1.3

Il sole assomigliava a una sfera letale, brillava di dorato nella sua ora più calda, illuminando la sabbia delle dune che Song non riusciva più a distinguere.

Il principe ereditario di Sunju tirò le briglie del cavallo, in modo che si fermasse. La bestia era affaticata e non era la sola, anche Song stava cominciando a perdere il senso dell'orientamento. Le sue provviste stavano per terminare e nemmeno un'oasi si scorgeva all'orizzonte.

Con un'imprecazione sulle labbra, il giovane scese dalla sella e pensò ai comandi che suo padre, il re, gli aveva impartito prima di lasciargli attraversare la muraglia: non poteva tornare a Hyejie senza aver raccolto informazioni sugli Shonin, la tribù con maggior potere rispetto a quelle che popolavano il deserto. Si diceva che custodissero il potere di un'antica tecnica, che avrebbe potuto aiutare il regno di Sunju a emergere sopra tutti gli altri. E lui, in quanto principe ereditario, doveva dare prova di se stesso riuscendo a recuperarla.

Tuttavia, Song considerava quella prova...

«Una follia» mormorò il giovane, sentendo il vento caldo scompigliare i lunghi capelli castani. Nemmeno la casacca bianca e i pantaloni di lino riuscivano a tenerlo al fresco. «Davvero una follia.»

Song fece per salire di nuovo in sella, ma un rumore in lontananza lo costrinse a voltarsi in direzione di un'alta duna. Su di essa, una ragazza su un cavallo ferito lo osservava innervosita. Una ragazzina, a dire il vero, coi lunghi capelli neri pervasi da trecce che si agitavano nel vento e l'abito zuppo di sudore ormai aderito alle membra esili.

Un sorriso di sollievo si formò sulle labbra del principe. Non era più solo in quel labirinto di fuoco.

«Maledetti...» mugugnò la ragazza, con voce aspra. Scese da cavallo e gli accarezzò la criniera, senza più degnare lui di uno sguardo.

Song non si fece intimidire da quell'ostilità. Aveva bisogno di aiuto, dopo tutto. Si schiarì quindi la voce e si sforzò di parlare nella rozza lingua del Khusai, così differente e dura rispetto a quella piacevole di Sunju da fargli temere di commettere errori.

«Il tuo cavallo sembra sul punto di abbandonarti.»

«E da cosa lo hai compreso?» gli domandò la giovane, lanciandogli uno sguardo ardente. Possedeva un paio di occhi grandi, scuri, che ben si accostavano al suo incarnato stranamente pallido.

«Le frecce sul fianco di quella bestia la dicono lunga» Song continuò ad avanzare e lei non si allontanò, lo guardava di sottecchi, come se si aspettasse di venire attaccata da un momento all'altro. Il principe, però, non allungò la mano verso la sciabola. Aveva bisogno di un alleato, non di un nemico. «Come ti chiami?»

La ragazza spostò la lunga chioma dietro la schiena e gli rivolse un altro sguardo diffidente. Nonostante fosse davvero minuta, il suo corpo era avvolto da una lunga tunica color malva sopra cui pendevano cinte di perline e turchesi. Ai polsi e alle caviglie tintinnavano dei bracciali e dai lobi pendevano degli orecchini dorati.

Doveva provenire da una tribù importante, per potersi permettere un tale lusso.

«Mi chiamo Saran. Del tuo nome non mi interessa.»

E aveva anche la lingua tagliente. Song si impose di mantenere la calma e continuare quella conversazione nella maniera più cordiale possibile. Gli era stato insegnato, fin da bambino, a non commettere errori. «A me interessa di te, invece. Da quale tribù provieni?»

«Sono la figlia del capo degli Shonin» ammise, come se volesse sottolineare il grado di differenza tra di loro. «Quindi stai attento a ciò che fai, potrei mandarti contro intere orde di guerrieri.»

I Cieli dovevano averlo benedetto per avergli permesso di trovare proprio la persona che stava cercando. La tribù degli Shonin, i guerrieri della notte, i supposti custodi della tecnica dei Cieli di Sangue.

«Non voglio farti alcun male» sorrise Song, con fare furbo. «Desidero solo proporti un accordo che renderebbe la vita più facile a entrambi, non vuoi ascoltare?»

La ragazza posò una mano sul fianco, da cui pendeva un corto pugnale ricurvo. «Sono proprio curiosa di sentire cos'hai da dire.»

Song si voltò verso il proprio cavallo e lo tirò dolcemente per le briglie. «Io ti presto il mio cavallo e, in cambio, tu mi porti alla tribù degli Shonin.»

