Ognissanti - Polaroid
La sua chiamata a Chicca per invitarla a passare assieme 31 ottobre, appena un paio di giorni prima, sancì inevitabilmente la rottura del loro patto. E Manuel, contro ogni aspettativa, se ne sentì sollevato.
L'amica gli aveva scritto la sera stessa, poco dopo il rientro a Roma, per chiedergli come stesse. E poi di nuovo la mattina seguente, allegando al messaggio uno screenshot del profilo Instagram di Simone. Vide se stesso riflesso nello schermo, con un'espressione a malapena corrucciata, che guardava dritto in direzione dell'obbiettivo.
In prima istanza rimase interdetto, poi pizzicò con pollice e indice sulla fotografia per ingrandirla e studiarla nei dettagli. Sei bello da togliere il fiato, gli aveva detto prima di rubargli quello scatto che poi, a dispetto d'ogni previsione, aveva postato in un carosello che lui, non seguendolo, non aveva modo di sfogliare. Come poteva rispettare l'intento di toglierselo definitivamente dalla testa, prefissatosi meno di ventiquattro prima, se lui continuava a comportarsi in maniera tanto ambigua?
Quindi vi siete chiariti? Recitava il messaggio di Chicca, con tanto di cuoricino a chiusura della domanda. Manuel non aveva avuto neanche il tempo di rifilarle una risposta, che lei s'era già premurata di aggiungerne un secondo: Ufficiale che te e le zucche gli piacete più del ragazzo suo comunque.
«Manuel, sei pronto? - Sobbalzò, quando sua madre s'affacciò in salone dal corridoio. - Ce stiamo sempre e solo io e te qua dentro, eh! - lo prese in giro, dopo un primo momento di smarrimento. Si lasciò accarezzare i capelli da Anita, nascondendo lo schermo del cellulare contro il petto. - Vogliamo andare? Nun c'ho voglia di rimanere imbottigliata nel traffico.» Annuì, dirigendosi verso la porta, per poi fermarsi con la mano stretta attorno alla maniglia. Ripercorse a ritroso e alla svelta i propri passi, tornando in camera sua per recuperare la chitarra abbandonata ai piedi del letto. La imbracciò, e si rituffò in salotto con i pugni serrati attorno ai manici di stoffa.
«Pronto.» Confermò, distogliendo lo sguardo al cipiglio interrogativo della donna che poi piegò le labbra all'ingiù e spalancò l'ingresso.
«Non te la porti mai da Gloria.» Commentò, e Manuel lasciò che quella frase restasse un pensiero a voce alta perché risponderle avrebbe significato rimuginare a propria volta sul vero movente che l'aveva spinto ad armarsi del suo strumento, nonostante fossero diretti in un appartamento dov'era sconsigliato fare troppo rumore.
Quando salirono in auto e sua madre mise in moto, si premurò di digitare velocemente una risposta a Chicca: Non farti strane idee, è solo una tregua.
...
A casa di Matteo c'arrivarono per primi e fu Gloria ad accoglierli nell'ampio salotto dell'appartamento al sesto piano. La tavola era già apparecchiata al centro della stanza e lei, con un grembiule indosso e una fascetta tra i capelli per tenere i ricci dietro le orecchie, non perse tempo a trascinarsi Anita dietro per un braccio. «C'ho un figlio inutile! - Fu il lamento con cui accolse entrambi e sua madre non mancò di indirizzarle uno sguardo colmo di una comprensione che fece storcere il naso di Manuel. - L'ho già chiamato tre volte, secondo te s'è degnato di venire a darmi una mano?»
Anita si sfilò la giacca per rimboccarsi le maniche, voltandosi in direzione del figlio giusto per un istante, prima di seguirla in cucina. «Vallo a chiamare. - fu l'ordine che gli impartì, scomparendo oltre la porta a scrigno. - E non perderti pure te!» Urlò, quando Manuel attraversò il corridoio e virò sulla destra per raggiungere la stanza dell'amico. La porta era socchiusa, così si premurò di colpirla un paio di volte con le nocche, prima d'introdursi all'interno. Matteo non si voltò a guardarlo, gli occhi cerulei puntati sulla televisione e le gambe incrociate sulla trapunta di Spiderman che vestiva il letto al centro della stanza.
«Oh. - Non rispose nemmeno a quel richiamo, non a parole almeno. - Tu' madre a momenti sbrocca.» S'allungò invece in avanti, verso la console, per recuperare il secondo controller che tese poi nella sua direzione.
«Famo un derby Roma-Lazio?» E Manuel dovette guardarsi alla spalle e affinare l'udito per capire se le donne fossero realmente in difficoltà o semplicemente in vena delle solite lamentele esagerate ai danni della rispettiva prole. Quando le sentì sghignazzare soffusamente, sfilò la custodia della chitarra dalle spalle per adagiarla all'anta dell'armadio, e raggiunse in un paio di falcate l'amico.
«'A Lazio tocca a te a 'sto giro.» Gli ricordò, prima d'accettare il guanto di sfida e sedersi per terra, con la schiena a poggiare contro i piedi del letto.
