1.32

Il calore si era gettato con forza sulla città di Hyejie, e il palazzo non era stato esonerato dalla crudeltà dei raggi solari. L'unico luogo in cui si poteva trovare riparo erano i giardini reali, ed era risaputo che il giardino migliore fosse di proprietà del terzo principe.

Eunji era andato da lui per far passare il tempo più velocemente. Con sé aveva portato Hana che, al solo vedere la sorella minore intenta ad apprendere i comportamenti di una moglie reale, in vista della sua promozione a concubina, non ci aveva messo che pochi istanti ad andare a farle compagnia.

«Dunque prenderai davvero quella dama come consorte» sospirò Eunji, cercando di non lanciare altri sguardi alle due sorelle, intente a ridere spensierate sotto un padiglione verde.

Lui, invece, era seduto di fronte un tavolino di pietra che si ergeva accanto al grosso salice che dominava il giardino. Shin gli stava di fronte e teneva molta della corrispondenza reale da revisionare al suo fianco. Alcune missive provenivano dalle città, altre dal feudo di Haruna. Il ragazzo, però, non sembrava preoccuparsene. Era più sereno dall'ultima volta che Eunji lo aveva visto, tanto che quando gli rispose, lo fece con un sorriso.

«Credo di non aver mai preso decisione migliore» disse, aprendo una lettera priva di sigillo. Shin la visionò attentamente, per poi lasciarsi andare a un sospiro.

«Che succede?» gli chiese Eunji, portandosi una tazza di tè alle labbra.

«Questa andrà bruciata» borbottò Shin, strappando la sottile carta di gelso. «Mi-sun deve capire che essere una principessa non è un gioco.»

Al secondo principe venne quasi da ridere. «Sai che è colpa tua se adesso cerca di sfogarsi con te, non è vero? Ti avevo avvisato di non avvicinarti troppo a lei, quando eravamo piccoli, e ora sei costretto a farle da balia. Dovresti ascoltarmi di più, fratello.»

«Comunque sia andata, adesso ha l'occasione di imparare a cavarsela da sola. Non può chiedere il divorzio perché suo marito considera di più una concubina» dichiarò Shin, mettendo quegli stracci di pergamena da parte, in modo da non esserne disturbato. Forse si sentiva preso in causa, per questo biasimava il comportamento della sorella. «Noi due non dovremo preoccuparci del ritorno di Song, invece che pensare a Mi-sun?»

«Hai ragione» replicò Eunji, lanciando uno sguardo alle due ragazze. Yuki aveva due ciotole sulle spalle e, con le braccia congiunte al petto, cercava di camminare nella corretta postura. Hana la guardava attenta, ansiosa di fare lo stesso.

«Eunji» lo chiamò Shin, attirando la sua attenzione. «Song mi ha chiesto se ho intenzione di intralciarlo, durante la sua ascesa.»

Il principe strinse le dita sui pantaloni stretti e alzò gli occhi al cielo.

«E tu cosa gli hai risposto?» gli domandò Eunji, nonostante immaginasse già la risposta.

«Gli ho detto che non ho alcun interesse a lottare per il trono, e che resterò da parte.»

Eunji avrebbe voluto schiaffeggiarlo, ma in nome dell'affetto fraterno non lo fece. Si sfogò piuttosto con la superficie del tavolo, sopra cui cominciò a picchiettare le unghie.

«Ma certo» rise, velenoso. «Non mi aspettavo niente di diverso da te, codardo quale sei.»

«Hyungnim...» provò a interromperlo Shin, ma lui non glielo permise.

«Sai che alla morte di nostro padre dovremo lottare per evitare di restare nell'ombra, ma tu cerchi sempre di appoggiare chi non devi. Quando la smetterai con questo stupido comportamento?» Eunji evitò lo sguardo del fratello, e osservò le ciotole venire posate, stavolta, sulle spalle di Hana.

«Il mio non è un comportamento stupido, hyungnim» gli rivelò Shin, voltandosi a osservare con lui le lezioni di buone maniere sotto il padiglione. «Temo solo di non essere in grado di proteggermi, e di proteggere chi voglio. Il mio intento è eliminare la regina, non nuocere a nostro fratello.»

Eunji alzò gli occhi al cielo quando vide Hana inciampare sui suoi stessi piedi. Le ciotole si frantumarono al suolo e una risata leggera fuoriuscì dalle labbra del fratello minore.

