1.35

Le vesti squarciate si erano attaccate alla pelle di Junoh, che bruciava di ferite ancora fresche. I soldati non lo avevano risparmiato da lunghe torture, così da indebolirlo. Aveva resistito senza urlare, trattenendo il dolore in ogni modo pur di non dare soddisfazione a nessuno, ma alla fine la sua pazienza era stata ricompensata.

Fuori dalla cella giacevano i cadaveri delle guardie che avevano spinto il ferro incandescente sulle sue cosce, fino ad ardere la carne, lasciandola fumare.

«Zio» Junoh si rivolse ad un uomo lì fuori, vestito da una armatura argentea, leggera, su cui ricadeva una miriade di trecce da cui pendevano alcune perle. «Sapevo che non mi avresti lasciato qui a morire.»

L'uomo mostrava un'espressione severa, ma anche timorosa. Si affrettò ad aprire la cella e lo afferrò per una spalla, aiutandolo ad uscire. «Dobbiamo andarcene. Ero riuscito a prendere una parte del palazzo, ma quei bastardi di Qiong sono arrivati prima che potessi entrare nella sala del trono. Il generale Yan Kai guida un esercito di diecimila soldati.»

Junoh si appoggiò alle sbarre esterne, tenendo una mano su un ginocchio. Il dolore ai muscoli tesi era troppo forte.

«Quindi Yong è qui» sibilò, passando una mano sulla fronte unta di polvere e sudore. Tuttavia, fu altro a premere fra i pensieri. «Zio, prestami alcuni uomini. Andrò a prendere la principessa di Sunju e poi ci incontreremo fuori dal palazzo. Torneremo quando avremo un esercito più numeroso...»

«La principessa di Sunju?! Una principessa vale più della tua vita?» esclamò lo zio, facendo muovere le trecce sulle spalle. «Sei ridotto a pezzi, e gli uomini di Qiong sono esperti guerrieri. Se li incontrassi, sai che non ti lascerebbero scampo!»

«Lo so» mormorò Junoh. Doveva credere, sperare. I cattivi non potevano vincere. Sollevò lo sguardo verso la luna, cercando il volto di sua madre fra i ricordi. Si sarebbe vendicato per lei, in qualunque modo. «Ma le ho promesso che sarebbe venuta via con me, non la lascerò qui.» Si erse con la schiena dritta. «Solo pochi uomini, zio, conosco bene il palazzo e so come muovermi.»

Lui serrò le labbra, infastidito da una tale caparbietà. Richiamò con un gesto tre dei suoi guerrieri armati e questi corsero subito ad inchinarsi.

«Seguite mio nipote e difendetelo a costo della vita» ordinò loro, che annuirono, per poi voltarsi a guardarlo. «Rimarrò alle porte, in tua attesa. Fai attenzione, Junoh. Non sono venuto qui per farmi schiacciare da un ragazzino viziato.»

Nemmeno Junoh voleva soccombere sotto il passo pesante di Yong, perciò sorrise, lieto di aver ricevuto la fiducia dello zio, a cui aveva affidato tutto se stesso.

Quando lo vide andar via fece cenno alle tre guardie di seguirlo verso i quartieri della principessa. Le strade erano colme di soldati, così attese che attraversassero i lunghi camminamenti fra un palazzo a un altro, attratti verso la sala del trono, a protezione del re. Quando il passo fu libero, Junoh corse verso la dimora di Mi-sun, chiamandola a gran voce.

La vide far avanti e indietro sotto la veranda, con le mani strette in grembo, intenta a difenderlo come se fosse stato caldo, e non vuoto. Quando si accorse di lui si fermò e gli corse incontro a dispetto delle dame.

«Junoh!» gridò Mi-sun, gettandogli le braccia al collo. «Temevo non ti avessero liberato...»

«Dovevi avere fiducia» sorrise, abbracciandola. La baciò sulla guancia, stringendola per un breve momento. «Ma adesso non possiamo parlare, dobbiamo correre. Mio zio ci aspetta alle porte del palazzo per andare via.»

