1.21
Mi-sun attendeva il marito sulla soglia rossa del palazzo, stringendo con forza la mano della sua dama di compagnia. Aveva lo stomaco in subbuglio, la mente colma di pensieri molesti e le lacrime incastrate fra le ciglia.
Yong non era venuto neanche una volta da quando aveva saputo della gravidanza. L'aveva lasciata di nuovo da parte, come se non fosse una moglie, né un'amica. Solo un'ospite indesiderata.
«Verrà...» continuava a ripetersi Mi-sun, deglutendo l'acidità che le scivolava in gola. «Deve venire.»
Yong non avrebbe dovuto lasciarla sola per il primo giorno dello Yudu, tutta Kaewang era in festa e al palazzo era stato organizzato un grande banchetto. Eppure, del marito non vi era traccia.
La giovane stava quasi per avviarsi da sola, quando la figura di Junoh, attraversò il corridoio all'aperto. Aveva i capelli racchiusi in uno stretto codino, la casacca nera scivolava senza pieghe fino alle caviglie e gli occhi lanciavano sguardi minacciosi a chiunque osasse incrociarli.
«Gongju» la chiamò, nel suo tono strafottente, non appena la vide. «Se stai aspettando il tuo prezioso marito, ti dico subito che non verrà. Si è già recato al banchetto con la sua concubina. Credevo lo avessi già saputo? O forse non ha reputato opportuno mandare qui il suo eunuco per avvisarti?»
Mi-sun stritolò le dita della dama fra le proprie, avvertendo una scarica di emozioni percorrerle il corpo da cima a fondo. La principessa si mise a sbattere le palpebre, per ricacciare indietro le lacrime, mentre il cielo le crollava addosso in una pioggia di schegge affilate.
«Cosa... cosa hai detto?»
Junoh continuò ad avanzare e si fermò solamente quando furono l'uno di fronte all'altra.
«Esattamente ciò che non desideravi sentire, ma che in cuor tuo già sapevi. Il valoroso principe di Kaewang, tuo marito, è al banchetto con la sua favorita. Mentre tu sei qui ad attendere un fantasma.»
Mi-sun trattenne un singhiozzo, che sfociò in un lamento di frustrazione. Perse il controllo sulle proprie emozioni, che trapelarono dalla sua bocca come un fiume in piena.
«Gong...» provò a riprenderla Su-jin, ma la principessa sfilò la mano dalla sua e la spinse violentemente verso il palazzo.
«Vattene!» strillò, liberando il nervosismo. Poco le importava se i servi l'avrebbero scambiata per pazza, non aveva più voglia di fingere compostezza. «Vattene via!»
La serva scappò all'interno del giardino, mentre Junoh soffocò una risata sotto la manica della casacca. «Invece di urlare in questo modo, non dovresti farti rispettare, gongju?» le chiese, afferrandole un braccio per tenerla ferma.
«Rispettare?» Mi-sun si scansò in un gesto troppo violento, che la portò a sbattere la schiena contro il muro rosso che divideva il suo palazzo da quello del marito. «A cosa servirebbe? Sono la prima principessa di Sunju, sono anche la sua prima moglie, e porto dentro di me suo figlio, ma tutto questo non basta. Non basta mai, per nessuno, nemmeno per lui!»
La ragazza si mise a singhiozzare, scivolò con la schiena lungo il muro e si portò le gambe al petto, nascondendoci il viso. Aveva sempre provato vergogna nel piangere davanti agli altri, odiava gli sguardi pieni di disprezzo o di compassione.
«Ciò che provi, gongju, lo provo anche io. A che serve essere un principe se nessuno mi considera tale? Mi dipingono come qualcuno da evitare perché sono da solo. Forse succederà anche con te, questa solitudine ti spezzerà e ti inaridirà, ma le persone davvero deprecabili non siamo noi» asserì Junoh, perdendo tutta la sua aria strafottente per sostituirla a una premurosa
Mi-sun lo guardò stordita, con la gola ricolma di singhiozzi infantili.
«Mi sono sforzata, per non essere una persona deprecabile» ammise, alzandosi con fatica. «Ho svolto il mio ruolo così come mi avevano insegnato, solo che... Mi sento già arida, Junoh. Hanno spazzato via tutto.»
