1.20
Song ingollò del vino di riso e aspettò che il dolce sapore della bevanda intorpidisse i sensi. Erano trascorse solo due notti dall'attacco alla tribù di Nehkii e Saran stentava ancora a riprendersi. Pur di sdebitarsi, il principe si era deciso a trascorrere il pomeriggio al suo fianco. Anche perché non voleva stare solo, le parole di Boloorma lo avevano turbato al punto da impedirgli di chiudere occhio.
Song spostò lo sguardo sulla carta di gelso che aveva disteso di fronte a sé, sapendo di dover terminare di scrivere la lettera da spedire ai suoi uomini, eppure non riusciva a muovere le dita.
Costringendosi, il ragazzo afferrò il carboncino che teneva nascosto nella cintura e si sforzò di completare la missiva. Si sentiva un traditore, ma doveva agire ora, prima della festa dello Yudu.
Il principe si voltò a guardare Saran ridestarsi lenta, il suo respiro farsi più intenso, e il suo corpo muoversi fra i cuscini. Quando la giovane sollevò le palpebre, lo guardò corrucciata.
«A chi stai scrivendo?» gli domandò, sollevandosi sui palmi e scuotendo il capo. I lunghi capelli neri scivolarono sul suo petto, donandole una bellezza ardita, difficile da notare quando li legava per cavalcare liberamente. «Lo fai per i tuoi affari?»
Song si morse le labbra e nascose la lettera fra i cuscini, scuotendo il capo. Forse per cacciare i pensieri maliziosi che avevano sfiorato la sua mente nell'istante in cui l'aveva vista così vulnerabile, stretta nella camicia da notte leggera.
«No, scrivevo una lettera da spedire a mia madre. Mi manca casa mia» ammise, scuotendo la bottiglia mezza piena.
Saran gli rivolse un sorriso, poi si sollevò dalle pellicce e sedette accanto a lui. «Ti manca casa e quindi bevi... cosa, esattamente?»
«Vino di riso» le rispose Song, facendo in modo che le loro dita si sfiorassero. Se doveva andarsene, non voleva avere alcun rimpianto. Nemmeno con lei. «Vorresti provarlo? Solo gli uomini oltre la muraglia riescono a produrlo.»
Saran annuì e afferrò una ciotola scura, facendogli cenno di versare il liquido all'interno. Song fece quanto comandato e la osservò mentre, curiosa, odorava la fragranza dolciastra dell'alcolico.
«Sono interessata a ciò che avete oltre la muraglia» asserì Saran, bevendo un sorso di vino. Le sue labbra si fecero lucide e umide, ancora più invitanti. «A proposito, non è che ti manca casa perché alla tribù non ti trovi bene?»
«Alla tribù tutti mi guardano con diffidenza e Altan con odio» sussurrò Song, portandosi una mano ai lunghi capelli castani. «A casa le persone fingono gentilezza davanti, poi gettano veleno alle spalle.»
Saran rimase a fissarlo, distolse lo sguardo e bevve un altro sorso di vino. «Allora dovresti preferire coloro che abitano qui, perché ti tratteranno sempre con onestà. Anche se hai sconfitto una tigre sei uno straniero, hanno timore. Per quanto riguarda Altan, invece... Non ti preoccupare di lui.»
Un sorriso amaro si formò sulle labbra del principe, che osservò le gote della ragazza tingersi di un rosso intenso. Erano più belle, tanto che sollevò un dito per sfiorarle, e lei non si discostò. «Saran, è difficile ignorare l'odio negli occhi della gente, specialmente se sai come riconoscerlo.»
«A me non importa niente della gente. Nemmeno a te dovrebbe importare» la giovane gli prese la mano con cui gli stava accarezzando la guancia, subito dopo aver abbandonato la ciotola. I loro occhi si incrociarono e lei riprese a parlare, quasi con premura. «Finché rimarrai qui potrai contare su di me.»
Quelle parole erano vere, sincere, e Song si sentì nuovamente un traditore. «Quindi sono riuscito a farti ricredere? Non sono più uno stupido nobile di Sunju?»
«Sì, ma non per questo ti tratterò meglio» Saran aggrottò le sopracciglia, senza osare muoversi. «Non sono come le ragazze a cui sei abituato.»
