Irresponsabile sprovveduta

IRRESPONSABILE SPROVVEDUTA
Naira

Con gli occhi ancora chiusi e la testa appoggiata al cuscino, mi aggiusto lentamente, aspirando il profumo di zenzero, cacao e frutta racchiuso tra le pareti di quella camera.
Faccio scorrere il palmo aperto della mano sulle lenzuola e di scatto apro gli occhi, terrorizzata dal gesto quasi sdolcinato appena compiuto.

Fortunatamente l'assenza di Ade mi evita l'ennesima figuraccia, lasciandomi il tempo di assimilare quanto in realtà mi piaccia il profumo racchiuso tra le mura di questa stanza.
Dio, il suo profumo non poteva essere fastidioso almeno la metà di lui?
Sollevo gli occhi al cielo e frustrata mi alzo, iniziando a frugare nel suo armadio per trovare qualcosa da indossare, ma la mia attenzione viene attirata da un pezzo di carta appoggiato sul comodino.

"Cenerentola,
questa mattina sarò fuori casa per alcune commissioni.
Se vuoi mettiti anche a prendere il sole, ma mi raccomando non uscire senza di me"

Sbuffo, infastidita dal suo tono e raggiungo il piano inferiore.
Seduta al tavolo, trovo Devi che m'invita a raggiungerla.
«Come hai passato la notte?» domanda, arrivando al sodo.

Sbuffo, scocciata dall'atteggiamento che tutti, in questa casa, hanno nei miei confronti.
«Ci sono anche gli altri che devono sentire?» mi giro a destra e sinistra per vedere se qualcuno di loro sbuca fuori da qualche angolo.

«Avanti, fatevi vedere» alzo il tono, aspettandomi che qualcuno di loro ci raggiunga, senza risultato.

«Scusami è che sono molto innervosita dall'atteggiamento di Ade e da quello dei suoi amici, quindi in questo momento fatico a fidarmi» ammetto, scusandomi per il mio comportamento.

«Comunque, credo bene» rispondo alla sua domanda iniziale.
«Quando sono scappata di sopra mi sono semplicemente cambiata e ho chiuso gli occhi così velocemente da non riuscire a sentire nemmeno l'arrivo di Ade.
Non so né dove abbia dormito, né se sia realmente rientrato per dormire» ammetto sedendomi accanto a lei.

«Mi dispiace davvero per come sono andate le cose ieri sera, Naira» si scusa lei a nome di tutti.

«A volte i ragazzi sanno essere dei veri idioti» prosegue scuotendo la testa «però tu sai tenere testa ad Ade e questo lo infastidisce parecchio» sorride di sbieco.

«No, ti prego Devi, non mettertici anche tu, già mi basta lui» sollevo le braccia in segno di resa, ridendo.

«È la verità. Mi ha detto questa cosa Axel...» lasciala frase in sospeso, rimanendo improvvisamente in silenzio.

Sto per riprendere a parlare quando Devi poggia il dito indice sulle sue labbra, intimandomi di non parlare.

Si guarda intorno sentendo alcuni rumori provenire dall'esterno e, di soppiatto, raggiunge il parapetto della veranda.
Dalla tasca posteriore sinistra tira fuori una pistola e il respiro mi si ferma in gola.

Di corsa la raggiungo «cosa stai facendo?» sussurro costringendola a ordinarmi nuovamente di rimanere ferma e in silenzio.

L'attesa mi sta mangiando viva, obbligandomi a regolarizzare il respiro per impedire a chiunque sia nei paraggi di accorgersi della nostra presenza ed esortarlo ad andarsene il più velocemente possibile.

Improvvisamente sentiamo la voce di Axel e ci alziamo in piedi, per vedere cosa stia succedendo.
«Rimani dietro di me, okay?» si raccomanda mentre ci avviciniamo a un palo della veranda sentendolo dire «vattene via stupido gattaccio».

Con un calcio allontana la bestiola dai resti di un cassonetto caduto, facendogli emettere un miagolio di rabbia prima di andarsene.