La principessa perse l'equilibrio, la stanchezza unita al dolore l'aveva prosciugata di ogni forza. Se non ci fosse stato Junoh a sorreggerla, sicuramente sarebbe caduta al suolo, sporcandosi le larghe gonne rosa di polvere.
«No» le disse il giovane, accarezzandole le lacrime con il pollice. «Non dare loro il tuo pianto e i tuoi singhiozzi, non dare loro il tuo dolore. Non lo meritano» continuò, sorridendole caloroso, per poi farle una promessa. «Finché ci sarò, ti proteggerò.»
Mi-sun si sentì rincuorata. Quelle parole, così semplici e coraggiose, avevano avuto il potere di riscaldarle il cuore, spezzato e dolente.
«Davvero?» gli chiese, appoggiandosi al suo mento. «Davvero ti importa di me?»
Junoh rise, con una dolcezza dimenticata, e poi le scompigliò i capelli. «Lo farò, te l'ho detto, io e te siamo uguali. Insieme possiamo aiutarci.»
La principessa sollevò allora lo sguardo e gli prese la mano con cui poco prima le aveva asciugato le lacrime. Era così felice, talmente commossa, da aver terminato le parole.
Solo dopo qualche istante riuscì ad articolare una frase, così semplice da farla arrossire.
«Mi... Mi-sun. Mi chiamo così. La prima volta non sono riuscita a dirtelo.»
«Bellezza e bontà. Un nome accettabile, ma continuerò a chiamarti gongju, perché sei altezzosa» la rassicurò lui, strizzandole una guancia con un buffetto affettuoso.
Mi-sun continuò a stringere la sua mano e a parlare, intimidita. «Voglio che tu sia mio amico, Junoh. Puoi esserlo?»
Il principe finse di riflettere, poi annuì con un sorriso. «Lo sarò, magari in questo modo tuo marito si ingelosirà.»
A Mi-sun non importava di far ingelosire Yong, voleva solo qualcuno che le volesse bene e che la avesse a cuore. Non aspirava davvero ad altro nella sua vita. «Allora accompagnami nella sala dei banchetti. Mangeremo insieme e converseremo fino alla noia.»
«Mi pare un'ottima prospettiva» asserì Junoh, trascinandola con sé fra gli immensi corridoi del palazzo, ora riempito dal suono delle loro risate.
***
La sala del banchetto era colma di luci soffuse. Grandi candelabri si sollevavano da terra, sostenendo candele che illuminavano fiocamente i banchi singoli davanti a cui sedevano ministri e membri della corona.
Junoh varcò la grande sala al fianco di Mi-sun. Non badò ai musicisti, né alle danzatrici nascoste in un angolo, in attesa di allietare i presenti. Non badò a nulla, se non al rancore che marciva dentro il cuore. Lo soffocava.
Un tempo aveva consumato le cene ufficiali accanto alla sua amata madre, ma poi tutto era sfumato via, come se fosse stato solo un sogno; un tempo era stato un principe davanti a cui tutti si inchinavano, mentre ora non era niente. Solo una vacua presenza in un palazzo troppo oscuro perché qualcuno si avventurasse a tenergli compagnia.
«Sua Altezza la principessa Mi-sun e Sua Altezza il principe Junoh sono arrivati!» li annunciò un eunuco dalla voce altisonante, che riecheggiò nell'ampia sala dei banchetti.
Quando Yong si volse a guardarli, con un pugno stretto, Junoh lo derise. Non importava cosa i ministri avrebbero pensato di quella entrata così particolare. Junoh era abituato a subire qualunque critica.
Gettò uno sguardo a Mi-sun, in tralice, notando come la sua dama le avesse asciugato il volto dalle lacrime per poi sistemarle i capelli dietro le spalle, liberandole le guance piene, colorate da un rosso naturale. In principio Junoh si era detto che Mi-sun sarebbe potuta diventare una valida alleata contro Yong, un pugnale da usare per colpire al cuore del proprio nemico, senza insozzarsi di fango. Poi, quella sera, aveva riconosciuto nei suoi occhi il suo stesso rammarico, la sua stessa rabbia. E sentì di volerle stare vicino.
La condusse in uno svolazzare di gonne rosa e bianche fino al grande tavolo dietro cui vi erano il re e la regina, indisposti più che mai dalla loro presenza. Rong Le aveva le labbra serrate, una mano stretta intorno a una coppa colma di tè caldo. Il re Naemul, invece, gli occhi sottili ridotti a due fessure e le mani intrecciate di fronte alla bocca.
