Sabato - What is Love
Erano passate quasi tre settimane dal compleanno di Floriana. Diciannove giorni, per l'esattezza, dall'ultima volta che aveva visto Simone. Non s'erano più rivolti la parola, dopo quello scambio in giardino. L'aveva intravisto impegnato in una discussione con Mimmo, ma non s'era preoccupato d'interessarsene più del dovuto. D'altronde non erano affari che lo riguardavano.
Era andato via con Sara invece e lei, navigatore alla mano, gli aveva fatto strada verso la gelateria aperta più vicina. Avevano concordato che il cono non fosse niente di che, poi se l'erano scambiato per assaggiare i rispettivi gusti scelti. E il bacio era scattato in maniera naturale, dopo che lui l'aveva presa in giro per i baffi di cioccolata fondente che avevano finito per solcarle il labbro superiore. Tra uno schiocco e l'altro, s'erano ritrovati nuovamente in auto e Manuel aveva guidato fino ad uno spiazzato isolato dove, quasi fosse stato un diktat, avevano fatto sesso. Qualche ora dopo l'aveva riaccompagnata a casa, viveva in un parco privato in periferia, e prima di salutarsi al cancello s'erano scambiati i rispettivi numeri di telefono. I messaggi che si erano inviati nei giorni successivi, però, erano stati sporadici e distanti. Sara, d'altronde e nonostante l'intraprendenza mostrata alla festa, non sembrava affatto il tipo da perdersi dietro qualcuno e Manuel... Manuel non era sicuro di volerla inseguire per davvero. Era stato piacevole, divertente anche, e l'avrebbe rifatto più che volentieri. Ma impegnarsi in una relazione? Considerando che aveva pensato a lei sì e no due volte, dopo quella notte, non gli pareva affatto un'idea che potesse prendere in considerazione.
«Amo, ma te movi? - Luna gli avvolse il collo con un braccio per trascinarselo dietro. - Mica potemo mette' 'e tende all'ingresso.» Il club sembrava il cuore pulsante di un mondo parallelo, il medesimo a cui si abbandonavano ogni week-end nel giorno che il capitalismo aveva decretato fosse destinato al divertimento.
Il locale si trovava in un vecchio magazzino riqualificato, con soffitti alti e tubature a vista che attraversavano l'ambiente da parte a parte. La penombra era rotta da fasci di luci strobo, colori acidi che cambiavo a ritmo della musica techno. Le pareti erano ricoperte da pannelli neri che assorbivano i suoni e li facevano rimbalzare con maggiore intensità al centro della sala, lì dove una massa informe di corpi si muoveva scoordinatamente.
L'odore di fumo sintetico, sudore e alcol impregnava l'aria, rendendola spessa e quasi tangibile. Sopra la pista un gigantesco led wall proiettava immagini psichedeliche: onde colorate che si desaturavano, figure astratte che si frantumavano e ricomponevano in loop ipnotici. Gli speaker, incassati agli angoli del soffitto, vibravano con una cadenza quasi tribale con i bassi potenti a far tremare finanche il pavimento.
«Da paura 'sta serata, che v'avevo detto? - Aureliano, che li stava anticipando d'appena due passi, si voltò a guardarli con un sorrisetto sghembo, continuando a camminare all'indietro per esigere la loro piena attenzione. Manuel l'aveva bonariamente preso in giro quando era salito in taxi con indosso quella camicia di seta che aveva lasciato sbottonata sul petto. Ora doveva ammettere che, per quanto strana, fosse stata una scelta più che azzeccata, visto l'evento. - Le vostre altezze vogliono venire a ballare o me tocca stendere il tappeto rosso?» Fu la domanda sarcastica che fece sbuffare Luna di finto disappunto.
«Aurelià e nun rompe'! N'è manco mezzanotte, facce bere prima qualcosa.» L'amico cercò Manuel con uno sguardo a metà fra il pretenzioso e il supplicante. E questi ci pensò su un attimo, prima di fare spallucce e sorridergli di traverso.
«Pe' 'na volta che c'avemo la drink card inclusa.» E a quelle sue parole, Luna lanciò un bacio volante indirizzato direttamente al broncio di Aureliano, prima di fare dietro-front e battere le sue Dr Martens scure contro il lercio del pavimento.
«Sia mai che vai contro l'amichetta tua te. - Gli rinfacciò a denti stretti l'amico. E battibeccare con lui sulla questione sarebbe stato inutile, ché Manuel aveva per davvero un debole per lei, pur nutrendo nei confronti di entrambi la medesima dose d'affetto. Solo che Luna era... un uragano di energia compressa in un metro e sessanta di pura determinazione. I suoi occhi grigi, perennemente struccati, sembravano sempre analizzare tutto e tutti, pronti a scovare la debolezza o il lato più interessante di chi le si parava davanti. Manuel per primo si sentiva di valere qualcosa, quando parlava con lei. Non si era mai curata troppo di impressionare, eppure aveva un fascino tutto suo, qualcosa che le permetteva di attirare indistintamente l'attenzione di ragazze e ragazzi. Il suo abbigliamento non faceva altro che riflettere la sua essenza diretta. Come quella sera, che sfilava nel locale con indosso i suoi cargo migliori e una t-shirt nera oversize abbinata ad un cappellino da baseball calzato al contrario. - Venduto.»