Il secondo principe, invece, si passò una mano sopra il viso. Non poteva credere che fosse davvero così maldestra.

«Ritornando alle questioni serie» sospirò Eunji, distogliendo lo sguardo dalla moglie. «Ho saputo che la madre reale partorirà tra poche settimane. Stavolta gli inservienti sono stati più accorti a non far trapelare la notizia fino all'annuncio ufficiale, ma non mi fermeranno.»

Il viso di Shin si adombrò e la sua voce si fece più greve. «Proprio per questo motivo dovresti evitare di agire. Sarà ancora più pericoloso e il rischio che ti scoprano è enorme.»

«Come ho fatto in passato farò anche adesso, ma visto che dimostri così tanta preoccupazione nei miei confronti, potresti scegliere di darmi una mano, fratello» sorrise Eunji, speranzoso.

«Rischiando di venire coinvolto?» Shin si mise a ridere e scosse la testa. «Non puoi davvero chiedermi questo. Non userò lo shugendo per nuocere a un infante.»

Eunji non poté esimersi dallo scagliargli un'occhiataccia. «Dunque, non esiti a parlare con Song e a rassicurarlo dicendogli che non sarà mai d'ostacolo al suo regno, ma quando io ti chiedo di aiutarmi mi volti le spalle?»

Shin strinse la mano in un pugno che si portò alle labbra. «Non sto dicendo che voglio voltarti le spalle.»

«Ah, davvero?» Eunji gli rise in faccia, non poteva credere che il fratello avesse timore persino a compiere un passo più in là degli altri. Non era fatto per emergere, non era fatto per governare.

«Lascia che ti dica una cosa, io...»

«Il principe ereditario è arrivato!» lo interruppe un eunuco, con voce altisonante.

Eunji non si alzò per inchinarsi, lascio che il fratello e le dame di corte accogliessero Song che, a passo lento e insieme alla sua concubina selvaggia, uscita da chissà quale buco del deserto, attraversava il giardino con aria fiera.

«Fratelli» li salutò, a differenza della sua donna. «Posso unirmi a voi?»

«Ma certo che puoi» sibilò Eunji, con velata ironia. «E mentre che ci sei, perché non lasci la tua donna insieme alle nostre mogli, sul padiglione? Magari apprenderà anche lei l'arte della camminata, e la smetterà di muovere i piedi allo stesso modo di un garzone.»

Sapeva di averlo offeso, ma non gli importava.

«Cos'hai detto, lurido bastardo?» gli domandò la ragazzina, lasciando la mano di Song per avanzare verso di lui, con una minacciosità che Eunji si sforzò di ignorare. «Ripetilo, così posso darti ciò che meriti.»

«Saran» Song fece per richiamarla, ma il secondo principe non gli diede modo di spegnere la miccia che aveva appena acceso.

«Ho detto che cammini allo stesso modo di un garzone» ripeté Eunji, strafottente. «E abbassa lo sguardo, quando mi sei davanti.»

«Io non abbasso lo sguardo con nessuno, con te men che meno!» urlò la ragazzina, sollevando una mano che provò a calare sulla sua guancia.

Eunji sorrise e si alzò di scatto, afferrandole il polso. Notò la preoccupazione deformare i lineamenti del fratello maggiore e si astenne dal sorridere, cercando di fingere un tono di voce preoccupato.

D'altra parte, non aveva ancora finito con la sua messa in scena.

«Guardie!» urlò agli uomini appostati alle porte del palazzo. «Questa donna ha attentato alla mia vita!»

I soldati accorsero in fretta, persino Hana lasciò perdere ogni lezione e, con le gonne strette tra le mani, gli corse incontro preoccupata.

«Eunji!» urlò, mentre i capelli le battevano sulle spalle. «Che cosa sta succedendo?»

«Niente, non è successo niente.» Esordì Song, appoggiando le mani sui fianchi di Saran e strattonandola dietro di sé, in modo da proteggerla.

«Davvero, fratello?» Eunji lo guardò con astio, non aveva alcuna intenzione di fargli credere di poter stare tranquillo. Song non era al sicuro. Finché ci sarebbe stato Eunji, avrebbe sempre camminato sul filo del rasoio. «La tua selvaggia mi ha insultato senza remore e ha anche cercato di colpirmi.»

«E tu non mi hai forse lasciato dei lividi?!» lo accusò Saran, mostrando il polso sopra cui spiccavano i segni della sua stretta.

