1.10

«Muoviti, mio padre non ama attendere.»

Saran indicò ad Altan di seguirla verso la tenda in cui aveva lasciato che il nobile di Sunju riposasse.

Era notte fonda e le stelle illuminavano il cielo scuro. Una brezza leggera si era sollevata, spostando la lunga coda di capelli. Quella carezza la rese inquieta. Lo era da quando aveva condotto lo sconosciuto alla tribù, per via di uno scambio necessario. Non le erano piaciuti i suoi sorrisi, né il modo in cui le aveva ammiccato durante il viaggio.

Di sicuro non era abituato a vivere di notte, come erano soliti fare gli Shonin. Si svegliavano al tramonto e tornavano a dormire solo al sorgere del sole. Una precauzione contro le tribù che erano solite attaccare la sera.

Altan, il suo migliore amico, il compagno con cui era cresciuta, la affiancò. Teneva i pugni stretti lungo i fianchi. Insieme attraversarono il grande accampamento, illuminato dai numerosi falò e reso vivo dagli schiamazzi dei loro fratelli.

«Lo so che non gli piace, il khan ha un pessimo carattere» borbottò Altan. «A proposito, chi è questa persona che hai portato dal deserto?»

Saran si fermò, prima che un ragazzino le piombasse addosso. Lo scansò malamente e proseguì.

«Uno stupido nobile di Sunju. Devi vedere come è vestito...» lo prese in giro, masticando una risata fra i denti. «Un solo lembo della sua seta potrebbe sfamare metà della tribù per un mese.»

«Uno stupido nobile di Sunju? E tu hai cavalcato con un nobile di Sunju per tutta la mattina?!» Altan sgranò gli affilati occhi scuri, quasi a volerle dimostrare di essere infastidito dalla sua vicinanza con un altro uomo. «Spero non ti abbia fatto niente o io...»

Saran roteò gli occhi. Suo padre le aveva detto spesso che Altan era un uomo valoroso, una valida scelta per un futuro matrimonio, ma lei non voleva saperne. Altan non rappresentava altro che un fratello con cui era cresciuta, nulla di più, per questo le dispiaceva sentirlo così attaccato a lei.

«Pensi che non sappia come difendermi?» lo afferrò per un lembo della pelliccia e lo avvicinò al viso. «Che mi faccia sovrastare da un idiota che vive oltre la muraglia? Ci siamo allenati insieme. Sai che sono in grado di tagliare molte gole.»

Altan si allontanò con un debole strattone, ma le strinse ugualmente un polso.

«No, mi preoccupo solo per te. Forse troppo, ma non posso farci niente.» Ammise lui, mentre una nuova folata di vento gli scuoteva i lunghi capelli neri. «Gli uomini di Sunju sono abituati a prendere tutto ciò che vogliono. Non c'è razza peggiore della loro.»

Saran si liberò dalla sua presa, lo aveva già ascoltato abbastanza. «Non serve tutta questa apprensione, stiamo parlando di un ragazzino viziato.»

Quando arrivarono alla tenda in cui Song stava riposando, la giovane aprì i lembi di scatto. Entrò insieme ad Altan, fermandosi davanti alla pelliccia dove lo straniero si era sdraiato. Aveva il viso ovale adagiato al cuscino, un braccio sotto la testa, le vesti bianche che aderivano al corpo muscoloso.

Davvero un bello spettacolo, ma non per Saran.

La giovane lo colpì leggermente con la punta dello stivale sulla tempia, incurante del fastidio che gli avrebbe provocato. Era la sua tribù, si facevano le sue regole. «Alzati, uomo oltre la muraglia.»

Song non accennò a svegliarsi, anzi, al tocco dello stivale voltò le spalle prontamente, quasi stesse fingendo di dormire. Altan sbottò una risata.

«È questo lo stupido nobile di Sunju?»

Saran sospirò, esasperata. Si chinò su un ginocchio e lo scosse per una spalla. «Sì, te lo avevo detto che era stupido.» Di nuovo, la ragazza lo colpì con un pugno fra le scapole, ma niente. «Song? Mio padre vuole parlarti. Se non ti alzi, giuro che ti getterò addosso dei carboni ardenti.»