«In pratica me tocca fa er tifo pe' te. - Borbottò tra se e se, strappando a Manuel un sorriso che però si apprestò a nascondergli. Non voleva fosse così chiaro quanto l'apprensione l'avesse tenuto sveglio tutta la notte a convincerlo che il comportamento del giorno precedente avesse rovinato ogni cosa. - Me spieghi che stai combinando co' Simone? - Glielo chiese dopo pochi minuti dal calcio d'inizio, proprio mentre i calciatoti virtuali gestiti da Manuel stavano giocando in zona di difesa. Bastò quel quesito a farlo deconcentrare, finendo per far assestare a Matteo il primo gol della partita. Si voltò di scatto, a fulminarlo con gli occhi per quel tiro mancino. E l'amico piegò la bocca verso il basso, con noncuranza. - In guerra tutto è lecito, no?»
Scosse il capo, per tornare allo schermo. «Non ci combino niente, avemo chiarito e ho ufficialmente deposto le armi.» Avvertì una risatina bassa carezzargli la nuca, colma di quel sarcasmo che Matteo esternava quando non credeva ad una sola parola di ciò che diceva.
«E quella foto te l'ha scattata prima o dopo er chiarimento? - Manuel non gli rispose, ché farlo avrebbe unicamente sottolineato il fatto che fosse stata Chicca ad informarlo del post di Simone. E un po' era ancora timoroso che il ragazzo, apparentemente sereno quel giorno, potesse pensar male circa il loro rapporto. Avrebbero dovuto chiarire per bene, quella situazione, e riformulare i termini dell'accordo, anche. - Pure sta felpetta, - lo sentì smuoversi alle sue spalle, per sistemarsi a pancia sotto sul letto. Le dita di Matteo giocherellarono col cappuccio in ottanio per un breve lasso di tempo, prima di sollevarglielo sui capelli e assestargli un ceffone contro il retro del collo. - Un po' pretenziosa, me pare! Tu madre 'n te dice niente? - In realtà Anita lo guardava male ogni qualvolta decideva d'indossarla, sostenendo che solo un cafone poteva andare in giro con la scritta big dick is back in town sulla schiena. E lui di rimando replicava, sapendo di mentire ma comunque con convinzione, che nessuno si fermava realmente a leggere una stampa, a prescindere dalla grandezza della suddetta. A maggior ragione se la dicitura era in inglese. - Immagino faccia parte delle armi che dici di aver deposto.»
«Piantala. - riuscì a rispondere, con tanto d'aria scocciata, senza aggiungere altro, perché affermare di non aver compiuto una scelta ponderata all'occasione sarebbe suonato fin troppo falso. - Te piuttosto quando te decidi a chiedere a Chicca di uscire?» Fu la domanda di rimando, che gli rivolse durante l'assist che finì per valergli un gol e pareggiare i conti.
Gli arrivò un altro schiaffo che questa volta riuscì a prevedere e a schivare, più uno «Stronzo!» accusatorio a cui Manuel rise di gusto.
«Guarda che sta aspettando solo che te svegli, nun farla fa' troppo vecchia, pe' carità!» Continuò con la presa giro, la partita messa in pausa e il busto in torsione per indirizzargli un'occhiata esageratamente smaliziata.
Stava parando l'ennesimo colpo giocoso, quando la voce dell'amica fece sobbalzare entrambi sul posto. «Chi è che se fa' vecchia?» Aveva spalancato la porta, con le braccia incrociate al petto e le labbra piegate verso l'alto in un sorriso colmo di sollievo. E Simone, che la superava in altezza almeno d'una testa, se ne stava a rimirare la scena lì di fianco, in un silenzio privo d'imbarazzo.
«'A prostata de Manuel.» Fu la replica fulminea dell'amico, che venne ricambiata nell'immediato da un assalto dal basso da parte dell'accusato.
Lo spinse per le spalle, facendolo cadere di schiena sul materasso. «Sei 'n cazzaro!» E ridevano, ridevano entrambi e di conseguenza rideva anche Chicca.
«Quantomeno nun me vanto d'esse' 'n cazzone!» E Manuel sollevò il pugno chiuso, nell'imitazione d'un buffo che non trovò mai compimento sul volto del ragazzo.
Sentì Chicca sospirare teatralmente, come era solita fare quando decideva di voler prendere le distanze dai loro modi che amava definire infantili. «Questa è la sala giochi. - spiegò a Simone, pratica come una guida turistica al museo. - Quando ce se vole sbarazzà dei bimbetti, si lasciano qui nella speranza di ritrovarli con tutti gli arti al posto giusto. Certo, se corre qualche rischio, ma se va tutto liscio t'assicuri 'na giornata de relax.»
«Ao e nun mortificacce!» L'esclamazione fintamente offesa di Manuel, inevitabilmente, attrasse gli occhi di Simone che puntarono prima su Matteo, poi su di lui con curiosità. Prese un breve respiro, si sollevò con le ginocchia sul materasso e alzò la mano per tirare via i capelli dalla fronte, mimando nel mentre un cenno di saluto col mento che il corvino ricambiò aggiungendovi un breve risolino. E provò con tutto se stesso a non concentrarsi su quanto fosse attraente, ora che per la prima volta lo vedeva in abiti casual. Era assurdo che una persona potesse indossare con una tale nonchalance un paio di pantaloni in cotone ,adatti più a una palestra che a un pranzo per il giorno dei Santi. Non era minimamente fuori luogo. Non che le "feste comandate" avessero un dress-code, ma Manuel non si sarebbe mai sognato di parteciparvi in tuta a meno che fosse stata prestabilita un'uscita in campagna come quelle primaverili.