Saran fece per replicare, ma in quel momento il suo destriero cadde al suolo privo di sensi, lasciandola a corto di risposte velenose. Una smorfia si formò sul suo viso, le labbra si piegarono verso il basso e uno sbuffo fuoriuscì dalle labbra secche. «Credo che dovrò adeguarmi. Ma perché vuoi venire alla mia tribù? Pensi che troverai ristoro?»

Song annuì, doveva mentire. Non poteva certo ammettere di essere giunto fin lì per spiarli sotto consiglio del re. Non poteva nemmeno ammettere di trovarsi in una situazione più grande di lui, che non faceva altro che renderlo nervoso da due settimane a quella parte. «Sì, è così. Vago nel deserto da giorni ormai, e temo di non potermene andare senza un aiuto. Se mi accoglierete, non vi sarò di alcun disturbo. Te lo prometto, Saran.»

Quando il principe lasciò scivolare quel nome fuori dalla bocca, un sorriso fiducioso accese il viso della ragazza, la quale sembrò sciogliere quella coltre ghiacciata che si era creata addosso. «Bene, allora prestami il tuo cavallo e io ti scorto alla tribù di mio padre.»

Song si mise davanti al cavallo prima ancora che Saran potesse salire in sella, voleva rivolgerle un'ultima domanda. «Manterrai la parola? Mi aiuterete a rimettermi in sesto?»

Lei annuì, togliendogli le redini di mano, con leggerezza. Aveva le dita colme di calli, tipico di chi amava esercitarsi con le armi. «Gli Shonin mantengono sempre la parola data, fidati di me.»

Il principe trattenne un sospiro di sollievo sul nascere. Era riuscito nel suo intento e, forse, sarebbe stato in grado non solo di sopravvivere, ma anche di trovare qualcosa di più.

«Grazie per la tua gentilezza» le disse Song, inchinandosi. Doveva averla colpita. «Non vuoi ancora sapere il mio nome?»

«Ora voglio saperlo» asserì Saran, salendo in sella. Il principe la raggiunse, sedendosi dietro di lei, e le posò le mani sui fianchi stretti. La giovane sembrò sussultare di fronte quel tocco. «Come ti chiami?»

«Song» le mormorò il principe, in un orecchio.

Voleva ammaliarla, una donna innamorata era più facile da controllare.

«Song... è un nome troppo dolce!» gli rispose lei, senza mostrare alcun cedimento. Saran lasciò galoppare il cavallo, che calpestò la preziosa sabbia del deserto verso una precisa direzione. «Ora tieniti stretto, Uomo Oltre la Muraglia.»

Il principe sorrise. Quella ragazza era perspicace. «D'accordo, Ragazza Selvaggia.»

***



Tornare a Gwajin era stata una liberazione e al tempo stesso una condanna.

Areum aveva dovuto sopportare le occhiate di delusione di suo padre e ascoltare i mille elogi che la madre aveva utilizzato per descrivere le abilità del fratello, sempre pronto a ristabilire ogni situazione sul punto di crollare.

A passo felpato, la principessa si allontanò dalla sala del trono. Avrebbe dovuto spiegarsi con re Naemul, ma l'ultima cosa che voleva era sopportare un altro rimprovero. Chi poteva capirla? Era certa che suo padre pensasse di avere a che fare con una figlia capricciosa e viziata, capace di aver mandato a monte il fidanzamento di proposito, quando lei era stata vittima di un complotto.

Areum entrò nel giardino delle Peonie Purpuree e lasciò vagare lo sguardo da un albero all'altro, alla ricerca di Hwa. La sua volpe, la sola amica con cui avrebbe potuto parlare senza essere giudicata, sembrava essere sparita.

La giovane si lasciò andare a un sospiro irritato, sedendo poi con abbozzata eleganza sotto un pruno appesantito dalla neve. Il secondo principe di Sunju l'aveva giudicata poco avvenente...

Ma chi credeva di essere?

Certo, non che Areum avesse mai creduto di essere una bellezza priva di eguali, ma non aveva mai pensato che qualcuno sarebbe arrivato a disprezzarla solo per il suo aspetto fisico.

Aveva diciassette anni e per lungo tempo non aveva fatto altro che sentirsi dire che una principessa doveva essere bella come una peonia e lei si era sempre adeguata alle creme e agli olii profumati, alle scomode gonne spumose e ai fastidiosi gioielli di corte.

Ma forse non era abbastanza.

Allargò dunque le gonne arancioni intorno alle gambe e fece per sistemarsi i capelli sulla schiena, ma un rumore secco la fece voltare verso un angolo del tronco, dove vide un ragazzo immobile, con un braccio a mezz'aria.

Tra le dita stringeva uno dei rami fioriti più belli del pruno.

«Dier!» esclamò Areum, sorridendo di felicità. Le era bastato solo un attimo per riconoscere il suo cugino preferito. Non lo vedeva da tempo, forse troppo. «Ti credevo nel Khusai, cosa ci fai qui?»

