Hai avuto paura per me, Cenerentola?

HAI AVUTO PAURA PER ME CENERENTOLA?
Naira

L'oscurità circonda l'Aston Martin in rapida fuga da San José.
Peccato che sia io che Ade non sappiamo fino a dove, la nostra carrozza, sarà in grado di guidarci.

«Devo parlare con Xander, lui saprà dirci cosa fare per depistarli» Ade rompe improvvisamente il silenzio creatosi.

«Che diavolo stai dicendo?!» aggrotto le sopracciglia confusa.

«Ora stai zitta» solleva una mano, dopo aver collegato il telefono allo schermo dell'auto, per inoltrare la chiamata.

«Pronto?!» una voce assonnata risponde dopo qualche squillo.

«Xander siamo partiti. Abbiamo da poco lasciato San Josè, ma non sappiamo dove andare...» lascia il discorso in sospeso, nella speranza che lui gli dia indicazioni precise.

«Perché stai parlando al plurale?
Tu già sapevi che saremmo fuggiti insieme?» grido, arrabbiata, ignorando il suo ordine.

«Ho il piacere di ascoltare quella che presumo sia la voce di Naira» Xander ride dopo aver pronunciato queste parole.
La sua non era una domanda...
Sa perfettamente che si tratta di me e il mio improvviso silenzio non fa altro che alimentare il suo divertimento.
«Lascia che i veri uomini si occupino del vostro viaggio» mi mette a tacere, prima di riprendere a parlare con Ade.
Non finisce qui.

«Dovete raggiungere Cañas e fermarvi al primo distributore disponibile.
Da questo momento in poi non chiamarmi più, altrimenti vi renderai rintracciabili.
Ti contatterò io non appena sarà necessario» chiude la telefonata, lasciando che il continuo suono della cornetta riagganciata rimbombi all'interno della macchina.

«Credo che tu mi debba delle spiegazioni» riprendo a parlare.

«Come faceva Xander a sapere chi sono?
Dimmi cosa sta succedendo» cerco di mostrarmi minacciosa ottenendo in risposta una risata divertita.

«E se io non ti rispondessi?» solleva il sopracciglio, con un ghigno stampato sul volto.
«Cosa pensi di fare Naira?» domanda continuando a prendersi gioco di me.

«Se vuoi fermo la macchina e ti faccio scendere» decelera fino a fermarsi completamente.
«Dai, adesso fai qualcosa» mi provoca invitandomi ad andarmene, ma io non trovo il coraggio per muovermi.
«Come immaginavo» un'espressione saccente si forma sul suo viso mentre fa ripartire la macchina.

«Ora chiudi quella bocca e lascia fare a me» mi ordina, prima di tornare a concentrarsi sulla strada da percorrere, senza rivolgermi più parola.

Trascorrono almeno un paio d'ore dalla nostra partenza e fuori dal finestrino posso vedere il sole che sta iniziando a sorgere, mentre tra i sedili scuri in pelle aleggia il silenzio.

La desolazione delle strade che stiamo percorrendo è in contrasto con il colore delle abitazioni disseminate lungo la via e con la sensazione di vita che riescono a trasmettere.
Eppure non riesco a percepirla completamente, troppo concentrata sulla situazione in cui ci troviamo.

Le strade desolate che stiamo percorrendo sono in contrasto con le colorate abitazioni disseminate lungo il tragitto, ma nemmeno la vita trasmessa da queste vie è in grado di farmi dimenticare la situazione in cui ci troviamo.

«Che succede Cenerentola, il gatto ti ha mangiato la lingua?» Ade ricomincia a provocare, tentando di farmi perdere la pazienza.
Ma io rimango in silenzio, nella speranza che anche lui finisca per innervosirsi.

«Dai, non essere arrabbiata, quando arriveremo ci sarà una sorpresa per te» un sorriso impertinente gli si forma sulle labbra.