«Simò, faccio 'n attimo fori a sta pippa così te passa er joystick!» Fu il saluto di Matteo, e Manuel osservò il più alto addentrarsi nella stanza per prender posto sulla sedia girevole accanto alla scrivania. Era chiaro fosse stato in quella casa recentemente, si muoveva negli ambienti quasi con più naturalezza di Manuel e Chicca. Dovette concentrarsi per nascondere il fastidio che avvertì alla bocca dello stomaco, a seguito di quella realizzazione. Nemmeno riusciva a comprendere cosa esattamente gli desse fastidio. Forse il fatto che Simone pareva in procinto di prendere il suo posto nella comitiva, ora che frequentava Matteo assiduamente. O magari l'invidia, perché in cuor suo desiderava ardentemente sostituirsi al suo amico d'infanzia e passare lui in compagnia di Simone tutto quel tempo. Immaginò per un solo istante come potesse essere vederlo girare con la medesima naturalezza per la sua di stanza e quel fastidio finì per risalirgli al centro del petto e tramutarsi in un battito sordo.
Simone fece un segno di diniego con le mani. «Io del calcio non conosco manco le regole, - disse invece, agguantando il cellulare dalla tasca della felpa per scivolare più in basso contro lo schienale e dondolarsi da destra a sinistra e viceversa. - giocate voi.» E Manuel se ne stette a guardarlo, passando lo sguardo sui piedi ben piantati al pavimento e risalendo lungo le ginocchia piegate ad angolo. Proprio come quella sera in discoteca, s'era inavvertitamente portato la collanina alla bocca, per mordicchiarne distrattamente la medaglietta. Si rese conto d'avere le labbra schiuse solo nel momento in cui Matteo gli diede un buffetto sotto il mento, facendogli battere i denti.
«Acchiappamosche!» Lo sbeffeggiò, e questa volta Manuel non si risparmiò dal colpirgli una spalla, dopo essersi assicurato che Simone fosse effettivamente troppo distratto dal cellulare per prestare loro reale attenzione. E chissà, magari stava scrivendo proprio al suo ragazzo. Era un bel ponte quello lì, possibile avessero deciso di passarlo separati?
Si domandava di cosa parlassero, quali fossero gli interessi comuni che li avevano spinti non solo ad intraprendere una relazione, ma pure a decidere di mandarla avanti nonostante la distanza.
«A me non chiedi di giocare perché sei un sessista o solo perché c'hai paura de perde'?» S'intromise Chicca, accomodandosi sul letto per rubare il joystick di Manuel e sollevarlo in direzione di Matteo, agitandolo appena.
E a quel punto, il suo amico perse qualsivoglia interesse nei suoi riguardi. L'attenzione del tutto calamitata dal sopracciglio inarcato della ragazza. «Sentito Manuelì? - una domanda che sapeva non fosse rivolta realmente a lui, così si limitò a scuotere il capo con una rassegnazione divertita. - 'A contessina me sta a sfidà.»
Chicca fece schioccare la lingua contro il palato, prima di sistemarsi meglio sul letto, prendendo il controllo della squadra fino a quel momento gestita da Manuel. «'A contessina te fa er culo.» E Manuel li lasciò fare, alzandosi in piedi per recuperare dalla tasca anteriore della custodia nera una busta di tabacco.
Fece il giro del letto, per raggiungere il balcone che affacciava sul cortile interno del parco in cui abitavano Matteo e Gloria. E quando la portafinestra fu aperta, si voltò. Non era veramente intenzionato a farlo, solo che quando vide gli occhi di Simone puntati sulla sua figura e quel sorrisetto saputo a malapena trattenuto, non poté evitare di sollevare il trinciato all'altezza del viso. Una domanda implicita, quella di essere seguito, che Simone accolse rimettendosi a sedere dritto. Lo osservò rinsaccare l'Iphone e passare davanti alla tv, guadagnandosi un impropero distratto da parte di Matteo, per giungergli di fronte. Slittarono in silenzio all'esterno e, quando il più alto si chiuse la porta alle spalle, Manuel tirò fuori dalla tasca l'astuccio delle cartine.
Stava per chiedergli se fosse capace di chiudersi da solo una sigaretta, ma quello l'anticipò agguantandone una con ancora quel ghignetto enigmatico a calcarne i lineamenti. «Carina la felpa. - lo colse alla sprovvista, causandogli un colpo di tosse che tentò di camuffare con una risata. - Se pure veritiera, poi, andrebbe verificato - Rimase a bocca schiusa e Simone approfittò del suo stupore per strappargli l'astuccio di tabacco dalle mani, tenendo nel mentre il filtro stretto tra le labbra. Lo fissò, immobile, mentre girava il drum con una naturalezza tale da rendere ovvio che vi fosse abituato. Sollevò le spalle, con un sbuffetto divertito dal naso. - Metodo scientifico.» Si giustificò, per poi passare la punta della lingua lungo la striscia adesiva e chiudere la sigaretta con una piega fluida.
