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Non ho la mente lucida, non riesco a pensare. In testa ho solo le parole dell'infermiere. I battiti cardiaci li sento pulsare fin dentro le orecchie, come se tutti i rumori della mia piccola città non esistessero più. Sto sudando freddo e le mani mi tremano sul volante mentre cerco di non causare danni sulla strada. Non deve andare così.
Ho la gola secca e gli occhi mi bruciano così tanto poiché trattengo le lacrime. Piangerei ma la vista mi si appannerebbe solo di più e potrei essere la causa di qualche incidente stradale.
Quando ho chiuso la chiamata non ho avuto tempo di pensare: mi sono vestito in fretta e furia senza neanche guardare cosa stavo prendendo e sono uscito di corsa dall'appartamento. Chen Fu, dopo aver sentito tutti quei rumori, mi aveva chiamato preoccupato ma gli ho risposto solo con "Jimin" e ho riattaccato immediatamente.
Parcheggio in malo modo davanti all'ospedale e corro dentro l'edificio dirigendomi direttamente verso la camera del mio ragazzo. Tremo come una foglia, so di essere bianco cadaverico. Ho paura di ciò che può aspettarmi appena arriverò davanti la sua stanza. Non può essersi aggravato più di prima, non può. Non può essersene andato mentre ero a casa. Ecco perché non voglio mai lasciarlo, non voglio che se ne vada da solo.
Mi fermo di colpo davanti alla porta aperta dove degli infermieri sono chini sul letto. Faccio vagare freneticamente lo sguardo nella camera cercando di scorgere gli occhi aperti del mio ragazzo. Davanti alla visuale però mi si para davanti il volto stanco di Nives. Non dovrebbe essere qui, il suo turno è solo di mattina questa settimana. Poi ricordo che si è resa reperibile ad ogni ora per Jimin, tanto si è affezionata.
«Nives, che succede? Sta bene?» ho il fiatone e mi passo continuamente le mani sui pantaloni per asciugarle dal sudore.
La ragazza sospira prendendomi per mano e allontanandomi dalla camera contro la mia volontà. «Ci sono buone probabilità che le cellule leucemiche abbiano raggiunto il sistema nervoso centrale. I medici hanno fatto delle analisi e le stanno finendo, presto avremo la diagnosi. Se hanno davvero raggiunto il sistema centrale...dovrà cambiare terapia e fare un ciclo di chemio più forte, Yoongi. Mi dispiace davvero tanto» i suoi occhi lucidi esprimono tutto il suo dolore ma non potrà mai essere confrontato col mio.
Chemioterapia più forte vuol dire perdere capelli, vederlo sempre più debole al punto di non potersi neanche alzare dal letto, una sofferenza totale per lui e per chi gli sta attorno. È già debole di suo dalla ricaduta, potrebbe sopportare tutto questo? «Come ve ne siete accorti? Voglio dire...cosa gli è successo adesso?».
«Aveva mal di testa esageratamente forte, non riusciva a dormire e aveva iniziato ad urlare e piangere svegliando tutti. Siamo stati costretti a dargli la morfina, stava soffrendo troppo. Sono corsa qui non appena mi hanno chiamato avvisandomi che si stava sentendo male», annuisco mordendomi fortemente il labbro inferiore. Sento la bocca piegarsi all'ingiù ma mi ripeto di non piangere.
«Avrà bisogno del trapianto?» domando con voce piccola e tremante. È un'opzione molto rischiosa e delicata, non gliela farò fare se non sarà estremamente necessario.
«Se la chemioterapia non sarà sufficiente, sì dovrà ricorrere ad un trapianto. Se risponderà bene invece avrà solo bisogno di trasfusioni di sangue e si rimetterà in piedi. Questo è tutto quello che so, che ho sentito dal primario. Penso che domattina verrà a parlarti» sospira passandosi una mano sul viso pallido.
Quando i medici escono dalla stanza parlottando tra di loro, mi affretto ad entrare. Trovo Jimin con gli occhi schiusi e la bocca semi aperta. Deglutisco un groppo in gola: non riesco a vederlo in questo stato, sembra moribondo. La morfina è troppo forte ma almeno ora non ha più mal di testa.
«Come ti sei vestito?» è lui che parla strascicando le parole, ha la voce debole e stanca ma non smette mai di essere se stesso.
Alzo l'angolo della bocca e vado a sedermi sulla sedia accanto alla sua prendendogli la mano che riesce a stringermi di poco. «Non mi sono guardato allo specchio, ho preso le prime cose che avevo sotto mano»
Jimin annuisce chiudendo gli occhi completamente. «Torna a casa. Sto bene» sussurra leccandosi le labbra secche.
