1.19

Song l'aveva vista, la tecnica dei Cieli di Sangue, ciò che non aveva visto era dove l'avevano portata. Il principe si passò una mano fra i capelli, umidi di sudore, osservando di sbieco la tenda dove Saran si era rifugiata per curare le ferite di guerra. Non poteva disturbarla, anzi, a dire il vero non voleva. Perché andare a visitarla lo avrebbe fatto sentire solo più inetto, solo più ipocrita.

Si era divertito a scorrazzare insieme a lei fra le dune, perdendo di vista l'obiettivo principale. Era vero, trovava avvenente quella ragazza e trascorrere del tempo con lei era a dir poco piacevole, ma non poteva continuare quella farsa. Anche se...

Era davvero sicuro che fosse una farsa?

Song masticò un grumo di saliva amara e si diresse verso la tenda della sciamana: Boloorma. Si trovava nella parte sud-orientale della tribù, lontano da tutto e da tutti. La sua tenda, una grossa gher bianca e gialla, si innalzava possente fra le dune, vicino a un recinto di porci.

Song rimase in piedi, con le unghie conficcate sui palmi delle mani, alcuni bambini giocavano nei pressi del recinto, vi erano delle donne che cucinavano, in vista della cena, ma della sciamana non c'era traccia.

Che fosse dentro la tenda?

Doveva rischiare. Song non era giunto fin lì per giocare, e non poteva tornare a palazzo a mani vuote. Non in quel momento. Tutti dovevano vederlo come il principe ereditario che era, ed Eunji avrebbe dovuto una volta per tutte farsi da parte invece di continuare a ostacolarlo.

Il principe ereditario coprì la distanza che lo separava dalla gher di Boloorma e quando fu sulla soglia rimase in attesa. Poi si voltò, osservando il deserto. Dietro di lui, il sole stava tramontando e la sabbia si stava illuminando di bagliori amaranto. C'era una pace assurda, lì, a metà fra le steppe incontaminate del Khusai interno e le terre prospere di Daradaj.

Il Biyu era una gemma rimasta indomita.

«Meraviglioso, non è vero?» una voce gracchiante lo fece sobbalzare, portandolo a voltarsi verso l'entrata della gher, dove Boloorma sostava, gobba, con le piume fra i capelli argentei e gli occhi neri affossati dal kajal. Il suo viso dalla pelle bruciata e raggrinzita era colmo di tatuaggi tribali. «Il deserto Biyu è un labirinto senza muri. Qui le dune cantano, e a mezzo dì risplendono più di tutto l'oro che possedete nel vostro palazzo.»

Quelle parole fecero sgranare gli occhi di Song, irrigidito, col fiato spezzato. No, doveva continuare a fingere. Non poteva far crollare la sua copertura. «Credo mi abbiate scambiato per qualcun altro. Come ho già ripetuto, io sono un mercante.»

«E io credo che a te piaccia prenderti gioco della gente, piccolo, ingrato bastardo» sibilò Boloorma, avanzando appena, sostenuto da un bastone. «Non prendi in giro me. Io vedo la tua anima, il tuo passato e il tuo futuro. Io so chi sei, Song. Figlio primogenito di re Muyeol e della regina Soseono. Principe ereditario di Sunju.»

Song rimase inebetito, sconvolto a dir poco. Non aveva mai avuto un vero discorso con una sciamana, a Sunju non se ne vedeva una da decenni, almeno non nella capitale. Quelle che c'erano, erano tutte ciarlatane che si dilettavano in giochi di prestigio. Ma nel Khusai, lo sciamanesimo era percepibile. Il contatto con la natura, esorbitante. «Dunque sapete perché sono qui.»

Boloorma strinse una mano sul suo bastone grezzo, prima che un alito di vento caldo le agitasse la tunica scura che cadeva come un sacco sul suo corpo raggrinzito. «La tecnica dei Cieli di Sangue non è stata creata per voi, piccoli uomini.»

«Allora perché la tribù degli Shonin ne fa uso?» la provocò Song, cercando di rimanere fermo, non solo nella voce ma anche nello spirito. Non avrebbe permesso a nessuno, mai, di leggergli dentro.

«Perché Adai khan se l'è guadagnata» replicò Boloorma, mostrandogli un sorriso di denti neri e ingialliti.

«E come? Muovendo guerra alla tribù circostanti? Schermandosi dagli attacchi dei Taigat?» sbottò Song, perché aveva percepito, in quella donna, quasi un senso di superiorità. Specialmente nella sua voce. «Stento a credere che un uomo allettato possa essersi guadagnato una tecnica del genere.»