Gliel'allungò, tenendola stratta tra indice e pollice per la base, e Manuel ci mise qualche istante per formulare una frase di senso compiuto che non lo facesse risultare un completo idiota. «T'assicuro che è stato già ampiamente applicato.» Biascicò con la gola secca, accettando l'offerta per il solo gusto di vedergli compiere i medesimi gesti una seconda volta. Avrebbe potuto aggiungere che a prescindere non sarebbero stati affari suoi, ma un po' temeva d'essere risposto a tono e un po'... temeva il contrario. Simone era rientrato da tre mesi a Roma, in totale s'erano visti cinque volte, e lui ancora non era riuscito ad inquadrare che tipo di persona fosse. A giorni alterni, quelli buoni in cui non desiderava circondargli il collo con entrambe le mani, sperava di scoprirlo. E quello era decisamente un giorno buono, in cui si sentiva più affascinato che irritato.
«Dov'è che le compri?» S'informò, cambiando abilmente discorso.
E Manuel gliene fu grato. Allungò una mano per dar fuoco all'estremità esterna della sigaretta che s'era infilato tra le labbra, poi accese anche la sua. «Uno che ho conosciuto in facoltà c'ha un brand, le grafiche le crea lui. In genere so' standardizzate, ma volendo fa pure lavori su commissione.» Spiegò, osservando Simone annuire nel mezzo d'una boccata.
«E questa...?»
«Commissione. Come pure il crop che c'avevano in discoteca. - e poté giurare, in quel preciso momento, d'aver intravisto le sue pupille dilatarsi al ricordo. - Però alla fine le ha messe entrambe in collezione, pare che su Instagram siano andate un botto per via, sai, delle foto.»
Simone parve illuminarsi, ma mantenne comunque una certa compostezza nel domandargli: «Gli hai fatto da modello?»
«Te pare che c'ho la faccia pe' fa er modello? - Manuel s'apprestò a far cenno di no con la testa. - Se l'avessi fatto non le avrei pagate fior de quattrini. - precisò, sbuffando il fumo che finì per carezzargli le guance. - Però quando ho messo entrambe per la prima volta ho caricato dei post e taggato la sua pagina. Le ha ricondivise e so' annate forte.» Spiegò, distogliendo lo sguardo dalle sue labbra per poggiarsi con i gomiti sul parapetto scorticato dal troppo sole.
Simone lo imitò, e Manuel lasciò che le loro braccia si sfiorassero, ignorando sia l'istinto di ritrarsi, sia quello di farglisi più vicino. «Non fatico a immaginarlo. - mormorò, facendogli sbuffare una risatina di fumo che si bloccò nell'esatto istante in cui aggiunse. - Posso vederle?»
«Perché?»
«Per capire se ti rendono giustizia.»
Ci pensò su per un istante, combattuto tra il desiderio di estrarre il cellulare dalla tasca destra dei jeans per pavoneggiarsi e la voglia di rispondergli a tono per scoprirne le reazioni. Alla fine optò per la seconda, con un'alzata di spalle. «Sono online, puoi vederle quando vuoi. - E in quel quando vuoi sottintese, riuscendo abilmente a celare la perizia dietro un tono casuale, che avrebbe dovuto cominciare a seguirlo sui social per visionarle. Simone ridacchiò, a sottolineare che avesse colto al volo l'accusa sottile che gli aveva appena mosso. Matteo e Chicca sì, io no? Si lasciò andare ad un sospiro, senza rancore questa volta, ma colmo di interrogativi che non si prese il cruccio di occultare. - Altrimenti te fai bastà quelle che scatti senza permesso.»
Fu impareggiabile, quasi umana per quanto colpevole, l'espressione che mise su l'altro. «L'hai vista, non è vero?» Manuel si rese conto solo in quel momento di quanto realmente idealizzasse quel ragazzo, forse addirittura più delle loro mamme. Vedere quella punta di difficoltà impedirgli di tenere gli occhi sollevati, fu inebriante.
«L'hai messa online.»
«Tu non mi segui.»
«Però te segue Chicca.» Forse quell'ammissione fu il suo unico passo falso, che lo spodestò inevitabilmente dal dominio della conversazione.
«Quindi stai ammettendo di spiarmi?» Eppure quella domanda da parte di Simone, per quanto atta a ribaltare i rispettivi stati d'animo, non riuscì a scalfirlo quanto evidentemente auspicato.
Manuel giocherellò con lo stick di tabacco, fumato a metà e rimase zitto per un po'. «Sei strano. - asserì poi, anziché rispondergli. - Perché l'hai fatto?»
«Mi piace condividere le cose belle. - avvertì un brivido risalirgli lungo la colonna vertebrale per trovare appiglio alla nuca. - Sei turbato? Posso eliminarl-»
«Non sono turbato. - lo interruppe, sollevando il mento per poterlo guardare. - Solo che me stranisce un botto tutto quello che dici e che fai.»
«Comprensibile, a tratti nemmeno io mi capisco.» Ammise, rilassando le spalle e lasciandosi dare una spallata giocosa da Manuel.