Fu allora che il giovane aprì gli occhi sottili, rivolgendole un sorriso furbesco. Saran cercò di non fissarlo troppo a lungo. Era così diverso da ciò a cui era abituata. Elegante, sì, come molti uomini oltre la muraglia, ma tutto le diceva di stare alla larga da lui.

Song sedette a gambe incrociate sulle pellicce, afferrando gli stivali. «Hai detto anche a lui che sono uno stupido nobile di Sunju?»

Altan avanzò a quella domanda, a quello sguardo, e afferrò Saran per un braccio, aiutandola ad alzarsi.

«Forse non lo sei?» lo stuzzicò lei, dopo esser tornata in piedi.

Song si alzò e con un movimento veloce le fu davanti al viso. Passò le mani sulla casacca sgualcita, per lisciarne la seta chiara. «No, non lo sono, ragazza selvaggia. Avrai modo di capirlo.»

Il nobile fece per avanzare, ma Altan lo bloccò con una mano sul petto e lo spinse indietro. «Porta rispetto alla figlia del capo tribù, o la pagherai cara,»

«Sentito?» aggiunse Saran, rivolgendogli un sorriso malizioso, per poi uscire dalla tenda e dirigersi verso quella del padre.

«Ho sentito, Saran» borbottò Song, una volta che la ebbe raggiunta.

Mentre camminava, Saran percepiva addosso il suo sguardo. Non ne era certa, ma il solo fatto di udire i suoi passi lì accanto la infastidiva, e non poco. Soprattutto perché Altan non smetteva di fulminarlo con le sue occhiate feroci.

Saran attese che due uomini, guardie personali del khan, aprissero i lembi della gher. Una volta dentro si ritrovò in un ambiente illuminato soffusamente e reso caldo dai bracieri che, ardenti, rischiaravano la tenda. La giovane intercettò subito lo sguardo freddo e calcolatore del padre. Un uomo dai lunghi capelli sciolti e dagli abiti ricoperti da folte pellicce. Aveva il viso pallido ricoperto da cicatrici, mentre le dita ossute si muovevano lente su un cuscino.

«Aav» Saran si fermò davanti a lui e si inchinò con rispetto. «Come mi avete chiesto, ho portato qui il ragazzo.»

Il khan osservò Song con sguardo inflessibile. Una lunga ciocca scura scivolò sul suo occhio destro, nascondendolo. Lo straniero congiunse le braccia al petto e si inchinò insieme ad Altan, parlando poi con sicurezza. Non aveva una buona pronuncia ma era abbastanza fluido nel comporre frasi. Sembrava si fosse allenato per anni. «Vi ringrazio per avermi accolto nella vostra tribù, ho già promesso a vostra figlia che non vi darò alcun fastidio.»

«E quanto vale la parola di un uomo oltre la muraglia?» gli chiese il khan, voltandosi poi verso di lei. «Tu sai rispondermi, Saran?»

A quella domanda Saran strinse i denti sulle labbra. Suo padre era sempre stato duro, ma estremamente comprensivo nei suoi confronti. Ciononostante, non voleva deluderlo, in nessun modo.

«Non vale niente, aav» disse risoluta. «Gli uomini oltre la muraglia usano le parole come fossero di miele, celando un pugnale dietro di esse. Sono inaffidabili.»

Song rise appena, tenendo lo sguardo basso, poi portò le mani dietro la schiena assumendo un'aria pensierosa. «Non so che razza di uomini abbiate incontrato, ma io non sono uno di essi. E voi mi state giudicando senza nemmeno conoscermi» disse, sotto lo sguardo severo di Altan e quello pensieroso del capo tribù. «Forse non sarò trasparente come voi e vostra figlia, mio khan, ma non sono venuto qui con una spada alla mano. Sono solo un mercante in cerca di asilo.»

Saran si irrigidì quando udì suo padre emettere una risata gutturale, prima di strascicare a stento una frase ricca di odio. «Sai quanti ne ho incontrati, di mercanti come te. Uomini che erano alla ricerca solo di una cosa...»

La tecnica dei Cieli di Sangue.