Junoh soffocò una risata di sdegno e si fermò di fronte al tavolo insieme a Mi-sun. Nemmeno lui, per quel che valeva, era felice di vederli. Li odiava, dal profondo della sua anima.
«Pyeah, Mama, vi auguro una buona festa dello Yudu e che ne possiate festeggiare altre mille!» esclamò Mi-sun, inchinandosi, avendo ormai cancellato dalla sua voce ogni tristezza.
Junoh pronunciò le medesime parole, ma in un sussurro. Mentre le gambe si piegavano e le ginocchia cedevano al peso della collera. Tuttavia, non doveva far trapelare il malessere che provava.
«Grazie per la tua premura, principessa Mi-sun» si sforzò di sorriderle re Naemul, sciogliendo il nodo di dita di fronte la bocca. La sua mano si posò su quella di Rong Le, che non osò stringerla, ancora scioccata. «Sono colpito, Junoh, dalla tua presenza.»
«Stavolta ho saputo in tempo dell'invito, il servizio di posta del palazzo sta migliorando, pyeah» sibilò, ironico, Junoh, con un sorriso strafottente sull'orlo delle labbra.
Rong Le lo fulminò con lo sguardo, ma il principe continuò a fissarla negli occhi. Avrebbe potuto scoppiare a ridere in faccia a quei due dannati, ma non lo fece. Preferì ascoltare, mentre Naemul sospirava indisposto. «Bene, prendete pure posto insieme agli altri principi.»
«Gongju» la invitò Junoh, affinché lo seguisse verso i tavoli bassi riservati ai reali.
«Andiamo» sorrise Mi-sun, per poi costringersi a sedere accanto al marito dopo essersi inginocchiata con eleganza. Non lo degnò di uno sguardo, sedendo con eleganza su di un cuscino. «Junoh, siedi vicino a noi.»
Yong, non appena udì quel nome pronunciato con così tanto calore, si irrigidì. Junoh sorrise.
Oh, avrebbe accettato quel cortese invito. Per una volta non si sarebbe disperso dietro di loro.
«Vi ringrazio, gongju.» disse, accomodandosi al suo fianco, mentre la voce altisonante dell'eunuco riecheggiava per la seconda volta nel salone.
«Sua Altezza, la principessa Areum, è arrivata!» esclamò il mezz'uomo, nell'istante in cui Areum fece il suo ingresso, impettita nella sala da pranzo, con un lungo abito blu notte e la piccola Hwa che le camminava di fianco. Junoh le lanciò uno sguardo sprezzante, prima di sedere sullo stesso cuscino che tante volte Dier aveva occupato.
Areum gli scagliò un'occhiataccia di rimando, ma non disse nulla. Piuttosto fece un cenno alla sua dama di compagnia, che scomparve velocemente oltre le porte, poi si avviò verso il tavolo dei genitori, per salutarli. «Abamama, Eomomama» li chiamò, con fare rispettoso. «Perdonate il ritardo.»
Naemul sembrava felice di vedere quell'infame. Junoh aveva notato come si era illuminato, quel re abietto, nell'istante in cui suoi occhi si erano posati sulla sua figlia preferite. E al principe non era sfuggito il modo in cui Yong si era subito irrigidito, masticando forse un insulto fra le labbra.
A quanto pare i due gemelli non erano più tanto uniti. Buono a sapersi.
«Sei perdonata, Areum! Prendi posto, molti dei tuoi piatti preferiti sono già stati serviti» rise il re, e Rong Le le fece un cenno con il viso. La ragazza annuì e si andò a sedere, con suo grande dispiacere, vicino a lui. Junoh per poco non roteò gli occhi, ci pensò Mi-sun a farlo sorridere.
«A Sunju ci sono molti piatti raffinati gli raccontò la principessa, mentre le serve posavano ciotole fumanti sui tavoli. «Mi chiedo se ci siano dei cibi che somiglino a quelli del mio regno. Ho una grande voglia di carne, sai?»
«La carne di Kaewang è molto saporita, vedrai che ne sarai pienamente soddisfatta» le rispose Junoh, dando le spalle ad Areum, sentendola dar voce a un sospiro esasperato.
