58. Soffice buio

Quarantatré secondi.

Era da quarantatré maledettissimi secondi che Royal la stava fissando.

Malpelo saltò giù dal suo braccio, pretendendo la cena.

Ella deglutì staccando a forza lo sguardo dal ragazzo per prendere una scatoletta del gatto e andare in salotto a svuotargliela nella ciotolina.

Buttò l'alluminio nel cestino a fianco e si sedette sul divano a pensare come diamine poteva fare per evitare imbarazzo e scortesia.

-Avevi ragione-

Le si fermò il cuore e si voltò a guardare Roy, incorniciato a stento dalla porta scorrevole della cucina.

-Era la dea che volevo...- la fissò nelle iridi color bosco, imbrigliandole l'anima nelle sue reti argentate ancora una volta.

La leonessa sorrise, anche mentre il cacciatore le squarciava il petto; Ella reclinò la testa appena all'indietro, nel bisogno di non vedere il dolore, nella necessità di non fargli intuire quanto quel male onesto la lacerasse.

-... ma conoscendoti, forzandoti ad aprirti un po'- il ragazzo si sedette accanto a lei nella speranza che aprisse gli occhi su di lui, su quel che, maledetta, le aveva sbattuto in faccia da mesi -ho capito che l'umana è, nonostante tutti i difetti, decisamente più bella e strampalata, impiastro-

Isabella sollevò il suo bosco carico di rugiada a soppesare parole e sguardi.

Quando parlò, lo fece con sillabe cariche d'astio ma con il tono squarciato a metà e, ciononostante, ancora ci provò a essere delicata, come con i bambini che facevano i conti con le prime sbucciature che il dolore regalava. Parlò e parlò chiaro, finalmente: -Vuoi sentirti dire che mi piaci? Che quando ti vedo ho bisogno di ricordarmi che non posso lasciarmi andare perché ho delle responsabilità? Che devo concentrarmi sui tuoi difetti, difetti che non mi dai perché continui a non mostrarmi niente... per dimenticarmi che sei bello da togliere il fiato? Che ogni stramaledetta volta che parli mi vengono i brividi?- Ella prese coraggio, con gli occhi che mandavano lampi attraverso la pioggia che minacciava sempre più di farsi vedere -Bene, ora che l'hai sentito, come stai? Perché io mi sento uno schifo, perché il fatto che ti voglia non cambia nulla!-

Roy la guardò: il petto ansante nel tentativo di trattenere i singhiozzi, la criniera da leone scomposta, gli occhi sempre più lucidi... era una bellezza ferita, una bellezza che sapeva ferire.

-Come fai a dirlo?- gli uscì dalle labbra che ancora sapevano di caramello, di lei.

Cenere chiuse gli occhi e, finalmente, le lacrime sgorgarono nel vano tentativo del corpo di lenire il suo dolore: -Rinunceresti a tuo fratello per me?-

Riaprì gli occhi aspettando una risposta che non arrivò.

Deglutì, lasciando che l'emicrania le schizzasse alle stelle, lasciando che le stille, false guaritrici, facessero quel che volevano, lasciando che gli occhi bruciassero, lasciando che le parole uscissero dalla sua bocca per dargli delle spiegazioni complete, per una volta: -Io non rinuncerei a loro per te. Non ha un senso iniziare se sappiamo già che deve finire, no?-

Abbassò lo sguardo solo per rialzarlo in un sorriso stanco, tirato, bagnato di lacrime: -A un certo punto, tu mi metterai di fronte ad una scelta, Royal-

"E io sceglierò entrambi perché sono un egoista" si morse le labbra per poi continuare -E poi, io ti chiederò di scegliere noi anziché te stesso... E io sceglierò loro. E tu sceglierai te ed è giusto così... non possiamo darci una possibilità se sappiamo già cosa faremmo di fronte a un ultimatum. Io posso illudermi, Royal, posso soffrire, posso farcela, davvero... ma non loro, non posso farli soffrire così. Non è giusto-

Alla cortese attenzione dei signori Shaw,

è stato un piacere ricevere la vostra lettera.

Mi duole informarvi che mio marito è deceduto l'estate scorsa ma accetterò con piacere un vostro invito in Sardegna per i primi di Giugno.