Saran strinse le unghie sui palmi delle mani, osservando le membra del padre, il suo corpo era debole come quello di una marionetta. E tutto per colpa di quel dannato rotolo.

Prima che Song potesse difendersi, Saran decise di intercedere per lui. Era curiosa, voleva chiedergli com'era il mondo oltre quelle insormontabili mura di pietra, e quel nobile gli sembrava solo stupido, non certo un cacciatore di tecniche.

«Che tu sia un mercante o meno, non puoi sostare alla tribù senza dimostrare il tuo valore» aggiunse la ragazza, affiancando poi il padre. «E se gli chiedessimo di superare una prova? Una prova che non consista nell'usare le parole, in modo che possa conquistare la vostra fiducia.»

Song le rivolse un sorriso complice, che Saran non ricambio. Piuttosto, la giovane si limitò ad ascoltare la sua voce melliflua. «Sono pronto a superare qualsiasi prova mi porrete davanti, se è il solo modo per dimostrare la mia sincerità non mi tirerò indietro.»

Il padre tirò fuori un sospiro stanco. «Una prova...» mormorò l'uomo. «E che genere di prova proporresti, figlia?»

«Aav» disse lei, unendo un pugno nel palmo aperto e tenendo la testa bassa. «Chi sconfigge una tigre è degno di grande onore. Nemmeno gli uomini della nostra tribù osano affrontarla con leggerezza.»

«Cosa?!» Altan si fece avanti, superando Song con una falcata. «Mio khan, non potete permettergli di affrontare una tigre. Se vincesse verrebbe eccessivamente rispettato, e se perdesse...»

«Avremo un problema in meno» lo zittì il capo, facendo cenno alla figlia di aiutarlo ad alzarsi dai cuscini colorati. «Vuoi affrontare una tigre, nobile di Sunju?»

Song parve esitare per un momento e serrò le labbra, a causa dell'indecisione.

A Saran venne da ridere.

Povero stupido. Credeva che nel Khusai ci si conquistasse il rispetto con le sete e con le ricchezze? Loro erano uomini e donne libere, non provavano nessuna forma di attrazione per il denaro.

Tuttavia, il nobile di Sunju fece un cenno di assenso. «Ne sarò più che felice...»

Saran rimase sgomenta. Si aspettava di vederlo scappare via con la coda fra le gambe, invece aveva accettato. Aveva sempre pensato che gli uomini oltre la muraglia fossero inetti e codardi, invece Song era risoluto.

«Se la ucciderai, oltre a grandi onori, potrai avere delle ricompense» lo incoraggiò, aiutando suo padre a sollevarsi.

Altan tornò davanti al khan e si inchinò. «Mio khan, vi chiedo di ripensarci. Per il bene della tribù.»

Il padre rise di sdegno e la ciocca sobbalzò, liberando l'occhio più cupo. «Altan, non crederai davvero che questo ragazzo possa battere la nostra tigre migliore?»

Saran, per un attimo, lo sperò. In fondo era stata lei a condurlo fra gli Shonin e non aveva intenzione di passare per una sciocca che aveva aiutato un omuncolo senza spina dorsale.

«Altan, ora basta. Occupiamoci dei preparativi per la prova» gli comandò, avvicinandosi poi a Song. Estrasse il proprio pugnale ricurvo dalla cintola, su cui brillava un rubino, per poi allungarglielo. «Ti difenderai con questo. Non voglio vedere altri armi, o veleni, o qualsiasi cosa usiate a Sunju per barare.»

Song prese il pugnale ma, invece di allontanarsi, si abbassò verso il suo viso.

«Potrò scegliere la ricompensa una volta sconfitta la tigre?» le chiese, mentre Altan lo guardava con disprezzo e il khan con placida strafottenza.

«Sì, potrai scegliere la ricompensa. Sempre che tu sia ancora vivo al sorgere del sole» lo guardò Saran, minacciosamente.

Song le sorrise, come se avesse già vinto. «Questo pugnale mi basterà.»

«Sembri davvero sicuro di te» sibilò Altan, scortando fuori dalla tenda il khan.

«Sono fiducioso, è diverso» replicò Song.