Boloorma si avvicinò di nuovo, piantando il bastone a pochi metri da lui. «Tu non eri nemmeno uscito dalla fica di tua madre quando lui ha sfidato il regno del sottosuolo, bastardo ingrato. Adai khan ha debellato il deserto dai jinn che lo infestavano. Io ho forgiato quella tecnica per lui e l'ho visto mentre sacrificava se stesso e il suo intero corpo per far cessare le battaglie che turbavano queste dune!»

Song indietreggiò, spaventato da quell'ardore con cui Boloorma non aveva esitato a difendere il proprio signore. Non era una debole subordinata, come aveva pensato, né una folle. «Di cosa stai parlando?»

«I Cieli, e i Draghi che li abitano, si prendono sempre qualcosa in cambio del loro favore» sibilò Boloorma, leccandosi le labbra mentre i porci, nel recinto, grugnivano. La sciamana lanciò loro uno sguardo, di scherno. «Tu sei proprio come loro, un maiale che ha vissuto sollazzandosi nelle ricchezze per poi scoprire di aver bisogno di qualcosa di più per ereditare un misero scranno. La tecnica dei Cieli di Sangue ti ammazzerà, ragazzo.»

Song la fissò in silenzio, mentre il vento si faceva sempre più forte. Era in arrivo una tempesta di sabbia, lo percepiva fin nelle ossa. Nel vederlo muto, Boloorma batté il suolo con il bastone, ridendo appena. «Fuggite in tenda, vostra altezza. Vi aspettano tempi bui, lo vedo, nel vostro futuro. Ponderate bene le azioni che sceglierete di portare a termine.»

Song non la stese più a sentire, le voltò le spalle e a pugni stretti si diresse verso lo snodo centrale della tribù. Doveva stare da solo, nella sua tenda. Doveva cercare di togliersi di dosso le parole di quella donna, le predizioni assurde sul suo futuro. Non si sarebbe lasciato intimorire, stava solo cercando di scoraggiarlo dal trovare la tecnica dei Cieli di Sangue e lui non glielo avrebbe permesso.

Nessuno lo avrebbe fermato dal suo intento.

**

Shu Lien versò il tè in due tazze, in attesa che la regina Rong Le afferrasse la propria. Sua maestà stava seduta su un divanetto amaranto, con un braccio posato su dei cuscini quadrati e i lunghi capelli castani posti a scivolare dietro la schiena.

«Non sono eccezionale con la cerimonia del tè, mama» mugugnò Shu Lien, afferrando la ciotola di ceramica fra le mani per porgerla alla suocera. «Spero che possiate apprezzare.»

«Un tè è sempre un tè, a prescindere da come venga preparato» rise la regina di Kaewang, avvolta da un abito color panna, ricamato con fiori sulla gonna.

Shu Lien si sentiva da meno in sua presenza. Eppure, più la guardava, più la sentiva familiare. «Mio padre non sarebbe d'accordo con voi.»

«Oh, ci sono moltissime cose su cui mio fratello non sarebbe d'accordo» le rivelò Rong Le, facendole correre un brivido lungo la schiena.

Suo fratello?

Shu Lien sollevò gli occhi per specchiarsi in quelli scuri di Rong Le, la quale si occupò di bere il tè con eleganza: ecco perché l'aveva sempre trovata così accogliente. Il viso dai lineamenti delicati era diverso da quello di Yan Kai, ma gli occhi neri erano gli stessi di suo padre, così come il temperamento calmo e misurato...

«Cosa state dicendo, mama?» mormorò Shu Lien, deglutendo. Non aveva compreso perché, agli albori dello Yudu, la regina avesse chiesto di vederla.

Ora, però, il mistero si stava dissipando.

Rong Le adagiò la tazzina fra le sue mani e Shu Lien la strinse fra le dita affusolate. Sull'indice della destra brillava un anello di smeraldi che Yong le aveva donato qualche sera prima, in segno del suo amore. «Sei molto cara a mio figlio. Sapevo che sancire il vostro fidanzamento sarebbe stata la scelta giusta, mi dispiace solo che tu debba essere relegata al ruolo di seconda moglie. Questo cambia tutto.»

Shu Lien indietreggiò di un passo, abbassando lo sguardo sui propri piedi coperti dalle spumose gonne blu. «Voi e mio padre siete...»

«Fratelli, sì» le riferì la donna, sollevandosi in piedi con una certa stanchezza. Nonostante fosse giovane, sembrava sempre affaticata. Tanto che si spostava da un palazzo all'altro con l'ausilio di un palanchino. «Io e Yan Kai abbiamo condiviso lo stesso grembo, la stessa casa, lo stesso padre. Persino le stesse battaglie, almeno fino a un certo punto.»

