Silenzio
SILENZIO
Naira
In cosa si trasforma il silenzio, quando sei stata tu a volerlo?
In cosa si trasforma il silenzio, quando ti lascia senza fiato?
In cosa si trasforma il silenzio che chiude una persona in sé stessa?
In cosa si trasforma il silenzio, quando diventa assenza?
«Dai principessa, non puoi essere così decisa a mantenere la bocca chiusa» scuote la testa, sconsolato, sfiorandomi le labbra con il pollice.
Tremo.
«Cosa devo fare per convincerti a guardarmi di nuovo?» domanda Ade, avvicinandosi decisamente troppo al mio corpo.
Prima che si accorga del mio tremore, rivolgo il volto verso l'esterno, interrompendo qualsiasi contatto tra la nostra pelle, per trattenermi dal ritornare a parlare.
«Lo so Cenerentola… la mia bellezza lascia senza fiato» sorride di sbieco «e tu sei costretta a non guardarmi per evitare di parlare…
Però, non puoi continuare in questo modo» si schiarisce la gola, ricevendo in risposta unicamente silenzio e qualche sospiro eloquente.
Diavolo.
«Forse dovrei ricordarti come si geme il mio nome…» ghigna e, prima che possa toccarmi nuovamente, mi allontano di corsa mettendo quanta più distanza possibile tra me e lui.
Sospiro e scuoto la testa, ripensando all'insistenza del diavolo biondo.
È da ormai una settimana che proibisco a me stessa di far sentire il suono della mia voce.
E per quanto tutto questo mi risulti estremamente difficile, sembra stia riuscendo a dare i risultati tanto attesi.
Ade non fa altro che continuare a parlarmi e provocarmi.
Devi, Xander e Axel, ogni volta che ci incontriamo, mi implorano di concedere loro un misero secondo di ascolto.
E vorrei tanto farlo, ma quando ricordo a Naira che è troppo tardi per permettere a tutti loro di ritornare nella mia testa, sento un peso sullo stomaco che m’impedisce di respirare, costringendomi a tornare sola a rimuginare.
Sospiro, sconfitta, e ricordando il detto “parli del diavolo e spuntano le corna” vedo Devi, Xander e Axel salire le scale, facendo un cenno per fermarmi.
Ormai incapace di oppormi, annuisco, attendendo che mi si avvicinino.
«Ci dispiace per come sono andate le cose» è Devi a prendere parola, parlando anche a nome degli altri.
«Noi teniamo sia a te che ad Ade, ma nonostante questo non potevamo e tutt'ora non possiamo dirti nulla, scegliendo in questo modo tra uno di voi…» lascia la frase in sospeso per qualche secondo.
«Devi sapere, che ognuno di noi ha una motivazione per fare ciò che fa, e non ti piacerà sentirtelo dire, ma Ade è quello che ha sofferto più di tutti e che ha la motivazione più valida» sollevo gli occhi al cielo, infastidita dal sentirmi ripetere sempre la stessa cosa.
«Naira, vogliamo essere sinceri con te: siamo stanchi di questa situazione. Non vogliamo doverci schierare ogni volta o cercare di farvi ragionare entrambi. Dovete fare qualcosa, che sia vietato ai minori oppure concesso a chiunque, ma non potete continuare così» mi rimprovera Devi, mentre un luccichio infastidito attraversa lo sguardo di Xander.
«Lo so ragazzi» parlo a fatica, sentendo la gola pizzicare per lo sforzo.
Di scatto, i loro occhi sgranati si concentrano su di me, stupiti dal risentire nuovamente la mia voce.
«Vorrei che fosse più semplice» ammetto sentendo le braccia di Devi stringersi attorno al mio corpo.
«Vi ringrazio per avermi aiutata a ritrovare il coraggio» ammetto, a voce bassa scendendo in salotto insieme a loro.
In quel momento entra in casa Ade, che mi rivolge uno sguardo sorpreso.
«Cosa vuoi che ti prepariamo da mangiare Naira? Ti sei trascurata anche troppo in questo periodo» è Xander a prendere parola, probabilmente nel tentativo di provocare il diavolo biondo.
«Credo che una semplice pasta vada bene» passo una mano sul collo per cercare di alleviare la fastidiosa sensazione di bruciore, ricevendo un'occhiata sbigottita da parte di Ade che, non appena ha sentito la mia voce, ha girato di scatto la testa verso di me.