«Sono sicuro che ci siamo quasi» ottimista accelera, prendendo una curva a tutta velocità.
Sfortunatamente le conseguenze di quella scelta diventano evidenti quando iniziamo a sentire rumori striduli, scoppi e schiocchi.

«Merda! Non può essere» impreca prendendo ripetutamente a pugni il volante prima di rallentare.

«Cosa sta succedendo?» domando, consapevole che quella curva spericolata potrebbe aver segnato la fine del nostro viaggio.

«Devo controllare l'assale, potrebbe essersi danneggiato» scende dall'auto, piegandosi accanto alla ruota anteriore sinistra.

Attendo qualche secondo prima di appoggiare la mano sulla maniglia e aprire la portiera.
«Quindi?» scocciata cerco di capire quale sia la situazione.

«Dobbiamo spingere l'auto» nervoso incastra le dita tra i capelli, sporcandoli leggermente «e sperare che il distributore sia vicino» allenta il nodo della cravatta, per toglierla, poi appoggia la giacca del completo sui sedili posteriori.

«Cosa aspetti Cenerentola?
Ti spaventa sporcarti le mani?» Ade mi fa l'occhiolino iniziando a sbottonarsi la camicia prima di ripiegarne i polsini e tirare su le maniche.

«Non ti sopporto più» grido, iniziando a camminare qualche passo avanti a lui per allontanarmi.

Il diavolo biondo, allarmato, lascia la macchina incustodita per rincorrermi.
«Non farmi incazzare ragazzina, non puoi proseguire da sola» mi appoggia una mano sulla spalla, sporcando la spallina del principesco abito con cui sono fuggita.

«Sei ricercata dagli uomini di tuo padre, non posso lasciarti andare» cerca di convincermi a tornare, con lui, accanto alla macchina.

Annuisco e lo seguo, con il capo rivolto verso la svolazzante gonna turchina.
«Daremo sicuramente nell'occhio, vestiti in questo modo, al distributore di benzina di questa stupida cittadina» frustrata do voce ai miei pensieri.

«Hai ragione» annuisce consapevole «speriamo di trovare degli indumenti di ricambio, altrimenti ci toccherà proseguire solo con l'intimo addosso, o addirittura... nudi» mi provoca, tornando a concentrare la propria attenzione sull'Aston Martin in panne.

«Appoggia le mani sul baule, mettiti da quella parte e inizia a spingere» con fare malizioso mi aiuta a posizionare le mani sul portabagagli.

«Superata questa salita ti siederai al posto del guidatore per direzionare, col volante, le ruote nelle curve» si assicura che abbia compreso il suo piano e inizia a spingere.

Insieme riusciamo a spostare l'auto per alcuni metri «dios mìo qué cansancio!» esclamo affaticata continuando a tirare il vestito che s'incastra sotto i tacchi delle mie scarpe.

«Passa avanti» mi allontana, nervoso, prima che la situazione gli sfugga di mano.

«Non costringermi a litigare con te Cenerentola, sono già abbastanza nervoso di mio» sbuffa fuori la frustrazione.

Asciugo la fronte, ormai sudata e sollevo l'abito per sedermi sul sedile anteriore.
«Se hai bisogno di aiuto chiama» lo avviso, tirando fuori la testa dal finestrino prima d'iniziare a girare il volante per seguire l'andamento della strada.

Dopo alcuni minuti trascorsi in silenzio un grido di speranza lascia le mie labbra.
«Ade, mi sembra di vedere qualcosa in lontananza» lo avverto, sorridendo felice.

Percorriamo altri venti metri prima di intravedere i cartelli della stazione di servizio.
«Cazzo, finalmente!» grugnisce, affaticato.

Giunti in prossimità del distributore parcheggiamo la macchina accanto alle pompe di benzina per fare il pieno.
«Per fortuna non c'è nessuno nei dintorni... speriamo che il proprietario non faccia caso al nostro abbigliamento» sussurro tra me e me.