Devi sospira e io improvvisamente mi accorgo di aver trattenuto il fiato per tutto questo tempo.

Passo le mani sul volto, incredula, e mi fermo a riflettere: possibile che ogni giorno sia uguale al precedente e a quello prima ancora?
Ogni secondo mi devo difendere e/o devo essere difesa da centinaia di pericoli. Tutto a causa di quella stupida decisione presa in un impeto di rabbia.

«Ragazze state bene?» la voce di Axel mi ridesta dai miei pensieri mentre velocemente annuisco per rassicurare entrambi.

«Visto che questa mattina è partita con un po' di agitazione, che ne diresti se andassimo a fare un giro per negozi?» propone Devi per smorzare l'ansia generata da quella situazione.

«Ade si arrabbierà sicuramente» interviene Axel prima che io possa rispondere.
La sua ragazza gli si avvicina per scambiare, in privato, due parole con lui.
Tiro un lembo della felpa, sentendomi estremamente a disagio e di troppo, fino a quando Devi finalmente non mi si riavvicina.

Mi prende a braccetto e dopo essersi scambiata un cenno d'intesa con Axel usciamo dalla porta per raggiungere, presumo a piedi, i negozi di quella cittadina.

«Fermati un attimo!» esclamo all'improvviso, spaventandola.
«Dovrei indossare la parrucca che mi ha procurato Ade per nascondere la mia identità» ammetto, ancora vicino a casa.

Devi scuote la testa e mi tira su il cappuccio prima di porgermi un paio di occhiali da sole.
«In questo modo dovrebbe essere già difficile riconoscerti. Speriamo solo di non attirare più sguardi del previsto» annuisco e, poco convinta, la seguo nella speranza che Ade non ci scopra o che non ci siano altri imprevisti.


Ade

Cammino, tra gli edifici colorati di periferia, con un braccio poggiato sulle spalle di Guinevieve.
Immagino che a quest'ora la principessa si sia già svegliata e che abbia potuto sentire, con ogni fibra del proprio corpo, il profumo che ho spruzzato prima di uscire di casa.

Per sua sfortuna non sono rimasto con lei a dormire questa notte, anche perché quando sarà il momento di dormire insieme dovrà avere tutta la propria attenzione concentrata su di me, ma ho fatto comunque in modo che sentisse la mia presenza, ovunque, anche quando non ci sono.

«Finalmente mi stai concedendo di nuovo le attenzioni che merito» Guinevieve mi ridesta dai miei pensieri.
Scocciato, annuisco distrattamente raggiungendo un quartiere etnico di Guadalupe.

Ci troviamo qui perché ho bisogno di capire come sia la situazione tra queste strade prima di poter intervenire, nei prossimi giorni, per dare un avvertimento alle persone che stanno cercando di mettersi sul nostro cammino, ma improvvisamente il mio udito viene attirato da una voce conosciuta.

«Vi, che ne dici se entriamo in quel negozio» sento pronunciare quelle parole e, mi avvicino al luogo da cui provengono, riconoscendo il volto di Naira, nascosto dal cappuccio della mia felpa nera e da un paio di occhiali da sole, accompagnata da Devi.
Quella piccola principessa impertinente me la pagherà.

«Guinevieve torna a casa, devo fare una cosa» la invito ad andarsene, incontrando resistenza da parte sua.

«Ma come? Mi avevi promesso che avremmo passato insieme tutta la giornata» mette il broncio, incollandosi maggiormente al mio corpo.

La strattono, allontanandola bruscamente «non hai capito quello che ho detto? Devi andartene perché ho da fare» e, sbuffando se ne va, lasciandomi finalmente al mio obiettivo.

Decido di seguire silenziosamente le due ragazze per vedere in quale guaio si cacceranno e poter dire loro che "gliel'avevo detto" di rimanere chiuse in casa fino al mio ritorno.

Entrano ed escono almeno da una decina di negozi, con diversi sacchetti in mano, e quasi mi convinco ad andarmene per lasciarle sole a trascorrere la mattinata, ma improvvisamente le vedo avvicinarsi troppo a una pattuglia di polizia e bloccarsi.