Istintivamente sospira, rivolgendo lo sguardo verso il basso, prima che un sorriso gli si formi sulle labbra, infondendogli il coraggio necessario a parlare.
«Mi fa piacere sentire che tu abbia deciso di tornare a infastidirci» mi provoca, cercando di nascondere la propria delusione.
«Spero che presto quella lingua possa fare qualcosa di interessante anche per me» incontrollabilmente arrossisco, seguendo i suoi passi diretti al piano superiore.
Devi mi si avvicina di corsa, dandomi una gomitata sul fianco e facendomi un occhiolino eloquente.
«Che ne dici di preparare la tavola insieme a me?» propone, probabilmente per avere la possibilità di parlarmi da sola.
Annuisco e mi procuro tovaglioli e posate prima di raggiungerla.
«Sai che Ade ha appena gettato un amo?» domanda, sistemando i bicchieri sopra la tovaglia.
«Smettila di prenderti gioco di me» la ammonisco, sorridendo.
È assurdo che nonostante io abbia volutamente evitato di parlare con Devi, le cose sembrino non essere mai cambiate tra di noi.
È assurdo pensare a come lei non si sia mai arresa con me e tutt'ora non lo faccia, combattendo al mio fianco, e a volte al posto mio, una battaglia che ancora ho il timore di affrontare.
«Bella addormentata sei ancora tra noi?» schiocca le dita per risvegliarmi dal “sonno” nel quale sembravo avvolta.
«Sì, stavo solo riflettendo» posiziono forchetta e coltello sopra i tovaglioli, quando improvvisamente la mia attenzione viene catturata da Ade, ritornato in salotto.
«Che ci fai tu qui?» Devi, stranita dalla sua presenza, gli chiede esattamente ciò che stavo pensando.
«Devo andare» indossa la giacca di pelle e, dopo avermi rivolto un occhiolino ammiccante, esce dalla porta.
Immediatamente mi irrigidisco.
Non posso lasciare che se ne vada.
Mi avvio di corsa verso la scalinata «dove stai andando Naira? Dobbiamo pranzare» Devi mi ferma, poggiando una mano sul mio braccio.
«Devo andare con lui» muovo ritmicamente il piede sul pavimento, mentre l'espressione della mia amica si incupisce.
«Non puoi farlo» si morde la lingua per impedire alla sua bocca di dire troppo.
«È una cosa delicata» tenta di farmi desistere.
«Ma come Devi? Prima mi dici che Ade ha gettato un amo e poi non vuoi che vada con lui?» alterata, allargo le braccia verso l'esterno, attirando i ragazzi incuriositi dalle mie grida.
«Non si tratta di questo adesso!» esclama mordendosi il labbro inferiore.
«Possibile che tu sappia più cose su Ade di quante non ne sappia io?» una lacrima mi riga il volto, facendomi ingoiare amaramente questa realtà.
«È troppo importante questa cosa» mi divincolo dalla sua presa e, iniziando a salire la scala le rispondo.
«Per una volta voglio essere libera di decidere, capirò da sola ciò che succede» detto questo raggiungo in tutta fretta la nostra camera.
Con il respiro affannato e il cuore in tumulto, indosso un semplice paio di scarpe scuro e una giacca e velocemente ritorno in salotto, sperando di non essere arrivata troppo tardi e aver perso le sue tracce.
Esco dalla porta e mi dirigo verso la strada.
Guardo prima a destra e poi a sinistra e, in lontananza, mi sembra d’intravedere una figura vestita di scuro muoversi verso il centro di Point-à-Pitre.
Cosa diavolo dovrà andare a fare lì?
Rimanendo a quella che mi sembra la giusta distanza di sicurezza, per non farmi scoprire, seguo i suoi passi che percorrono una via poco frequentata, fino a fermarsi definitivamente di fronte alla vetrina di un negozio di fiori.
Ade rimane immobile per qualche secondo, prima di prendere un profondo respiro ed entrare.
Aggrotto le sopracciglia.
Per quale motivo il diavolo biondo ha bisogno di… fiori?
Confusa da quella che sembra essere una deviazione, rimango in attesa nella speranza di capire qualcosa il prima possibile.
Pochi minuti dopo, Ade esce dal negozio con in mano un mazzo di fiori misti bianchi e blu.