I membri della tribù si ammutolirono quando videro il loro capo camminare verso lo spiazzo libero del grande accampamento. Saran ordinò subito di piantare una palizzata provvisoria, perché presto avrebbero assistito ad uno spettacolo di sangue. Gli uomini e le donne gridarono con entusiasmo e alcuni corsero ad occuparsi di portare la tigre. Altan si dileguò, nervoso, mentre il khan si sedeva su una sedia di bronzo rivestita di pellicce, accanto a uno dei grandi falò.

«Saran, vieni qui» la richiamò, senza alzare troppo la voce. «E porta anche il nobile.»

La giovane lanciò uno sguardo a Song, facendogli cenno di avanzare in direzione dello scranno. Saran affondò gli stivali nella sabbia e lasciò che il vento le carezzasse le gonne violacee, prima di fermarsi di fronte al padre: Adai khan.

Lui li squadrò entrambi, soffermandosi su Song. «Come si chiama il ragazzo, e da dove proviene con esattezza? Quale città?»

Saran strinse la lingua sotto ai denti. Sapeva che prima o poi sarebbe arrivato a porle quelle domande. Mentre il resto della tribù si preoccupava di terminare in fretta i preparativi, lei passò una mano dietro la nuca. «Si chiama Song ed è un nobile di Sunju.»

«Tutto qui?» le domandò il khan. «Hai portato un ragazzo alla nostra tribù conoscendo solo il suo nome e nulla di più?»

Saran si sentì in fallo e strinse i pugni, cercando di smaltire la tensione. «Ero in difficoltà, nel deserto, senza più il mio cavallo. Lui era lì e aveva bisogno di mangiare, mi ha chiesto di poter venire qui per trovare ristoro. Non credo di aver fatto niente di sbagliato.»

Song andò in suo aiuto, coprendo con la sua visuale gli uomini che stavano sistemando i pali di confini per costruire la piccola arena di comodo. «È stato uno scambio equo, mio khan. Vengo da Hyejie, la capitale, discendo da una famiglia di mercanti di spezie. Ero in viaggio verso la terra di Daradaj per comperare zafferano e curcuma, le nostre piantagioni sono in rovina...»

Adai smise di guardarlo, sollevando lo sguardo verso la luna piena che brillava nel cielo terso e illuminava di bianco le dune del Biyu. «Abbiamo già dei problemi con la tribù dei Taigat, ci mancava solo questo forestiero...» insisté il capo, con la voce tremante di rabbia crescente. «Saran, verrai punita dopo questa serata.»

«Ma...» Non poteva credere a quelle parole. La stava davvero rimproverando? Non sarebbe potuta certo morire nel deserto! «Le regole della nostra tribù sono di rispettare sempre gli scambi, aav! E poi ha accettato di lottare contro una tigre, questo non lo rende già un uomo onorevole?»

«Che sia un uomo onorevole o meno, tu hai sbagliato. Avresti dovuto indagare su di lui, chiedere e scoprire, ma ti sei fidata» disse il padre, scuotendo la testa. «La tua ingenuità mi sorprende e domani ne pagherai il prezzo.»

«Mio khan...» provò di nuovo Song, ma in quell'istante i bambini cominciarono a urlare al sol vedere una tigre, domata da tre uomini e tenuta a bada da due, venire trascinata dentro l'arena.

Saran si avvicinò allo straniero, già pallido in viso, e lo colpì con una gomitata alle scapole. «Non farmi fare brutte figure, o ti uccido» gli sussurrò.

Song non osò rispondere, forse era già tanto per lui riuscire a respirare. Altan lo richiamò, fermo davanti il recinto di legno, era sdegnato. «Entra pure» lo invitò.

Il nobile di Sunju camminò al suo interno, affondando sulla sabbia. La tigre scoprì i denti e ringhiò, sembrava non mangiasse da giorni.

Gli uomini e le donne lì attorno incitarono alla lotta, alcuni scherzarono sul fatto che quella seta preziosa sarebbe andata sprecata. Saran li ammutolì tutti con uno sguardo, ma poi ripresero a gridare, a favore della tigre. Nessuno credeva che un nobile potesse battere un tale animale, quando nemmeno i migliori uomini della tribù si azzardavano a lottare contro di essa.