Mi-sun gli prese la mano e intrecciò le dita alle sue, preoccupata per quanto stava accadendo.

«Andiamocene via subito» gli sussurrò con voce flebile. Le guance pallide si dipinsero di rosso, mentre i capelli giacevano raccolti sulla nuca.

«Sì, e in fretta» le disse, gettando via gli spilloni fra le trecce, per evitare che creassero rumore.

La trascinò fuori di lì, arrancando. Le ferite presero a sanguinare di nuovo e il dolore ai muscoli si fece più forte. Si guardò attorno, mentre i tre uomini li seguivano a spade sguainate. «Stammi accanto.»

«Ma tu sei ferito, non puoi continuare così!» esclamò lei, osservando i tagli che si intravedevano dagli squarci. «Reggiti a me!» si preoccupò, avvolgendogli un braccio attorno ai fianchi.

In quel momento alcuni uomini di Qiong comparvero con le loro armature a scaglie. Junoh si immobilizzò, attendendo che le tre guardie si parassero davanti a lui.

«Andiamo!» urlò a Mi-sun, trascinandola con sé, mentre le guardie combattevano per difenderlo.

«Dannazione...» mugugnò la principessa, stringendo la sua mano, mentre si avviavano verso le alte mura di pietra che formavano lunghi corridoi. Era un labirinto, ma Junoh conosceva la strada e non temeva la lontananza.

Almeno finché non si voltò, notando che le guardie erano rimaste indietro lasciandoli completamente sguarniti.

«Resisti!» urrlò Mi-sun, che quasi inciampò sulle lunghe gonne del suo hanbok.

Junoh non rispose e si bloccò, sputando sangue. Si accasciò alle mura, sentendo la debolezza assalirlo. Indicò a Mi-sun di non preoccuparsi e riprese a camminare con lei, finché non salì delle grandi scale che conducevano ad un corridoio coperto, che sovrastava le grandi porte. Erano vicini alle porte di uscita, poco tempo e sarebbero stati fuori, lontano dal palazzo.

Eppure, in fondo trovò Yong che sbarrò loro la strada. I capelli erano legati in cima alla testa, brillando insieme ad uno spillone argentato. Accanto a lui vi era un gruppo di soldati armati, mentre dietro giaceva il corpo esanime dello zio, con una spada conficcata nel petto.

No.

Junoh mollò la presa su Mi-sun, esausto.

Non poteva credere che suo zio fosse caduto in quel modo.

«Resta indietro, Mi-sun» le sussurrò.

La principessa sgranò gli occhi, ma si aggrappò al suo braccio.

«Cosa facciamo?»

«Io...» Che speranza potevano avere? Strinse i pugni, adirato con se stesso.

Yong intanto si avvicinò, lento, passo per passo mentre i soldati lo seguivano per difenderlo da eventuali attacchi. Gli occhi di suo cugino vibravano di odio, una ciocca bruna ricadeva lungo la guancia, in mano stringeva una spada lorda di sangue. Era irriconoscibile.

«Il vostro tradimento è ormai conclamato» sibilò Yong. «Catturate il principe Junoh.»

«No!» Mi-sun abbracciò Junoh, coprendolo con il proprio corpo dagli attacchi dei soldati. «Yong! Lasciaci andare e ti prometto che non avrete nessuna ripercussione da parte di Sunju per questa imboscata!» gridò, forse nella speranza che i soldati avessero rispetto per la sua autorità.

«Imboscata?! Le tue parole sono veleno!» esclamò Yong che si avvicinò per prendere Mi-sun e strattonarla lontano. In tal modo, i soldati poterono colpire liberamente Junoh alle costole e dietro la schiena, facendolo cadere a terra.

«No! Lasciatelo stare! Junoh!» la voce di Mi-sun arrivò disperata alle orecchie di Junoh, il quale stava venendo trascinato via, ansimante. I soldati lo gettarono contro le grandi porte al di sotto della terrazza, poi lo incatenarono ad esse. «Yong non farlo!»