«Daje Aurelià, er secondo giro lo offro io, mh?» E quello parve pensarci su, prima di passargli una mano tra i capelli per spingergli il capo dalla fronte e farlo sbilanciare all'indietro. Approfittò dello squilibrio causatogli per superarlo, l'amico, sghignazzando come quando erano ragazzini e si rincorrevano per dispetto tra i corridoi di scuola.
«L'ultimo che arriva offre pure il terzo! - E Manuel, suo malgrado e nonostante fosse il luogo meno adatto, si lasciò coinvolgere mettendoglisi alle calcagna e facendo lo slalom tra i paganti per raggiungerlo. Prevedibilmente, arrivò per ultimo al bancone, e vi si poggiò contro con il fiato corto e un sorriso aperto in volto. - C'hai un passo che manco mi' madre co' le borse della spesa.» Quell'ennesimo sfottò lo spinse a colpire il più alto con un pugno chiuso.
«Ma vattene va', sei un baro del cazzo.»
Luna, che aveva raggiunto per prima la destinazione designata, già stava sorseggiando il proprio drink con l'aria compiaciuta. «Siete du' pippe. Prima v'agghindate e poi ve fate i dispetti come i ragazzini perché nun ce la fate manco a correre. - Manuel sollevò le mani, in segno di resa, poi allungò la sua drink card per ordinare un gin lemon. - Nun so chi sta messo peggio, se te che co' quella camicia te incastri a destra e a manca. - ridacchiò la ragazza, facendo cenno ad Aureliano con il mento, per poi rivolgersi a Manuel. - O te, che con quel crop top a stento respiri.»
Scosse il capo con arrendevolezza, scostandosi i capelli dalla fronte umida. «Noi ce proviamo pure, ma se la bellezza fosse 'n crime saresti te la latitante del gruppo a quest'ora.» Luna scoppiò in una risata cristallina, estasiata, e Aureliano simulò un conato di vomito prima di frapporsi tra i due per circondar loro le spalle con le braccia aperte.
«Pe' cortesia, basta co' 'ste leccate de culo che altrimenti sbratto. - Li riprese, non riuscendo a nascondere dalla voce una punta d'affetto. Si ricompose quasi subito, comunque, ripristinando la sua solita aria da finto sbruffone. - E poi so' chiaramente io er meglio vestito stasera, poche storie.»
«Guarda Aurelià. - Manuel tentò di tornare serio, redarguendo Luna con lo sguardo per impedirle d'anticiparlo col suo solito sarcasmo. - Te do un dieci pe' il coraggio. Un nove per l'effetto sorpresa... - reclinò il collo e assottigliò lo sguardo. - E un meno uno per la modestia, sei pessimo.»
«Ma vaffanculo!»
Il discorso si interruppe bruscamente quando gli occhi d'argento di Luna scattarono verso un punto preciso della sala. Manuel seguì il suo sguardo, incuriosito, e lei ne anticipò la domanda. «Regà ve dico fermateve, ché me so' appena innamorata.»
Aureliano sollevò le sopracciglia, «Semo solo a quota tre 'sta settimana, da non crederci. È un record!» La sbeffeggiò, ringraziando con un cenno del capo il barista che posò sul marmo appiccicoso il drink suo e di Manuel.
«De chi stavolta?» Le chiese quest'ultimo, prendendo una generosa sorsata, e Luna indicò con un cenno della testa una ragazza in attesa all'estremo opposto del medesimo bancone. Era bionda, con capelli lisci che le ricadevano sulle spalle e due occhi così azzurri da risaltare finanche nella penombra del locale.
«Quella lì col tubino rosa. - confermò Luna, mettendosi a puntare l'indice nella sua direzione senza alcun timore d'essere vista. Le aveva spiegato più volte, Manuel, che non poteva permettersi di fissare e indicare la gente a quella maniera. Ma lei niente, quel vizio proprio non riusciva a correggerlo. Non la riprese, a quel giro, solo perché la tipa sembrava assorta da tutt'altro. - Quella dea scesa dall'Olimpo pe' grazià co' l'esistenza sua noi comuni mortali.»
«Ed eccola che parte per la tangente.» La prese in giro Aureliano, ma Luna s'era già sporta sul bancone col bancomat alla mano per chiamare a gran voce il barista.
«Porta un Cosmopolitan a quella ragazza. - La indicò ancora una volta. - E mi raccomando, specifica che è offerto dalla sottoscritta.»
«Non sei manco sicura che le piacciono le donne, Lù!» Le fece presente l'amico, non riuscendo minimamente a scomporla né tantomeno a farla desistere.
«C'ho il radar, amore mio. Ma che ne vuoi sapere te che nun capisci un cazzo.» In realtà era solo incredibilmente intraprendente e mossa dalla determinazione di volersi godere ogni singolo attimo di vita a sua disposizione. Era un discorso che faceva a entrambi da sempre: chiacchiere da bar che per Manuel era state di fondamentale importanza quando il giudizio della gente ancora lo turbava. Certo, non era arrivato ai suoi livelli di noncuranza, ma comunque s'era ritrovato ad abbracciare il medesimo filone di pensiero senza mai ritornare sui propri passi.