«Lividi?!» esclamò Eunji, indicandola con disprezzo. «Non sono niente in confronto a ciò che avresti potuto farmi. Guardie, mettete quella selvaggia in ginocchio!»

«Eunji!» gridò Song, sollevando un braccio di fronte alla sua donna, prima che gli uomini potessero afferrarla. «Non oserai recarmi un'offesa del genere, vero?»

Il giovane, stavolta, non nascose una risata. «I selvaggi devono essere educati, hyungnim. E le regole di palazzo parlano chiaro, non dico forse il vero, Shin?»

Il terzo principe lanciò uno sguardo alla selvaggia, poi chiuse gli occhi, come se fosse scontento di trovarsi nel bel mezzo di quella situazione scomoda. «Temo che Eunji abbia ragione, Song. Se qualcuno osa far del male a un principe, che si tratti anche di una concubina, deve essere punito in modo esemplare.»

«Ora basta!» urlò la giovane accusata, liberandosi dalla stretta di Song. «Pensate forse che abbia paura del dolore? Punitemi pure.»

Eunji mostrò uno sguardo vittorioso, soddisfatto dall'espressione di rabbia comparsa sul viso del principe ereditario. Quest'ultimo mise le mani sulle spalle della sua concubina, e le parlò con una dolcezza che non aveva mai posseduto. «Ti porterò da un medico dopo che sarà finita, cerca di resistere.»

Patetico.

Quando Song si allontanò, le guardie strapparono la veste della selvaggia sulla schiena e la costrinsero in ginocchio. Uno di loro afferrò un sottile bastoncino di bambù e un secondo la tenne ferma. Poi cominciarono a frustrarla, per dieci volte, fino ad arrossarle la pelle.

Eunji si voltò verso il terzo principe, e gli fece un cenno di ringraziamento col viso. «Grazie, fratello, per aver detto la cosa giusta.»

Saran gridò e Shin osservò la scena in silenzio. Hana si voltò per non osservare il sangue macchiare le vesti di seta della selvaggia, mentre Song fremeva a causa della rabbia che stava a malapena contenendo dentro di sé.

«Me la pagherai, Eunji» lo minacciò, senza riuscire a intimidirlo.

Il principe continuò a sorridere, freddamente.

Cosa si aspettava, Song? Di essere trattato con cortesia? No, Eunji non era un ipocrita e non avrebbe finto alcuna gentilezza nei confronti di coloro che odiava.

Aveva già promesso a se stesso, quando sua madre era morta per colpa della regina, che si sarebbe seduto sul trono al posto di Song. E lo avrebbe fatto. A discapito di tutti.

**

Preda dell'angoscia, Mi-sun aveva deciso di rischiare. Con una manciata di gioielli aveva corrotto servitori ed eunuchi, affinché mantenessero il silenzio, poi aveva infilato in un cesto delle medicine e del cibo e si era diretta insieme alla sua dama di fiducia verso le prigioni.

Non ce la faceva, non riusciva stare in silenzio ad aspettare che accadesse qualcosa. Le notizie arrivavano confuse e lei doveva parlare con Junoh, doveva assicurarsi che stesse bene.

Doveva sapere se era ancora vivo.

Mi-sun sentì le lacrime salire agli occhi e le ricacciò indietro, mentre Su-jin, la sua dama, passava delle monete d'oro alle guardie di fronte le porte verdi. Aveva paura, si era legata troppo a Junoh e l'affetto stava straripando dal suo cuore, inondandole le iridi.

La principessa percorse in silenzio il terreno sabbioso che l'avrebbe condotta alle grandi strutture scandite da sbarre di legno. Con occhi vuoti osservò il contenuto di ognuno di esse, e quando finalmente intravide la figura di Junoh avvertì un lampo di speranza accendersi dentro di sé.

«Ferma» sussurrò a Su-jin, facendole cenno di parlare con la guardia di fronte alla prigione designata. «Si trova qui dentro.»

La ragazzina annuì e si fermò a parlare con l'uomo, mentre Mi-sun teneva gli occhi fissi sulla figura del principe con cui aveva condiviso troppo. Lui aveva gli occhi chiusi, il corpo pervaso dal sangue, dalle ferite inflitte dalle torture. Le palpebre erano abbassate e i corti capelli che ricadevano sulle spalle, appiccicati alla pelle tesa per lo sforzo.