Una risata fievole sfuggì alle labbra di Rong Le, infantile quasi. Shu Lien sgranò gli occhi, ora capiva perché suo padre era così sicuro all'idea di renderla regina. Sapeva di poter contare su un forte appoggio, a Gwajin. «Fatemi indovinare: volete mantenere la stirpe dei Lu sul trono di Kaewang?»

Rong Le aggirò il tavolo, per raggiungerla con grazia. Una delle sue dame di corte, Ling, fissava Shu Lien di sbieco. «È esatto. Io e tuo padre ci battiamo, affinché la contea non crolli come è accaduto alla Contea di Haruna. Con una donna di Qiong sullo scranno, la nostra gente sarà sempre al sicuro.»

Era tutta una questione politica, quella, e Shu Lien non era stata altro che una pedina. Nata con il preciso scopo di diventare regina, un giorno. Suo padre la stava muovendo con quel preciso intento.

La giovane sentì la gola farsi secca quando Rong Le le sfiorò il ventre piatto, freddo. «Ascoltami, io posso favorire l'ascesa di Yong come erede al trono, ma tu devi cercare di rimanere incinta e sperare che la principessa di Sunju partorisca una femmina.»

Quelle parole scivolarono come olio sullo spirito di Shu Lien, la quale provò l'irreparabile desiderio di fuggire via dal palazzo della regina. Di sua zia. Una zia che non aveva mai conosciuto. «Io non desidero essere regina.»

«Neanche io lo desideravo, e non lo desidero nemmeno adesso» le rivelò Rong Le, prendendole le guance fra le mani per sollevarle il viso. «Tuo padre ha spinto anche me, in questo posto, e mio marito ha fatto il resto. Noi non possiamo fare altro che vivere così.»

«In balia delle decisioni degli uomini? Che siano padri, fratelli o mariti, è sempre la stessa storia!» sbottò Shu Lien, strattonandosi da quella presa, sentendo il fiato mancare. «E che mi dite della principessa? Non avete un minimo di scrupolo nei confronti di vostra figlia? Anche lei desidera diventare regina!»

«Areum non ha le capacità per governare un regno» tagliò corto Rong Le, sollevando una mano per impedire a Ling di sopraggiungere. «È troppo venale, impulsiva. Non ha il sangue freddo necessario a guidare il popolo, e nemmeno a tenere sotto controllo la tribù dei Taigat. Ci manca poco che Tomur Khan ci si rivolti contro insieme alla sua Orda. Se non lo ha ancora fatto è solo grazie a Dier.»

Shu Lien fece fatica a mandare giù un grumo di saliva. Non aveva idea di quali fossero le questioni politiche che avvolgevano Kaewang al Khusai, ma, di certo, sapeva che anche suo marito non sarebbe stato forte abbastanza da sostenerle.

«Yong invece sì?» chiese Shu Lien, spaventata, anzi no, terrorizzata. «Vostro figlio ha gli occhi aperti sull'al di là. Come pensate che...»

«Taci» sibilò Rong Le, cambiando tono di voce. Ora il suo volto chiaro, pallido come porcellana, si era adombrato. «Conosco i miei figli, e fidati se ti dico che li amo entrambi e voglio solo il loro bene. Eviterò inutili spargimenti di sangue e lotte fratricide, in questo palazzo, e tu mi aiuterai. A qualsiasi costo.»

«Voi mi sopravvalutate, mama» asserì Shu Lien, sentendo gli occhi inumidirsi di nuovo, di lacrime. Quelle che aveva pensato di aver gettato via.

Rong Le sospirò, estraendo dallo scollo dell'abito una missiva che portava lo stemma della casata Lu: un fiore di loto.

Affonda le radici nel fango, fiorisci gloriosa in superficie. Quante volte Shu Lien si era sentita impartire quell'insegnamento?

«È una lettera di mio padre?» chiese, adagiando la tazzina sul basso tavolino da tè. «Chiede di me?»

Rong Le incurvò le labbra in un sorriso di compassione, come se ne avesse di lei. «Non è una lettera di cortesia, ma una dichiarazione di guerra.»

No.

Suo padre non poteva spingersi a tanto.

Non poteva spingersi ad attaccare Kaewang.

E per cosa poi?