Junoh sputò altro sangue, guardando la donna che aveva imparato ad amare dal basso. Nessuna, eccetto sua madre, aveva mai avuto posto nel suo cuore. Tremò, e sorrise. Tutto ciò che aveva sperato aveva ormai perso senso. Si era lasciato assuefare da un sogno troppo sciocco, troppo grande per lui.

Non era mai stato niente, e non sarebbe mai stato niente. Tutti lo avrebbero dimenticato, perché nessuno aveva mai voluto prestare ascolto alla sua voce.

**

Mi-sun venne spintonata contro il parapetto di pietra, con gli occhi impotenti fissi sul corpo in catene di Junoh. Dietro di sé, la voce di Yong risuonava aspra e accusatrice.

«Avresti dovuto pensarci, prima di tradirmi, Mi-sun» la minacciò il marito, afferrandole le spalle e voltandola con un gesto talmente brusco da farle sentire il sapore di un conato risalire in gola.

«Tradirti?» gli chiese lei, strattonandosi con la stessa violenza. «Sei stato tu a tradirmi! Fin dal nostro matrimonio non hai fatto altro che compiere passi falsi!» Mi-sun urlò, incapace di controllare le proprie emozioni. «Lascia andare Junoh, o te la farò pagare... cento volte tanto!»

«E come? Battendo i piedi per ottenere ciò che desideri?! Non sei altro che una sciocca principessa viziata, abituata ad avere tutto ciò che vuoi, ma il mondo è ben diverso!» la sgridò Yong, facendola indietreggiare. Non lo aveva mai visto così diverso dalla persona che aveva conosciuto. Era cambiato. «Nessuno verrà ad aiutare te e Junoh, farai meglio a capirlo, razza di puttana. Arcieri!»

Mi-sun notò, con il terrore riflesso nelle iridi, gli uomini di Yong incoccare le frecce in direzione di Junoh. Volevano ucciderlo, davanti ai suoi occhi.

«No...» mormorò la principessa, stringendo le dita in due pugni talmente stretti da farle sbiancare le nocche. «Yong, fermali! Non fare del male a Junoh, lui non lo merita!» strillò Mi-sun, gettandosi sul marito e afferrandogli i polsi, per impedirgli di comunicare i comandi agli arcieri. Era disperata.

«Non lo merita?!» Yong le avvolse un braccio intorno ai fianchi e la bloccò contro la propria schiena, costringendola a fissare Junoh. «Non sai nemmeno con chi hai avuto a che fare finora, Mi-sun! Ma io te lo farò vedere! Scagliate le frecce!»

«No!» gridò la principessa, con tutto il fiato che possedeva nel petto. Le lacrime cominciarono a colare sulle guance, mentre sciami infiniti di frecce si abbattevano sulla persona che amava. Le punte affilate si conficcarono sulle spalle, sulle gambe e sul petto del giovane, senza lasciargli via di scampo. Le punte affondavano nella carne, macchiavano le vesti bianche di sangue scarlatto, provocavano spasmi sul corpo del principe. «No! No! Yong, fermali! Junoh, resisti!»

«Mi-sun!» urlò Junoh, un istante prima che l'ultima freccia lo colpisse là dove risiedeva il cuore.

Yong la lasciò andare e Mi-sun barcollò in avanti, posò le mani sul parapetto e, solo allora, si rese conto di essere libera. Non perse un secondo di più, afferrò le gonne e cominciò a correre giù per le scale di pietra. Doveva allontanarsi, fuggire via da Yong, dal mostro che aveva sposato.

«Junoh!» lo chiamò ancora, sollevando grumi di sabbia durante la sua corsa. Il ragazzo si accasciò di fianco, con gli occhi ancora aperti, fissi su di lei.

Mi-sun non riuscì a fare altro che lasciarsi cadere in ginocchio di fronte al suo corpo.

«Resisti...» gli sussurrò, prendendolo fra le braccia, attenta a non sfiorare le frecce. Erano troppe. Non sarebbe mai riuscita a salvarlo, a curarlo. Lo stava perdendo. «Promettimi che resisterai...»