«Vi, fermati» Naira interrompe l'avanzata dell'altra ragazza.
«Non possiamo proseguire per questa strada» dice, indicandole la direzione in cui si trova ferma la pattuglia.

«Se quegli uomini sono stati inviati da mio padre sicuramente staranno mostrando la mia foto a chiunque passi per di qui» sbuffa passandosi le mani sul cappuccio, come a volerle incastrare tra i rossi boccoli «e se Ade dovesse scoprire che ci siamo messe nei casini non me la lascerebbe passare liscia» conclude.

E non posso che essere d'accordo con lei, soprattutto dopo tutta la fatica che sto facendo per cercare di tenerla al sicuro, lontano dal padre e da tutti gli uomini che fanno parte della sua organizzazione.

«Okay Naira, questo è il piano» prende a parlare Devi, cercando di non dare nell'occhio.
«Entriamo nel negozio accanto alla pattuglia e cerchiamo di rimanerci il più possibile» il suo piano fa acqua da tutte le parti.
«Quando riterremo di aver visto abbastanza, usciremo dal retro e tenteremo di oltrepassare l'auto» le propone e la principessa annuisce con decisione.

Stupide, stupide, stupide, stupide.
In questo modo si renderanno visibili e la polizia le fermerà sicuramente.

Decido di rendere nota la mia presenza e avvicinarmi a loro, cercando di mostrarmi spavaldo come al solito.
«Buongiorno donzelle» pronuncio, poggiando un braccio sulle spalle ad entrambe, di modo che io mi trovi in mezzo a loro.

«Che ci fai tu qui?» Naira spalanca gli occhi, sbiancando improvvisamente.

«Che c'è Cenerentola, non ti sono mancato?» domando, dandole un buffetto amichevole sotto al mento, prima di riprendere a parlare.

«Piuttosto, voi cosa ci fate qui?» colpevoli, guardano entrambe verso il basso per evitare d'incontrare il mio sguardo alterato.

«Facciamo in modo di renderci invisibili» dico dando indicazioni a entrambe su come affrontare la situazione imprevista.
«Camminiamo con disinvoltura e superiamo l'auto, poi ci recheremo in Rue Santa Cecilia dove si trova parcheggiata la mia macchina. Una volta a casa faremo i conti» concludo ricevendo un loro cenno di assenso.

Così, pochi secondi dopo, proprio come da accordi iniziamo a camminare in direzione dell'uscita del quartiere.

«Ehi voi tre, fermi» ci intima uno degli uomini in divisa.
In quel momento una goccia di sudore mi scende lungo la schiena, quando rivolgo il mio sguardo verso le due ragazze «non muovetevi di un passo, ci penso io».

Mi avvicino alle forze dell'ordine e, con un'espressione cordiale stampata in volto mi rivolgo a loro, tenendo d'occhio Devi e Naira ferme all'angolo della strada.

«Buongiorno agenti, come posso esservi utile?» cortesia e gentilezza prima di tutto, non devo attirare la loro attenzione su Naira.

«Per caso ha visto questa ragazza?» domandano, mostrandomi una foto della giovane Idalgo.
Evidentemente non si tratta di uomini al servizio del padre, altrimenti avrebbero anche un mio identikit e sarei stato costretto a scappare.

«Purtroppo no, ma se doveste trovarla datemi pure il suo numero.
Un po' di divertimento con lei non sarebbe male» faccio una battuta, sicuro che i due agenti, corrotti, caschino nel tranello delle mie parole.

Infatti, dopo solo quale secondo di attesa, scoppiano a ridere dandomi alcune gomitate sui fianchi.
«Allora io me ne vado, buona giornata e buon lavoro» dico, per evitare di protrarre la mia sosta troppo a lungo.

«Aspetti un attimo» mi ferma l'altro, avvicinandosi di qualche passo alle ragazze.
«Posso chiedere anche a loro?» e in quel momento numerose goccioline di sudore mi scorrono lungo la schiena.