«Se è davvero come dici, perché non mi riempi la ciotola con la tua preferita?» gli domandò Mi-sun, posando la mano sul suo braccio, come a voler fare uno sfregio al marito, il quale li fissava di sottecchi.
«Mi-sun...» mugugnò Yong, fra i denti, per ammonirla di fronte a quel comportamento.
«Il principe ha mal di gola?» scherzò Junoh, per poi prendere le bacchette e inserire nella ciotola di lei la carne che reputava migliore. «Ecco, la carne di cervo è ottima per rafforzare gli organi interni.»
La principessa di Sunju sorrise a quel gesto, ignorando il marito, per poi mangiare. «Oh, avevi ragione. È davvero squisita...»
«Continua a mangiare, l'erede ha bisogno di un buon nutrimento» Junoh, mentre si versava del vino di riso, notò la serva di Areum fare ritorno. Allora si voltò, nel notare la cugina annuire in un gesto quasi impercettibile.
La dama, impassibile, si diresse all'altro capo del tavolo, dove sostava Shu Lien. Si piegò accanto a lei e le sussurrò all'orecchio qualcosa, che fece sorridere ingenuamente quella povera stupida di Qiong.
Shu Lien si alzò in uno sbuffo di veli cremisi, per poi inchinarsi davanti a Mi-sun, facendo cenno alla stessa dama di corte di portare un vassoio con una teiera fumante. «Eonni, volevo omaggiarvi e farvi i migliori auguri per il figlio che portate in grembo, offrendovi un tè che ho fatto io secondo i metodi della contea di Qiong.»
Mi-sun la guardò infastidita e cominciò a picchiettare velocemente la bacchetta di ferro sul pianale.
«Grazie» rispose, secca, mentre Shu Lien le versava il tè in una tazzina eccezionalmente in porcellana, per offrirgliela.
«Quanta grazia, la concubina di mio cugino è davvero una donna preziosa» la canzonò Junoh.
Yong impiegò un istante a fulminarlo, infastidito più che mai.
Shu Lien diventò rossa per la vergogna. «Vi ringrazio, daegun mama» mormorò, mentre Mi-sun afferrava la tazzina con malagrazia. Odorò il contenuto e contorse il viso in una smorfia di disprezzo, prima di ingollarne il contenuto.
Quando la giovane terminò, sbatté la tazzina sul pianale del tavolo e rise, schifata. «Orribile. Ha un retrogusto acido, possibile che a Qiong siate incapaci persino di preparare un tè?»
Shu Lien aggrottò le sopracciglia di fronte quelle parole e strinse le mani sulle gonne amaranto, indietreggiando di un passo. «Retrogusto acido? Gongju, ho usato i migliori semi di magnolia per prepararvi questo tè. Dubito siano andati a male.»
«Ma per favore, so riconoscere l'aroma della magnolia e questa non era magnolia» sibilò Mi-sun, che aveva persino lasciato parte del contenuto nella tazzina. «Se volevi indispormi, ci sei riuscita.»
Yong sbuffò apertamente, drizzando la schiena fasciata da seta color malva. «Dovresti apprezzare gli sforzi di Shu Lien. Lei ti rispetta, perché tu non riesci a farlo? Non dovrebbero esserci inimicizie fra le mie mogli.»
«Se il marito lascia a desiderare, è normale che ci siano» sussurrò Junoh, e quando Yong lo udì sembrò inalberarsi, ma lui gli rise in faccia. «Oh, andiamo. Sei peggio di quanto scommettessi. Tua moglie preferisce passare il suo tempo con me che con te.»
«Junoh, non tirare la corda o io...» provò a fermarlo Yong, quando una smorfia attraversò il viso di Mi-sun e un gemito abbandonò le sue labbra.
Junoh si voltò di scatto e posò una mano sul suo braccio destro, sentendola improvvisamente rigida. Gongju?
Mi-sun si alzò dal tavolo e premette le mani sul ventre, mugolando di nuovo, stavolta di dolore. Shu Lien sbiancò in viso e la regina Rong Le si alzò costernata da quella visione.
«Yong, cosa succede a tua moglie?!» domandò la sovrana, aggrottando le sopracciglia perfette.
Il principe scattò in piedi e afferrò la principessa per la vita, attirandola al proprio petto. «Mi-sun?!»