Comunque, il suo sguardo era ancora posato sul profilo statuario di quella ragazza. Più la osservava, più sentiva quel fastidioso solletico tipico dei déjà-vu sul retro del capo. Gli sembrava familiare, come se l'avesse già vista da qualche parte. Eppure non la riusciva a collocare in nessuno scenario della propria memoria.
Poi d'un tratto fu attraversato da quello che poteva definire a mani basse un lampo di genio.
«Aspettate un attimo...!» Si drizzò sul posto e fece per recuperare il cellulare dalla tasca dei pantaloni. Luna si corrucciò, sbirciando sullo schermo oltre la sua testa.
«Manuel, non cominciare. L'ho vista prima io.» Borbottò la ragazza, poggiandosi col mento sulla sua spalla per esternare un broncio scontento.
Manuel la spintonò, digitando velocemente su Instagram il nickname di Matteo. «'Sta bona che se c'ho ragione te svolto la serata... - atterrò sul profilo dell'amico d'infanzia, prendendo a scorrere velocemente tra le storie in evidenze e - Boom, beccata! - piazzò lo smartphone sotto il naso di Luna. - Ecco a te la tua bella.» La bocca della sua migliore amica formò una piccola o e i suoi occhi vagarono dallo schermo alla diretta interessata delle sue attenzioni e viceversa.
Agguantò il cellulare, prendendo a studiare minuziosamente il profilo di Matteo. Poi, con le stelle nelle iridi e l'emozione a colorarle la voce, finì per strillare: «La conosci?»
«No. - Il diniego fece sghignazzare Aureliano e rabbuiare Luna. - Però Matteo posta continuamente in sua compagnia. Praticamente campano insieme.»
Luna ci mise qualche istante a mettere insieme i pezzi del puzzle, ché Manuel le parlava veramente poco di quella che l'amica definiva gelosamente la sua "altra comitiva". «Il figlio dell'amica di tua madre?» Chiese conferma e Aureliano, da bravo uccello del malaugurio, si mise nuovamente in mezzo.
«Non è che c'hai il radar rotto?»
«Non stanno insieme. - S'affrettò a correggerlo Manuel. - Matteo muore dietro a Chicca da una vita. Loro immagino siano solo amici.» Luna indirizzò un medio ad Aureliano, poi prese a saltellare d'entusiasmo sul posto.
«Manuel, - gli restituì il telefono per afferrargli entrambe le mani con fare teatrale. - luce dei miei occhi e ragione della mia esistenza...»
La fermò prima che potesse continuare con la sua richiesta, lo sguardo torvo. «Accanna, Lù!»
Ma lei giunse le mani in preghiera. «Ti prego, ti supplico, ti scongiuro. Fai da mediatore, mettici una buona parola. Io sono sicura che quella sia la donna della mia vita e tu hai la possibilità di presentarci.»
«Lù, io non la conosco! - Lei allora sporse il labbro inferiore, tentando di corromperlo con quell'espressione da cucciolo bastonato che le veniva tanto bene. Scosse il capo, prendendo a guardarsi intorno. - Vediamo se c'è Matteo in giro, magari sono insieme e c'avviciniamo tramite lui.»
In quell'esatto momento, il barista s'accostò alla ragazza, Laura, a giudicare dal tag di Instagram, allungandole il drink. Il ragazzo fece esattamente come ordinato da Luna, indicando nella loro direzione all'espressione stranita che ricevette in cambio. Gli occhi di lei zampillarono nella loro direzione, divenendo specchio riflesso di quelli della sua migliore amica. «Io vi giuro che me la sposo.» Fu la promessa che esalò in un bisbiglio, quando quella sollevò il bicchiere nella sua direzione per ringraziarla, accennando un timido sorriso.
«Me sa che l'avemo persa, fratè.» Stava ancora ridacchiando quando nel suo campo visivo si fece largo una seconda figura. La notò più che altro perché la sua presenza strappò a Luna un singulto. Mise a fuoco nella penombra e scorse... lui?
Non era possibile. Doveva essere uno scherzo.
Sgranò gli occhi e il respiro gli si mozzò all'altezza della gola. Non riuscì a dar voce ai propri pensieri nemmeno quando l'amica prese a strattonarlo. L'aria densa del locale, il pulsare ipnotico della musica, persino il vociare indistinto della folla... tutto divenne semplice rumore di sottofondo.
Indossava una camicia di lino celeste, aperta sul collo abbastanza da lasciar intravedere l'inizio di una catenina d'argento. I calzoni beige, morbidi, gli cadevano addosso con una leggerezza studiata, quasi a sottolineare la sicurezza disarmante di chi non aveva bisogno di strafare per attirare attenzione. La luce strobo gli accarezzava il viso in brevi lampi, facendolo apparire etereo, come un'illusione più che una presenza reale.
Simone Balestra sfiorò la spalla di Laura per attirarne l'attenzione e questa si voltò verso di lui con un sorriso familiare, complice. Gli disse qualcosa, un sussurro che Manuel non avrebbe mai potuto udire vista la lontananza, ma che sembrò far sorridere Simone appena, in un modo quasi impercettibile. Poi il ragazzo fece scorrere lo sguardo oltre, verso il bancone, seguendo chiaramente le istruzioni dell'amica.
