1.29

La camera era diventata troppo stretta e angusta, sebbene fosse in realtà molto spaziosa.

Per ingannare il tempo, Hana si era dedicata alla composizione floreale. Nel feudo di Haruna sua madre le aveva insegnato, sin da bambina, a sistemare i fiori nei vasi. Si diceva che una donna per essere apprezzabile dovesse saper assemblare qualunque tipo di fiore, accostarne i colori, e risaltarne la bellezza.

Nonostante quella occupazione, si stava annoiando ed era sempre più triste. Aveva intuito che Eunji avesse condiviso diverse notti con Chae-ryeong e le faceva male soltanto pensarci, ma non aveva alcun potere lì dentro. Era buona solo a farsi punire e sua sorella era stata costretta ad entrare al palazzo per aiutarla, ma prima o poi avrebbe avuto la sua rivincita.

Fu allora che le porte, finalmente, si aprirono. La figura del secondo principe comparve dietro di esse, illuminato dalle luci flebili del tramonto.

«Il tuo periodo di isolamento è terminato» annunciò Eunji, camminandole incontro.

Hana sorrise e si alzò dai cuscini. Si avvicinò in uno svolazzare di gonne rosa, finché non si fermò sotto al suo viso. Come aveva fatto a diventare ancora più bello? Avrebbe voluto sfiorare quelle ciocche lunghe sfuggite all'acconciatura, accarezzare il volto pallido e abbracciarlo, ma in parte era ancora adirata con lui.

«Spero non ricapiti più, è stato orribile» confessò, sospirando.

Eunji roteò gli occhi al soffitto, ma sorrise anche lui e capitava così di rado da sembrarle un dono.

«Se imparerai a parlare con più accortezza, sicuramente certi avvenimenti non si ripeteranno.»

Hana si lasciò andare a una piccola smorfia, incrociando le braccia al petto. «So come devo comportarmi e cercherò di non discutere ancora» si morse appena le labbra, afferrando con leggerezza la manica della sua veste, come a chiedergli di portarla via.

«Spero che quello che dici sia vero.» Eunji intrecciò le loro mani, in un moto di affetto che lei non si aspettava, poi la accompagnò fuori. «Andiamo in giardino, fa troppo caldo.»

Al tocco della sua mano, Hana arrossì. Le piacevano quei contatti, essendo rari non ci era abituata, perciò ne approfittò per accarezzare dolcemente le nocche del marito, prima di essere portata al di là della stanza. I due, insieme, attraversarono la veranda illuminata dagli ultimi raggi amaranto. Eunji la guardò solo per un attimo, ma quando si diressero in giardino, si rabbuiò.

Chae-ryeong era in attesa sotto a un grande albero di pesco, avvolta da un hanbok elegante, i cui lunghi veli azzurri e viola si confrontavano con i colori accesi del tramonto. I capelli sistemati in cima alla testa liberavano il viso perfettamente triangolare.

«Andiamocene» disse Hana al marito, serrando la presa sulla sua mano.

Eunji, invece di accontentarla, le rivolse uno sguardo velenoso. «Mi pare che pochi istanti fa avessi detto di aver imparato la lezione. Dimostralo» sibilò, e la tirò a sé con uno strattone.

Le gambe di Hana tremarono. Era rimasta troppi giorni senza poter uscire e i muscoli le dolevano. La forza con cui l'aveva strattonata la fece cadere in avanti. Batté sulle ginocchia, impattando contro il terreno duro.

Eunji non ebbe modo di aiutarla ad alzarsi che la risata schernitrice di Chae-ryeong invase l'intero giardino. La ragazza si avvicinò a passi veloci e la guardò con aria di superiorità. «Questa donna, oltre ad aver perso il senno, ora ha scordato cosa sia il contegno?»

Quelle parole umiliarono Hana. Non poteva credere di esser stata così sbadata. Inoltre, Eunji continuava a non aiutarla, come se non gli importasse niente. Non sopportando quella situazione, si alzò, pulendosi le mani sui cui palmi erano comparsi dei graffi e conficcò uno sguardo gelido in quello della donna. «Dovresti portarmi rispetto, sono io la prima moglie.»