«Ah menomale! - ridacchiò nervosamente e Simone sorrise ancora lasciando di nuovo che il silenzio saturasse l'aria. Fu quando la voce Anna arrivò ovattata dall'interno, pregandoli di raggiungere lei e le altre donne per dare una mano, che Manuel si permise di toccarlo in maniera diretta. Lo tenne per la stoffa della felpa, impedendogli di eseguire il comando. Quando si voltò a guardarlo, col sopracciglio inarcato, Manuel sollevò le iridi, a indicare una scaletta a chiocciola sul fondo del balcone. - Vuoi vedere come ce la svignavamo io e gli altri di solito?» Gli domandò, rifilandogli un tono cospiratorio. Non attese una risposta, lo lasciò semplicemente andare, un'ultima occhiata eloquente, e s'avviò per primo. Non si voltò per constatare se lo stesse seguendo, ma finì comunque per mordersi il labbro inferiore, vittorioso nell'udire lo stridio del ferro battuto sollecitato dal peso del suo corpo.
«Quanto è norma questa cosa?» La domanda di Simone arrivò nell'esatto momento in cui mise piede sulla pavimentazione irregolare e mangiata dai raggi ultravioletti della terrazza che sormontava il palazzo.
«Per niente. - esclamò, tendendo poi una mano nella sua direzione per aiutarlo a superare l'ultimo gradino, un po' più traballante degli altri, e il muretto. E quando se lo tirò dietro, tenendo le cosce ben salde al suolo, si ritrovò ad un soffio dal suo corpo. Il respiro di Simone gli s'infranse in volto, con un tremito, gli occhi aperti nei suoi. - Ed è questo che la rende perfetta. - aggiunse in un sussurro, carezzandogli il centro del palmo con il medio prima di lasciarlo andare e indietreggiare. - Teoricamente non si potrebbe salire, solo che gli inquilini dell'ultimo piano se so tipo accordati e... - aprì un braccio, per mostrargli i fili che correvano da una parte all'altra, dai quali sventolavano vestiti e lenzuola bianche. - ce vengono a stendere le lavatrici. - Passeggiò tra i tendaggi, lasciandosi investire dal profumo dell'ammorbidente. - Ovviamente quelli di sotto nun sanno niente. Sai quanto ce mettevano a fa l'infami, sennò?»
«È assurdo... - e mai la parola assurdo gli era sembrata così vicina alla parola bellissimo. Simone era incantato, quasi quella distesa d'indumenti freschi di bucato fosse un'opera d'arte dal valore inestimabile. E di riflesso, Manuel era incantato da lui. - Quindi ti nascondevi qui sopra con Chicca e Matteo per evitare di apparecchiare la tavola?»
Puntò un indice nella sua direzione, fingendo supponenza. «Anche per evitare di preparare gli aperitivi.» Lo corresse e quando sentì l'unico della stoffa sfiorargli i capelli, face uno scatto all'indietro, per nascondersi dietro il primo corridoio frusciante. La risatina di Simone, questa volta, riuscì solo a sentirla, seguitata dai suoi passi diretti nella medesima direzione che stava compiendo a sua volta.
«E mi stai dicendo che non vi ho mai beccati?» Gli piaceva il modo in cui sussurrava. Gli piaceva che lo facesse con lui più che con gli altri, quasi sentisse il bisogno di scambiarsi confidenze, per quanto futili.
Manuel reclinò il capo, gli occhi a puntare verso il cielo incredibilmente blu di quella tarda mattinata di inizio novembre. «C'avevi paura dell'altezza, no?»
Simone si fermò di colpo, i suoi passi sul pavimento ruvido interrotti da un silenzio improvviso. Manuel non poté fare a meno di notare la sagoma della sua mano contro una delle lenzuola bianche. Le dita si allargarono leggermente, lasciando che il tessuto si tendesse in un'ombra sottile, traslucida, che delineava ogni movimento. «Te lo ricordi?» Lo stupore nella sua voce giunse come una carezza.
«Come ce se scorda d'un piagnucolone pieno de moccio che strepita de continuo?» Neanche un velo di cattiveria nelle sue parole, che gli vennero fuori pregne d'una docilità disarmante per se stesso in primis. S'avvicinò ancora, il lenzuolo ad oscillare tra loro i loro corpi, nascondendo l'uno alla vista dell'altro. Poi sollevò a propria volta il palmo destro adagiandolo in corrispondenza di quello di Simone. Fece congiungere le loro dita e per un solo istante parve fermarsi finanche il vento. Un contatto effimero, che ebbe comunque l'innaturale potere di lasciarlo senza fiato e col cuore a galoppargli in petto.
Simone non disse nulla, e Manuel lo immaginò dall'altra parte del telo con gli occhi chiusi o lo sguardo altrove. Quando la sua voce arrivò, però, risultò calma, troppo: «Ricordo anche io, - e strinse a malapena le falangi, lasciando che il tessuto scivolasse tra gli incavi di quel contatto. - ricordo un sacco di cose.» Sarebbe stato quasi romantico, se solo quella sottile barriera non gli fosse sembrata la perfetta sintesi dei vincoli che gli impedivano di averlo, d'aversi per davvero.
«'Nfami! - la voce di Matteo arrivò assieme ad una folta di vento, e assieme ebbero il potere d'infrangere la tensione. Manuel rabbrividì, lasciando che uno sbuffò gli si levasse dalle labbra. - Volete scenne'? Se magna!»