«È meglio di no, purtroppo mia cugina non si sente bene e dobbiamo portarla d'urgenza da un medico» pronuncio queste parole con un tono leggermente più alto, sperando che possano sentirmi anche Devi e Naira e mettano su una messinscena per convincere i poliziotti.

«Volete che vi diamo un passaggio? Con le sirene faremo prima» si avvicina maggiormente a loro e in quel momento mi sento definitivamente minacciato.

«Ho detto di no, ma grazie comunque» insisto, facendo percepire il mio tono decisamente alterato.

Sono quasi pronto ad estrarre la pistola, quando l'altro poliziotto ferma il collega.
«Dai Carlos, non vedi che ti hanno detto di no? Lascia stare» e in quel momento un respiro di sollievo lascia le mie labbra.
Li ringrazio, salutandoli cordialmente e raggiungo le ragazze che stanno ancora fingendo che Naira si senta male.

«Continuate in questo modo fin quando non ve lo dico io.
Ora dobbiamo accertarci di non essere seguiti da nessuno dei due, quindi andiamo lentamente e non guardiamoci più indietro» teso, cammino con loro due al mio fianco, fino a che non siamo sicuri di essere usciti dalla zona ed essere finalmente vicini al parcheggio.

Silenziosamente faccio loro cenno di salire in auto e metto in moto, in modo da arrivare il prima possibile a casa per dare sfogo alla rabbia che in quel momento sta alimentando il mio corpo.

Giunti a destinazione scendiamo dall'auto per raggiungere l'entrata.
«Allora com'è andata ragazze?» Axel ci viene incontro sorridente.
Squadra i volti di Naira e Devi e subito capisce che qualcosa non è andato per il verso giusto vedendomi accanto a loro.

Infastidito gli rivolgo un'occhiataccia e lui, sollevando le braccia in segno di resa, si allontana.
«Okay, ho capito. Tolgo il disturbo» e sale al piano superiore attendendo che Devi lo segua.

«Non preoccuparti che dopo arrivo anche da te» le ricordo, sentendola sbuffare, prima che ci lasci definitivamente soli.

Lentamente mi avvicino al corpo di Naira: sento i suoi battiti velocizzarsi e il suo respiro farsi affannoso e sorrido di sbieco per l'effetto che questa situazione le sta provocando.

Rimaniamo in silenzio per alcuni minuti prima che si decida a parlare. «Hai ragione, ho sbagliato» ammette, guardando nuovamente la punta delle proprie scarpe, non riuscendo a reggere il mio sguardo glaciale.

Passo una mano tra i capelli biondi lasciando che un sospiro fuoriesca dalle mie labbra e, prima ancora che possa tornare a parlare, la interrompo sollevando la mano destra.

«Sei stata un'irresponsabile sprovveduta» ammetto con voce roca scuotendo la testa.
«Se i poliziotti ti avessero vista, saresti tornata immediatamente a casa da tuo padre» proseguo vedendola annuire lentamente.

«In più, non dire che non ti avevo avvertita: mi ero raccomandato che non ti muovessi senza di me» proseguo percependo il suo respiro farsi più pesante.

«E con tutto quello che sto facendo per tenerti al sicuro, lontana dai pericoli, ascoltare quello che ti chiedo mi sembra il minimo che tu possa fare, no?» apro le braccia con tono interrogativo, guardandola finalmente negli occhi.

Le sue iridi chiare sembrano tremare al sentirmi pronunciare queste parole «io non ti ho mai chiesto nulla Ade» riprende a parlare, alimentando nuovamente la rabbia che sembrava essersi finalmente placata.

«Come non ti ho mai chiesto di farmi fuggire. È proprio per questo che non so cosa ti sia messo in testa con tutta questa storia» mi irrigidisco, comprendendo perfettamente il suo discorso.

E, proprio perché non posso uscire allo scoperto decido di lasciare che sia la rabbia che provo a sfogarsi su di lei.
«Ah sì, stupida? Questo è il tuo modo di ringraziarmi per averti salvata dalle grinfie di tuo padre e da un matrimonio che, quasi sicuramente, ti avrebbe costretta a una vita che non volevi?» domando vedendo una scintilla attraversarle gli occhi.