Le labbra di Junoh, seppur tremati, si curvarono in un sorriso mesto. «Alla fine, Mi-sun... i cattivi hanno vinto davvero.»

La principessa scosse il capo e leccò le lacrime che erano cadute sulle proprie labbra. Vederlo in quel modo, vederlo morire fra le proprie braccia, la stava uccidendo. «No, non è così. Tu devi resistere, devi vivere, devi restare. Per me... e per il figlio che porto in grembo.»

Non avrebbe voluto dirglielo in quel modo. Avrebbe voluto prendersi cura di lui, lontano da quel palazzo colmo di solitudine e sofferenza, e quando si sarebbe ripreso, permettergli di posare una mano sul suo grembo e fargli sentire il calore sprigionato dalla presenza della loro creatura.

Junoh, però, non smise un attimo di sorridere, trovò persino la forza di sollevare le dita e posarle sopra la sua guancia, in un ultimo sforzo colmo di dolore.

«Sono felice» le confessò, in un singulto che portò rigoli di sangue a colargli sul mento. «Perché speravo di poter avere un figlio da te, Mi-sun... promettimi che te ne prenderai cura.»

«Ci prenderemo cura insieme di lui» mormorò la principessa, aggrappandosi alla sua mano. «Dovrai vederlo nascere, e crescere. Lui ha bisogno di te, ha bisogno di un padre...»

«Mi-sun» la chiamò lui, di nuovo, continuando a sorridere. Scosse la testa, come se ormai avesse capito quale strada avrebbe intrapreso di lì a poco. «Non ero destinato a essere niente, se non cenere. Ma con te, sono stato felice, anche se per poco, lo sono stato davvero...»

Mi-sun continuava a guardarlo, ad ascoltarlo. A sentire il cuore bruciare a causa di una sofferenza che si intensificò quando il principe esalò l'ultimo respiro, davanti ai suoi occhi.

In un attimo, era scomparso. Era andato via, e la principessa era rimasta da sola.

«Junoh?» lo chiamò, sentendosi smarrita. «Junoh, svegliati. Svegliati!» continuò a scuoterlo Mi-sun, appoggiando la fronte sulla sua e singhiozzando con una violenza capace di scuoterle persino lo spirito. «Non mi lasciare! Svegliati! Resisti... Junoh!»

Solo i suoi singhiozzi risuonarono nel palazzo, che sembrava ormai essersi svuotato. Né Yong né gli arcieri erano più presenti, il sole era stato oscurato dalle nuvole, e solo il vento aveva deciso di essere l'unico testimone del suo dolore.

«Non eri destinato a essere cenere... Non lo eri» sussurrò Mi-sun, lasciando che le lacrime, dalle sue guance, ricadessero sul viso di Junoh. Con una mano gli chiuse gli occhi, ma non mollò la presa sul suo corpo. Non era ancora pronta a farlo. «Questo figlio... Nostro figlio, sarà re per te. Te lo prometto, Junoh...» dichiarò la giovane, con convinzione. «Te lo prometto.»

**

Riposa in pace Junoh <3, ci mancherai davvero tanto, tu, la tua rabbia e la tua voglia di rivalsa. 

Ebbene, il primo morto di Cieli di Sangue si è palesato e ci lascia con grande amarezza da parte mia T.T. Ero davvero affezionata a Junoh, era ormai diventato un punto di riferimento per Mi-sun e adesso che lui se n'è andato, la nostra principessa dovrà cavarsela da sola nel palazzo di Kaewang, INCINTA DI UN UOMO CHE NON è SUO MARITO.

Credete che Yong chiederà il divorzio? O che si limiterà semplicemente a declassarla? Cosa conviene di più a questo principino che si è macchiato le mani del sangue del cugino? Eh beh, lo scopriremo nel secondo libro raga, perché quello di mercoledì sarà l'ultimo capitolo del primo!

Fatemi sapere cosa ne pensate di questa morte <3 

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