Fu in quel momento che gli occhi di Simone incrociarono i suoi. E rimasero lì, con un'esitazione a malapena percepibile in volto, quasi si stesse chiedendo a propria volta se la persona a pochi metri fosse davvero Manuel Ferro.
Poi, lentamente, le sue sopracciglia si alzarono in un'espressione di piacevole sorpresa, seguita da un sorriso che gli ammorbidì i lineamenti. Alzò una mano per salutarlo e Manuel si ritrovò a ricambiare il gesto come un'automa.
Era ancora ancora imbambolato, quando Luna l'afferrò per una spalla. «Terra chiama Ferro, - uno schiocco delle dita, lo riportò alla realtà. La musica assordante riprese a vibrargli nella cassa toracica nell'esatto momento in cui distolse l'attenzione per guardare l'amica. - chi è quello?» Domandò con impazienza e Manuel di nuovo fece scivolare lo sguardo sul suo sorriso distante a malapena una manciata di metri.
«Simone.»
Per un momento Luna non rispose. Poi gli lanciò uno sguardo smaliziato, quasi divertito, inclinando appena la testa. Le labbra le si incurvarono in un mezzo sorriso carico di sottintesi.
Manuel non ebbe bisogno di fornire agli amici ulteriori spiegazioni. Per quelle erano bastati gli incessanti racconti dei giorni precedenti. Più che altro si era sfogato su quanto si fosse sentito irritato, sia a Ferragosto che al compleanno di Floriana, dai suoi atteggiamenti. Quelli come lui me stanno sur cazzo, ed era stato onesto, sempre a giocare co' l'altri e mai chiari. Costantemente con quell'aria da "prendo tutto ma non do niente". Il ragazzo suo me fa 'na pena che nun c'avete manco idea. Lì era stato meno sincero, in realtà. Certo, Simone era un enigma in piena regola, ma di certo non era l'egoista che s'era ritrovato a descrivere. Con Chicca era stato impeccabile, ad esempio, e la sua attenzione ai dettagli era invidiabile. E Mimmo... Mimmo non gli faceva pena. Mimmo gli faceva invidia.
«Simone, - ripeté lei lentamente, come se stesse assaporando il nome sulla punta della lingua. Poi si voltò verso Manuel, con un sopracciglio alzato e uno scintillio provocatorio negli occhi. - Il famoso Simone, eh?»
Manuel sbuffò, cercando di mascherare la tensione che gli si stava accumulando al centro del petto. «Non cominciare, Lù.»
«Io? - Luna fece un gesto plateale, portandosi una mano al petto. - Non ho detto niente. - Ma il suo sorriso furbo parlava fin troppo chiaro. - Ancora... » uno sghignazzo bassissimo che coinvolse anche Aureliano.
Simone non smetteva di guardarlo, quasi non stesse nel mentre intrattenendo una conversazione con Laura. Quasi che in quel locale non ci fossero che loro due... La spallata da parte del suo migliore amico lo spronò a muovere le cosce. Lasciò al bar il drink finito solo a metà, e fece il giro della folla in fila al bar, sgomitando per aprirsi un varco, col solo intento di raggiungerlo. Nemmeno sapeva cosa avrebbe finito per dirgli, una volta al suo cospetto. Le cosce s'erano mosse da sole, guidate da una forza estranea al corpo.
Il suo avanzare venne bruscamente interrotto da un corpo che si frappose tra lui e il suo obbiettivo. E solo in quel momento si rese conto di quanto realmente volesse nuovamente immergersi in quelle iridi d'ossidiana, ché quando la sua marcia venne interrotta, si ritrovò a rivolgere un'occhiata ostile a quell'ostacolo umano.
La sua rabbia durò meno d'un battito di ciglia, giusto il tempo di sentirsi chiamare per nome: «Manuel, che ce fai qui? - Il sorriso di Matteo invase il suo campo visivo e quello bastò a rilassarlo, assieme ad una pacca al centro tra le scapole. La calma durò giusto il tempo dei saluti, l'amico d'infanzia girò la testa e sollevò un braccio per richiamare l'attenzione con un - Ragà, guardate chi ce sta!» Tornò ad irrigidirsi nel seguire la traiettoria del suo sguardo e constatare che si stesse effettivamente rivolgendo a Simone. Così, quando fece per andare incontro a lui e Laura, lo sbloccò per un braccio.
«Che è 'sta storia che esci co' lui? - gli si era avvicinato per non urlare e farsi sentire comunque sopra il rimbombo della musica. - Non erano questi gli accordi.» Sibilò, affondando con le unghie nella carne morbida del braccio. E Matteo si stranì, ritraendosi appena con le bocca ora stretta in una linea dritta.
«Quello di vederci solo alle feste comandate? - Gli domandò, e Manuel inarcò un sopracciglio. - Quella è una cosa che riguarda me, te e Chicca. Simone non c'entra, lui... nemmeno c'era, Manuel! - sospirò, cercando di ripristinare la sua solita espressione bonaria. - E comunque non è che l'ho invitato a uscire. Lui e Lauretta si sono conosciuti in università, s'è trattato d'un caso. Mica posso starmene a casa pe' questo, te pare? - Lo lasciò andare e il ragazzo, allora, lo avvolse per il collo, conducendolo incontro agli altri due. - Sei geloso de me o de lui?» Gli bisbigliò, facendogli contorcere le viscere. Per punirlo gli rifilò una gomitata e il suo lamento perdurò fin quando non furono entrambi al cospetto di Simone e Laura, ai quali Manuel si premurò di sorridere affabilmente. La ragazza ricambiò brevemente, prima di guardare Matteo con la fronte aggrottata.