Dove dovrà andare con questi fiori?
Si guarda intorno per alcuni secondi prima di dirigersi verso una stradina nascosta che non avevo mai percorso prima d'ora.
Ade si muove, con aria circospetta, fino alla fine della via.
Improvvisamente si ferma davanti al cancello di un cimitero.
Cosa…?
Ingoio il groppo formatomisi in gola e mi guardo intorno: il sole sta lentamente tramontando all'orizzonte, rendendo questo luogo ancora più tetro e irreale.
La fitta vegetazione circonda le mura esterne, recentemente ridipinte di bianco mentre i rami delle piante oscillano, mossi dal vento.
Il diavolo biondo riempie un annaffiatoio d'acqua prima di entrare dal cancello, facendo scricchiolare le suole sopra ai sassi.
Merda, in questo modo mi scoprirà sicuramente.
Col respiro affannato dall'agitazione riprendo a camminare seguendo Ade all'interno del camposanto.
Il deterioramento di quel luogo appare immediatamente evidente: le mura sono grigie e coperte di muschio, mentre in mezzo alla sterpaglia si intravedono lapidi rotte e vecchi vasi rovesciati.
Nell'aria stagna un odore di fiori freschi, marcio e muffa.
Chi me l'ha fatto fare di venire fin qui? Avrei dovuto ascoltare Devi e…
«Cazzo, ancora!» sento gridare da Ade che, attraversato uno stretto cunicolo, si ferma di fronte a una lapide.
Mi avvicino a passo svelto, ignorando lo scricchiolio prodotto dalle suole delle mie scarpe sui sassi, e lo vedo ricurvo sulla lastra di cemento, intento a pulire.
«Quei coglioni non la smettono» incuriosita mi ritrovo a pochi passi da lui, a osservare i suoi movimenti agitati: spazza via i fiori recisi, poi con uno straccio cerca di cancellare le scritte che imbrattano la lapide, mentre dall'alto si staccano gocce di umidità che, scivolando verso terra, formano piccole pozze maleodoranti.
Prima che possa eliminare ogni traccia, scatto una fotografia, storcendo la bocca a causa del rumore prodotto dal tasto.
«Vieni fuori, so che ci sei anche tu» sussurra improvvisamente, cogliendomi alla sprovvista.
Con la coda tra le gambe esco dal nascondiglio fornitomi dall'albero, per raggiungerlo.
Con il labbro inferiore stretto tra i denti mi schiarisco la gola, accorgendomi solo ora dell'espressione addolorata formatasi sul volto di Ade che poggia i fiori per terra, accanto alla lapide.
Riempie il piccolo vaso e li inserisce al suo interno.
Quanto mi sento di troppo.
Da quando ho ripreso a parlare con Devi, Axel e Xander, non ho ancora rivolto parola ad Ade.
E, per quanto ancora io creda che lui non se lo meriti del tutto, ora dovrei solamente scusarmi in qualsiasi lingua del mondo per ottenere il suo perdono.
«Quella che vedi in questa foto è mia madre Naira» sussurra, con voce arrochita dallo sforzo.
Guardo l’immagine che Ade mi indica «è da mesi che, degli stupidi vandali vengono a danneggiare la sua lapide» mi racconta scuotendo la testa sconsolato.
«Tutte le volte che vengo a trovarla devo prima sistemare il disastro che combinano» scuote la testa.
«Non hai provato a chiamare la polizia o chiedere dei filmati di videosorveglianza?» lo colgo alla sprovvista, parlando improvvisamente dopo una settimana di totale assenza.
Lui sorride di sbieco «secondo te non ho provato a farlo?» domanda retoricamente passandosi le mani tra i capelli.
E in quel momento la mia attenzione viene catturata dalla posa della donna raffigurata nella foto.
Come è possibile che mi sembra di averla già vista?
Scuoto la testa.
Dev’essere la stanchezza che mi fa delirare.
«Passo spesso a portarle dei fiori…» si gira verso di me, guardandomi negli occhi.
«Ma oggi non sarei mai potuto mancare. È l’anniversario della sua morte» e, come un secchio d'acqua gelata, le parole di Devi mi piombano addosso.
Mierda.
Io pensavo che in questo modo avrei scoperto qualcosa di Ade, in realtà non ho fatto altro che invadere la sua privacy.
