevano tagliato via le gambe... Allora David si riscosse alla terza issata. Cercò di muovere i piedi per dondolarsi avanti indietro ma non c'era peso sotto di lui. Abbassò lo sguardo per vedere soltanto due moncherini sanguinolenti e mezzi bruciacchiati che si muovevano fra le spire di calore che si sollevavano dalle fiamme sotto di sé.
Quindi urlò, con quanto fiato aveva in gola, li maledisse e chiamò aiuto, al cielo, alla terra, a tutto ciò che poteva udirlo. Ma non ottenne risposta.
Alla quarta issata sentì invece il mormorio delle figure mascherate che si distingueva meglio oltre il crepitio del fuoco. Lugubre, tetro, come una nenia di morte. Vide le loro ombre muoversi in cerchio accanto al falò. Sembravano rincorrersi mentre dalle loro bocche scivolavano fuori fiumi di parole immonde. Poi si bloccarono in un grido rauco, soffocato, e abbassarono le mani a terra, prostrandosi.
Allora David lo udì: dal fuoco, una voce cavernosa, orribile e iraconda, urlò parole portate da un vento freddo. Soppiantò quasi del tutto il calore del fuoco che ardeva qualche metro sotto il suo corpo. David lo sentì sulla pelle, accarezzargli i moncherini delle gambe e avvolgergli il viso. Assomigliava alla brezza di qualcosa di morto, di dimenticato, al risucchio di una tomba rimasta sigillata per eoni.
Poi parlò chiaramente, nella lingua comune: "Mangiate servi miei, mangiate. Perché l'ora sta per giungere, la notte più buia sta per arrivare. Il banchetto dei prescelti sta per consumarsi e voi siete i miei eletti."
David semplicemente urlò, con la testa, col cuore, col corpo, con tutto ciò che riusciva ad emettere un lamento di dolore. Perché tutto quello che aveva udito, tutto quello che aveva visto, era così fuori dal mondo, così irreale, che gli faceva male la carne prima che l'anima. Un malessere diffuso che in confronto il dolore dei moncherini era niente.
Ma durò per poco. Poi, semplicemente, sentì il vuoto sotto di sé. Qualcuno doveva aver tagliato la corda e lui stava cadendo nel fuoco. Vide il rosso ardente farsi sempre più vicino mentre scintille arancioni gli vorticavano intorno. Smise di urlare quando sentì le fiamme incominciare a baciargli il corpo con lingue roventi e allora la udì di nuovo, per l'ultima volta. La voce immonda, disumana, che incitava le figure mascherate.
"Mangiate servi miei, mangiate."
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