«Stai bene?» E come dare torto a Luna se quella ragazza sembrava per davvero un angelo? Fu dolce finanche il modo il cui lasciò il braccio di Simone per avvicinarsi a Mattero e carezzargli una spalla con premura.
«Sta' bene, chi lo ammazza a questo. - commentò al posto suo, calamitando nuovamente quegli occhi turchesi sulla propria figura. Allungò una mano, per presentarsi, e quando lei ricambiò la stretta, si condusse le sue dita alle labbra per un baciamano tanto ridicolo da strapparle una risatina estasiata. - Sono Manuel.»
«Laura. E... - la osservò guardarsi attorno, fino a sedimentarsi con lo sguardo sulla figura di Luna, poco lontana, che assieme ad Aureliano se ne stava a rimirare la scena. - la tua amica è...?»
«Un metal detector a quanto pare, - continuò al suo posto, per poi sventolare una mano in direzione dei suoi amici per invitarli ad avvicinarsi. - Luna, comunque. Se chiama Luna.» I due si scambiarono un'occhiata, intuendo che il momento di restare in disparte fosse giunto al termine. Luna, naturalmente, fu la prima a muoversi, decisa e con quel sorriso che Manuel riconobbe come preludio d'una scena che in seguito avrebbero definito memorabile. Aureliano la seguì con una certa riluttanza, le mani infilate nelle tasche dei jeans e l'espressione di chi, dopo la serata, avrebbe finito per darsi ad una sequela di lamenti infiniti.
«Piacere, sono Luna.» La voce della sua migliore amica era morbida, ma l'intensità con cui si permise fissare Laura non fece che sottolineare la sua spudorata intraprendenza. Allungò le dita e Laura, visibilmente sorpresa, ricambiò il gesto con una stretta gentile.
«Laura. E immagino che questo - sollevò il drink che ancora teneva stretto tra le mani. - sia da parte tua.» Un breve sorriso e la testa inclinata di lato.
«Offerto con tutto il cuore. - Fu la replica fulminea di Luna, che con fare teatrale si portò un palmo al centro del petto e si prostrò in un mezzo inchino che strappò a Laura una risata cristallina. - E se vuoi potrebbe essercene anche un secondo, un terzo...»
«Senti, senti...! Intanto finisco questo.»
«E te devi essere il socio numero due de Manuelino nostro. - disse Matteo, esternando senza sforzo alcuno il suo animo naturalmente estroverso, con le iridi cerulee rivolte ad Aureliano. - T'ho visto sul suo Instagram qualche volta.»
«Er numero uno. - ci tenne a precisare, col broncio a rabbuiargli lo sguardo. - So' er socio numero uno. - Ribadì, prima di ricambiare la stretta della mano, seppur con riluttanza. - E dopo de me ce sta Luna, quindi al massimo te poi esse' er terzo o la riserva.»
Manuel non riuscì a trattenere il riso e questo non fece che incrementarsi, quando Matteo, occhi al cielo, decise di prestarsi a quel teatrino con un cenno affermativo del capo. «Come vuoi te! 'Nnamoce a prende' qualcosa da bere, va'.» E Aureliano lo guardò sbigottito, ma comunque non si ritrasse quando il suo amico d'infanzia lo trascinò nuovamente in direzione del bancone.
Fu dopo aver seguito con divertimento quell'improbabile accoppiata e aver lanciato un'ultima occhiata a Luna e Laura, ora intente a parlottare, che i suoi occhi s'incrociarono con quelli di Simone. Ebbe la medesima sensazione di poco prima, solo amplificata all'ennesima potenza: la musica sembrò dissolversi, inghiottita da un silenzio innaturale; le persone parvero evaporare, quasi fosse fatte d'aria. E di reale, oltre il suo corpo di cui percepiva come non mai ogni singola cellula in fiamme, v'erano quei pozzi senza fondo che, ne era sicuro, l'avrebbero potuto inghiottire senza sforzo. Manuel li sostenne con più forza di quanta ne avesse realmente, cercando di celare il battito irregolare del proprio cuore, dietro un ghigno sfrontato.
«Ciao. - Le iridi di Simone percorsero il suo corpo come una carezza, soffermandosi volutamente più del dovuto sulla porzione di pelle lasciata scoperta sul ventre dal crop top. Poi appena più in alto, con un leggero sbuffo del naso, sulla frase stampata rosso su nero al centro dell'indumento: Who's a good boy. L'aveva comprata per gioco sullo store online che s'era aperto un suo compagno di corso e ora, a vedere le pupille del corvino dilatarsi fino a fagocitarne le iridi, poteva finalmente ritenersi soddisfatto dell'acquisto. Si lasciò ammirare per ancora qualche secondo prima di fare un passetto in avanti e calarsi appena per specchiarsi dal basso nei suoi occhi. Sollevò un angolo delle labbra e, assieme ad esso, un sopracciglio. - Ho detto: ciao.»