«Yan Kai mi ha scritto che se non farò qualcosa per renderti prima moglie invaderà Gwajin durante la festa dello Yudu» asserì Rong Le, in tono greve, pieno di pesi. Gli stessi che portava Shu Lien. «Ha detto che piomberà qui con il suo intero esercito, e che metterà a ferro a fuoco le strade, in modo da impartire una severa lezione a mio marito.»

Shu Lien sentì i palmi sudati, il respiro pesante. «E voi... lo avete riferito al re?»

Rong Le rise melliflua e si avviò in direzione di una delle candele, appoggiando sulla fiamma la carta rifinita. «Il fardello delle donne di casa Lu è quello sottostare agli ordini del generale in carica. La mia fedeltà va a Qiong e a Yan Kai, prima che a qualsiasi altra cosa. Non importa quanto ami i miei figli, o quanto ami mio marito. Naemul non può aiutarmi, e nemmeno Yong e Areum possono farlo, ma tu sì. Tu condividi la mia stessa sorte.»

No. Non era vero. Shu Lien non si sarebbe fatta muovere dal padre per sempre, come una marionetta. Non poteva permettergli di decidere fino a quel punto. Non voleva ridursi a un fantasma.

Al momento, però, non poteva fare altro che calare la testa. Semmai fosse ascesa davvero al trono, le cose sarebbero cambiate.

Per il momento, aveva le mani legate.

«Come devo agire, mama?» le chiese, tenendo il viso puntato in direzione delle finestre ottagonali del palazzo.

Rong Le lascio cadere gli ultimi lembi di cenere per terra, prima di voltarsi e rivolgerle un'espressione compiaciuta. «Per ora mantieni il segreto e sforzati di concepire, in ogni modo possibile.»

Shu Lien si porto una mano al ventre. Era sicura di non stare riuscendo a restare incinta perché troppo triste, troppo afflitta. Non provava nemmeno soddisfazione, dopo l'atto. Si sentiva solo sporca, nonostante il piacere.

Il suo spirito stava cedendo.

«Solo questo?»

«No» replicò Rong Le, congiungendo le mani in grembo, con una smorfia di dolore sul viso. Shu Lien si chiese quanti figli avesse perso per ridursi così. «Fidati di me. Qualsiasi cosa io dica o faccia, ha un senso. Ed è volta a proteggerti. Ricordati di queste parole, quando non mi comprenderai.»

«Proteggermi» rise Shu Lien, ironica. «Portandomi qui non mi avete protetta. Mi avete condannata, mama."

«Non sei sola come credi, Lien'er» asserì la regina, tornando a sedere sul divanetto con un gemito. «Anche io ho vissuto ciò che tu stai vivendo, il palazzo mi ha tolto tanto ma sono ancora in piedi.»

Ma cosa poteva saperne lei? Cosa poteva sapere quella donna di Shu Lien? «Voi non siete niente, solo un fantoccio nella mani di...»

«Io sono la regina» asserì Rong Le, inclinando il viso privo di rughe da un lato. «Quando mio marito morirà, sarò la regina madre, e quando morirò io, diverrò regina postuma. E finora, grazie a me, il regno di Qiong ha prosperato. Perché io ho voluto così. Con le mie parole, non con la spada di tuo padre. Perciò sforziamoci di scampare questo massacro, Shu Lien.»

La ragazza rimase immobile di fronte quelle parole, come se non fosse altro che una statua di sale pronta a sciogliersi alla prima goccia di pioggia. Gli occhi della regina la fissavano determinati, vi era in quelle pozze scure la stessa forza intrinseca di suo padre.

Tipica di loro. D'altronde erano i figli del generale più famoso della storia della Contea.

Shu Lien annuì, congiungendo le mani al petto per inchinarsi. «Farò quanto mi avete chiesto, mama

Rong Le sembrò rilassare la schiena, nel mentre la voce altisonante di un eunuco la raggiungeva dal corridoio. «La principessa Areum chiede di far visita alla regina!»

Shu Lien si chiese come potesse, Rong Le, favorire Yong. Lui non era venuto a farle visita neanche una volta in quei giorni, quando Areum di contro passava molto tempo nelle stanze genitoriali.

Rong Le sorrise dolcemente, facendo un cenno con il viso a Ling. La dama di corte si schiarì la voce, rispondendo alla chiamata. «Che la prima principessa entri!»

Shu Lien drizzò la schiena nel vedere Hwa sopraggiungere ancor prima della sua padrona. La volpe attraversò il corridoio, soffermandosi di fronte a lei, fissandola con gli occhietti vispi.