Eunji la prese per mano, e gliela strinse, come aveva fatto in precedenza. Quando Chae-ryeong si rese conto di quella stretta, ridusse gli occhi a due fessure e la voce si trasformò in veleno. «Io, una nobile di Sunju, dovrei portare rispetto a una dama di corte proveniente dal feudo di Haruna? Non accadrà mai.»

«Ora smettetela» sibilò Eunji, nervosamente.

Memore di quella stretta, Hana si morse la lingua, ma poi non riuscì a placarsi. «Accetta questa realtà, Chae-ryeong. Io sarò stata anche una dama di corte, ma il ruolo di prima moglie spetta a me.»

«Ma fammi il piacere» Chae-ryeong soffocò una risata, e avanzò verso di lei. «Sei solo stata una donna furba, capace di trovarti nel luogo giusto al momento giusto.»

«Puoi insistere quanto vuoi. Persino le altre dame di corte si inchinano prima a me che a te. E non sono io che uso afrodisiaci per poter stare con mio marito» assottigliò lo sguardo.

A quel punto, quando gli occhi di Chae-ryeong si spalancarono dall'indignazione, Eunji si mise tra di loro per dividerle. «Se mi metterete di nuovo in imbarazzo davanti alla corte, vi prometto che me la pagherete entrambe.»

«Non mi importa!» esclamò Chae-ryeong, furiosa. «Non permetterò a questa sgualdrina di trattarmi come le pare e piace. Lei non è nessuno!»

Hana si affacciò sulla spalla di Eunji. «E nemmeno io ti permetterò di trattarmi in questo modo, fintanto che avrò una posizione superiore alla tua!»

«Hana, smettila subito di parlare!» la sgridò Eunji, scagliandole uno sguardo ammonitore. «E tu...» si voltò verso Chae-ryeong e sollevò un braccio, indicando la dimora della donna. «Vattene subito.»

«Ma...»

«Vattene!» urlò di nuovo Eunji, e Chae-ryeong fu costretta a indietreggiare e incamminarsi via, in fretta.

Hana sorrise, sfoggiando una posa vittoriosa. Era estremamente soddisfatta di averla vista andare via con la coda fra le gambe. Tuttavia, quando rimasero soli, Eunji la guardò con rabbia. «Non hai imparato alcuna lezione, Hana.»

«Non voglio imparare nessuna lezione se devo essere maltrattata senza dire nulla.»

«Maltrattata?» Eunji diede sfoggiò una risata amara. «Sei tu stessa la causa dei tuoi mali, dunque non hai motivo di lamentarti.»

Hana gonfiò le guance, incredula. «Preferisco essere causa del mio male che dover sottostare ad una persona misera come Chae-ryeong!»

Eunji le lasciò la mano, con uno scatto violento. «Per essere superiore a Chae-ryeong devi chiudere quella dannata bocca e smetterla di fare la spavalda.»

«La difenderai sempre, non è così?» mormorò lei, con le lacrime agli occhi. Forse avrebbe dovuto dargli ascolto ed evitare di mettersi in pericolo, ma non tollerava le ingiustizie. «So che sei stato con lei, proprio il giorno in cui sono stata rinchiusa! Invece di pensare al male che mi ha fatto, tu... sei andato da lei.»

Eunji alzò gli occhi al cielo, quasi fosse esasperato e insensibile alle sue lacrime. «Se avessi voluto evitarlo forse avresti dovuto fare attenzione alle tue azioni, non credi?!»

Hana boccheggiò, le mancava il fiato. Perché suo marito non capiva quanto tutto questo le facesse male? Se fosse stata solo una sgualdrina, come Chae-ryeong le aveva detto, Eunji si sarebbe liberato di lei in fretta, ma era ancora lì con lui, al palazzo. Dunque qualcosa doveva esserci. Qualunque cosa, e ci si sarebbe aggrappata. «Allora vai da lei! Visto che trovi sempre una scusa per difenderla da tutto, vai pure da lei, dalla tua favorita!»

