59. Giorni goccia
-Perché dev'essere una pessima idea?-
-Intendi a parte i chilometri di distanza, le attrici da urlo che ti corrono dietro e sei bambini adottati?-
-Esatto. A parte-
-È da una vita che ci combatto contro-
-A cosa?-
-Ai giorni goccia-
-Che cosa sono?- aveva domandato Royal dopo un istante.
-Sono giorni tutti uguali, misurati con il contagocce... Giorni che passano terribili senza che li si senta davvero... ho provato, sto provando, con tutte le mie forze a non diventare una donna angelo, tutta casa e famiglia... non ho nulla contro di loro ma quel tipo di vita mi fa sentire in trappola, come se fossi in un maledetto loop temporale di cui solo io mi rendo conto: non posso viaggiare, continuare gli studi, innamorarmi... perché ho scelto loro, Royal-
-Però l'hai fatto- aveva inghiottito lui -A parte innamorarti, intendo, ci stai provando, no? Stai cercando la magia di ogni giorno... e poi sei diventata scrittrice-
-Sì- aveva sorriso mordendosi le labbra -Credo sia già qualcosa-
-Ma non abbastanza- aveva compreso lui.
-Ma non abbastanza- Ella aveva annuito -Il fatto è che a me non piace quel tipo di vita e pensare di costringere qualcun altro a viverla-
-Non lo costringeresti- Roy le aveva sfiorato la guancia, la testa le era esplosa dall'emicrania e dallo sforzo di non mettersi a piangere.
-Perché?- aveva mormorato -Abbiamo già chiarito che lui non rimarrebbe-
E Sabe non era più riuscita a trattenersi: le lacrime avevano nuovamente lasciato i loro solchi in quella sua pelle d'avorio, mentre la gola le si chiudeva nella morsa del dolore.
E poi lui l'aveva baciata...
Cenere, nel suo letto, si portò una mano alla bocca, l'altra ormai stava stringendo il suo stesso cuore da troppo tempo, la testa divisa in una metà che tentava di spronarla a ragionare, a non buttarsi via così... per un uomo, poi! E l'altra parte che chiedeva alla prima solo silenzio perché qualsiasi voce era di troppo.
Cielo, mai avrebbe pensato di potersi ridurre così!
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Roy, seduto contro lo schienale dell'aereo di linea, il cappuccio della tuta grigia tirato sulla testa semi-rasata, si massaggiò gli occhi che in tutta la notte non aveva chiuso da sotto gli occhiali scuri.
"Perché non la sarebbe, Els" non era riuscito a dirle "Una vita con te non potrebbe mai essere monotona"
Perché lei era il suo impiastro: sbatteva le gambe ovunque, talmente tanto che avrebbe scommesso sul numero di lividi che doveva avere, arricciava il naso, buffa, quando qualcosa non le piaceva e, sì, era davvero impedita nei rapporti...
Il problema stava nel fatto che Isabella Cenere era serpe e leonessa. Gatto nero e rovo pregno di veleno, era! E neanche se ne rendeva conto di quanto male gli facesse a ricordargli ogni volta la verità.
-... a parte i problemi idioti che si fa ogni ragazza sul pianeta quando trova uno come te, ti rendi contro che vivere con sei bambini fa sì ch'io debba avere una relazione molto più che stabile o nulla, vero? Credo che neanche tu voglia mettermi un anello al dito quando neanche ci conosciamo, Royal!- aveva sibilato Ella.
-No, niente anello al dito- le aveva risposto furente, tentando di non urlare per evitare di svegliare i due imbottiti d'alcol nella stanza accanto -ma credevo di aver tolto almeno questo paletto, cazzo! Dio, sono due mesi che ci facciamo domande ogni giorno!-
-E nonostante questo, io non so ancora chi diamine sei, Royal! Chi è quello criptico, ora, eh?-
Aveva ragione.
Non le aveva detto tutto, non le aveva dato neanche la metà delle risposte, cazzo!
Si passò una mano sul viso, togliendosi gli occhiali.
Nonostante tutto, nonostante il suo tendersi fino a sfiorarla, sapeva bene che non avrebbe mai potuto lasciare Ely in nella situazione in cui era finito così come sapeva che Ella doveva stare lontana da certa gente.
Non poteva mollare tutto e diventare il rispettabile tizio qualunque del Paese, giocare all'allegra famigliola con lei non quando c'era Ely da tirar fuori da quel cumulo di...