«Arriviamo!» Quando infine Simone si mosse, ritirando la mano, il tessuto oscillò, e lui ne sentì la perdita come un vuoto sotto i polpastrelli e al centro del petto. Aprì il tendaggio dopo pochi istanti aver sentito l'altro allontanarsi e inaspettatamente si ritrovò la telecamera del cellulare del più piccolo puntata addosso. Uno scatto, ancora prima che riuscisse a realizzare, e un ghigno pago che gli fece roteare gli occhi.
«La smetti co' sta storia?» In realtà non voleva che la smettesse. Per niente. Solo che l'orgoglio gli impediva di mettere in bella mostra l'ego gonfio dal piacere d'essere per lui un soggetto così interessante.
E quello, di tutta risposta, fece cenno di no con la testa, mentre con la soddisfazione dipinta in volto osservava la foto appena rubatagli. Manuel avanzò nella sua direzione, sporgendosi appena per poterla sbirciare, ma Simone si ritrasse immediatamente, poggiando lo schermo contro il petto. «Tanto la metto su Instagram, puoi vederla quando vuoi.» Una sfida che Manuel accolse con un lentissimo scatto alla risposta, troppo distratto dalla piega perfetta delle sue labbra verso l'alto.
Assottigliò le palpebre e lo superò, scavalcando il muretto per raggiungere la scaletta in metallo. «Scendi da solo.» Lo prese in giro, godendosi per qualche istante il terrore prender vita tra i lineamenti di quel volto perfetto.
E maligno, scese un paio di scalini per sparire alla sua vista, solo per il gusto di sentire il proprio nome pronunciato dalla voce del più alto: «Manuel! Non fare il certino, aspetta. - lo sentì avanzare di fretta finendo per dover trattenere in gola un risolino spontaneo. - Manuel!» Ripetè ancora, soddisfacendolo a sufficienza.
Ripercorse a ritroso i propri passi, per tornare nella sua visuale, e sottostò con fierezza all'occhiataccia che finì per rivolgerli. Ancora uno scalino, e allungò una mano, per dargli appiglio dal lato cieco. E Simone non solo l'afferrò all'istante, ma addirittura la strinse fino a fargli male quando posò un piede sullo scalino traballante. «Oh, gli anelli! Me fai male. - esclamò, ma non si ritrasse. E il più alto non accennò a lasciarlo andare. - Tranquillo, ti tengo. - Lo rassicurò, tentando d'emulare il tono placido con cui generalmente Simone gli si rivolgeva. - Non ti faccio cadere.»
Quello gli rivolse gli occhi, enormi come già lo erano da bambino. «Se me lo dici così allora ti credo.» E quel tono ironico gli costò un farsi indietro da parte di Manuel che lo fece incespicare in avanti.
«Sfotti? Guarda che vado via e t'a vedi te!»
«Non provare neanche a lasciarmi qui, Manuel, o giuro che—»
«O che?» lo interruppe Manuel, sollevando un sopracciglio.
Ma prima che Simone potesse rispondere, la voce di Anita, alterata li chiamò dall'intento, ben più esasperata di Matteo «Se non siete giù tra tre secondi, giuro che non pranzate! - e loro si guardarono negli occhi, scoppiando a ridere quasi in sincrono. - Anvedi questi, oh!»
...
«Che suono?»
Avevano appena finito di mangiare antipasto e primo, e l'odore di lasagna di Gloria, regina indiscussa della cucina tra le sue amiche, aleggiava ancora nell'aria. Le stoviglie erano state lasciate sul tavolo, i piatti vuoti impilati alla rinfusa, mentre Anna si era già alzata per sgranchirsi le gambe. La tavolata era stata un caos piacevole: Matteo che raccontava aneddoti improbabili, Chicca che lo zittiva a colpi di gomito, e le madri che sghignazzavano, più intente a servire vino rosso che a mangiare.
Simone, senza nemmeno pensarci, si era seduto accanto a lui una volta scesi. L'aveva fatto con naturalezza, quasi fosse scontato che quel posto toccasse a lui. E nessuno, Manuel in primis, s'era mostrato sorpreso. Aveva sentito pure Floriana sussurrare a sua madre. «Hai visto quanto so' carini quando vanno d'accordo?» e aveva finito per avvampare a capo chino.
Ora la confusione del pranzo si era dissipata, sostituita da un silenzio rilassato. Manuel aveva recuperato la chitarra e se l'era messa sulle ginocchia per prendere ad accordarla ad orecchio con gesti abituati e precisi.
«Che suono?» ripeté a voce più alta, tendendo l'orecchio mentre pizzicava una corda con delicatezza. Una domanda che in teoria voleva essere indirizzata a tutti i commensali, ma che Manuel rivolse con gli occhi puntati in quelli di Simone. Ignorò volutamente le proposte che arrivarono sia da parte delle loro mamme, sia da Matteo e Chicca, tenendo lo sguardo fisso nel suo. E per esplicare il fatto che una risposta la volesse proprio da lui, piegò il capo su un lato con un cipiglio interrogativo.