«Infatti, sei molto meglio» la lingua di Song si era sciolta, le sue dita corsero dietro la nuca della ragazza e accarezzarono i suoi folti capelli. «Posso riscuotere il mio premio?»
La ragazza gli afferrò la manica della casacca, i suoi occhi brillavano di curiosità ma anche di nervosismo. «E quale sarebbe il premio che vorresti riscuotere?»
Song non rispose, preferì posare le labbra sulle sue e lasciare che capisse tutto da sola. Il bacio che si venne a creare fu semplice e al contempo violento, Saran si dimenò appena, ma durò solo un istante. Allora, il ragazzo le schiuse la bocca e la attraversò, cercando la sua lingua e costringendola a sdraiarsi sulle pellicce da cui si era alzata poco prima. Saran si lasciò andare a lui, non si mostrò rigida e nemmeno spaventata, assorta com'era in quelle sensazioni che, visti i suoi modi impacciati e a tratti quasi aggressivi, dovevano essere del tutto nuove.
Song non perse più tempo e assecondò il proprio desiderio, le proprie passioni che sembravano intensificarsi ogni volta che la sentiva reagire e sospirare. Le tolse in poco tempo gli abiti e lei fece lo stesso con i propri, gettandoli alla rinfusa sui tappeti. Il rumore dei loro baci riempì l'aria, insieme al suono dei loro respiri.
Song si ripeté più volte che non c'era alcun sentimento capace di smuoverlo a tal punto, no, si trattava solo dell'effetto del vino e del fascino di quella ragazza piovuta dal cielo in un giorno troppo afoso. Continuò dunque a mentire a se stesso, anche quando i movimenti dei loro corpi furono veloci, alla ricerca assennata di un piacere profondo che trovò il culmine nei loro ventri.
Quando l'atto si concluse, Song avvolse tra le braccia l'esile corpo di Saran, baciato dalla luna, e la cullò, in attesa che si addormentasse. Aveva bisogno del silenzio, di nessuna parola, di nessuna spiegazione. E lei non chiese. Rimase semplicemente adagiata sui cuscini, dandogli le spalle, mentre lui la abbracciava e respirava l'odore del vento e della sabbia che si sprigionava dai suoi capelli.
Solo quando Song fu sicuro che Saran si fosse addormentata si alzò, e, rivestitosi, afferrò la lettera.
Si era preso lei e, presto, si sarebbe preso anche la tecnica dei Cieli di Sangue. Poi il trono di Sunju.
Una volta fuori dalla tenda, richiamò con un fischio il piccione viaggiatore che aveva portato con sé da Sunju. L'uccello planò dal cielo e lui legò la sottile striscia di carta di gelso sulla sua zampa, lasciandogli spiccare il volo verso i suoi uomini, stanziati a pochi metri da lì, chiedendosi se tradire chi gli aveva dato accoglienza fosse la cosa più giusta da fare.
***
Tutte le sensazioni che Saran aveva provato con Song le erano rimaste addosso.
Sentire le sue mani sulla propria pelle, lasciarsi esplorare in quel modo, le aveva procurato un benessere mai provato prima.
Non sapeva nemmeno perché Song la attraesse tanto, ma aveva deciso di cedere perché lo desiderava. Era stato, sì, solo un desiderio, ma ne era rimasta soddisfatta, senza nessun senso di colpa.
Solo quando la luce del sole perforò la gher capì di essere sola. Sulle pellicce, dove avevano consumato la loro unione, era rimasto il profumo di Song mescolato al proprio. Poi, un clangore metallico la chiamò dal sonno.
Intontita, non essendo abituata a svegliarsi quando il sole si irradiava sulle sabbie, impiegò qualche istante ad alzarsi. Afferrò le vesti gettate via e le indossò velocemente. Legò in vita una lunga sciabola e uscì dalla tenda.
Se Altan non si fosse messo davanti a lei in un gesto fulmineo, parando una lama nemica, quella stessa le avrebbe aperto la gola.
«Saran, gli uomini oltre la muraglia sono arrivati!»
Quelle parole la resero sgomenta. Si lasciò difendere, per poi sfoderare la propria arma. Parò alcuni colpi di soldati vestiti con armature a scaglie, i cui elmi brillavano e accecavano sotto a una luce troppo forte. «Come è possibile, perché ci stanno venendo contro?»