-I passeggeri sono pregati di...-
Che andasse tutto al diavolo, pensò, passandosi una mano in faccia, distrutto.
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Ella ruotò ancora lo sguardo su quel pullulare d'anime perse nell'aeroporto.
-Allora ti aspetto per l'estate- la salutò sua nonna, strizzandola nel consueto abbraccio di lavanda.
-Certo- sorrise lei, la cornea ancora rossa, le iridi più verdi che castane, da tutta la notte passata a piangere.
Sia Leo che Renata notarono lo sforzo che fece in quella piccola smorfia; si dettero un'occhiata decidendo di tacere.
Sabe girò ancora una volta gli occhi stanchi sui fantasmi del luogo... non c'era il suo.
"Stupida" si rimproverò "Anche se ci fosse, dovresti comunque tirar dritto non fosse per le numerose ottime ragioni, perlomeno per amor proprio"
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Michele fermò le mani di Sabe tra le sue: -Lascia, faccio io-
La ragazza annuì, sedendosi, mentre l'amico si preparava il caffè da solo.
Caes sollevò lo sguardo dai quaderni dei gemelli.
"Royal" ne ebbe la certezza, guardandola, sfiancata.
In quello spicinio di cuori di cui tutti s'accorgevano tranne i protagonisti, Roy ed Ella si erano evitati, ringhiati contro, tirati indietro, ma da quando il ragazzo le era piombato sotto casa per la seconda volta, l'avvocato aveva sperato che tutti e due si sarebbero svegliati...
Cosa era successo, quindi?
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Non sei stufo, Royal? Non sei stufo del fatto che tutti si mettano in mezzo, che tutti ci spingano a farlo, a buttarci alla cieca anche se tutto, tutto dannazione, è contro una nostra ipotetica relazione? ...e, se anche fosse vero che ci piacciamo, quantè stata una nostra scelta? Se Margaret e Acosta hanno messo così tanto le mani nell'impasto, quanto, Caesar, Michael o chissà chi altro, si sono intromessi senza che noi lo sapessimo? Dannazione! Non so a te ma a me sembra tutto pilotato ed è una cosa che mi fa vomitare!
Perché continuava a torturarsi così?
Cinder si passò una mano sul viso, stanca.
Aveva rovinato tutto e il suo piano B le sembrava pessimo e umiliante, in quel momento, a pensarlo nel borsone di Royal.
"Magari se n'è già disfatto" pensò senz'accorgersi della domanda di Caes.
L'avvocato la scosse lievemente: -Ella, come stai?-
-Sono a pezzi- sussurrò senz'accorgersene, abbozzando un sorriso.
Caesar la guardò, arruffata e piena di sonno.
Vide la donna, ancora una volta.
Vide quel che vedevano tutti ma si sforzò di andare oltre perché quella creatura dal viso ancora bambino e dallo sguardo d'anziana era solo una ventiduenne, in fondo.
Incredibile, unica, abnegante, paziente, fiduciosa, gentile, resiliente... ma solo una ventiduenne.
Ed era folle, determinata al punto da sfociare nella cocciutaggine. Fredda a volte, riservata sempre, furente quando (a parer suo) serviva...
E Royal era riuscito a passarci sopra, a quei difetti. E aveva perseverato, oh, se aveva perseverato!
-Cosè successo, Ella?- tentò l'avvocato.
Lei scosse la testa: era stufa di piangere, non ce la faceva più, e non voleva sentire quel che Caesar le avrebbe sicuramente detto.
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-Dovresti smetterla di farti problemi, Ella- sussurrò Michael tenendola stretta contro il suo petto.
-Io non mi faccio problemi... solo lievi paranoie- tentò di sorridere lei, guardando il muro mentre l'amico, sdraiato dietro di lei, iniziava a muovere i pollici sulle sue braccia nel tentativo di rilassarla.
Sabe scosse piano la testa e il ragazzo capì. Si limitò ad abbracciarla, sapendo che Cinder era fatta così, che era terribilmente complicata e raramente si lasciava vedere, figurarsi accarezzare!
Lui era uno dei pochi fortunati anche se capiva Caes, che, solo per buona creanza a volte, reprimeva l'impulso di frantumare un intero servizio di piatti per la frustrazione.
Ella lo rispettava ed era terribilmente grata del rispetto che a sua volta l'avvocato le dimostrava. Si poteva anche azzardare a dire che l'uomo le piacesse addirittura a volte, ma proprio non riusciva ad aprirsi con lui.