Vi fu un momento di silenzio. Eunji, ammantato dagli ultimi raggi del sole, con i fiori di pesco che scivolarono via dai rami del grande albero, si limitò a stringere i pugni. Non replicò e superò Hana, tornando verso il palazzo da cui erano usciti.

La stava davvero ignorando?

No, non glielo avrebbe permesso.

Corse dietro di lui, sollevando con attenzione le gonne per non inciampare di nuovo.

«Eunji!» lo chiamò. «Sei odioso, perennemente scontroso e non sai nemmeno proteggere me, che sono la più bella prima moglie che si possa avere!»

Il secondo principe spalancò le porte con violenza e a quel breve – ma imponente – impatto, le dame si ritirarono per lasciarsi da soli. Non si voltò nemmeno a guardarla ed entrò nella stanza. «La più bella? No, sei orgogliosa, petulante e testarda, tutto questo mi dà sui nervi!»

«Perché non vuoi capire?!» esclamò Hana, parandosi davanti a lui. «Non riesci ad apprezzare il mio sincero attaccamento per te!»

Presa dalla foga, cominciò a colpirlo con piccoli pugni sul petto fasciato da un hanbok nero, dalle rifiniture in oro.

«L'unica cosa che dovrebbe essere apprezzata, qui, è la mia pazienza!» urlò lui, prendendole i polsi e bloccandola contro la parete.

Hana impattò con la schiena, ma non si lamentò. Si mosse nel tentativo di dimenarsi, ma intanto le lacrime scendevano a coprire le guance arrossate dal dispiacere.

«Allora vai a stare con la tua stupida concubina se non hai più pazienza per sopportare me!»

Eunji, quando la vide piangere, si avvicinò al suo viso, diminuendo la forza con cui le stava stringendo i polsi. «Non voglio stare con nessuna concubina» le rivelò, liberandole solo una mano, per poi sfiorarle le lacrime con un dito. «Smettila di piangere, queste lacrime non servono a niente.»

Stava sognando, Hana ne era certa. Le lacrime scemarono e fissò lo sguardo nel suo, posando una mano sulla sua spalla. Si distaccò leggermente dalla parete e si premette al suo corpo. Eunji la strinse a sé, appoggiando la fronte alla sua e subito dopo spinse le labbra su quelle di lei, in un bacio appassionato.

Hana si adagiò al suo corpo. In principio, quasi per ripicca, gli morse la lingua, ma poi non riuscì a resistere. Quel bacio era qualcosa di mai provato. Gli sfiorò dolcemente il viso guardandolo con occhi semichiusi.

Eunji non attese molto per spingerla sul letto. Le salì sopra, stringendole i fianchi, per poi correre verso lo scollo della veste per aprirla. Hana respirò a stento, non era abituata a simili attenzioni, ma pur di non rimanere ferma andò subito a sciogliere la fascia attorno alla sua vita.

Il marito aprì gli occhi, allontanandosi dalle sue labbra, non di molto.

«Hai deciso di concederti a me?» le chiese, con un'insolita dolcezza.

Il cuore le batté così forte da impazzire. Lo avvicinò di nuovo, sussurrando sulle sue labbra: «Non riesco a resistere, e poi non voglio più aspettare, Eunji.»

«Bene, non aspetteremo più.»

Eunji tornò a baciarla, lasciando incontrare le loro lingue e intrecciando le loro mani.

Hana era ormai certa di una cosa, il suo amore per lui non avrebbe potuto che crescere.

***

Le sfumature amaranto del tramonto scivolavano fino a terra, illuminando la grande steppa. Dier aveva scelto la strada più lunga, ma meno difficile per arrivare fino alla tribù dei Taigat, ai piedi delle montagne.