«Non lo so» sputò Altan, allontanando uno dei soldati con un calcio, per poi tranciare la gola di un altro con un movimento repentino. Il sangue gli schizzò addosso, coprendogli parte della guancia. «Non mi spiego nemmeno come ci abbiano trovato, ma una cosa è certa: Song è una spia.»
La verità di quelle parole la fecero affondare di più nella sabbia.
«Song?» Il cuore si sciolse in battiti accelerati. «Non può essere lui!» gridò, andando addosso a uno dei soldati con una spallata. Le scaglie metalliche si infransero nella veste. Lo ferì, infilando la punta della sciabola nella sola apertura prevista della pesante armatura, e lo scaraventò a terra per passare oltre.
Poi raggiunse la tenda di Song ed entrò, spostando con rabbia i lembi di stoffa.
Gettò tutto per aria, qualunque baule vi fosse stato dentro rovinò sui tappeti, finché non crollarono ai suoi piedi delle missive. Saran si chinò e le raccolse. I mercanti del confine le avevano insegnato a leggere, perché comprendesse i loro accordi scritti, dunque non le fu difficile riscontrare una verità.
Song era davvero una spia.
Fu lui ad entrare nella tenda in quel momento.
«Saran!» la chiamò ad alta voce, forse spaventato che avesse scoperto tutto.
Lei si voltò lentamente, gettando le lettere sul tappeto e calpestandole con un piede. Gli cacciò addosso uno sguardo pieno di rancore.
«Come hai potuto?» si avventò su di lui, colpendolo al petto con un pugno. «Come hai potuto tradire la tribù?»
Song la bloccò per le braccia e la allontanò senza usare violenza. I suoi occhi neri erano umidi, e lei vi si perse dentro fino a odiarsi per quella debolezza. «Non vi ho tradito, devi credermi! Ho solo cercato di mediare. Ti assicuro che i miei uomini non faranno del male a nessuno se non saranno attaccati!»
«Pensi che sia così stupida da crederti una seconda volta, Song?» Saran smise di colpirlo, ma il respiro si fece più fitto. «Mi avevi detto di essere solo un mercante. Se hai mentito una volta, puoi benissimo farlo di nuovo!»
«Io non...» provò a dire lui, ma in quel momento entrarono due soldati.
«Altezza! Non abbiamo trovato la tecnica in nessuna delle tende, noi...»
Song li fulminò con lo sguardo, ma non badò a loro e insisté: «Saran, so di averti mentito, ma non su tutto. Io... Io voglio averti con me. Per favore, seguimi a Sunju. Ti darò una vita migliore di questa.»
Le parole che disse non ebbero effetto di lei.
Altezza, non abbiamo trovato la tecnica.
Tanto le era bastato a farla sentire ancora peggio. «Tu... volevi solo la tecnica dei Cieli di Sangue. La tua era tutta una farsa per scoprire dove si trovasse! E io sono stata così stupida da averti creduto!» lo spintonò.
«Non è come pensi!» esclamò lui, disperato.
I soldati, vedendo come Saran si fosse accanita su di lui, estrassero la spada per colpirla.
Song la afferrò per un polso e la attirò al proprio petto. La lama si conficcò nella sua spalla, abbastanza in là da fargli sputare un grumo di sangue.
Saran sgranò gli occhi, rintanata in quella gabbia che sapeva di un veleno sin troppo dolce.
Si odiò immensamente, perché aveva provato preoccupazione per lui e per quella ferita.
Perché in così poco tempo l'aveva incantata in quel modo? Perché non poteva rimanere un mercante di Sunju?
Lo allontanò, sibilando: «Vai via, porta via i tuoi uomini o ti ucciderò.»
Gli occhi di Song tornarono lucidi, non più per il vino di riso, nemmeno per la ferita. Il soldato estrasse la spada e crollò a terra.
«Il vostro servo merita la morte!» piagnucolò, come se fosse stato davanti a un nobile, a un principe, ma Song insisteva nel non guardarlo.
«Ce ne andremo» le disse, trattenendo il dolore, per poi fare cenno all'altro soldato di uscire dalla tenda. «Ordina la ritirata.»
