52. Di indicibili danni
Ella sobbalzò sul divano al suono del suo dannato cellulare.
Un paio di occhi grigi penetranti la fissarono dallo schermo alle undici e cinquantasette di sera.
-Pronto?- deglutì alzandosi per andare in camera sua e lasciare i ragazzi a finirsi il film.
-Aspettavo una tua chiamata- la voce di Royal le fece tirare i lineamenti.
-Da come ci siamo lasciati questo pomeriggio non mi sembrava il caso: non mi stanno piacendo le nostre conversazioni, ultimamente-
-Sarebbe tutto più semplice, Els- sospirò lui concordando silenziosamente -se ci parlassimo chiaramente-
Sabe chiuse gli occhi sedendosi sul materasso, sprofondando nel piumone azzurro: -Già, se ci parlassero chiaramente-
Si morse il labbro: -Royal quando tornerai in America cosa credi succederà?-
-Non lo so-
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Roy si sdraiò sul letto del Crimson, il cellulare ancora incollato all'orecchio: -Devo tornare a casa per l'ultima settimana di dicembre-
-Passerai il venticinque lontano da casa?- la voce di Ella suonò incredula anche se distorta dall'etere.
-Sì, perché?- domandò il ragazzo.
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-Festeggia con noi- neanche ci pensò Sabe -È la mia domanda di oggi. O meglio, non è una domanda, è un'imposizione-
-Perché? E questa è la mia domanda- sospirò dopo un istante e un rapido sguardo alla sveglia, lui.
Cenere non aveva idea di come lo sapeva ma era certa che si stava passando una mano tra i capelli, in quel momento.
-Perché è Natale, Royal- mormorò con un sorriso e una semplicità disarmante, stendendosi sul suo letto mentre gli occhi le brillavano come quelli di una bambina -Nessuno dovrebbe passarlo da solo-
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Caesar si fermò sulla porta, sentendo un discorso particolarmente delicato sulle bocche di Ella e Michele.
-Pensavi che cercassi di diventare lei, Michael, ma ho capito da quando ci siamo incontrate che nessuno può essere così... Solo Myricae, solo lei...-
-Hai sempre avuto il difetto di mettere le persone che ami su un piedistallo, di ritenerti inferiore- scosse la testa suo marito.
Sabe si strinse nelle spalle: -Io voglio solo essere una buona persona, una persona migliore. Voglio che lei sia fiera di me, Verdi... tutto qui-
-La è, Cinder. La è. Credimi- le strinse delicato un braccio lui, gli occhi lucidi e il sorriso sulle labbra.
L'avvocato tornò in salotto, passandosi una mano sul viso; quel che aveva perso Isabella anni prima era quasi impossibile da trovare, questo l'aveva capito.
Cenere era una ragazza complicata, antipatica a tanti, quasi irraggiungibile per tutti.
Cauta, sospettosa, guardinga... felina per certi aspetti, celava la dolcezza sotto strati di quella che era solo apparente superiorità.
Aveva denti e artigli taglienti ma una volta compreso che la sua era solo paura, una volta messa a proprio agio e lisciatole il pelo, una volta concessole il punto, si scopriva custode di un amore immenso...
Per questo motivo le persone con cui riusciva a creare dei legami non erano mai semplici persone... Erano amici incontrati una volta nella vita, erano caste passioni in grado di accendere gli occhi e gonfiare i cuori senza portare mai gli eventi a vedere i vestiti cadere a terra... Ogni persona, per lei, era un pezzo di sé e c'erano pezzi che valevano molto più di altri...
Aveva perso tanto quella ragazza.
Caes non vide neanche Alice colorare più il tappeto che il foglio sul quale stava disegnando, tant'era perso nei suoi pensieri.
Isabella aveva perso una madre prima ancora di iniziare a conoscerla.
Aveva mantenuto la curiosità e insaziabile fame di sapere.
Cenere aveva perso un'amica che amava in modo così devastante da pensare ancora, a distanza di anni, di potersi offrire volontaria al posto suo di fronte a qualcuno che l'avesse minacciata di morte.
Non aveva lasciato che tutto quello la facesse mai cadere nell'errore di minacciare a vuoto o smettere di essere gentile, di provare almeno a scorgere il bene nelle persone, anche in quelle che l'avevano già lacerata dentro, anche in quelle che sembrava solo le avessero lasciato unicamente cicatrici...
Ella aveva perso una matrigna che non l'aveva mai trattata male.