Ade si affaccia al finestrino asciugandosi il sudore con un lembo della camicia.
Rimango incantata per qualche secondo a osservare i, lucidi, muscoli ricoperti di sudore.
Dotato il ragazzo.
Poi concentro tutta la mia attenzione sui tatuaggi incisi sulla sua pelle: un ragno nero al centro del petto e il simbolo delle picche sotto l'ombelico, sulla parte destra dell'addome.

«Pronto ci sei?» mi schiocca le dita davanti agli occhi.

«Sì, sì» balbetto, scuotendo la testa, con la sensazione di essermi appena risvegliata da un sogno.

«Adesso ti spiego come ci organizziamo» smette di parlare per assicurarsi di avere la mia completa attenzione.
E io, per esserne certa, devo sbattere ripetutamente le palpebre per concentrarmi sul suo viso, e non più sul suo petto.
Che peccato.

«Tu farai il pieno alla macchina mentre io entrerò in quel negozio per procurarmi nuovi indumenti, vivande da consumare e un paio di forbici per cambiare taglio di capelli e nascondere le nostre identità in attesa dei nuovi documenti. Tutto chiaro?» solleva un sopracciglio mentre io annuisco convinta.

Ade tira fuori alcune banconote dal portafoglio e si dirige verso la stazione di servizio mentre io prendo la pistola per la benzina e, dopo aver inserito i soldi nella macchinetta, la introduco nel serbatoio per riempirlo.

Finito di fare il pieno spingo l'auto accanto alla stazione di servizio per lasciare spazio, al distributore, ad altri veicoli.

Scendo dalla macchina e mi avvicino alle vetrate, per vedere a che punto sia Ade, concentrando la mia attenzione sul maxi schermo posto all'interno del negozio.
Frivole fotografie di stelle dello spettacolo si susseguono sullo schermo, accompagnate dalle parole dei giornalisti.

Poco dopo le immagini vengono sostituite da una scritta in primo piano: "Esclusiva" utile ad attirare l'attenzione dello spettatore.
Il proprietario del negozio, infatti, abilmente incuriosito prende il telecomando per alzare il volume e concentrare la propria attenzione sulle immagini di una sparatoria, raccontate dalla voce dell'inviato.

Interessata cerco di avvicinarmi alla porta d'entrata, bloccandomi improvvisamente quando viene inquadrata in primo piano la villa di proprietà della mia famiglia protagonista, soltanto qualche ora prima, di uno scontro armato.
Pochi secondi dopo appare mio padre Iván intento a parlare ai microfoni dei reporter.
Le sue labbra si muovono ostinate, fino a quando il suo volto non viene rimpiazzato dalle foto di Ade e me per parlare della nostra scomparsa e relativa ricerca.

Immediatamente il mio sguardo si concentra su Ade che, intento a pagare alla cassa, si accorge del servizio mostrato in tv solo a causa dell'alto volume.
D'istinto prende i prodotti poggiati sul nastro e si avvicina alla porta.

«Dove vai stupido ladruncolo?» grida il proprietario alle sue calcagna, inseguendolo all'interno del negozio.

Arriva sulla porta e muove la testa prima a destra, poi a sinistra per cercarmi.
«Merda Naira, quello stronzo di tuo padre ha fatto mettere la nostra faccia in prima pagina al notiziario!
Siamo ricercati, dobbiamo andarcene da qui» ma prima che possa raggiungermi una macchina, a tutta velocità, entra nella stazione di servizio.

Alcuni uomini, armati di mitra e con indosso dei passamontagna, sporgono dai finestrini.
«Siete morti» grida uno di loro, sparando verso di noi una pioggia di proiettili.

Ade, coprendosi con il sacchetto, corre velocemente verso di me.

«Naira passami la pistola» grida nervoso, volendo rispondere al loro attacco.

«Spiegami chi cazzo sono questi e come hanno fatto a trovarci!» inizia a fare fuoco prima di nascondersi dietro l'auto, accanto a me, per controllare il numero di proiettili disponibili.
Sbianco.
Non può essere nessun altro all'infuori di lui.