La tigre si avventò subito di lui, ma Song indietreggiò alla prima artigliata. L'animale si muoveva con cautela, scattava in avanti solo nel momento propizio per colpirlo. Il ragazzo lo evitò ogni volta, finché non provò ad atterrare l'avversaria. La tigre gli strappò allora la larga manica della veste e gli ferì il braccio, facendolo sanguinare.

Altan ghignò, appoggiando un gomito alla palizzata. «È un inetto, come tutti quelli che provengono oltre la muraglia.»

Saran, però, non lo stava più ad ascoltare.

«Che figura mi fai fare, stronzo di Hyejie?!» gridò la giovane, preoccupata. Song, come se l'avesse sentita, tirò un calcio sul muso della tigre. Questa si adirò e gli saltò addosso, spingendolo sulla sabbia. I denti si conficcarono nel petto e lui urlò.

«Alzati, cazzo!» insisté Saran, protendendosi oltre la palizzata.

Song spinse le ginocchia sul ventre della tigre e la sbalzò via. Si rimise in piedi, affaticato, con il sangue rosso che insozzava la veste bianca, ormai lacera. Corse verso l'animale e gli salì sulla groppa, affondando il pugnale sulla sua nuca. Questa si imbizzarrì, scuotendosi. Song fece scorrere la lama lungo tutto il profilo della testa, aprendo la carne. Rotolò a terra, ma ormai la tigre era debole. Con il pugnale alla mano, gli ficcò la lama nella fronte.

Il silenzio piombò fra gli spettatori. Tutti avevano smesso di incitare la tigre.

Non solo Song l'aveva sconfitta, ma l'aveva uccisa.

Saran sciolse la tensione. Un uomo oltre la muraglia che aveva simili capacità era incredibile. Quando i membri della tribù cominciarono ad acclamarlo, Song le lanciò uno sguardo vittorioso e le sorrise. «A quanto pare lo stupido nobile di Sunju è un uomo meritevole di rispetto!»

Saran sbottò una risata nervosa e si voltò a fissare Altan, letteralmente scioccato: aveva la bocca aperta e gli occhi sgranati, e poi il padre, che era rimasto fermo sul suo scranno, con le mani chiuse sui braccioli.

Non era felice.

A Saran, però, non importava. Si voltò di nuovo verso Song e scavalcò il parapetto con un balzo agile, raggiungendolo prima che crollasse in ginocchio. «Ammetto di averti sottovalutato, Song» rise lei, allungandogli una mano.

Il mercante la afferrò senza pensarci due volte e intrecciò le dita alle sue, in un modo che le provocò una strana sensazione allo stomaco. «Ricordati, ragazza selvaggia, voglio il mio premio.»

Saran si morse le labbra, mentre i membri degli Shonin valicavano le palizzate per raggiungere Song e sollevarlo fra le braccia, come se fosse il loro nuovo eroe, in una dimostrazione di esultanza generale che le fece crollare addosso i Cieli.

E se avesse commesso un errore, nel regalargli tutta quella gloria?

***

La tristezza della prima notte di nozze aveva lasciato posto alla rabbia.

Hana non riusciva a contenerla. Le mani fremevano, chiuse in piccoli pugni, mentre la lingua batteva fra i denti. Aveva lasciato – di proposito – il lungo hanbok dai veli rossi, sotto cui emergeva una sottoveste bianca.

Si era fatta annunciare nella stanza in cui Eunji trascorreva il tempo a leggere infiniti rotoli di bambù, facendo congedare tutte le donne. Voleva rimanere sola con lui, come non era accaduto il giorno del loro matrimonio.

Bruciava terribilmente la consapevolezza di esser stata solo una donna di comodo, che lo aveva salvato nel momento del bisogno. Tutto qui.

Non era mai stato attratto davvero lei, quindi perché passare la notte insieme?

Perché quel principe da quattro soldi avrebbe dovuto farsi carico dei suoi doveri.

Hana non si sarebbe fatta deridere ancora una volta, perciò entrò nello studio del marito aprendo le porte con un boato. Eunji rimase imperturbabile, si limitò solamente a sollevare gli occhi affilati dai suoi scritti, per osservarla con le sopracciglia aggrottate.