Cordiali saluti

Renata Chitoberarao

La nonna di Cenere piegò la lettera vergata con cura sul foglio bianco, una smorfia stizzosa a imbruttirle il volto: aveva fatto una promessa a suo marito prima che gli morisse davanti agli occhi con il dolore di Ella a far eco al suo...

Non l'avrebbe rotta, nossignore.

Dette un'occhiata all'orologio, alzando un sopracciglio mentre il pensiero malizioso le faceva arricciare le labbra nel compiacimento dell'idea di sua nipote che si lasciava andare un po' e iniziava a vivere come avrebbe dovuto fare alla sua età.

Troppo precisa, troppo intelligente, troppo garbata... rispetto ai suoi coscritti Isabella Cenere era e sarebbe sempre stata una nota stonata nello spartito di quel secolo che mai l'avrebbe davvero vista come sua figlia. Non lei che ascoltava di tutto ma che non avrebbe mai messo piede in discoteca, non lei che non capiva i doppi sensi nonostante ascoltasse paziente i problemi dei suoi amici, non lei che non si lasciava proprio andare mentre chiunque alla sua età sarebbe stato molto più disinibito e aperto.

Renata ormai aveva smesso di provare a capirla. Le voleva bene, certo, ma proprio non...

Sospirò, stringendosi nella vestaglia arancione: spesso la paragonava a Marco (il suo Marco) ma suo marito, forse per amor suo, si era lasciato togliere ogni velo o quasi.

Ella tamburellò sul ripiano della cucina con le unghie laccate color lavanda, poi scosse la testa "Signore, fa che abbia trovato un bravo ragazzo che la riesca a leggere come io sono riuscita a capire lui"

Dette un'occhiata a Leonardo che dormiva sul divano con un secchiello accanto e raggiunse la sua stanza.

S'inginocchiò a lato del letto e pregò.

Pregò per Marco, che riposasse in pace, pregò per Ella, che trovasse quel che l'avrebbe fatta splendere d'amore, pregò per i piccoli Shaw e per i suoi nipoti, per i suoi amici che ormai cadevano come gerbere strappate dai campi...

Pregò per tutti coloro che amava, come ogni sera.

E una piccola preghiera la disse anche per Cecelia ed Anthony Shaw; si pensasse mai nel Regno dei Cieli che lei fosse una persona astiosa!

-Gli è piaciuto, hai visto?- sorrise Emily a Cade.

Il ragazzino sorrise, il libro della sorella sul bordo del comodino da dove avrebbe preso polvere finché non si fosse deciso a leggere i primi capitoli per poi cercare le illustrazioni e lasciar volare la fantasia

Cade i libri non li leggeva, li immaginava.

Aveva metà del dono di Ella. L'altra metà diventava disegno, immagine in bianco e nero o a colori, terribilmente più immediato delle parole che usava Sabe...

Ma le immagini che creava a partire dalle storie della sorellastra erano terribilmente più belle e vivide.

Forse era l'esperienza, forse i tanti libri effettivamente letti, forse era semplicemente Cenere ma le storie che raccontava Cinder erano sempre migliori di qualsiasi illustrazione.

Spesso si era chiesto come si sarebbe sentito se Isabella avesse sviluppato il suo stesso talento completo, se al posto di una penna avesse tenuto una sanguigna, se al posto di battere su una tastiera avesse sfumato i colori picchiettando sulla carta, se al posto dell'inchiostro, sulle mani, avesse avuto macchie di tempera...

Lui non avrebbe mai potuto competere con lei perché la fantasia di Ella era come il pi greco, infinito, non aveva confini...

Il pensiero andò alla lettera che Ev gli aveva lasciato prima di morire di cancro, maledetto lui!

Ne aveva scritta una a tutti loro. A tutti loro aveva scritto la verità e si era fatto promettere post mortem che sarebbero sempre rimasti con Ella, perché lei sarebbe sempre rimasta con loro.

-Come l'hai avuta, l'idea?- domandò Emily dallo stipite, interrompendo i suoi pensieri.

-Una stella di Alice- alzò le spalle lui come se non fosse importante -Parlava di un demone e di un angelo-

-Non sembra tanto angelica- sentenziò la ragazza.