«È stato mio padre, ne sono sicura» ammetto scuotendo la testa.
«Ci ha rintracciati col localizzatore installato in auto» Ade si batte una mano sulla fronte.

«Come ho potuto non pensarci prima?» domanda corrucciato prima di annuire ripetutamente e sorridere. Ha un piano.

«Dobbiamo avvicinarci a quella macchina laggiù. La useremo per fuggire» indica l'auto a cui si riferisce, continuando a sparare qualche colpo per difesa.

«Dovete trovarli» una terza voce si sovrappone alle nostre.
«Anche a costo di radere al suolo questo posto» prosegue mentre Ade mi tiene una mano poggiata sulla bocca per impedirmi di produrre qualsiasi suono.

«Ora inizierò a sparare per coprirti le spalle mentre tu, senza girarti, correrai verso l'auto per forzare la serratura e avviarla.
Appena avrai fatto io ti raggiungerò» spiega senza propormi alcuna alternativa.

«Al mio tre» riprende a parlare, inserendo nuovi proiettili nel caricatore.
«Uno...» alcuni colpi vengono sparati accanto a noi.
«...due» un sospiro esce dalle mie labbra.
«E tre!».

Comincio a correre a perdifiato raggiungendo l'auto.
Il fiatone mi rende quasi impossibile riflettere lucidamente.
Come diavolo dovrei aprire la portiera?

Poi sorrido: fortunatamente gli hairdressers al servizio della mia famiglia... o meglio, al servizio dei signori Idalgo, mi hanno riempito la testa di forcine, per tenere in posa i capelli.
Ne faccio scorrere una tra i fili scarlatti e cerco d'inserirla nella serratura per forzarla.
Dopo qualche tentativo gli intagli del chiavistello si sbloccano.

Di corsa mi precipito in auto e suono ripetutamente il clacson per far capire ad Ade di potermi raggiungere.

Parecchi proiettili vengono sparati alle mie spalle prima che mi decida a girarmi per controllare la situazione: Ade spara a un uomo, riuscendo a colpirlo, e sfruttando la distrazione degli altri scagnozzi di mio padre si dirige verso l'auto, con le mani giunte sul fianco sinistro.

Quando apre la portiera mi accorgo si una macchia di sangue sulla sua camicia.
«Che diavolo è successo?» domando con le lacrime agli occhi cercando d'intervenire in suo aiuto.

«Non preoccuparti Cenerentola, non è nulla. Questo sangue non è il mio» solleva un lembo della camicia per mostrarmi la pelle intonsa, colorata solamente da un lieve rossore.

«Forza, mettiamoci in marcia» mi invita a partire, per farmi distogliere l'attenzione dalla sua ferita mentre i suoi occhi, puntati fuori dal finestrino, sono concentrati sulle figure degli uomini al servizio di mio padre intenti a soccorrere il ferito.

Ancora scossa, ingrano la marcia e parto, tentando di fermare il tremore che mi scuote le mani.
«Che succede, hai avuto paura per me Cenerentola?» domanda sorridendo di sbieco.

Sollevo gli occhi al cielo.
«Sei insopportabile!» esclamo continuando a superare i limiti di velocità.

«Cosa sta passando per questa testolina?» picchietta l'indice sulla mia tempia, permettendo ad entrambi di restare chiusi nella nostra bolla ancora per qualche secondo, prima che il telefono prenda a squillare all'impazzata.

«Dimmi che cazzo è successo» grida una voce che non riconosco, rimproverando Ade.

«Le guardie di quel pezzo di merda ci hanno rintracciati e abbiamo dovuto rubare un'auto per scappare» spiega la situazione, nervoso.
«Adesso dobbiamo necessariamente fermarci da qualche parte per nasconderci».