Dunque? Non si aspettava una visita da parte sua?

Hana congiunse le mani in grembo, come le aveva insegnato la madre, e gli si rivolse a testa alta. Severa e concisa. «Perché mi hai lasciata da sola, Eunji?»

Lo chiamò per nome di proposito, come lui le aveva chiesto di fare.

Il secondo principe distese la fronte. Sembrava che nessuno, nemmeno lei, potesse richiamare la sua attenzione dallo studio. Era tranquillo, con i capelli lunghi sciolti sulla schiena e le vesti bluastre che scivolavano morbide sul corpo.

Hana morse troppo la lingua e assaporò il sangue. «Non merito almeno una spiegazione per l'umiliazione che ho subito?»

Eunji finalmente chiuse il rotolo in un gesto secco. Lo sguardo oscuro si riempì di fastidio.

«Il silenzio non dovrebbe essere una virtù femminile?» le chiese, con ironia quasi.

Hana inspirò a fondo per mantenere la calma. Non avrebbe mai dimenticato ciò che le aveva fatto provare quella notte, dopo averlo atteso con la speranza di vederlo comparire, quando aveva passato il tempo con una persona diversa. Ed era stanca. Aveva subìto fin troppe umiliazioni da quando era entrata a palazzo come dama di corte.

Era ora di darci un taglio. «Allora avresti dovuto scegliere con più accortezza la donna da tenere al tuo fianco. Solo perché provengo da un ceto basso, non vuole dire che non meriti rispetto.»

Eunji si alzò con velocità dal suo cuscino, agitando le vesti d'onice dietro la schiena. Si avvicinò a lei e la afferrò per le spalle, stringendo le dita sulla stoffa pregiata dell'hanbok.

«Non tirare la corda, Hana» la avvisò, avvicinandola al suo viso. Di nuovo, le gettò il suo respiro sulle labbra.

Quando Hana si trovò così vicina, tentennò. Tutto il coraggio che aveva appena dimostrato, svanì. Sapeva davanti chi si trovava, sapeva che un solo passo falso avrebbe potuto costarle la vita.

Ciononostante, non lo avrebbe fatto vincere. Si era comportato in modo orribile. Perciò, pur con riluttanza, si allontanò dalla sua presa. «E tu non trattarmi come se valessi meno di un insetto. Sono la tua prima moglie.»

«Questo è stato un matrimonio di convenienza, lo sai bene» le ricordò, incrociando le braccia al petto. «Ma se proprio vuoi delle spiegazioni, le avrai.»

Fu in quel momento che dalle porte dello studio emerse Chae-ryeong, avvolta da un lungo abito chiaro, che snelliva ancora di più la sua figura slanciata. Chissà da quanto tempo alloggiava nel suo palazzo.

Mentre lei era relegata lontano.

Hana strinse di nuovo i pugni e le unghie si conficcarono nella carne. «Non è da lei che desidero delle risposte.»

Eunji rise di nuovo, dando le spalle a Chae-ryeong, a cui non aveva donato neanche uno sguardo.

«O lei, o il silenzio, Hana» le sussurrò all'orecchio, prima di lasciare lo studio per dileguarsi in giardino.

Chae-ryeong si fermò davanti a lei, mostrandole un sorriso divertito. Gli occhi grandi erano estremamente profondi e sì, era davvero incantevole. Qualunque uomo l'avrebbe voluta accanto.

Hana, a confronto, scompariva, eppure si sedette sui cuscini per evitare che le gambe tremassero. La donna la imitò, accomodandosi dalla parte opposta.

«Dunque, ti chiami Hana. Ho saputo che nel feudo di Haruna questo termine è utilizzato per indicare i fiori in sboccio» le parlò, ma la sua voce non era gentile. Non sembrava nemmeno le stesse facendo un complimento.

«Infatti» borbottò Hana, sollevando la tazza colma di tè. Si coprì con la manica rossa della veste mentre beveva. Almeno avrebbe mascherato il nervosismo in quel modo. «Il tuo nome è Chae-ryeong, invece, e sembra che tu abbia un certo ascendente su mio marito» calcò di più quella parola.