Si sollevò sulla sella, guardando davanti a sé. Il sole si era frantumato fra le acque del fiume che avrebbe dovuto risalire insieme ad Areum. Lei era lì, cavalcava accanto a lui, ma per tutto il tempo aveva tenuto lo sguardo basso, come se le fosse stato impossibile incontrare i suoi occhi. Eppure, Dier non credeva di avere un tale potere sulle persone. Nessuno si era mai spaventato di lui, semmai, era lui stesso ad essere spaventato da tutto.

Tuttavia, quando aveva saputo di ciò che era accaduto ad Areum, aveva messo da parte ogni indecisione. Teneva a lei abbastanza da compiere qualunque sforzo pur di aiutarla. Sperava solo di esserne in grado. Deluderla equivaleva a uno squarcio nel cuore.

«Non manca molto, ormai. Dopo che ti avrò annunciata a mio zio, potrai riposare.»

Tomur, il capotribù, in effetti non era stato felice di sapere che avrebbe abbandonato i Taigat così presto, solo per recuperare una principessa a Kaewang, ma Dier aveva insistito e lui alla fine lo aveva ascoltato.

Areum si ostinava a tenere lo sguardo davanti a sé. I capelli neri si tinsero di riflessi rossi, mentre il sole giocava fra le punte che scendevano fino in vita.

«Spero che Tomur khan non sia un uomo troppo severo. Ho avuto modo di incontrarlo a più di un ricevimento, mi ha sempre guardata con... sdegno» mormorò Areum, mordendosi il labbro inferiore.

Dier deglutì a vuoto. «Lui è molto severo, odia i nobili e il palazzo reale... Sappi che non dovrai discuterci, non ama essere contraddetto.»

La ragazza si voltò finalmente a fissarlo, spronando il cavallo ad aumentare l'andatura. Le gambe fasciate da pantaloni stretti si serrarono sul ventre dell'animale. «Non penso avrei la forza di farlo...»

Dier si voltò a guardarla, tenendo le redini con una mano. Si avvicinò a lei, cavalcando al suo fianco con minor distacco. Areum era sempre stata paziente con lui, lo aveva ascoltato anche quando tutti si erano stancati di aspettare che finisse di balbettare.

«Lontano dal palazzo sarà tutto diverso e ti abituerai ad una vita con regole meno rigide. Ti scioglierai, come è successo anche a me» la rassicurò, incurvando le labbra in un sorriso mesto.

«Non si tratta di regole. Quelle riuscivo a evitarle anche a palazzo, se ben ricordi» gli spiegò, trattenendo lo sguardo nel suo, ma durò un istante troppo fugace. «Si tratta di una... Sensazione pesante, che mi ha congelato il cuore.»

Dier arrotolò la mano intorno alle redini, pentendosi di aver detto una cosa così sciocca. Doveva aiutarla, non creare problemi. «Allora sarò io a sciogliere quel peso. Anche se non sono poi così capace.»

«Non sminuirti, riesci a fare molte cose invece.... Tiri con l'arco meglio di me!» Areum cercò di ridere, ma quell'ilarità si spense quasi subito. «Comunque, ti lascerò provare.»

Udendo quella risata, seppur triste, Dier si sentì felice. Si sarebbe impegnato ad essere non una spalla su cui piangere, ma una su cui appoggiarsi per rialzarsi. «Farò di tutto per te, Areum. In fondo, sei la mia cugina preferita.»

Areum rise con maggiore leggerezza, strinse le redini con entrambe le mani e spronò il cavallo ad andare al galoppo, come se volesse fuggire. «Anche se ti sei complimentato, non ti lascerò vantaggio!» gli urlò senza aspettarlo.

«Are...» non fece in tempo a chiamarla che dovette andarle dietro in fretta. Prese coraggio e colpì il ventre dell'animale con il tacco dello stivale. «Rallenta o non riuscirò a starti dietro!»