Si era alzata dal letto ospedaliero nel quale le avevano detto tutto e aveva chiesto un cellulare perché il suo primo pensiero era stato il bene dei fratellastri.
Sabe aveva perso un padre forse poco presente ma sempre molto elastico sui suoi desideri.
Da quel momento aveva lasciato sotto chiave i suoi sogni, in attesa di poterli liberare ad uno ad uno come farfalle ingabbiate che troppo a lungo avevano agognato la libertà.
Cinder aveva perso un fratellastro che era stato il primo ad averle dato fiducia, un altro grandissimo amico, un compagno di battute stupide e programmi per gli anni a venire perché Everett ci teneva troppo a fare la sua parte e amava almeno quanto lei i suoi fratelli...
Fino alla fine gli aveva stretto la mano, poi si era asciugata le lacrime e aveva elaborato (o stava ancora elaborando) il lutto in silenzio, aveva continuato sulla strada che lei ed Ev avevano tracciato e da quel momento era stata ancora più attenta, ancora più "mamma" come se la voglia del ragazzo di essere padre si fosse sommata alla sua forza con il decesso prematuro.
E, sempre lei, aveva perso un nonno che non era solo quello. Marco Cenere era stato un padre adottivo per la ragazza, un amico terribilmente stretto con il quale parlare e sparlare di tutto... L'unico che forse la capiva davvero in quella famiglia assurda e problematica, l'unico che sembrava talmente legato a lei da passarle qualcosa prima ancora che lei lo chiedesse, l'unico a sorridere a una battuta che lei non aveva fatto ma che era passata per la mente ad ambedue le parti, l'unico con cui lei apriva il suo cuore decisamente di più che a Michele o Margaret o lui...
"L'unico che l'aveva convinta ad accettare dei soldi..." fece una smorfia Caes mentre Alice provava in tutti i modi a togliere la macchia colorata dal tappeto.
Non aveva ancora finito di soffrire, Caesar lo sapeva... ma si era chiusa ancora di più nonostante, a volte, le si vedesse in faccia la voglia di urlare contro qualcuno i suoi segreti sentimenti angosciosi.
"E se..." realizzò Caes meditando su quanto tempo era passato perché si fidasse in minima parte di lui.
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-Ecco a lei- l'uomo dietro il bancone passò a Royal un pacco grande e sottile in carta robusta.
-Grazie- mormorò il ragazzo con il cappuccio tirato sulla testa: incredibile come anche gli stuntman fossero conosciuti in città -L'originale?-
Il signore fissò la polaroid prima di restituirgliela: -La conosce?-
-Bene- quasi ringhiò lui, riprendendosi la foto con una delicatezza che avrebbe riservato solo al soggetto in carne ed ossa di quella...
-È una ragazza magnifica- sorrise l'uomo amaro -È un peccato che, così giovane, non possa permettersi di fare la vita di tutti: uscire la sera, studiare, avere un ragazzo... d'altronde, sua la scelta e sue le conseguenze, dice mia moglie, ma secondo me non se la meritava una vita così!-
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-Io lo vorrei davvero. Lo vorrei con tutte le mie forze- sussurrò Ella avvolta nell'abbraccio non richiesto ma voluto di Michael -Vorrei che mi pensasse così, ma quella non sono io, Verdi-
Michele provò ad aprire la bocca ma non riuscì a dire nulla perché lei, non vedendolo, continuò: -Tu sai come sono. Sono matta, impulsiva o troppo controllata, non ho mezze misure, sono strana e mi piace esserla. Sono scontrosa, rigida, fredda fuori e ormai anche un po' dentro. Sono...-
-Sei tu- sorrise il ragazzo dietro di lei, il braccio ancora a trattenerle la schiena incollata al petto.
Ella era tremendamente orgogliosa; bisognava conoscerla davvero bene per capire che a volte chiedeva solo di comprendere che voleva essere stretta da qualcuno di cui si fidava...e Michael apprezzava più d'ogni cosa la fiducia che Sabe riponeva in lui.
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"Hai un mondo immenso dentro di te, impiastro" sorrise Royal accarezzando la polaroid con il pollice, la foto ormai sgualcita agli angoli "E questo mondo fa un po' paura, ma tu sei così. Così bella e colorata che nessuno ha l'istinto di girare lo sguardo su un'altra persona quando entri tu in una stanza"
Perché davvero non lo sapeva, lei, qual era l'effetto che aveva sulla gente...
Lei che, se non ingabbiava il cuore ad altri leoni, colpiva le menti come una serpe ipnotica.