Cade si sdraiò, tirandosi le coperte fin sul mento: -Le è piaciuto, quindi va bene così-

Rammentava con precisione l'inizio della storia, sussurrata alla luce della piccola lampada di Alice: "C'era una volta un angelo, nato sbagliato, terribilmente sbagliato e c'era una volta un demone nato giusto, terribilmente giusto..."

Aveva capito, colpito fin dalle prime parole, chi era quell'angelo sbagliato dopo aver visto quanto si era assentata... Sabe da quando i Johnson erano tornati in circolazione, aveva un per nulla vago sospetto che Cecily avesse ragione a sospettare Royal come candidato per il ruolo del demone giusto.

Sospirò, sentendo Emily andarsene: e se veramente Ella si fosse innamorata?

Sarebbe rimasta comunque con loro come aveva promesso Everett?

Royal entrò nella camera 206 del piccolo albergo che stava iniziando a odiare.

Sconvolto, triste, annichilito, si gettò sotto la doccia ad occhi chiusi lasciando che quella giornata, iniziata nel migliore dei modi e finita nel peggiore, gli scivolasse via dalla pelle...

L'aveva baciata.

L'aveva baciata e lei, sulle prime, neanche si era mossa.

L'aveva baciata impedendole di finire il discorso, stracciando ogni dannatissima scusa, straziato dentro dal dolore che stava provando lei e che a lui faceva provare.

Le aveva preso il viso tra le mani, vedendola sgranare gli occhi e non le aveva lasciato scampo. Non più.

Non dopo dodici mesi di cacce e fughe strategiche, non dopo tutta quella paura del rifiuto, non dopo che lei gli aveva messo davanti i motivi (motivi più che validi della cui maggior parte non aveva neanche pensato) della sua ferma presa di posizione, non dopo che aveva avuto tutto quel coraggio nel farsi vedere così di fronte a lui nonostante la paura che le serrava lo stomaco.

E poi le labbra si erano incontrate, le mani di entrambi si erano aggrappate alle lacrime che da ambedue le parti continuavano a scendere sulle gote bollenti di febbre di Cupido.

Era stato pazzesco, straziante e delicato, famelico e dolce e... troppo breve.

Sempre lei che, maledetta, il cervello non lo spegneva mai, gli aveva messo una mano sul torace a spingerlo via proprio mentre lui le scioglieva i capelli dalla pinza luccicante e tentava di schiuderle le labbra.

"Quei dannati capelli" sorrise amaro sotto l'acqua.

E, quando aveva sollevato le palpebre, l'aveva visto. Nei soli ardenti degli occhi, il buio dell'anima di Cenere gli si era mostrato in tutto il suo dolce e cupo abisso, pronto a sentirsi respingere. Perché, lo sapeva, Ella l'aveva sempre saputo: troppo semplice era l'amore per la luce. Le tenebre che le persone si portavano dentro, invece... quella sì che era la prova d'amore da pretendere.

Solo che Royal ne aveva già tanta di oscurità, non era certo di poterne prendere ancora, né di caricarne ulteriormente la sua leonessa soprattutto quando Sabe per prima vedeva solo gli ostacoli.

-Se sei sicura di quello che hai detto, dovremmo fare i conti l'uno senza l'altro, allora- gli aveva sussurrato lasciandola in una carezza che aveva bruciato entrambi.

Se n'era andato.

Senza un saluto, senza dare la possibilità a Cenere di chiedere indietro il suo regalo.

"Codardo" s'appoggiò alla parete della doccia con gli occhi chiusi.

⏯️ Post mortem: locuz. lat. (propr. «dopo la morte»). – Espressione usata soprattutto con riferimento a riconoscimenti di meriti e sim. che non hanno avuto luogo durante la vita della persona interessata: onorificenza post mortem.
Fonte: Treccani

⏯️ La matita sanguigna deve il suo nome al tipico colore rosso un po' opacizzato ma allo stesso tempo molto denso che lascia sul foglio. La matita sanguigna si è imposta nel mondo dell'arte fin dal Rinascimento, in virtù del grande impatto che questo peculiare strumento da disegno può donare ai ritratti o ai paesaggi.
Fonte: MoMarte

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