Simone si smosse solo in quel momento, trattenendo appena il fiato. «E se non conosci gli accordi?» gli domandò a voce basse, sporgendosi in direzione dello strumento.
Manuel lasciò che le sue iridi carezzassero il nylon a partire dalla cassa fino a risalire sui tasti dove già teneva premute le dita, poi recuperò il cellulare dalla tasca e glielo passò. «Mi cerchi lo spartito e la suono a braccio.»
Inarcò un sopracciglio, scettico. «Sei capace?»
La domanda, un po' titubante, lo fece scoppiare a ridere. Sollevò un piede, per tirargli un calcio debole allo stico. «Ma vattene, va'! - Simone fece un cenno poco convinto col volto, per quanto divertito, e accettò il cellulare nascondendo lo schermo alla sua vista. Lo vide temporeggiare. Poi digitare. Poi temporeggiare ancora, con le palpebre sottili. E infine digitare di nuovo. Posizionò lo smartphone sul tavolo e Manuel si sporse, scorrendo lo spartito recuperato dal web avanti e indietro. - Te la faccio a occhi chiusi questa.»
«Buffone!» Rivolse a Matteo un terzo dito e sottostò per un istante alle ingiurie di sua madre, poi maneggiò il capotasto, e lasciò che le prime note di Polaroid di Carl Brave e Franco126 risuonassero nella stanza e zittissero tutti gli altri.
«Oh, la canti con me eh! - e quell'avvisaglia lasciò Simone interdetto, forse pure un po' imbarazzato viste le gote improvvisamente più rosa. Così, colto da un moto di magnanimità, guardò Chicca e Matteo. - Pure voi— E tu sorridi sempre ma si vede che t'annoi, noi che veniamo male su tutte le polaroid. - Rise tra una parola e l'altra, nel vedere l'amico incespicare col cellulare per ricercare alla svelta il testo della canzone. - E t'ho portato pure a cena fuori con i tuoi, - Chicca invece lo seguì subito, a memoria. - ma tanto finisce tutto prima o poi.»
«Di ieri sera ho fatto tabula rasa» S'illuminò nel sentire la voce di Simone, melodica seppur bassa. E suo malgrado si ritrovò a ridere di gusto, all'applauso naturale che partì da Anna per diramarsi a catena tra gli altri commensali. Minimo sforzo, massima resa. Come al solito.
Si sporse con la chitarra nella sua direzione, continuando la strofa al posto suo. «Scendo a buttare il pattume sotto casa»
Parve rilassarsi, nonostante l'imbarazzante fischio d'incoraggiamento a cui si lasciò andare Chicca. «Nel taschino mezzo biglietto dell'Atac e qualcuno sopra il muro ha scritto ACAB»
«Così me rubi la scena oh! - lo prese in giro, senza smettere di far girare gli accordi. - ...tanto torna tutto apposto, - poi indicò Matteo con il manico della chitarra e con un cenno del mento. - il mio amico che sta cotto mi chiede se accosto.»
«Ti odio. - paradossalmente poco credibile. - ...soldo ti accollo col 4088 e mia madre mi sembra invecchiata tutto a un botto.»
Ho i vestiti sparpagliati e i ricordi strappati
Mi cerco due calzini uguali tra quelli spaiati
In foto abbiamo gli occhi rossi e siamo tutti mossi
Ed oggi sto in ritardo e ho preso pure tutti i rossi
Ho perso le chiavi nel tombino
Finestre appannate ci disegno con il dito
Te ne sei ita si vede che era destino
Io c'ho le labbra rosse per il vino
«Sei bravo.» Gli sussurrò, quando Chicca prese ad intonare a voce alta il ritornello per celare le storpiature di Matteo.
«Tu sei bravo.»
«Ce stai a Natale?» Perché la festa comandata successiva sarebbe stata a Santo Stefano, in genere celebrato da Chicca e Anna.
«Probabilmente resto da mio padre fino all'Epifania. - Manuel non smise di suonare, ma la canzone perse appena di intensità. Non voleva palesare la sua delusione, eppure il pensiero che tornare a Napoli per lui avrebbe significato anche passare le feste assieme a quel tipo, gli fece inevitabilmente calare le palpebre. - Possiamo vederci prima però. - Lo fissò di nuovo, con rinnovata curiosità. - Dico a Matteo di organizzarci, magari vengono pure Laura e Luna. E l'altro amico vostro, come si chiama...?» Ovviamente parlava di incontrarsi tutti insieme. Non loro due da soli. E lui c'aveva sperato per davvero.
«Aureliano. - continuò al suo posto, per poi annuire. - Ci può stare. Magari così quelli se danno na spicciata.» Un'indicazione impercettibile rivolta a Matteo e Chicca, ora presi a battibeccare per la scelta del brano seguente da far suonare a Manuel.
«Matteo ci sta proprio sotto.» ridacchiò pianissimo, coinvolgendolo in una risata che gli venne fuori un po' più debole.
«Allora siamo d'accordo?»
«Lo siamo.»
...
Manuel era steso sul letto, le lenzuola scomposte intorno alle gambe, la stanza immersa nel buio spezzato solo dalla luce fioca del lampione fuori dalla finestra. Il suono lontano del traffico notturno accompagnava il suo respiro lento, eppure il sonno pareva tardare ad arrivare per dargli pace. Era in quel limbo sospeso tra veglia e sogno, quello in cui i pensieri sembrano prendere il sopravvento e il corpo è troppo stanco per opporre resistenza.