Lui sgranò gli occhi a mandorla e nascose il ramo dietro la schiena. Teneva i lunghi capelli castani legati in una crocchia alta sopra la testa, ma alcune ciocche erano sfuggite all'acconciatura e si erano adagiate sulle guance, rosse per la vergogna.

«I-io... non...» balbettò, incapace di comporre una frase per intero. Durante l'infanzia, Dier era rimasto muto a causa di alcuni traumi subiti all'interno del palazzo. Sostando alla tribù dello zio era riuscito a migliorare la situazione, ma non del tutto. «Non so-sono ne-nel... Khu-Khusai.» Riuscì a dire alla fine. La sua era una frase ovvia, che forse lo fece vergognare ancora di più.

Pur di alleggerire l'atmosfera, la principessa si mise a ridere. Non voleva metterlo a disagio. «Sei ritornato a Gwajin perché ti mancavo, vero?»

Dier si passò una mano sui capelli legati, sembrava morire dalla voglia di scioglierli. «M-mi... sei...»

Era sempre stato così impacciato e timido, fin dalla tenera età. Dier era cresciuto senza che nessuno lo proteggesse, facendo avanti e indietro dalla corte alla tribù. Suo padre, il principe Rhee, e sua madre, Maral dei Taigat, erano morti durante l'ultima guerra fra i due regni. Per questo Areum aveva sempre cercato di tenerlo al suo fianco e aiutarlo a ritrovare coraggio.

Gli voleva davvero un gran bene.

La principessa non gli diede tempo di finire e batté una mano sul prato, come a volerlo incoraggiare. «Perché non mi fai compagnia mentre aspetto Hwa?»

Finalmente, sul volto del ragazzo si aprì un sorriso dolce.

«M-mi farebbe piacere...» le confessò Dier, sedendosi accanto a lei e porgendole il ramo fiorito. «Pe-per te. Sembra-sembravi trist-e.»

Un'altra connotazione di Dier: riusciva a essere profondamente empatico. Lui la capiva come nemmeno Yong riusciva a fare, comprendeva le sensazioni che la attraversavano ancor prima di chiunque altro.

«Lo sono, ecco perché lo sembro.» Areum prese il lungo ramo tra le dita, e passò i polpastrelli sui fiori rosei, sentendosi abbattuta. «Il pruno fiorisce solo d'inverno, ma nessuno ci fa caso.»

La principessa sorrise con tristezza.

Nessuno aveva fatto caso a lei, a Sunju.

Era stata come un pruno, soffocata dal fulgore di un ciliegio.

«Io pe-penso che sia-siano i fio-fiori più belli d-di tutti. Cre-Crescono nelle avversit-avversità» Dier sembrò faticare nel dare adito a un pensiero tanto lungo, ma non si perse d'animo e Areum lo apprezzò per questo. «Cos-cos'è acca-accaduto?»

«Tu sei tanto gentile, e curioso» lo accusò la principessa, giocando con una delle sue lunghe ciocche sfuggite all'acconciatura. «E se vuoi proprio saperlo, è successo un disastro. La persona che avrei dovuto sposare si è presentata con una ragazza! Una bellissima ragazza. Ha detto che avrebbe trascorso più tempo con lei che con me, mortificandomi. E tutto perché non mi trovava bella!»

Areum deglutì saliva amara, cercando di mantenere nella voce una sorta di ironia. Ripensare a ciò che era successo a Sunju la rendeva nervosa e il pensiero di essere reputata poco carina la faceva adirare con se stessa. Decise quindi di afferrare il cugino per le spalle e avvicinarlo al suo viso.

«Guardami bene e sii sincero! Pensi che sia brutta?»

La carnagione chiara di Dier diventò dello stesso colore del fuoco e il giovane ci mise solo pochi istanti ad alzarsi e tirare un calcio a un sasso, dandole le spalle. «No-no non sei... brutta. S-sei... b-bella... Que-quel prin-principe è uno sci... scio-sciocco.»

La ragazza strinse i pugni sulle gonne e si alzò a sua volta, confusa. «Se sono bella, allora perché ti sei allontanato subito?»

«N-non... Non st-sta ben-bene che...» Dier si lasciò sfuggire un sospiro frustrato. Doveva essere difficoltoso dover vivere con quel fardello. Areum fece per zittirlo, ma lui le si voltò di scatto e le posò una mano sulla spalla, sforzandosi di nuovo di palare. «S-Son-Sono felice che tu sia t-torn-tornata...»

La principessa si morse il labbro inferiore, ammorbidendo i lineamenti del viso per mostrare a Dier un piccolo sorriso. Forse il primo, da quando era tornata a palazzo.