«Eomonim!» esclamò Areum, avviandosi nella sala da giorno con un rotolo fra le dita. Sembrava stranamente contenta, indosso portava un abito nero, dalla cinta bluastra che le stringeva i fianchi esili. Quando la vide, le rivolse un sorriso gentile. «Shu Lien.»

«Cognata» sussurrò Shu Lien, con l'amaro in bocca, dimenticandosi della proposta della principessa nel mantenere un linguaggio poco formale.

In quel momento, però, non ci pensò.

Almeno l'arrivo di Areum le avrebbe dato modo di dileguarsi.

«Areum, come stai? Stavo proprio pensando di venire a trovarti» la riprese la madre, facendole spazio sul divano. «Siediti accanto a me.»

La principessa non se lo fece ripetere due volte e sedette, lesta e veloce, accanto alla madre. Era fluida, ma non elegante, quasi si trovasse a caccia. «Eomonim, mi è arrivata una lettera da Dier. Purtroppo non parteciperà alla festa dello Yudu, ma ci ha tenuto a farmi sapere che si recherà a Kaewang il mese prossimo per il vostro compleanno.»

«Com'è dolce quel ragazzo. Il mio nipote migliore!» sospirò Rong Le, accarezzando la guancia della figlia, con amore recondito. E Shu Lien si chiese se non la stesse tenendo lontano dal trono per proteggerla. «E dimmi, ti ha scritto altro?»

Areum annuì, mostrandole il rotolo di pergamena rozzo proveniente dal Khusai, niente a che vedere con la carta lucida di Qiong. «Suo zio gli sta insegnando a cacciare delle tigri. Non pensavo che un uomo fosse in grado di confrontarsi con simili bestie.»

«Oh, Tomur Khan riesce a cacciare persino gli orsi» rise Rong Le, adagiandosi con la schiena al cuscino. «Fidati di me, l'ho visto all'opera. Dier diventerà sicuramente molto più bravo di lui.»

«Mama» si intromise Shu Lien, con un peso sul petto impossibile da estirpare. Le mancava sua madre, più di qualsiasi altra cosa, e aveva bisogno di scriverle. «Posso tornare al mio palazzo? Vostro figlio verrà a farmi visita per cena, non vorrei farmi trovare impreparata.»

Areum la guardò di sbieco di fronte quelle parole, improvvisamente fredda. Non voleva avere nemiche, in quel palazzo. «Areum, sentiti libera di venire a trovarmi quando ti aggrada. Mi farebbe piacere cavalcare con te.»

La ragazza abbozzò un sorriso spontaneo di fronte quelle parole, ma non si lasciò andare troppo. «Finalmente qualcuno che parla la mia lingua! Verrò domani mattina, prima di pranzo. Ti mostrerò i boschi circostanti Gwajin e le cascate. Ci divertiremo, vedrai!»

Rong Le sorrise contenta riguardo quell'idea e le rivolse un'occhiata di intesa, prima di congedarla con un gesto della mano. «Va' pure a riposare, Lien'er. Mia figlia, domani, ti farà stancare a dir poco.»

Riposare? Non esisteva riposo per lei, ma, almeno, il silenzio avrebbe ristorato il suo animo turbato dagli ultimi eventi.

**

gher: tipiche tende mongole, circolari e foderate di pelli, stoffe e pellicce. 

mama: vostra maestà (si usa con le regine)

eomonim: madre 

Jinn: geni tipici del folklore arabo-persiano.

Capitolo politico, lo ammetto, ma qualche volta ci sta anche per farvi capire quanto in realtà le tensioni siano preponderanti anche se noi venivano a conoscenza di esse tramite l'intercessione di personaggi più adulti (vedasi Rong Le, o Boloorma). La sciamana ha colto nel segno, ha scoperto tutto di Song, e vi ha dato anche qualche informazione in più sui Cieli di Sangue. 

Noi ora sappiamo che è collegata ai Draghi.

E il drago del sangue è Mireu. Lo stesso che ha benedetto Areum.

Però, la tecnica del Cieli di Sangue richiede sempre un sacrificio, o più, a seconda della richiesta. E qui entra in gioco il drago della morte, che raccoglie le offerte sacrificali. Lo stesso che ha maledetto Yong.

Qualche collegamento qua e là si palesa e mentre Rong Le si rivela essere la sorella minore di Yan Kai (eh si, il rapporto di cuginanza fra Yong e Shu Lien è davvero strettissimo), e Yan Kai stesso si prepara a marciare su Kaewang se la figlia non diventerà prima moglie.

Le premesse per un risvolto traumatico della situazione ci sono tutte, non trovate?

Bando alle ciance noi ci vediamo lunedì con un super, SUPER, super capitolo!

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