«Sì, hai ragione» il silenzio viene interrotto dalla voce di Xander che conferma il suo piano.
«A 950 metri di distanza da quel distributore c'è un motel. Nascondetevi lì fino a questa sera, poi ti manderò l'indirizzo di quel nostro amico che fornisce documenti d'identità falsi».

«Va bene, ci sentiamo a lavoro ultimato» chiude la conversazione dandomi indicazioni per raggiungere il motel Liwi.

«Ci siamo quasi principessa» improvvisamente sento la sua mano premere sul mio ginocchio.
Per qualche secondo lo sguardo si concentra su di lui che, sorridendo «siamo arrivati in via Tres Marías» dice, invitandomi a spegnere l'auto.

«Metti questa felpa sopra al vestito e indossa il cappuccio, dobbiamo cercare di non farci riconoscere» mi allunga l'indumento.

«Xander mi ha scritto di averci già prenotato una stanza, quindi dobbiamo solo chiedere conferma della prenotazione e nasconderci lì fino a questa sera».

Scendiamo dall'auto e raggiungiamo l'entrata, un po' trasandata, del motel, su cui si affacciano i balconi di alcune stanze che compongono la struttura.

Alla reception ci accoglie una cordiale signora.
«Buonasera come posso esservi utile?» domanda, concentrando la propria attenzione su di me.

«Abbiamo una prenotazione a nome Palomo» Ade mi scansa per risponderle.

«Un attimo che controllo» esegue una rapida ricerca sul computer.

«Eccola qua, stanza 193.
Vi basterà salire quella rampa di scale e troverete la vostra camera sulla destra» ci spiega, accompagnando i gesti con le parole.

«Come solo una stanza?
Ade non dovevamo avere due camere separate?» sbotto innervosita, ricevendo un'occhiataccia dalla mia guardia del corpo.

«Ma cosa dici amore?
Il fuso orario deve averti scombussolata» sorride, scuotendo la testa prima di appoggiare un braccio sulle mie spalle.
In un attimo il suo profumo si diffonde, lasciandomi in confusione per qualche secondo.

«Buona permanenza» ci augura l'anziana signora, consegnandomi le chiavi.

«Forza, ora andiamo Cinderira» mi ordina di seguirlo, stringendo lievemente la presa sulla mia pelle.

Saliamo silenziosamente la rampa di scale per raggiungere la stanza al piano superiore.
«Speriamo che non ci aspettino brutte sorprese» dico davanti alla porta della nostra suite, prima di aprirla.

Come non detto.
Una risatina nervosa lascia le mie labbra quando vedo che l'ampio letto matrimoniale occupa quasi tutto lo spazio.
«Non può essere...» scuoto la testa entrando in camera.

Faccio un giro su me stessa e osservo minuziosamente la stanza illuminata dalla luce del sole.
L'ingombrante letto toglie spazio a qualsiasi altro complemento d'arredo: ci sono solamente due comodini ai lati del materasso e due piccole poltrone accanto all'armadio in cui, diciamo la verità, non entrerebbero nemmeno i
vestiti per tre giorni di vacanza.

«Queste dovrebbero essere un contentino?» mi riferisco alle due poltrone sistemate accanto all'armadio mentre Ade scrolla le spalle.

«E finalmente, il tocco di classe» sul lato sinistro della stanza c'è una piccola porticina di legno che conduce verso il bagno, piccolo, ma dotato di una comoda vasca.
Che fortuna.

Terminata la mia disperazione, ritorno all'attacco con Ade.

«Che storia è questa?» alzo il tono della voce per assicurarmi che mi presti attenzione.

«Vuoi farti sentire da tutto il motel?» si altera a sua volta, riducendo la distanza tra i nostri corpi.

«Non abbiamo tempo per queste discussioni, dobbiamo occuparci di questioni più importanti prima di ripartire» getta alla rinfusa alcuni indumenti sul letto.

«Questa è per te» mi lancia una parrucca bruna estraendo poi le forbici dal sacchetto.
Non lo sopporto. Finirà che presto uno dei due ucciderà l'altro.