Scuoto fortemente la testa anche se non può vedermi. Approfitto dei suoi occhi chiusi per lasciare che le lacrime scorrano finalmente copiose lungo le mie guance. «Non dire cazzate, dormo qui e mi prenderò un giorno a lavoro. Tu sei stanco piccolo, dormi e domani parliamo».
«Ci vediamo domani?» domanda e dal suo tono di voce sento che sta per addormentarsi completamente.
Annuisco soffocando un singhiozzo. Avvicino le labbra alla sua fronte posandoci un bacio bagnato per poi baciare anche la sua mano. «Ci vediamo domani, appena aprirai gli occhi» sussurro facendo un sospiro tremante. Gli accarezzo i morbidi capelli biondi misti alla ricrescita scura e mentre piango mi perdo a guardare il suo volto rilassato. Automaticamente mi torna alla memoria un ricordo quasi seppellito: il ricordo di quando lo guardai dormire accanto a me per la prima volta. La prima volta che mi resi conto di quanto Jimin fosse etereo.
Avevo iniziato a lavorare in un ristorante da poco tempo per mettere da parte il denaro necessario per l'università che avrei iniziato da lì a pochi mesi. Non vedevo più così spesso i miei amici dal momento che loro avevano ricominciato le lezioni scolastiche ed io, come ho già detto, ero impegnato con il lavoro.
Era capitato, però, un giorno in cui sorprendentemente non mi avevano chiamato a lavoro lasciandomi un bellissimo giorno di riposo. Ebbi dunque l'idea di provare a chiamare i ragazzi per vedere se erano disposti a passare una giornata insieme dopo scuola. Non ricordo bene le precise motivazioni ma erano tutti impegnati, tranne Jimin. Ci rimasi piuttosto male ma il malumore mi passò in fretta quando, con un gran «Puoi scommetterci che ci sono!» da parte del più piccolo, mi ritrovai a chiedere il permesso ai miei genitori di farlo dormire in casa nostra per una notte. Inutile precisare che acconsentirono senza fare storie, felici che nonostante tutto Jimin trovasse sempre del tempo per me e viceversa.
Ero andato a prenderlo a piedi davanti scuola grazie alla grandezza ridotta della nostra città e ci eravamo diretti verso un chiosco di panini per fare merenda assieme. «Com'è andata la giornata scolastica?» domandai una volta seduti su una panchina nella nostra unica villa mentre mangiavamo.
«Pesante come sempre ma c'è stato un momento esilarante in cui durante educazione fisica la nostra insegnante è quasi caduta per mostrarci un esercizio. È stata l'unica cosa emozionante della giornata» rise dando un morso al panino. Accennai una risata divertita immaginando la scena.
«Mi ricorda molto un cameriere che lavora con me che un giorno ha rischiato di rovesciare addosso a dei clienti dei piatti appena usciti dalla cucina. Si è salvato all'ultimo».
Jimin fece un piccolo balzo sul posto facendomi quasi spaventare se non avessi saputo che quello era il suo modo di fare quando gli veniva in mente un pensiero improvviso. «A proposito! Come sta andando a lavoro? Ti trattano bene, vero? Hai conosciuto qualcuno di nuovo? Qualcuno che ti ha colpito?» mi bombardò di domande stuzzicandomi con un sorrisetto malandrino.
Sorrisi divertito e scossi la testa bevendo dalla lattina di coca cola. Poi, timidamente, decisi che forse dopo cinque mesi era arrivato il momento di rivelare quella fatidica parte di me che fino a quel momento non avevo accennato a mostrare. «No, no, per ora nessun ragazzo ha attirato la mia attenzione. Tra colleghi c'è un rapporto diverso».
Ricordo di aver preso del tutto contropiede Jimin il quale era rimasto con la bocca asciutta. Mi guardava sorpreso boccheggiando un paio di volte prima di proferire parola finalmente. «E tu fai coming out così?! Yoo ̶ oh mio dio! ̶ sono così felice per te!» urlò stringendomi subito in un forte abbraccio dopo aver lasciato sulla panchina metà panino e la bottiglietta d'acqua. Risi ricambiando la stretta con un gran sorriso ed un peso in meno sul cuore. «Grazie per esserti fidato di me e avermelo detto» mi sorrise dolcemente allontanandosi dall'abbraccio.
Continuai a sorridere battendo di poco la mano sulla sua schiena per poi tornare a bere dalla lattina. «Sapevo già di potermi fidare di te ma...non so forse ero troppo timido. Grazie» lo guardai sotto le lunghe ciglia.
«Figurati! Ah, mi hai reso così felice! Ma io ti ho detto di essere bisessuale? Oh be' se non l'ho fatto ora lo sai» disse velocemente per poi ridere e finire in un boccone il suo panino. Lo guardai divertito e non mi scomposi più di tanto: aveva confessato che gli piacevano i ragazzi già pochi giorni dopo esserci conosciuti.
