Cicerone, homo novus di Arpino

Marco Tullio Cicerone nacque nel 106 a.C. ad Arpino, in una famiglia non nobile, ma assai benestante, di ceto equestre. Curiosa l'etimologia del suo cognomen: in origine, "Cicero" (cece) veniva dato come soprannome a chi aveva sul volto un'escrescenza a forma, appunto, di cece.
Fu educato a Roma presso le migliori scuole dell'epoca e intraprese la carriera di avvocato (patronus) nell'81 a.C.: a soli 26 anni, assunse la difesa di Sesto Roscio Amerino, accusato di aver ucciso il padre da un liberto di Silla, Crisogono, il quale sperava di impadronirsi così dell'eredità spettante al giovane. Cicerone fu l'unico ad accettare questo scomodo incarico e fu così abile da sconfiggere il più famoso oratore dell'epoca, Ortalo; per questo motivo, dopo la vittoria, ritenne prudente trasferirsi in Grecia, dove rimase fino al 77 a.C. e approfondì la conoscenza della filosofia greca.
Tornato a Roma, sposò la prima moglie, Terenzia, da cui ebbe due figli: l'amata primogenita Tullia e Marco.

Ebbe quindi inizio la sua carriera politica e giudiziaria. Fu nominato questore in Sicilia nel 76 a.C. e, con la sua condotta onesta e irreprensibile, si conquistò la stima dei Siciliani; pertanto, nel 70 a.C. essi si rivolsero a lui per portare in tribunale Verre, pretore che si era reso colpevole di azioni disoneste e saccheggi a danno dell'isola (definita da Cicerone stesso "nutrix populi Romani", nutrice del popolo romano): di fronte alle prove raccolte dall'Arpinate, Verre fu costretto ad andarsene in esilio, mentre il vincitore ottenne grande fama; fu nominato edile e poi pretore.

Con l'appoggio degli optimates e di Pompeo, Cicerone ottenne la carica di console nel 63 a.C., lo stesso anno nel quale denunciò la congiura di Catilina, appoggiata dai populares. Ne fece uccidere i complici senza processo, nonostante fossero cittadini romani e avessero diritto alla "provocatio ad populum": ciò costò a Cicerone l'esilio, dopo che, nel 58 a.C., Clodio, appoggiato da Cesare e dai populares, fece promulgare una legge contro chi si fosse reso colpevole proprio di tali esecuzioni illegali. Ebbe inizio un periodo difficile per il grande oratore: la sua casa sul Palatino fu rasa al suolo ed egli si rifugiò a Durazzo per sedici mesi, durante i quali scrisse ai familiari numerose lettere in cui mostra la sua fragilità in questo grave momento di sconforto.
Nel 57 a.C., però, tornò trionfalmente a Roma grazie all'appoggio di Pompeo. Durante i difficili anni di lotta tra le fazioni di Clodio e Milone, continuò a frequentare il foro, ma compose anche opere come il De Republica, il De Oratore e il De Legibus.
Allo scoppio della guerra civile, si schierò dalla parte di Pompeo e, dopo la vittoria di Cesare, ne ottenne il perdono; tuttavia, durante il dominio del dittatore a vita, dovette ritirarsi definitivamente dalla vita politica. Si dedicò così a varie opere filosofiche, con l'intenzione di poter contribuire ancora in questo modo al benessere della res publica: compose, ad esempio, il Laelius de amicitia, il Cato Maior de Senectute, il De Officiis, le Tusculanae disputationes.

Negli ultimi anni, fu colpito da numerosi problemi e lutti familiari; dopo aver divorziato da Terenzia (la quale si risposerà con Sallustio) e aver sposato la sua giovane pupilla Publilia, divorziò nuovamente da quest'ultima dopo pochi mesi. Nel 45 a.C. morì la figlia Tullia, per la quale scrisse una Consolatio andata perduta.
L'anno seguente, dopo l'assassinio di Cesare, per breve tempo Cicerone tornò alla vita politica, schierandosi contro Antonio, contro il quale pronunciò le Filippiche; però, Ottaviano, in cui Cicerone aveva riposto la sua fiducia, abbandonò la causa del Senato e si unì in triumvirato proprio con Antonio. Il nome dell'Arpinate finì così nelle liste di proscrizione; egli fuggì da Roma, ma fu raggiunto a Formia dai sicari e morì decapitato: era il 7 dicembre del 43 e la res publica, della quale egli aveva sempre difeso l'esistenza, era ormai destinata a trasformarsi nel principato augusteo e in un grande impero. Secondo la testimonianza dello storico Livio, la testa di Cicerone venne esposta sui rostri nel Foro insieme alla sua mano destra.

Immagine di copertina: affresco di Cesare Maccari (Cicerone denuncia Catilina)

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