«Non mi sembra che questa vita sia tanto diversa da quella che avrei condotto accanto a Jorge» ammette avvicinandosi di un passo alle scale per raggiungere il piano superiore.

«Non credere che sia finita qui la nostra discussione» dico, prendendola per il braccio destro prima che possa salire.

«E cos'altro dovremmo dirci?» aggrotta le sopracciglia infastidita «sembra quasi che tu ogni volta abbia bisogno di un qualsiasi pretesto per discutere e, se permetti, mi sono stancata di tutto questo».
Coraggiosa la ragazza.

«Adesso, se il Signore me lo concede, salirei al piano superiore per rimanere lontano da lui più che posso» ammette salendo qualche scalino, prima che la interrompa nuovamente.

«Stai sottovalutando troppo il pericolo Naira e questo mi conferma che tutto quello che hai sempre creduto a proposito di questa vita, non sia corrispondente al vero nemmeno in minima percentuale» la provoco, sperando che in lei si accenda una scintilla, altrimenti sarò costretto a inventare bugie a proposito della sua presenza qui.

«Smettila di trattarmi come una stupida, sono stanca del tuo atteggiamento. Vai a scoparti Guinevieve se vuoi liberarti dalla frustrazione e rilassarti!» alza il tono cominciando a percorrere la scalinata con me alle sue calcagna.

«Vorresti forse unirti a noi?» la provoco ricevendo un urletto frustrato, da parte sua, in risposta.

Rapidamente ci avviciniamo alla porta della mia stanza: lei entra, cercando di chiudermi fuori, ma con un piede infilatovi in mezzo le impedisco di farlo.

«Cenerentola non scherzare con il fuoco» la avverto osservandola tirare fuori dai sacchetti i vestiti per cambiarsi.

«Vai a farti fottere Ade» prosegue, avvicinandosi alla porta del bagno.

«Con piacere. Buona permanenza» la saluto ottenendo un'espressione interrogativa da parte sua.
Mi chiudo la porta alle spalle e, con un ghigno sulle labbra, faccio un giro con la chiave per chiuderla dentro.

Non appena Naira si accorge della serratura che scatta, si avvicina alla porta iniziando a battervi ripetutamente contro i pugni.

«Ade non puoi farmi questo!» grida muovendo su e giù la maniglia.

«Questa è la tua punizione per essere uscita senza permesso. Vedrai, non sarà poi così male» la saluto e lentamente mi allontano, continuando a sentirla gridare.

E alla fine decido di fare proprio come la principessa di questa dimora mi ha consigliato: raggiungere Guinevieve per sfogare la frustrazione.
Finalmente un'ottima idea Cenerentola.

Naira

Frustrata mi riavvicino alla porta del bagno per lavare via dal mio corpo il nervosismo causato da Ade.

Finire per essere rinchiusa dentro una stanza mi ricorda una di quelle punizioni che i padri danno alle figlie quando queste disubbidiscono.
E il comportamento di Ade è realmente paragonabile a quello di un padre, anche se non capisco per quale motivo si sia fissato a tal punto da voler controllare ogni mio movimento.

Con alcuni vestiti di ricambio poggiati sul braccio raggiungo la doccia e, una volta regolata la temperatura dell'acqua grazie alle manopole, entro lasciando che il getto scorra sulla mia pelle, prima d'iniziare a insaponare il corpo col bagnoschiuma di Ade dall'odore fruttato.

Diavolo di nuovo il suo profumo che mi sovrasta.
Nel tentativo d'ignorare questo dettaglio cerco di risciacquare velocemente la schiuma per uscire in tutta fretta e racchiudere il corpo in un accappatoio rosa, appoggiato in stanza da Devi la sera prima.

Dopo essermi vestita riprovo ad aprire la porta, senza risultato, quindi per passare il tempo inizio a frugare nella stanza di Ade: i cassetti o sono vuoti, con qualche penna e preservativo lasciato in giro, oppure sono chiusi a chiave e qualcosa mi dice che questi ultimi potrebbero contenere qualcosa di davvero interessante.