«Oh, io ed Eunji ci conosciamo da molto tempo, siamo in grado di capirci con un solo sguardo» la provocò, incurvando il viso allungato da un lato. «Abbiamo condiviso molti momenti... intimi. Non che sia mistero, non mi preoccupo molto dell'opinione altrui.»

Hana lo aveva immaginato. Al contempo, sentirselo dire fu come morire dentro. Le attraversarono nella testa momenti a cui non avrebbe voluto prestare attenzione. Represse la rabbia, ormai era già stata umiliata. «Sarai la sua concubina, nonostante tutto. Forse non valeva la pena aspettarti perché tu fossi la prima moglie.»

Chae-ryeong incurvò un sopracciglio e afferrò solo allora la tazza di tè, compiendo lo stesso gesto.

«Sei perspicace. Hai capito subito che sarò la sua concubina, ma non temere. Presto i nostri ruoli si ribalteranno.»

«Non sono stupida» sibilò Hana, stringendo la tazza che fece riempire di nuovo. Questa volta si bruciò la lingua, avrebbe urlato per la frustrazione. «Ma mi dispiace doverti deludere, perché non accadrà.»

«Ne sei davvero così certa? Non dovresti sottovalutare chi non conosci, è un grave errore» la prese in giro Chae-ryeong, dopo aver bevuto. «Questa sera festeggerò il mio ultimo giorno da nubile con una festa. Ovviamente sei invitata a presenziare con nostro marito, eonni

Hana cercò di trattenere una smorfia, perciò sorrise. Pensava forse di trovarsi davanti a una piccola preda che sarebbe scappata davanti alle sue velate minacce? No. Non avrebbe permesso più ad altri di umiliarla ancora. «Verrò con molto piacere, dongseng

«Bene, sarò felice di vederti danzare.»

Chae-ryeong tese il braccio e si fece aiutare dalla sua dama. Non si inchinò e si congedò lasciando una scia di profumo troppo forte.

Hana socchiuse le palpebre, prima di incrociare le braccia sul tavolo e affondarci la testa sopra, dandosi della stupida.

Perché stava lottando per un uomo che non la desiderava?

Non lo sapeva nemmeno lei, in realtà. L'unica cosa certa era che ormai c'era dentro, e in quella storia sarebbe arrivata fino in fondo. Non sarebbe stata la pedina di Eunji, né lo spasso di Chae-ryeong.

Non sarebbe stata la vittima di nessuno.

**
Aav: Padre

Eonni: sorella maggiore

Dongseng: sorella minore

Piccola digressione e torniamo fra i deserti del Biyu, dove Song si fa valere sconfiggendo a mani nude una tigre. So che può sembrarvi impensabile, ma fate conto che i principi venivano allenati alle arti marziali e ai combattimenti corpo a corpo fin da bambini. Non era proprio il primo ragazzino di campagna, ecco. Per di più, lui è il PRINCIPE EREDITARIO *squillino le trombe*, è stato istruito ancora meglio di Eunji e Shin a riguardo. (Mi-sun beveva bellamente il tè alla faccia loro), quindi le possibilità di vittoria c'erano, e Saran le ha sottovalutate, ma sta cominciando a farsi le prime domandine a riguardo.

E che dire di Hana, la nostra povera e ingenua Hana, che decide finalmente di tirare fuori gli artigli? Eunji non sembra ancora prenderla sul serio, e le sbatte in faccia la presenza di Chae-ryeong, pur senza degnare lei di un'occhiata. Questo ce la dice lunga, e ci fa capire che nonostante tutto Eunji non stima questa donna così tanto come ci ha fatto credere all'inizio.

Ora c'è da vedere cosa accadrà a questa meravigliosa festa. Vi ricordate di che festeggiamenti parlava Mi-sun? All'insegna di droghe, e balli sfrenati. Vi aspetto al prossimo capitolo, per vedere se Hana ne uscirà viva o se la mangeranno.  Le scommesse sono aperte!

Nel frattempo, ecco qui i prestavolti di Altan e Chae-ryeong!





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