«Avete pochi istanti» si raccomandò la guardia, nascondendo le monete sotto l'armatura e cedendo loro la chiave.

Mi-sun non attese oltre e si appropriò dell'oggetto, infilò la chiave nella toppa e allontanò le sbarre di legno, entrando di corsa nella cella. Quando Junoh avvertì i suoi passi si ritrasse, come se avesse paura che fossero venuto a prenderlo per fargli del male.

Il cuore della principessa sembrò lacerarsi.

«Junoh...» lo chiamò Mi-sun, inginocchiandosi sulla paglia umida, insieme a lui. «Che cosa ti hanno fatto?»

Il principe aprì gli occhi di scatto e, quando si rese conto della sua presenza, un sorriso doloroso sembrò squarciargli le labbra. «Mi... Mi-sun» la chiamò, con la voce arrochita. Chissà da quanto tempo non beveva. «Non puoi stare qui, è pericoloso.»

Junoh provò a staccare la schiena dalla parete sulla quale su era appoggiato, ma il minimo movimento gli provocò una scossa di dolore. Le ferite si riaprirono e macchiarono le vesti bianche.

«Non ti forzare» gli ordinò Mi-sun, avvolgendo le braccia intorno alle sue spalle. Aveva vissuto tutta la vita in un palazzo, ma non si era mai azzardata ad andare nelle prigioni. Non si era nemmeno mai recata negli appartamenti dei medici, perché aveva sempre provato una sorta di repulsione nei confronti del sangue, e osservare quel liquido cremisi macchiare le carni dell'unica persona che l'aveva accolta con dolcezza la ridusse in pezzi.

«Gongju» la chiamò Su-jin, sollevando dalla cesta la ciotola entro cui era contenuta la medicina.

Mi-sun annuì e appoggiò di nuovo la schiena di Junoh sulla parete. «Ascoltami, ora ti farò bere questo tonico, e tu starai meglio.»

Lui le sorrideva ancora, seppur con la sofferenza riflessa sul viso pallido.

«Non devi avere paura» la rassicurò, con voce flebile. Come non gliel'aveva mai sentita. «Uscirò di qui. Sarebbe troppo ingiusto se fossero i cattivi a vincere, non credi?»

Mi-sun annuì e represse un singhiozzo in gola. Era tornata a essere sensibile alla minima emozione, chiunque avrebbe potuto distruggerla. Anche Junoh riusciva, con quei sorrisi. Voleva essere forte per lei, ancora una volta.

«Non saranno i cattivi a vincere» mormorò, intingendo il cucchiaio nel tonico. Era un liquido potente, in grado di ammortizzare il dolore. «Ora lascia che ti dia la medicina. Dopo berrai e mangerai qualcosa, d'accordo?»

Junoh annuì e non rispose. Schiuse le labbra, per accogliere quelle cucchiaiate con sofferenza, ma era ancora troppo debole e finì per sputarne una parte al suolo, insieme a un grumo di sangue.

«Junoh!» Mi-sun si costrinse a non urlare, ma un singhiozzo lasciò le sue labbra. Gli passò quindi la manica della propria veste sulla bocca, asciugandolo dai residui di sangue rimasti sulle screpolature. «Mi dispiace. Forse non avremo dovuto essere così avventati. Se lo avessi saputo...»

«So che sei triste ora, Mi-sun» le disse lui, appoggiando le dita sopra il suo polso. «Ma quando saremo andati via di qui, voglio che tu possa suonare il pipa per me ancora.»

«Lo farò» le promise lei, provando a imboccarlo. Più Junoh beveva, meno soffriva. Il suo viso riacquistò colore, sembrava di nuovo in lui. «Suonerò il pipa per te ogni giorno. Te lo prometto. Ma tu dovrai resistere.»

«Resisterò, per noi due» dichiarò lui, mandando giù l'ultimo sorso della medicina. «Che notizie ci sono a palazzo?»

Mi-sun avrebbe voluto evitare di rispondere, solo perché lei ne aveva ricevute di cattive. Anzi, non aveva ricevuto niente. Ancora una volta era stata ignorata, prima da suo fratello e ora da suo padre. Ma non glielo disse, c'erano questioni più importanti da affrontare che la sordità dei suoi parenti.

«Ho una notizia buona e una cattiva» gli annunciò Mi-sun, prendendo una brocca d'acqua e versandola in una ciotola che gli porse subito dopo. «Quale vuoi sentire per prima?»