Simone lasciò che il silenzio tra loro si dilatasse ancora, un gioco per vedere chi dei due avrebbe ceduto per primo. Manuel però non si mosse di un millimetro, spavaldo nonostante sentisse le viscere attorcigliarsi su loro stesse.
«Ciao. - rispose infine, la voce calda e bassa condita da un cenno di ironia. Ora, Manuel ne era sicuro, stava studiando la linea di matita nera con cui s'era premurato di colorarsi la rima interna. Lo vide chiaramente prendere un respiro, prima di ricambiare con una piega appena accennata della bocca. - I tuoi amici?»
«Perspicace. - fu il commento fulmineo, una presa in giro che Simone accolse di buon grado, limitandosi a far roteare gli occhi. - 'N te face tipo da frequentà 'sti posti.»
«Io non ti facevo tipo da giudicare le persone in base all'apparenza. - lo osservò portarsi una mano alla gola, a sfiorare il filo d'argento che la circondava con i polpastrelli. E ne rimase estasiato ché quello era forse il gesto meno controllato che gli avesse visto fare. - Direi che ci siamo sbagliati entrambi.»
S'era giurato, nell'esatto momento in cui i loro sguardi avevano finito per incrociarsi quella sera, che sarebbe stato diverso e che Simone non sarebbe riuscito ad incartarlo con i suoi giri di parole. Forte del fatto che si trovassero in un campo neutrale, lontani dall'attenzione delle rispettive madri, s'armò del coraggio necessario per compiere un passo e rendere la distanza tra i loro corpi minima. «E quale impressione credi di dare alla gente, mh?» Fu così soddisfacente vedere il suo petto arrestarsi... non si preoccupò di celare la compiacenza dall'espressione che gli rivolse.
«A questo punto immagino di sembrare una persona estremamente noiosa.» Quella dichiarazione spinse Manuel a sollevare scetticamente un sopracciglio.
Non rispose, non subito. Gli girò attorno, invece, godendosi il modo in cui l'altro tentò di seguirlo, con una torsione del collo. E quando di nuovo gli fu di fronte s'umettò le labbra con la lingua. «Sei in cerca de complimenti, Balè? - una domanda retorica, dalla quale rifuggì prima che Simone potesse schiudere le labbra, allontanandosi con un'occhiata eloquente. E l'altro, prevedibilmente, gli andò dietro a passo lento dopo aver controllato che gli altri fossero ancora impegnati e in compagnia. Non lo guardò fin quando non giunse sul fondo della sala, dove la musica era meno forte e le luci meno fastidiose. S'appoggiò con la schiena alla parete, soddisfatto d'essere stato seguito. - Non lo sei. - Concesse, quasi quelle tre parole fossero un premio, e Simone lo spalleggiò, aderendo a propria volta al muro. - Un egocentrico, forse; uno perfettone, sicuramente. - Scosse il capo, per poi voltarsi a spiargli il profilo. - De certo non noioso.»
«Quanta magnanimità.» Si voltò su un lato, Manuel, la tempia e i ricci a premere contro la superficie ruvida di quell'angolo della stanza e le braccia incrociate al petto.
«Se parli così me dai solo ragione.» Simone rise, abbassando lo sguardo. Le dita ancora a giocherellare con la catenina, dalla quale pendeva un minuscolo ciondolo che recitava l'equazione di equivalenza massa-energia. Lo trovò... affascinante. Estremamente curioso, certo, ma affasciante. Stava per chiedergliene il significato, ma la domanda gli morì tra le labbra quando il corvino lo condusse alla bocca per lambirlo con la punta della lingua e mordicchiarlo.
Doveva trattarsi d'un gesto involontario, lo capì dal modo in cui la lasciò ricadere nell'accorgersi che Manuel lo stesse osservando. «E mi pare di capire che ti piaccia molto... - Lo prese alla sprovvista, tanto da fargli battere ripetutamente le palpebre. - Avere ragione.» Aggiunse, quando fu certo che ormai Manuel avesse frainteso.
Inavvertitamente, scoppiarono a ridere in sincrono. «Me rimangio tutto, sei solo stronzo.» E Simone convenne con lui, annuendo con complicità per poi fissare dritto davanti a sé.
«Penso che la tua amica si sia ufficialmente appropriata della mia, per stasera.» Seguì il sorrisetto smaliziato di Simone, per scorgerle poco lontane, a guardarsi vicendevolmente con una complicità invidiabile.
«E te dispiace?»
Parve pensarci su, prima di negare col capo. «No. Sembra presa.»
«Sì, lei è... - erano accomodate su un divanetto più appartato: Laura con le spalle dritte e le cosce accavallate, Luna protesa nella sua direzione con un gomito puntellato sullo schienale. - il tipo di persona che ti offre un drink senza neanche chiederti se ne hai voglia. E lo fa con quel sorriso che sfida e seduce al tempo stesso. Finisci pe' pendere dalle labbra sue senza manco accorgertene.»
«Parli per esperienza diretta?»
«Non è che vado a letto con tutte le persone che respirano, - ridacchiò, osservandolo di sguincio prima di rifilargli una breve spallata giocosa. - Per chi mi hai preso?» Fu la domanda retorica su cui Simone si concentrò realmente.