Michele, invece, era tutta unaltra storia.
Perché m'importa abbastanza
Non era stato del tutto vero: quando aveva stretto le braccia intorno alla vita del ragazzino, anni prima, non sapeva nemmeno chi stava salvando. Le importava solo di non dover vedere nessuno morto se poteva evitarlo, lei che una morte l'avrebbe sempre portata nel cuore.
E poi aveva capito che non era stato sufficiente, che avrebbe dovuto dargli un motivo per vivere per evitare davvero che morisse.
E così, aveva costretto quel ragazzo di città a spiegarle matematica e scienze sul balcone di casa sua, l'aveva istruito alla nobile arte della vita di campagna, l'aveva obbligato a scavalcare i cancelli dei suoi nonni per il gusto di farlo, anche se le chiavi le aveva sempre con sé, l'aveva portato nel bosco per raccogliere l'erba cipollina, l'aveva presentato ai bambini dell'oratorio che dovevano recitare Pinocchio e gli aveva dato ripetizioni di filosofia e letteratura...
E poi si era resa conto che non era sicura di poterlo lasciar andare: tutto quello che le aveva dato lui, Cenere proprio non lo aveva messo in conto.
Si erano guariti a vicenda e Michele non ne aveva idea.
Perché da quando si era preoccupata di farlo tornare a mangiare, da quando cercava ogni giorno un modo di fargli apprezzare di nuovo tutte quelle piccole cose della vita che la rendevano pazzesca, da quando avevano iniziato a parlare di trasferirsi insieme in Inghilterra per l'università... il dolore per Myricae si era affievolito.
Non era andato via, certo che no, non era il fatto di occuparsi dei problemi altrui che la faceva stare meglio. Era semplicemente consapevole del fatto che Michael le aveva fatto inconsciamente capire qualcosa che sapeva già: la vita non si concludeva con una morte che non era la propria.
Verdi le aveva dato lo slancio e lei aveva cominciato a volare.
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-Se non fossi stata su quella strada, se non ti fossi venuta a cercare a tua insaputa mi avresti detto tutto quel che hai passato in quella stramaledetta casa, Johnson? Perché ti sei chiuso in una maniera allucinante dopo, quando mi hai proposto di conoscerci. Non credo che tu possa pensare che ti riduci a quello, a quell'orrore che hai passato... che per forza ti ha segnato, ma c'è altro, Royal! E io lo so. Io lo v...- si era bloccata lì, con quella dichiarazione stretta tra le labbra e il suo cognome sputato fuori, a mettere distanza ancora una volta.
"La domanda, comunque, era buona" scese dall'aereo Roy.
In mezzo a quei crosci di pioggia, Ella l'aveva visto vulnerabile ma non era stata una sua scelta. Come non era stata una sua scelta il patetico piagnisteo al quale aveva assistito un paio di giorni dopo nella casa del suo padre biologico...
Ma Sabe era fatta così: gli s'incastrava dentro senza neanche provarci perché quello era il suo posto.
Ma aprirsi con lei su com'era in quel momento non era qualcosa che potesse fare: l'avrebbe catapultata in uno schifo che non doveva neanche toccarla. Royal, ormai, la conosceva; ci si sarebbe tuffata a capofitto pur di tirarli fuori.
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-Come sta?- Darrel alzò lo sguardo dal ben poco invitante impiastro culinario mantecato di Caes.
-Si riprenderà, è solo un po di febbre- mentì Michele entrando nella sala da pranzo e gettando uno sguardo circospetto al porridge del marito.
-Ci ho provato- mise le mani avanti l'avvocato -Ma io non sono italiano-
"Che c'entra? Neanch'io" si sforzò di mandar giù tutto il maschio più piccolo occhieggiando Dorian che leggeva a tavola, approfittando dell'assenza della sorella e dimenticandosi beatamente della colazione.
-Le portiamo qualcosa?- Emily posò il cucchiaio e fece per alzarsi da tavola.
-No, se non vogliamo ucciderla- sentenziò Caesar allontanando il suo piatto -È rimasto qualche pacchetto di patatine da ieri?-
I bimbi s'illuminarono, fiondandosi in cucina e l'avvocato si voltò a cercare il viso del marito: -Quindi che facciamo con Ella?-
Michael si lasciò cadere sulla sedia: -Chiamiamo Meredith-
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