«Insomma, il nostro gruppo è poco etero» scherzai picchiettando le dita sulla lattina rossa.
Jimin soffocò una risata alzando lo sguardo lucido di divertimento su di me. «Possiamo dire così. Gli unici etero sono Hoseok, Namjoon e Seokjin» lo guardai curioso di sapere chi fossero gli ultimi due nominati. «Li conoscerai e sono certo che andrai d'accordo anche con loro!».
Parlammo per ancora svariate ore su quella panchina partendo da Taehyung ̶ che scoprii essere pansessuale ̶ fino ad arrivare all'arte in tutti i suoi generi. Tornammo a casa giusto per l'ora di cena: mia madre ci aveva preparato del buonissimo bakso, un piatto tipicamente indonesiano. Quando era giovane mia madre amava cucinare piatti provenienti da paesi diversi, tanto che avevamo stabilito dei giorni alla settimana in cui mangiare determinati cibi. Ad esempio, il giovedì si mangiava italiano mentre il sabato indonesiano.
Jimin parlò molto con i miei genitori coinvolgendo spesso anche me. A volte mi metteva in imbarazzo raccontando di avvenimenti che mi riguardavano ma in fin dei conti divertivano anche me. Ci aiutò a sparecchiare e lavare i piatti, consigliò della buona musica a mio padre che fu felice di accettare consigli, lasciò una ricetta di non ricordo cosa a mia madre dicendole che la cucinava spesso sua nonna. Poi andammo in camera e litigammo per chi doveva stare sul letto e chi per terra sul materassino. Giungemmo alla conclusione che entrambi avremmo dormito per terra: Jimin sul materassino ed io nel sacco a pelo.
Stavamo parlando da un po', si stava avvicinando mezzanotte, quando Jimin disse, con voce assonnata: «Sai, Jungkook e mio cugino si sono baciati».
Spalancai la bocca sorpreso, non credendo che quel momento potesse arrivare. «Stai scherzando?» riuscii a dire.
Jimin rise sbadigliando subito dopo. Mi guardava con gli occhi socchiusi combattendo contro il sonno. «Scherzerei mai su una cosa simile? Ovvio che no! Me l'hanno raccontato entrambi, dicono sia stato magico ma non stanno insieme. O per lo meno non vogliono ufficializzare la cosa, coglioni» brontolò facendomi ridere. «Dovrebbero imparare ad essere più sinceri tra di loro. Perché quando ami qualcuno apri il tuo cuore, quando ami qualcuno fai spazio in esso». Quella fu la prima volta che Jimin mi parlò tramite frasi di una canzone (Love Someone di Lukas Graham) e in futuro scoprii che era un suo bellissimo vizio.
«Basta guardarli per meno di cinque minuti per capire che sono persi l'uno dell'altro» asserii con aria sognante. Poteva non sembrare ma in realtà ero, e sono tutt'ora, un gran romantico. Da ragazzo ero anche un grandissimo sognatore ad occhi aperti.
«Decisamente» sussurrò il più piccolo chiudendo gli occhi che immaginavo erano diventati fin troppo pesanti. «Scommetto che saranno una di quelle coppie che dureranno fino alla morte» parlò a bassa voce, tra uno sbadiglio e l'altro.
«Me li immagino effettivamente così. Insieme non fanno solo una bella coppia di amici, ma una bella coppia vera e propria. Se si impegnano, a mio avviso, dureranno tantissimo. Sarebbe davvero bello rincontrarsi fra dieci anni e vederli ancora insieme, magari con una famiglia... sto fantasticando troppo sulla vita altrui, me ne rendo conto, scusami. È che a volte mi fermo a pianificare silenziosamente la vita degli altri dal momento che della mia non c'è molto su cui fantasticare» mi girai verso il mio amico ma lo trovai completamente addormentato, le labbra leggermente separate dalle quali uscivano piccoli sbuffi ed il respiro lento.
Osservai i suoi lineamenti dolci rilassati che somigliavano tanto a quelli di un bambino. Mi sistemai meglio mettendo una mano sotto al mio viso mentre continuavo ad osservare Jimin. Sbattei le palpebre quando un pensiero mi colpì in pieno viso: il mio amico era davvero bello.
E lo pensai senza alcun fine romantico, era stata una semplice constatazione e realizzazione. Jimin era bellissimo, di una bellezza eterea. Non mi ero mai fermato a guardarlo particolarmente: mi piaceva il suo carattere poiché era meraviglioso a mio parere ma osservare che era anche stupendo fuori era tutt'altra storia.
Mi addormentai così: con un piccolo sorriso sulle labbra ed il cuore leggero non sapendo che in futuro avrei iniziato a far attenzione ad altri minuscoli particolari di Jimin fino ad innamorarmene totalmente.
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