Per un momento vide soltanto i suoi capelli sciogliersi alla brezza del vento, meno caldo e più invadente. Pizzicava sulle guance fino ad arrossare la pelle. Areum si voltò, lasciando che gli zoccoli del cavallo si inumidissero nel fiume, schizzando gocce d'acqua. Hwa comparve al suo fianco, da chissà quale escursione, e una volta unita alla padrona ripresero a correre insieme.

«Sei vergognoso, Dier! Provieni dalle steppe e non riesci a superare una principessa!»

Dier sgranò gli occhi quando si accorse che Hwa lo aveva superato e il sorriso sbiadì. «Sono caduto da cavallo, quando ero un bambino, e da allora cerco di andare piano!»

Si vergognò di averlo detto ad alta voce, ma non aveva dimenticato come Junoh avesse fatto imbizzarrire il suo cavallo per fare in modo che cadesse, rompendosi una gamba. Solo con il tempo, e con le cure dei Taigat, aveva abbandonato quasi completamente il passo claudicante.

Areum rallentò quando le gher della tribù comparvero davanti a loro, oltre un lieve pendio verdeggiante. Erano circolari, ampie, ricoperte da uno spesso strato di feltro blu e bianco. Intervallate da grandiosi recinti entro cui vi erano bestie di ogni tipo.

Dier, allora, si sentì a casa. Poté raggiungerla, rallentando la veloce andatura del cavallo, e scese insieme alla principessa che si passò una mano fra le cosce per massaggiarle. Dier se ne dispiacque, doveva averla spinta troppo oltre, senza considerare la sua stanchezza. «Non temere, se qui non ti trovassi bene, ti porterò indietro.»

Afferrò le redini di entrambi i cavalli e le sistemo attorno a un palo, perché poi i bambini più piccoli li pulissero e li portassero in un recinto insieme agli altri.

«Quindi stai dicendo che non vedi già l'ora di lasciarmi a palazzo?» lo punzecchiò lei, seppur con voce atona.

Dier arrossì, mentre camminava fra le gher. Le fiaccole erano già state accese e brillavano piantate nel terreno, mentre il sole aveva lasciato l'orizzonte, dando spazio ad una luna pallida che sorrideva nel cielo.

Il ragazzo si fermò davanti alla gher del khan, voltandosi verso di lei per scuotere la testa. «Non è questo ciò che intendevo. Io... voglio solo che tu stia meglio, Areum.»

«Lo so, stavo solo cercando di scherzare ma... Non mi riesce bene come prima» confessò lei, accarezzandogli una spalla. «Grazie per ciò che stai facendo. Per me è importante.»

Dier si sentì rincuorato, così poté scostare i lembi della tenda dello zio. La fece entrare in un ampio spazio circolare calpestato da tappeti. Il capotribù era seduto su una grande sedia di legno finemente intagliata, vestito con una lunga e pesante pelliccia nera che scendeva fino a terra. I capelli intrecciati scivolavano corvini sulle spalle larghe.

«Dier» lo chiamò, non appena li vide. Si alzò e si avvicinò con passo misurato, sicuro. «Sei tornato.» Asserì l'uomo, squadrando Areum con attenzione, prima di aggiungere: «La principessa di Kaewang, immagino.»

Dier annuì, nonostante temesse il giudizio di entrambi. Areum lo osservò velocemente, per poi prodigarsi in un inchino cortese. Hwa era appena entrata, sgusciando sotto la stoffa della tenda, per fermarsi accanto alla sua padrona. Non si mosse più, percependo il nervosismo di Areum.

«Sono felice di rivedervi, Tomur khan. Non temete, sarò di aiuto qui alla tribù. Ho imparato molto a palazzo e...»

L'uomo si lasciò andare a una risata smorzata, simile più ad uno sbuffo, poi si passò una mano sulla mascella attraversata da un sottile filo di barba. «Mi importa poco di ciò che hai imparato a Kaewang. Voglio capire che persona sei, e se soprattutto meriti gli elogi di mio nipote.»

Areum lasciò ciondolare le braccia lungo i fianchi e abbassò lo sguardo verso la volpe. «Immagino che lo scoprirete solo con il tempo» mormorò.