«E tu? Che tipo di persona sei?» Manuel tirò un respiro, in parte divertito e in parte stranito dal fatto che stessero affrontando una conversazione del genere in una discoteca di periferia.
«In generale o questa sera? - Simone sollevò le spalle, lasciandogli libera interpretazione. - Di base sono solo una persona normale che arranca come chiunque altro a questo mondo per cercare un po' di pace mentale. - si raddrizzò, piazzandoglisi nuovamente di fronte, questa volta vicino a sufficienza da far toccare le punte dei loro piedi. Poi inclinò il capo, rivolgendogli un sorriso che sperò con tutto il cuore risultasse saldo. - Stasera invece sono solo una persona che c'ha 'na voglia matta di ballare con un bel ragazzo. - s'addentò il labbro inferiore, poi s'armò di tutta l'audacia di cui disponeva per frapporre un palmo tra i loro toraci vicini. - Ce vieni co' me?»
Manuel rimase immobile, il fiato sospeso mentre attendeva una risposta. Simone però non disse nulla. I suoi occhi scivolarono lenti dalla mano di Manuel, ancora aperta tra i loro petti, fino al suo volto. Sembrava cercare qualcosa, una parola, forse il coraggio, ma quel silenzio più si protraeva più diventava pesante come un macigno.
Alla fine, più per senso del dovere che per volontà, aprì appena le labbra, quasi controvoglia. «Manuel...»
Non servì altro. Quella parola, il suo nome ironicamente, fu sufficiente a spiazzarlo e a dissolvere tutto l'entusiasmo di cui s'era caricato. Avvertì il cuore rallentare gradualmente, poi una leggera morsa di imbarazzo finì per serrargli il petto. Cercò di mascherare il disagio con una risatina breve e spezzata, ma più tentava di dissimulare più sentiva il rossore risalirgli dalla gola verso le gote.
«Scherzavo. - disse senza riflettere, lasciando cadere la mano lungo il proprio fianco. - Non ero serio.» Ribadì, finendo per vergognarsi ancora di più. Il timore di risultare patetico, proprio lui che in genere era un concentrato d'amor proprio, lo fece indietreggiare.
«Manuel, - riecheggiò, quando questi gli diede le spalle per camminare lontano da lui e in direzione della pista con l'idea di perdersi tra le persone. Lo fermò, agguantandolo per l'incavo del gomito, e suo malgrado dovette voltarsi per ritrarsi dalla presa. - non posso.»
A quelle parole subentrò la rabbia. Gli si avvicinò di nuovo, per fronteggiarlo. «Non puoi o non vuoi?» Gli sibilò velenoso, ad un soffio dal viso. Non si mosse d'un solo millimetro, il più alto, né sfuggì dal suo sguardo.
«Entrambe.»
«Cazzaro, pensi veramente che io sia uno stupido?»
«Non ho mai detto questo.»
«Perché te vorrei ricordare che hai sempre fatto tutto te.»
Era certo di non aver frainteso i segnali di Simone, eppure quel rifiuto non fece altro che rimettere tutto in discussione. Ciò nonostante s'impegnò vivamente a portare avanti la propria visione della situazione. Pure nel momento in cui l'altro ripetè il suo nome «Manuel... - quando gli fu ad un soffio dal volto. E lui scosse il capo sorridendo di sdegno. - Io ho un ragazzo, tu non puoi...»
Lo sapeva, li aveva visti insieme d'altronde. Ma sentirglielo dire a voce alta finì comunque per alterarlo più di quanto già non fosse. «Non posso cosa? Tu... - gli puntellò l'indice al centro del petto. - Tu non fai altro che guardarmi. Non mi molli un istante. E io dovrei preoccuparmi della tua relazione da quattro soldi?» E a quella domanda volutamente venefica i lineamenti di Simone persero ogni traccia di naturale eleganza per sfigurarsi nella più rancorosa delle espressioni.
«Abbassa i toni, Manuel.» Una raccomandazione a voce sottile che gli fece ribollire il sangue nelle vene.
Si piegò leggermente verso Simone, le labbra appena increspate. «Tu mi desideri. Ce l'hai scritto in faccia, - sussurrò con la medesima perfidia che gli aveva riservato da ragazzino, quando quello faceva di tutto per farsi detestare. Lasciò che le parole si insinuassero, lente e pungenti, prima di rincarare la dose. - E te magni le mani ogni volta che te sto vicino. - Gli guardò istintivamente la bocca, sentendo l'adrenalina scorrergli dal ventre lungo tutta la spina dorsale. Fece un passo indietro, schioccando la lingua con sarcasmo, solo quando lo vide sussultare. - Se mo vuoi fare il puritano, accomodati pure. Ma vedi de stamme alla larga.»
Non aspettò una risposta. Si voltò e si diresse verso la pista da ballo, immergendosi in quel mare asfissiante di corpi e luci col desiderio di farsi inghiottire. All'inizio cercò solo di perdersi nella melodia, di lasciarsi andare, ma la rabbia gli pulsava ancora nelle vene, rendendogli impossibile ignorare lo sguardo che lo seguiva da lontano.