«Sai tagliare i capelli Naira? Vorrei tanto cambiare acconciatura» mi distrae dai miei pensieri, attorcigliandosi un boccolo tra le dita con fare civettuolo, prima di rivolgermi un occhiolino ammiccante, togliersi la camicia e dirigersi verso il bagno.
Sollevo gli occhi al cielo: Dio il suo corpo.

«Forza, Bella Addormentata non abbiamo tutto il tempo!» si affaccia dalla porta, vedendomi ancora lì impalata, accanto al letto.
Vi ci appoggio la parrucca, con l'intento di accorciarla in un secondo momento, e lo raggiungo, mettendogli un asciugamano sulle spalle.

«Fai in modo che il taglio sia il più dritto possibile» si inginocchia sul pavimento, arretrando con la testa fino a ritrovarsi al bordo della vasca da bagno, per far cadere i capelli al suo interno.
Mi abbasso alla sua altezza, stringendo alcune ciocche bionde e ondulate tra le dita.
Questo ragazzo mi farà impazzire.

Un colpetto sulla coscia mi ridesta dai pensieri e, tornando a prestare attenzione al qui e ora, inizio a tagliargli i capelli accorciando l'intera lunghezza.
«Ho finito» lo avverto, alzandomi per prendere lo specchio appoggiato su un comodino in camera.
«Dimmi cosa ne pensi» glielo porgo, osservando la sua espressione da serena diventare contrariata.

«Che cazzo di casino hai combinato? Sono tutti storti» grida, spingendomi fuori dalla porta per concludere da solo il lavoro, prima di farsi una rapida doccia.

Sospiro.
Trascorrere il tempo con lui è frustrante.
Sollevo gli occhi al cielo e lentamente mi siedo sulla coperta, al lato sinistro del letto, iniziando a guardare la parrucca poggiatavi precedentemente sopra.
La indosso e per qualche minuto provo a cambiare lunghezza per capire quale delle tante potrebbe starmi meglio, prima di venire nuovamente interrotta dalla voce di Ade.

«Naira passami i vestiti» mi ordina, burbero, apparendo sulla soglia con solo un asciugamano legato in vita.
Deglutisco ripetutamente e, dopo aver sbattuto gli occhi faccio quanto mi ha chiesto.

«Che c'è? Non ti starai innamorando di me?» mi deride, richiudendosi nuovamente la porta alle spalle.

Seccata scuoto la testa, poi raduno i miei abiti e la parrucca per entrare in bagno nel momento in cui lui sarebbe uscito.

«Vuoi compagnia? domanda, lasciando libero l'accesso alla toilette.

«Che c'è Ade? Hai finito di fare i capricci e ora ti interessa scoparmi?» lo sbeffeggio, tentando di scaturire una sua reazione.

«Non essere ridicola» cerca di riavvicinarmisi, ma io lo saluto con la mano prima di sbattergli la porta in faccia.

Sistemo gli indumenti che Ade mi ha comprato sulla tavoletta del water e, con le forbici in mano, mi avvicino al cestino accanto alla vasca iniziando a tagliare la lunghezza della parrucca.
Finalmente quella che fino a pochi minuti prima era solo un'idea sta diventando realtà.
Scuoto la testa...
Sembra che io stia parlando di un sogno, ma quello in cui ci troviamo non è altro che un incubo.

Quindi procedo a raccogliere i miei capelli in uno chignon disordinato e spogliarmi dei vestiti che ho indossato durante la giornata.
Entro in doccia e mentre il getto d'acqua mi bagna il corpo cerco di sfregare via dalla pelle tutte le orribili sensazioni che mi sono piombate addosso.
Chissà cosa sarà successo a casa Idalgo.

Asciugo le numerose goccioline che mi percorrono la pelle, indosso gli abiti puliti e raggiungo la camera vedendo Ade seduto, al mio posto, sul letto.