Ma visto che mi sono liberata dalle forcine qualche sera prima, non posso nemmeno forzare la serratura della porta, quindi sono costretta a sbattere ripetutamente la testa contro il muro per non finire uccisa dalla noia.

Improvvisamente, dopo interi minuti trascorsi avvolta dal più totale silenzio, sento bussare alla porta.

«Vattene subito» dico, immaginando che sia Ade che voglia prendersi gioco di me.

«Ti ho portato il pranzo» mi stupisce, producendo un rumore metallico.

«Non lo voglio, non ho fame» rispondo sperando di farlo desistere, ma inaspettatamente sento la serratura scattare e capisco che quella potrebbe essere l'occasione perfetta per fuggire.
Vedo la maniglia abbassarsi e in quell'esatto istante poggio i piedi per terra: quando la porta viene aperta mi preparo a correre verso il corridoio ma Ade mi ferma, racchiudendomi tra le proprie braccia.

«Pensavi che non sapessi che avresti cercato di fuggire?» domanda parlandomi con un tono quasi infastidito, prima di lasciare la presa attorno al mio corpo e spingermi verso la parete.

«Adesso mi fai il favore di mangiare tutto quello che ti ho portato, okay?» avvicina il proprio corpo al mio, facendomi sentire la durezza dei suoi muscoli.
Non può essere, non devo pensare a questo.

Annuisco e aspetto, per qualche secondo, che si allontani dal mio corpo, ma questo non avviene.

«Ade che stai facendo?» domando quando, assorto tra i propri pensieri, mi accarezza il volto con un dito.
Sembra quasi che stia per rispondermi, ma si risveglia improvvisamente, come ridestato da un sogno, e si allontana di scatto.

«Buon appetito principessa» spinge il vassoio nella stanza prima di chiudermici nuovamente dentro.

Sbuffo sonoramente lasciando il cibo esattamente nel punto in cui l'ha appoggiato e decidendo di trascorrere il tempo a riposarmi.
Non gliela darò mai vinta, anche a costo di morire di fame.

Dopo un tempo che mi pare infinito sento nuovamente bussare alla porta.
Mi stiracchio, girandomi dalla parte opposta all'uscio, appoggiando sulle orecchie un cuscino per ovattare i rumori provenienti dall'esterno.

«Naira sono Devi, ti ho portato la cena» dice sottovoce.
E sentendo pronunciare la parola "cena" la mia pancia inizia a brontolare sonoramente.
Merda.

«Cosa ci fai tu qui? Il mio carceriere si è già stancato di prendersi cura di me?» le domando sorridendo di sbieco.

«Shh» m'intima di fare silenzio.
Aggrotto le sopracciglia: che diavolo succede?

«Pare che Ade abbia avuto una discussione con Guinevieve perché mentre facevano sesso l'avrebbe chiamata col nome di un'altra donna» mi racconta mantenendo un tono di voce basso.

«E da quel momento è irraggiungibile» prosegue, lasciandomi una strana sensazione al centro del petto: è vero, sono contenta che anche la sua giornata sia stata rovinata, ma al tempo stesso penso a dove potrebbe essere finito.

«Probabilmente il karma ha fatto il proprio corso, liberandoci finalmente dalla sua presenza» dico, pentendomi un secondo dopo per aver pronunciato queste parole.

«Scusa, non volevo dirlo davvero» ammetto sospirando.

«Lo so» risponde, tranquillizzandomi.
«Comunque i ragazzi lo stanno cercando, se dovessero esserci novità ti faccio sapere» mi rassicura facendo calare uno strano silenzio tra di noi.

Sospiro, prima di riprendere a parlare «visto che immagino che tu non abbia le chiavi mangerò il cibo che mi ha portato Ade per pranzo, ma ti sono grata per essere venuta a tenermi un po' di compagnia» la ringrazio, sedendomi sul pavimento per consumare la mia cena e lasciare finalmente ai pensieri di vagare liberi dentro la stanza.

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