Ade sospira, sedendosi sulla ghiaia di fronte alla tomba.
«Non credevo che mi avresti seguito anche qui» sorride amaramente, accarezzando il freddo marmo della lapide.
«Hai ragione Ade» la sua espressione muta, stupita da quanto sto dicendo.
Annuisco lentamente prima di riprendere a parlare.
«Avrei dovuto farmi gli affari miei» ammetto, dandogli ragione.
«Sì, avresti dovuto…» lascia la frase in sospeso «ma ora che siamo qui è meglio iniziare a parlare di qualcosa…» mi prende alla sprovvista, proponendo di continuare a raccontare un po’ di sé.
«Sapevo che mi stavi seguendo da quando sono uscito di casa…
Ho sentito Devi cercare di convincerti a frenare la tua curiosità, ma tu come al solito hai fatto finta di nulla e hai ascoltato solamente la tua testa…» provocatorio mi infastidisce.
«Mi dispiace solo che tu…» non termina la frase, scuotendo la testa.
«Forse è meglio partire dall'inizio…» mi propone, riprendendo a parlare dopo pochi attimi.
«Quella che vedi in foto è mia madre» rimango in silenzio per rispettare il suo dolore e i suoi tempi.
«Si è suicidata perché ormai stava impazzendo» ammette, rivolgendo il proprio sguardo verso la ghiaia, trasmettendomi tutto il suo dolore.
«Dimmi che…» non ho il coraggio di terminare la frase, ma lui scuote la testa.
«Gli ultimi ricordi che ho di lei risalgono ai suoi deliri…
Continuava a ripetere “cerca i miei documenti, le cose non sono come sembrano”, ma quando provava a dire qualcosa di più, mio padre la allontanava per sedarla, rimanendo in attesa che le medicine facessero effetto facendola addormentare» mi racconta e io rispetto questa confidenza rimanendo in silenzio.
Non ho il coraggio di parlare di fronte a quest’immenso dolore, perché i nostri destini mi sembrano, come mai prima d’ora, tanto simili.
«Mi dispiace per la tua sofferenza Cenerentola» cambia improvvisamente argomento, stupendomi per la naturalezza con cui è passato dalla scomparsa della madre a parlare di me.
«Ma io non posso darti risposte, al momento» sospira, sollevandomi il volto con le dita ancorate sotto al mento.
«Devo proteggerti non solo da ciò che sta accadendo tra noi e tuo padre» si morde il labbro inferiore «ma anche da ciò che accade nella mia testa e nel mio cuore» e in quel momento il mio respiro si blocca, perché sembra che voglia farmi intendere qualcosa…
«Ho bisogno di un po’ di tempo» dice, mentre inizia a scendere la notte e, tutt'intorno l'atmosfera si fa più tetra.
«Va bene Ade… anche io mi prenderò del tempo perché non ci sei solo tu e ho bisogno di capire» chiarisco, sapendo perfettamente che ha capito la mia allusione a Xander.
Mi guardo intorno, concentrando poi nuovamente l’attenzione su Ade, diventato improvvisamente serio e silenzioso.
Lo guardo per qualche secondo: il volto teso, la luce della luna che si riflette sul suo profilo, il labbro trattenuto tra i denti e un ricciolo che gli ricade sugli occhi.
«Forse dovremmo andare» poggio una mano sulla sua spalla, mentre lui annuisce lentamente quando mi alzo.
Stringe le dita attorno al mio polso e mi costringe ad abbassarmi nuovamente alla sua altezza.
«Ancora qualche secondo» sussurra e, senza rendermene conto, mi riaccomodo accanto a lui, appoggiando la testa sulla sua spalla.
E quando cessa ogni rumore, quando non si ode alcun suono se non il fruscio del vento, tutto quello che non riusciamo più a scorgere dall'esterno accade al nostro interno.
Riusciamo a sentire i nostri conflitti, i nostri pensieri, le nostre paure, le nostre fantasie, il rumore della nostra anima.
Questo accade perché quando non siamo distratti dallo stridere dell'ambiente esterno, riusciamo meglio ad ascoltare ciò che ci portiamo dentro in un conflitto di sentimenti contrapposti.
E così, senza nemmeno accorgersene, ognuno perso nelle proprie riflessioni si addormenta sulla spalla dell'altro.
Bocca dell'inferno mi fai piangere un fiume per te.
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