Tomur, accortosi della sua cupezza, inarcò un sopracciglio. «Questo è certo, ma non abituarti troppo. Se non sarai degna dei Taigat tornerai da dove sei venuta.»

Dier si inchinò subito. «Övöö, p-porterò...» si maledisse per aver ricominciato a balbettare. «Porterò A-areum nella mia tenda.» Quando si accorse di un simile errore sgranò gli occhi. «Nella s-sua, volevo d-dire!»

«Sì, portami nella mia tenda.» Areum si inchinò nuovamente davanti il capotribù, per poi uscire in fretta dalla gher insieme alla volpe, come se avesse avuto bisogno di riprendere fiato.

Tomur lanciò a Dier uno sguardo carico di ammonizione. Aveva portato con sé non la ragazza che gli aveva promesso, ma una bambina spezzata, dilaniata dalle ombre e questo di sicuro non gli era piaciuto.

Dier non vi badò troppo e lasciò lo zio, per seguire Areum fuori. Il freddo della notte lo investì. La giovane si trovava accanto ad una fiaccola, insieme a Hwa che muoveva la coda, come per intrattenerla.

«Areum... scusami, non volevo metterti in difficoltà.»

Non faceva che compiere errori su errori. Chinò la testa e le indicò di seguirlo verso una piccola gher accanto alla sua. «Se dovessi aver bisogno di qualcosa, potrai chiamarmi, ti sentirò facilmente.»

Areum si avvicinò e gli sfiorò le dita con le proprie, ma niente di più. Era già un passo avanti, per lui.

«Non è stata colpa tua, so bene che il capotribù no ha una buona opinione di coloro che vivono oltre la catena montuosa...» disse, e si voltò a fissare la propria gher. «Come farai a sentirmi?»

Dier si passò una mano fra i capelli. In effetti, non sarebbe stato semplice. Sorrise lo stesso. «Non temere, ti assicuro che ti sentirò, e non preoccuparti per mio nonno. Vedrai che lo conquisterai.»

«La notte ho degli incubi... Non riesco a dormire se sono da sola. Nemmeno se c'è Hwa...» gli confessò. «Se ti chiamerò, anche nel cuore della notte, verrai a parlare con me?»

«Se verrò? Io sarò qui» le promise Dier, chinandosi per accarezzare il pelo fulvo della volpe. «E poi lei saprà come chiamarmi, se non dovessi sentirti, ma non succederà niente di simile.»

«Allora... Ci conto» sussurrò Areum, per poi prendere Hwa in braccio. «Ora vado a vedere la mia gher e a riposarmi.»

«Buonanotte, Areum.»

Non appena la principessa oltrepassò i lembi di stoffa, Dier rimase lì fuori. Non si spostò per tutta la notte. Si fece portare una coperta per non sentire troppo freddo e si accomodò a terra. Se davvero Areum lo avesse chiamato, lui sarebbe stato pronto a correre da lei. Deluderla non era contemplabile.

**

Ovoo: nonno

E dunque dunque, Hana ed Eunji si sono sciolti finalmente. So che c'era chi se lo aspettava, chi non se lo aspettava, chi non li vede bene insieme, ma state tranquilli perché è tutto calcolato e voi dovete solo lasciarvi guidare da questa storia e la sua imprevedibilità u.u

Per parlare di prevedibilità, invece, Areum e Dier sono arrivati alla tribù dei Taigat e l'accoglienza di Tomur non è stata delle migliori. Tuttavia, Dier ci tiene ad Areum e state tranquilli che farà di tutto pur di aiutarla, anche andare contro il caro zio se sarà necessario.

A tal proposito, non perdete di vista Tomur, ha un ruolo abbastanza importante e lo vedremo spesso d'ora in poi. Infatti vi lascio qui sotto il suo prestavolto, mentre noi ci vediamo mercoledì per un nuovo capitolo in cui vedremo Song e Saran e i loro primi approcci al mondo di Sunju!

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