Forse non aveva la coda di ragazzi per il caratterino tutto zucchero e sale che stava facendo sudare non poco anche lui, ma gli animi li colpiva con la lingua biforcuta che nascondeva il cuore anche nella testa.
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-Sì, Leo. Cappotto nero, sciarpa verde e borsa viola... è difficile non vedermi- sbuffò Ella al cellulare.
-È quel che dico anch'io- le arrivò alle orecchie il tono schifato di Renata nel vedere la sua mise.
Sabe spense il cellulare, voltandosi con un sorriso, sforzandosi di non guardare sua nonna come un cristallo pronto ad andare in pezzi.
-Era studiato apposta per il tuo occhio di falco- continuò a sorridere infilando il cellulare nella borsa di pailettes che evitava anche Alice dopo aver fatto anche troppe scene per averla.
-Andiamo?- domandò Leonardo con le valigie in mano.
Isabella annuì e s'avviò verso la macchina parcheggiata fuori dall'aeroporto: -Che avete combinato, ultimamente?-
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Michael s'alzò da tavola gettando un'occhiata distratta a Leonardo: quel ragazzo non gli era mai piaciuto...
-Vado a prendere mio padre e torno. Credo che stasera mangeremo per conto nostro, Cinder-
Ella annuì: -Se hai bisogno, fammi sapere-
-Anche tu- mormorò lui sempre più insicuro, man mano che si avvicinava la tanto programmata riunione famigliare.
Mentre metteva la giacca, si sentì stringere in un abbraccio furtivo: -Andrà bene-
-Speriamo- sorrise tirato al marito prima di salutarlo con un rapido bacio.
Sabe aspettò che Michele uscisse e Caes andasse in bagno prima di rivolgersi a Leonardo seccata: -Smettila-
-Non ho detto nulla stavolta- alzò le mani lui a mo' di scusa.
-Leo, non è solo il dire o non dire qualcosa, è anche il guardare in un certo modo o sbuffare quando si parlano come due sdolcinati maritini... cosa che effettivamente sono. Lo so che è solo il tuo malato senso dell'umorismo, ma hai diciannove anni, santa pace! Dovresti essere in grado di capire quando qualcuno non lo trova assolutamente divertente-
Lui fece per aprire la bocca ma Renata lo fissò glaciale da dietro i suoi ferri da calza: -Leo, basta così-
Il ragazzo si alzò solo per entrare in bagno e sbattere la porta.
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Michele versò l'acqua per il tè nel bollitore scorrendo i messaggi sul cellulare.
Corrugò la fronte: -Caes?-
L'avvocato finì di leggere il paragrafo per poi alzare la testa dai documenti.
-Hai chiesto tu a Royal di venire al pranzo di Natale?-
-No- il volto dell'avvocato si aprì in un sorriso -Dici che Ella ha trovato il coraggio di provarci?-
Il ragazzo scosse lievemente la testa: c'erano poche cose che aveva imparato di Ella negli anni proprio perché ciò che faceva non era spesso quel che sembrava.
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Sabe finì di piegare la sua camicia da uomo in quella che fino a tre settimane prima era ancora la stanza intoccata di Ev.
Sbuffò togliendosi un ciuffo dal viso e sorrise, vedendo la bacinella vuota.
Staccò il ferro da stiro dalla corrente e si riprese il cellulare dai jeans da uomo che usava per casa.
Sono Oliver, il padre di Elizabeth, E
Domani possiamo incontrarci prima di andare a prendere i bambini?
Sabe inarcò un sopracciglio: da quando, mesi prima, lui e sua moglie erano venuti a casa Shaw per il tè non si erano più visti...
D'accordo. Al parco giochi vicino alla scuola, mezz'ora prima della loro uscita
Digitò rapida, passando poi ad un'altra conversazione, uscendo dalla stireria.
A che ora?
Si morse le labbra, sospirando, la foto del ragazzo dagli occhi argentei sotto gli occhi.
11;30 am
Oscurò lo schermo del cellulare e si massaggiò la testa: tra il padre di Michele che forse si stava ricongiungendo al figlio, l'arrivo tribolante di Leonardo, il terrore di vedere sua nonna scoppiare in lacrime per poi imitarla subito dopo, il misterioso Oliver che si riaffacciava dopo mesi... l'aver ceduto al suo istinto (che in quel periodo dell'anno si ubriacava di renne e bastoncini di zucchero) e aver invitato Royal al pranzo di Natale non le sembrava una grande idea...
Cielo, si prospettavano giornate impegnative... piene di indicibili danni.
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