Chiuse le palpebre per un momento, cercando di liberarsi del peso che Simone gli aveva piantato addosso, e quando le riaprì percepì un paio di occhi su di lui. Stavolta non erano i suoi, bensì quelli di uno sconosciuto che si muoveva seguendo la musica, poco distante.
Alto, avvenente, con uno sguardo spavaldo e con un sorriso, che pareva promettere l'indicibile.
Si fermò a pochi centimetri, un ghigno accennato e provocante, e cominciò a ballargli accanto. I suoi movimenti erano fluidi, accattivanti, calcolati per catturare l'attenzione senza forzare la situazione.
Si fece vicino, troppo per sembrare casuale, e Manuel gli permise di farlo, finendo per scambiarsi con lui un'occhiata complice e una dichiarazione d'intenti silenziosa. Da vicino era ancora più bello, con i capelli rossicci e quello sprazzo di lentiggini ambrate a pizzicargli il naso e le gote. E anche intraprendente, ché gli bastò il brevissimo cenno di consenso da parte di Manuel, per posargli le mani sui fianchi. Gli carezzò con i pollici, pretenzioso, la pelle nuda del ventre e percorse languidamente il bordo del crop top. Non si ritrasse, anzi, lo incentivò a continuare, piegando il capo per mostrargli un sorriso accondiscendente: un'ultimissima dedica, prima di dargli la schiena e abbandonarsi con le spalle contro il suo petto. E quello, estasiato dalla nuova prospettiva donatagli, risalì con palmi lungo l'addome e scese con la bocca a carezzargli la curva dell'orecchio.
Si lasciò cullare da qual corpo estraneo, assecondandone le oscillazioni dettate dalla musica. Poi liberò un sospiro naturale nell'avvertirlo gonfio contro una natica, che si tramutò presto in un sorriso di pieno compiacimento quando adocchiò Simone con gli occhi ancora fissi sulla sua figura. Era teso, fermo, con la catenina d'argento a pendergli dalle labbra e i gomiti tirati all'indietro per trovare poggio sul bancone. E per quanto s'ostinasse a negarlo a parole, era chiaro che stesse bruciando. Se di rabbia o di interesse, si disse Manuel, non erano più affari suoi. In quel momento il suo unico scopo era quello di dimostrargli cosa esattamente avesse rifiutato. Sicuramente un comportamento poco maturo ma in compenso estremamente... soddisfacente. Ancor di più quando lo vide assottigliare le palpebre e scuotere quasi impercettibilmente il capo in un giudizio scevro di ragioni valide. Fu l'ennesimo incentivo a fare di più, così sollevò il braccio, per cercare a tentoni il retro del collo di quel ragazzo senza nome. Reclinò il capo, per invitarlo a scendere con la bocca lungo la linea della gola e quello, docile, lo baciò con ubbidienza strappandogli l'ennesimo ansito divertito che Manuel decise di rendere espressivamente plateale per indirizzarlo a Simone.
In quel momento esatto la musica cambiò
e con essa anche lo stato d'animo dei paganti in pista. Le prime note di "What is love" invasero l'intero locale e Manuel seguì il coro con il labiale baby, don't hurt me, don't hurt me no more, palesando una spensieratezza del tutto in contrasto col suo reale stato d'animo.
Il malcontento s'andò ad intensificare quando Simone venne raggiunto da Aureliano e Matteo, che in parte finirono per distrarlo.
Manuel detestò profondamente il modo in cui le sue iridi presero ad altalenare fra lui e gli amici. E detestò sé stesso, nel rendersi conto di non aver alcun interesse a mandare avanti quel siparietto senza la piena considerazione di Simone Balestra.
Eppure il ragazzo dietro di lui era una distrazione perfetta: attraente e ben disposto, nonché evidentemente alla ricerca d'una avventura destinata a morire con l'alba. Tutto ciò di cui aveva bisogno per smettere di pensare a lui, lui, lui...
Ricacciò indietro un ringhio di frustrazione, lasciandosi maneggiare e rigirare come una bambola. Gli prese il viso tra le mani quando lo ebbe nuovamente di fronte, e lo attirò a sé per baciarlo.
Si staccò solo per un istante, quasi costretto da una forza indomita, per voltarsi e accertarsi che Simone fosse ancora lì. Che non si fosse perso lo spettacolo. Il compagno di ballo gliene diede a malapena il tempo, prendendolo per il mento per girargli il volto. Le labbra del ragazzo si spostarono sul suo orecchio, e Manuel si costrinse a lasciarsi andare, chiudendo gli occhi solo per un istante, e inducendolo nel mentre a voltarsi. Voleva avere lui in traiettoria del proprio sguardo. Quando li riaprì, era ancora li, fermo come una statua con la mascella serrata. Ed ecco il sunto di tutte le sue accuse: Simone lo rifiutava, ma nemmeno ci provava a togliergli gli occhi di dosso.
Baciò di nuovo lo sconosciuto, questa volta con un'intensità studiata, quasi teatrale. «Me chiamo Gioele.» Gli sussurrò sulla bocca, e Manuel trattenne il fiato per un solo istante prima di piegare le labbra verso l'alto.
Azzerò ancora, lasciando che la sua risposta morisse in quello schiocco: «Nun me ne frega 'n cazzo.»
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