Pensava a Simone. Ancora.
Non riusciva a evitarlo, e neppure a darsi pace. La giornata era stata... perfetta, a modo suo.
I battibecchi, le risate, quella sintonia che sembrava rinascere ogni volta che stavano vicini, come se i loro screzi passati e recenti non avessero mai avuto davvero il peso che Manuel si ostinava a dargli. E poi c'era quel modo di Simone di comportarsi, sempre sul filo del rasoio, tra il serio e lo scherzoso, tra il lecito e qualcosa che andava oltre.
Non posso... Quelle parole ronzavano nella sua testa da settimane, ripetute come un mantra, ma stridevano con tutto il resto. Con i sorrisi accennati, le attenzioni mai richieste, quella vicinanza che Simone cercava quasi istintivamente.
Eppure, era fidanzato. Chissà da quanto, poi.
Manuel si era ripetuto mille volte che non c'era spazio per altro, che doveva mettere un freno a quella stupida attrazione. Ma come poteva fare, quando l'oggetto dei suoi desideri si comportava come se volesse spingerlo nella direzione diametralmente opposta?
Era accorto, sempre. Troppo accorto. Flirtava, forse senza neanche rendersene conto, e ogni piccolo gesto, ogni sguardo prolungato, ogni risata condivisa sembrava dirgli: "Prova. Fai un passo." E Manuel, per quanto cercasse di restare fermo, si sentiva trascinare sempre un po' più vicino.
Sospirò, rigirandosi sul fianco. Le mani sotto il cuscino, il volto rivolto al muro. La sua mente a ricostruire senza freni i frammenti della giornata: quel momento in cui le loro mani s'erano strette attraverso le lenzuola di chissà quale condomino del palazzo, il sorriso di Simone mentre cantava, quel momento in cui gli aveva passato il cellulare per cercare lo spartito, il suono morbido della sua voce che si univa alla sua.
Gli piaceva. Lo sapeva. E più cercava di convincersi che era sbagliato, più quegli occhi, quel sorriso, tornavano a ossessionarlo. Forse stava impazzendo. Anzi sicuramente era già andato con la testa, perché quando mai lui s'era fissato così tanto con una persona?
Stava finalmente scivolando verso il sonno, quando un bip secco lo fece sobbalzare. La luce dello schermo del cellulare illuminò la stanza. Allungò una mano con un grugnito, certo che a quell'ora gli unici capaci di scrivergli fossero o Luna o Aureliano.
Il cuore gli si arrestò in petto quando vide il nome ad accompagnare la notifica di whatsapp: Simone Balestra.
Aprì il messaggio senza neanche pensarci, dando solo un veloce sguardo alla fotografia che gli aveva inoltrato.
"perché ho il tuo numero salvato in rubrica?"
Rimase a fissare la chat, guardando i tre punti in sul fondo sparire e ricomparire.
"Potrei averlo salvato quando mi hai dato il cellulare"
Scosse il capo, senza parole.
"e te come fai ad avere il mio?"
"Potrei averlo chiesto a Matteo." Si lasciò ricadere tra le lenzuola, il cellulare ad un soffio dal viso che vibrò nuovamente. "Stai molto bene in questa foto, ho pensato volessi postarla." Ed effettivamente quella foto era veramente... bella. C'aveva perso pure tempo a modificarla, lo capì dalla saturazione dei colori che incredibilmente s'abbinavano alla perfezione col suo feed.
"guarda che non ti pago è inutile che continui a fare ste foto"
Tamburellò nervosamente con le dita contro lo schermo, restando in attesa, ora con gli occhi assurdamente sbarrati. Tutto il sonno dissipato da un paio di righe e uno scatto ben fatto.
"Lo faccio perché mi piace fotografare le cose belle, non per essere pagato. Te l'ho già detto." Di nuovo. Adesso l'aveva messo pure per iscritto, così che Manuel non potesse aggrapparsi alla speranza d'essersi sognato quell'adulazione. E scioccamente, invece di chiudere tutto ed eliminare il messaggio per evitare di creare ennesimi castelli in aria, si ritrovò a stellinare quella frase, così da averla sempre a portata di mano. "La prossima volta te ne faccio una mentre suoni." Aggiunse anche, e lui si ritrovò come un coglione a premere il volto nel cuscino per nascondersi, neanche ce l'avesse ad un passo.
Oh, l'avesse avuto vicino, in realtà, nascondersi sarebbe stato probabilmente l'ultimo dei suoi pensieri. Avrebbe fatto in modo che lo vedesse, ancor più di quanto professava di fare quando gli rubava quegli scatti a tradimento.
Voleva rivederlo. E di certo non avrebbe aspettato il nuovo anno per farlo. L'indomani avrebbe scritto a Chicca affinché organizzasse quella maledetta uscita. Se il prezzo da pagare per stare in sua compagnia era quello d'accollarsi tutti gli altri, allora si sarebbe detto disponibile finanche ad organizzare un party nel suo trilocale.
"Vado a dormire. Buonanotte Manu"
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