«Anche io sono felice che tu sia qui» ammise la principessa, posando una mano sulla sua. Fu in quel momento che Hwa fece la sua comparsa. Lesta come il vento, la piccola volpe si soffermò sulle caviglie di Dier e passò la coda sui suoi stivali. «Guarda, sei mancato anche a lei.»

Dier rise, leggero come la brezza estiva, e si inginocchiò, per poter accarezzare la volpe. Areum decise così di riempire il silenzio, dando voce ai suoi timori. «Spero resterai a lungo, almeno avrò qualcuno con cui parlare. Non riesco a farlo con Yong, per adesso. Ora lui è favorito da tutti, e io quando lo guardo provo solo invidia. Stare in tua compagnia mi aiuterà a dissipare la rabbia.»

«Pe-per me sa-sarebb-sarebbe davvero u-un regalo st-stare c-con te» asserì il ragazzo, guardandola con quegli occhi sottili, affilati come quelli delle tigri. «Anche s-se so d-di non e-esse-essere di buona compagnia. S-sono n-noioso.»

«Noioso!» Areum prese la volpe tra le braccia e scosse la testa. «Non dirlo nemmeno per scherzo. Vedrai che insieme ci divertiremo moltissimo. Così tanto che non vorrai più andartene. Vedrai, cavalcheremo la mattina e giocheremo a carte la sera.»

«M-men-ti be-bene... Ma spe-spero che ti pia-piacerà st-stare con me. A-anche se a m-me n-non piac-piace stare qu-qui...» mormorò lui, guardandosi intorno, come se una persona cattiva si stesse avvicinando.

«E perché?» gli domandò Areum, notandolo prendere un fiore caduto dal suo ramo per metterglielo tra i capelli. Lo lasciò fare, in un moto di vanità. Le piacevano quelle attenzioni, la facevano sentire confortata. «Non è più comodo stare a palazzo che nella tua tribù?»

«N-no. Alla tribù tu-tutti mi trat-tano bene, qui no. So-no solo un-uno st-stupido» le confessò, sentendo una risata sguaiata in lontananza. Una risata di scherno, che Areum conosceva bene.

Junoh, il terzo principe, doveva trovarsi a vicino a loro. Anzi, a dire il vero, doveva starli spiando. «Hai paura di quell'idiota? Gli andrò a dare una lezione. Aspetta qui.»

«Non ri-richiama-mare la su-sua attenzio-zione!» esclamò Dier, afferrandole un polso e facendole cadere Hwa di mano. La volpe assunse un comportamento aggressivo, ma il principe non vi fece caso e la trascinò verso un laghetto nascosto da alte rocce. «Lo sa-sai come si co-comporta.»

Oh lo sapeva, e anche piuttosto bene. Junoh era uno dei peggiori principi di Kaewang, non si premurava di assolvere nemmeno a uno dei suoi compiti reali e portava malumore ovunque si trovasse. Non aveva rispetto nemmeno per lei, o per Yong. Odiava la regina Rong Le e non si rivolgeva mai al re Naemul con il dovuto rispetto. Areum a volte si chiedeva per quale ragione il padre non lo avesse ancora cacciato di palazzo, suo cugino era davvero intrattabile.

Ad ogni modo, la ragazza ebbe modo di notare la paura avvolgere le iridi nocciola di Dier, così decise di assecondare la sua richiesta. Per questo gli sorrise. «Non preoccuparti, non lo farò venire qui. Ora andiamo a mangiare qualcosa.»

**

Ed ecco che fanno la loro comparsa non uno, bensì tre nuovi personaggi: Song e Saran e Dier.

Song è alquanto sicuro di sé, prende molto a cuore i suoi compiti e come Yong sa usare la diplomazia a suo favore, ma, esattamente come Eunji e Shin, trattiene dentro di sé un po' di oscurità. D'altronde, si trova nel deserto per un motivo. Motivo che Saran non immagina, anche se ci ha provato a essere ostile, poveretta, ma il corso degli eventi l'ha un po' fregata u.u

E poi abbiamo Dier, so che dalle immagini non ve lo aspettavate certo balbuziente u.u, la verità è che questo poveraccio ha subìto tutta una serie di traumi che non vedo l'ora di elencarvi. Ma con lui c'è Areum pronta a risollevargli il morale u_u. Ora però la domanda sorge spontanea, perché Junoh odia Dier?

Eh beh, lo scopriremo solo leggendo!

Volevo anche specificare che il deserto Biyu fa parte dei territori del Khusai, solo che si trova all'estremo sud, nei territori adiacenti a Sunju, mentre Il Khusai vero e proprio sta a nord, dove vi è Kaewang. Sarebbe più facile con una mappa, ma non sono in grado di farne una quindi vi spiego tutto a parole 🥺

Vi do quindi appuntamento a lunedì dove incontreremo Shu-Lien <3

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