Saran strinse i pugni, non osò più fissarlo. Lo avrebbe colpito di nuovo, pur di sfogare tutta la rabbia, ma non poté farlo. Lo oltrepassò, correndo fuori dalla gher. Alcuni soldati nemici stavano ancora infierendo sui suoi compagni.
Song, aiutato dai suoi uomini a raggiungere il cavallo, si voltò a fissarla. Saran strinse i pugni, conficco le unghie nei palmi delle mani, sputando al suolo come a fargli intendere che mai lo avrebbe seguito in vita sua, e poi gli voltò le spalle.
Le tende erano state bruciate, il fumo si sollevava ancora alto verso il cielo. Il sangue degli Shonin scendeva a inumidire la sabbia.
Saran intercettò Altan con lo sguardo. Giaceva davanti alla gher del capotribù, con una freccia conficcata nel petto.
No.
Non poteva credere a ciò che era accaduto, a quella orribile devastazione.
Il mondo le era appena crollato sotto ai piedi.
Corse dal suo amico, da suo fratello, e cadde in ginocchio. Lo sollevò con dolcezza, lasciando che posasse la testa sulle proprie gambe.
«Altan...» mormorò. «Ti estrarrò la freccia e fermerò il sangue, va bene? Resisti.»
Le labbra di Altan, percorse da lacrime rosse, mugugnarono di dolore. Il corpo era lacerato da miriadi di ferite, mentre la mano era stretta sul pomo della sciabola.
Scosse il capo lentamente. «Non... Non dire sciocchezze... Ormai è troppo... Tardi.»
«No!» esclamò Saran, passando le dita sulla sua guancia, cancellando il sudore e il sangue sulla tempia. «Tutto questo è colpa mia, dovrei esserci io al tuo posto!»
«Oh, taci...» sussurrò lui, rasserenato dal suo tocco sulla pelle. «Hai sbagliato, ma sbagliando si cresce, Saran.» Altan abbandonò la spada e afferrò la sua mano, respirando a fatica. «Mi dispiace... Andarmene così presto.»
Saran trattenne le lacrime, si morse il labbro inferiore pur di non singhiozzare. Lo strinse a sé, posando il mento sulla sua fronte.
«Non mi lasciare, non puoi lasciarmi, Altan.»
Lui, in un ultimo sforzo, le baciò le nocche. «Ti aspetterò nell'immenso Cielo Azzurro e allora...» la frase rimase immobile, appesa ad un filo di respiro. I tremori del suo corpo si annullarono, fino a lasciarlo vuoto. Con gli occhi ancora aperti e le dita più morbide, strette alle sue.
Saran singhiozzò soltanto. Sussurrò inutili scuse, dannandosi per un errore di cui si sarebbe pentita per sempre. Le tende della gher dietro di lei si aprirono e ne uscì suo padre, camminando a fatica. Con debolezza posò la mano sulla spalla di lei, stringendole le vesti.
«Entra dentro, mia piccola luna...» la chiamò con un affetto che non si meritava. «E porta il corpo di questo grande guerriero con te.»
**
Che bella persona che sei Song, no ma continua a dirle che VUOI PORTARLA A SUNJU AD AVERE UNA VITA MIGLIORE, PERCHE' EVIDENTEMENTE QUESTA GLIEL'HAI GIà ROVINATA.
Rip Altan, riposa in pace, ci mancherai <3. So che non vi suscitava alcuna simpatia, però poveraccio, Song è la causa primaria della sua morta e anche di un chiaro indebolimento della tribù degli Shonin. E se vi state chiedendo perché Boloorma non abbia usato la tecnica dei Cieli di Sangue, è per non uscire allo scoperto. Usarla avrebbe significato diventare il bersaglio di Song, lei ha preferito nascondersi. Anche se, a detta del nostro latin lover, che è riuscito pure a consumare una bella nottata con Saran, lui non l'avrebbe voluta.
Che si sia pentito all'ultimo istante? Che i sensi di colpa siano stati troppo veemente? Che sia sempre il solito bugiardo? Beh, tutto può essere.
Non abbiamo finito con i plot twist, preparatevi per il capitolo di mercoledì a proposito u.u
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