«La buona» Junoh afferrò la ciotola e la bevve velocemente.

«Bene, tuo zio è quasi arrivato alle porte di Gwajin. Ha con sé un grande esercito e persino il re lo teme. Ha richiamato Yong dalla contea in fretta e furia per organizzare i soldati, a corte si sussurra che si risolverà tutto nel sangue» Mi-sun era rincuorata, ma ancora stentava a lasciarsi andare alla felicità.

Junoh scoppiò a ridere, anche se poi dovette bloccarsi a causa della gola secca. Mi-sun gli versò altra acqua e poi afferrò una ciotola di riso bollito che gli posò in grembo.

«Il re fa bene ad avere paura, perché verrà schiacciato senza alcuna pietà» sorrise Junoh, afferrando le bacchette per nutrirsi. «E la cattiva, invece?»

Mi-sun abbassò lo sguardo e si morse le labbra. Doveva dirglielo, senza perdere la calma.

«La cattiva...» cominciò, sentendo il sapore della bile risalire in gola. «Yong ha risposto alla chiamata, e sta tornando, con l'intero esercito del generale Yan Kai a suo seguito.»

Lo sguardo di Junoh si fece di nuovo scuro, masticò con meno velocità e si fece versare altra acqua.

«Mio zio dovrà agire prima di lui, o sarà difficile riuscire nel piano.»

A Mi-sun non importava più niente del piano, tutta l'ambizione dimostrata pochi giorni prima era svanita insieme alla libertà di Junoh. Per questo gli avvolse le braccia intorno al collo e appoggiò la testa alla sua spalla, con delicatezza.

«Junoh, se gli eventi fossero sfavorevoli, io ti porterò via da questo luogo. Ce ne andremo, e tu avrai il tempo per riprenderti. Non puoi lottare in queste condizioni» sussurrò, sollevando lo sguardo.

Junoh appoggiò le labbra sulla sua fronte e le sfiorò le dita con le proprie. «No, non possiamo andarcene. Il nostro posto è qui, dobbiamo lottare per riprendercelo... O non avrò pace.»

La principessa soffocò ogni timore sul fondo della gola, unendo le loro bocche in un bacio lento, e fin troppo breve. Eppure fu sufficiente a placare quella sete d'affetto, o forse d'amore, che le mancava. Era lui a mancarle, in verità, ogni secondo che passava rinchiusa in quella prigione di palazzo pensava a lui, solo a lui.

«Dovete andare» borbottò la guardia, accanto alla cella, al momento sbagliato.

Mi-sun si allontanò riluttante e osservò Junoh negli occhi. Lui era ancora fiducioso.

«Ora vai, ma stai attenta» le sussurrò, dandole un ultimo bacio.

«E tu resisti» gli sorrise la principessa, alzandosi insieme alla sua dama e uscendo dalla cella.

Il cielo si era fatto nuvoloso e l'aria gelida. Mi-sun fece per andarsene, ma un conato di vomito la sorprese a metà strada, facendola indietreggiare.

«Gongju!» esclamò Su-jin, cercando di sostenerla.

Mi-sun sgranò gli occhi. Non era la prima volta che quei conati si presentavano in maniera così improvvisa, ma quando il vento si sollevò portandole alle narici l'aroma della terra bruciata, fu costretta a tornare alla sua dimora, con il cuore appesantito dalla preoccupazione.

**

Gongju: principessa

E allora. Voi state pensando ciò che io sto pensando vero? Mi-sun e le sue strane nausee HAHAHAH, e vabe raga, d'altro canto in questi capitoli è stata quella che più ci ha dato dentro, non pensate? Ad ogni modo la verità la scopriremo solo andando avanti, lo zio di Junoh è sopraggiunto a palazzo ma Yong IL FANTASTICO PRINCIPE SENZA MACCHIA E SENZA PAURA sta tornando con quello del suocero. Kaewang è scossa da un bel po' di attacchi.

A Sunju, invece, gli attacchi li consumiamo tra fratelli. Credete che Eunji si sia comportato in maniera infantile? No, Eunji ha fatto ben capire a Song che ora che è tornato dovrà vedersela con lui e ha ben pensato di colpire Saran per mandare un messaggio chiaro e forte.

Che ne pensate? Gli animi si stanno scaldando? 

-4 alla fine del primo atto. Noi ci vediamo mercoledì con il prossimo capitolo!

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