«Lì ci sto io» mi affretto a chiarire cercando di allontanarlo.

«Non mi sembra che qui ci sia scritto il tuo nome» provocatorio si stende sulle coperte.

«Invece sì. Visto che sei già sdraiato prova ad annusarle e sentirai il mio profumo» sorrido di sbieco, spingendolo via con decisamente poco tatto.

«In più, non farti strane idee: noi due non dormiremo insieme» solleva un sopracciglio «quella meravigliosa poltrona all'angolo della stanza aspetta soltanto di essere riscaldata dal tuo corpo».

«Non scherzare principessa. Non starò mai su quella poltroncina striminzita. Vacci tu!» la discussione continua, spingendoci ad alzare i toni.

«Ade non esiste, la donna sono io e ho il diritto di dormire sul letto. Da buon cavaliere dovresti lasciarmi il posto» proseguo, avvicinandomi alla sua figura.

Sbuffa «abbiamo affrontato un viaggio di tre ore e una fuga da due sparatorie. Non ho più voglia di discutere. Quindi o mi lasci dormire sul letto accanto a te o ti toccherà prendere posto su quella poltrona» indica verso quella direzione sdraiandosi comodamente sul materasso.

Incapace di dargliela vinta mi dirigo verso il mio giaciglio, prendendo una coperta dall'armadio per rimanere al caldo.
«Buon riposo stronzo» gli auguro, prima di socchiudere leggermente gli occhi e sentire le violente palpitazioni tentare di uscire dal petto.

Di soprassalto mi risveglio e controllo l'ora sullo schermo del telefono.
È passata solo mezz'ora da quando ho chiuso gli occhi.

Percorro la stanza con lo sguardo e mi soffermo sulla figura di Ade, rannicchiata su sé stessa sotto le coperte e, contro ogni aspettativa in quel momento così intimo lo trovo quasi dolce.
Quasi, esatto.
Mi rigiro su me stessa alcune volte prima di arrendermi: la scomodità è troppa, quindi decido di infilarmi sotto la coperta del comodo letto matrimoniale e rilassarmi.

Non so bene quanto tempo trascorre prima che mi risvegli, ritrovandomi faccia a faccia con la schiena di Ade, circondata dal buio.
Sulle scapole l'immenso tatuaggio di un diavolo gli macchia la pelle.
Impressionante quanta attenzione sia stata prestata per rendere questo disegno così realistico.

«Che fai Cenerentola, mi fissi?» mi prende alla sprovvista, facendomi sobbalzare.
Rimango in silenzio, sperando che si convinca del fatto che sto dormendo e desista, visto che mi rivolge la schiena e non sa se davvero lo sto guardando.

«E poi scusa, non eri tu quella che non voleva dormire con me?» domanda ironico, girandosi per rivolgere la propria attenzione verso di me che rimango per qualche secondo con gli occhi socchiusi.

«Naira puoi smetterla di fingere di dormire, i tuoi occhi quasi mi bruciavano la pelle per quanto ti ci sei concentrata» sbuffo e li apro di scatto soffermando il mio sguardo, per qualche secondo, sui suoi pettorali.

«Così mi consumi» rincara la dose, scoprendosi, prima di scendere dal letto.

«Mi dispiace deluderti ma è tardi. Non abbiamo tempo per le effusioni, dobbiamo proprio andare» mi fa un occhiolino iniziando a rivestirsi, prima di raccogliere le nostre cose invitandomi a fare lo stesso con un gesto della mano.

Lasciamo la stanza, dopo aver controllato di avere con noi tutta la nostra roba e ci dirigiamo verso la rampa di scale.
«Spegni quel telefono Naira» mi ammonisce mentre scendiamo a saldare il conto con l'anziana proprietaria dell'ostello.

«Spero di rivedervi presto» ci saluta mentre in fretta e furia raggiungiamo l'uscita del motel per dirigerci verso il luogo del nostro prossimo appuntamento.

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