Junoh si avvicinò, afferrò uno dei cucchiai di argento intonsi e lo inserì nel tè. Quando lo fece uscire, la superficie divenne nera. E allora comprese cosa fosse accaduto, comprese, per la seconda volta, di aver sempre avuto ragione. Non erano lui e Mi-sun i cattivi dentro quel palazzo maledetto.
«Il tè è stato avvelenato!» gridò, puntando un dito contro Shu Lien. «Tu, miserevole donna, hai avvelenato la prima moglie di tuo marito?!
La ragazza, sgomenta, scosse la testa e gli spilloni tintinnarono. Shu Lien sollevò appena le mani, con le labbra contratte in un singhiozzo e gli occhi lucidi di lacrime. Io non ho fatto niente del genere! Non avrei alcun motivo per far del male alla...»
Mi-sun urlò quando una macchia di sangue si irrorò sulle sue gonne, allarmando i consiglieri, i ministri e persino i generali seduti ai tavoli. La principessa si piegò in due, tremando.
Quello per il re fu abbastanza, che si alzò in piedi, lasciando la mano di Rong Le, il quale lo fissò con gli occhi sgranati. Guardie, scortate madama Shu Lien nelle prigioni di palazzo e assicuratevi che non le lasci.»
«Cosa?! Abamama, non potete farlo!» urlò Yong, lasciando la presa su Mi-sun, la quale cadde al suolo, incapace di muoversi. Junoh si affrettò a raggiungerla e le cinse le spalle con un braccio, mentre lei si accasciava sul suo petto.
I soldati, però, nello scintillio delle armature scure, piombarono in sala e due di loro afferrarono la donna. «Non sono stata io, non l'ho avvelenata, lasciatemi!» gridò lei, finché non fu trascinata via sotto gli occhi attoniti di Yong, impotente.
«Naemul, non puoi! Yan Kai reagirà a quest'accusa all'istante!" provò a pregarlo la regina, ancora in ginocchio, con il respiro accelerato e gli occhi sgranati. Erano tutti così preoccupati per Shu Lien e per le sue sorti, da essersi persino scordati di chi stava soffrendo davvero.
«Fa troppo male... Il mio bambino...» mormorò Mi-sun, prima di perdere i sensi contro il petto di Junoh, con la macchia rossa che si allarga sul tessuto delle gonne bianche e l'odore della morte che impregnava, per l'ennesima volta, le narici del principe.
Il gong risuonò dieci rintocchi, che si sparsero come un'eco di morte nel palazzo di Kaewang. Era lo stesso suono di quando era morta sua madre, la stessa ora, lo stesso giorno. Junoh lo ricordava così bene...
Yong non disse nulla, era solo livido in viso. Junoh lo vide abbassarsi su di lui, strappargli la moglie fra le braccia per trascinarla via, fra i sussurri sgomenti di tutta la sala.
Il principe strinse i pugni, poi i suoi occhi si spostarono sull'unica che non aveva emesso un solo fiato: la cugina.
Areum era rimasta perfettamente composta, con la schiena dritta e il mento alto. I capelli corvini che scivolavano in onde libere sulle spalle, e le mani tremanti che non riuscivano a tenere ferme le bacchette fra le dita. Quando la principessa si accorse del suo sguardo, lanciò le bacchette con troppa forza sul tavolo e si alzò in piedi, avviandosi verso le porte come se non volesse fare altro che fuggire.
E Junoh comprese, senza che ci fosse bisogno di dire altro, che era stata lei l'artefice di quell'omicidio.
**
Abamama: Padre Imperiale
Eomomama: Madre Imperiale
E dunque, alla fine il danno è stato fatto, e io non se essere più triste per Mi-sun e per Shu Lien. Ci sono andate di mezzo tutte e due, e hanno perso entrambe, una il figlio e l'altra la libertà, per colpa di Areum la quale ha già cominciato a dare qualche cenno di sensi di colpa. Che la visione di Mi-sun l'abbia turbata? Che il peso del destino di Shu Lien la stia facendo vacillare?
Noi lo scopriremo solo venerdì, eh si, perché col cavolo che si cambia POV. La festa dello Yudu continua e credete forse che Mi-sun si esimerà dal vomitare addosso a quel BUON UOMO di Yong tutte le sue mancanze? HAHAHAHAH
No.
Ormai non ha più niente da perdere, è questo il problema.
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