Ferragosto - Cosa mi manchi a fare

«'N te scordà er tiramisù!» Doveva essere la terza volta che sua madre lo redarguiva al riguardo, permettendosi pure di rivolgergli occhiatacce di traverso a ogni passaggio svelto da una stanza all'altra del loro minuscolo appartamento.

Neanche fosse lui quello in ritardo, con ancora le ciabatte ai piedi e i capelli scarmigliati dal cotone troppo ispido della federa.

Mai come quella mattina di ferragosto s'era svegliato presto, con le prime luci dell'alba a baciargli il viso, complice la nausea che gli aveva dato il tormento per tutta la notte e la seguente emicrania piombatagli come un macigno direttamente sulle palpebre. Aveva dovuto buttar giù un'aspirina, fatta scendere rigorosamente con un litro d'acqua per combattere al contempo i postumi della sbornia e il calore incessante che pareva sprigionare da ogni poro del corpo. Poi s'era costretto nuovamente tra le lenzuola sfatte, a rigirarsi da una parte all'altra per trovar effimero sollievo nel lato del cuscino che fresco restava per appena una manciata di minuti.

L'intento di recuperare quantomeno un po' di sonno arretrato per affrontare la giornata - già minuziosamente programmata da settimane - senza risultare un mezzo cadavere, s'era però rivelato prevedibilmente fallimentare. Così aveva passato le restanti ore successive con gli occhi spalancati e le iridi rivolte a quella macchia di muffa che da due anni a quella parte s'era espansa dall'angolo a destra lungo l'incavo tra le pareti e il soffitto.

«L'ho già messo nella borsa frigo, ma'.» Glielo fece presente chiamando a raccolta tutta la propria pazienza, ché battibeccare con la donna, con ancora quel cerchio alla testa poi, era davvero l'ultimo dei suoi interessi.

Non era di certo così masochista, Manuel Ferro.

«E allora non dimenticare la borsa frigo! - Gli gridò dalla camera da letto, quasi ignara del fatto che suo figlio fosse in piedi, sull'uscio della porta e con la suddetta già stretta tra le mani, da circa un quarto d'ora. Occhiali da sole inforcati per celare le occhiaie, s'era pure preoccupato di pettinare la zazzera di ricci - vittima collaterale di quel venerdì sera con Luna e Aureliano all'insegna dello sfascio - al fine di rendersi presentabile; pertanto, non avendo nulla da rimproverargli seriamente, Anita Ferro ben aveva deciso di appigliarsi cocciutamente a quel me potevi pure sveglià prima, Manuel! La intravide attraversare il corridoio in penombra per un paio di volte, dal bagno alla cucina e viceversa, con i piedi a battere forte sulle assi di legno del pavimento quasi che il rumore potesse sottolinearne il disappunto. Poi si riversò in soggiorno con l'aria funesta che lui si ritrovò ad accogliere con un sospiro. - La chitarra?» Gli chiese, con la chiara speranza di cogliere in fallo una sua dimenticanza così da potersi smezzare la colpa circa l'ora che s'era fatta.

«L'ho già messa nel bagagliaio. - si premurò di rassicurarla, quanto più per zittire quel soliloquio lamentoso a cui aveva dato il via fin dal primo istante di veglia. - Statte calma, ma'. Mica semo così in ritardo.» Solo che Anita Ferro, col temperamento tanto simile al suo, detestava che le si venisse intimato di starsene buona e tranquilla.

«Te nun sei in ritardo perché 'n fai mai niente. Io invece devo dare 'na mano a Floriana e a Gloria, visto che te e Matteo siete boni solo a cazzeggiare. - Incassò, ché stupidamente la possibilità di rivolgergli quell'ennesimo biasimo gliel'aveva concessa su un piatto d'argento. Però si lasciò comunque andare ad uno sbuffo scocciato e ad un'alza d'occhi, quando la sentì riattaccare. - Tanto a voi che ve frega? Magnate, sonate du' canzoni e ve ne annate a fa 'a pennichella.»

«Ce sta pure Chicca, comunque.» Masticò a denti stretti più a se stesso che alla donna, pentendosene quasi istantaneamente.

«A differenza vostra Chicca se preoccupa almeno de fingere 'n minimo de collaborazione. Così 'n se sente Anna nelle orecchie e so' felici tutte e due. Co' te invece è 'na lotta continua. Pe' 'na volta 'a potresti pure fa scema, 'a mamma tua. - Non le rispose, se non con un lamento gutturale che lei si risparmiò di commentare, dilettandosi invece nell'ispezionare il suo volto per un brevissimo lasso di tempo. - C'hai pure 'na faccia tremenda; ma che devono pensare le amiche mie? Che c'ho 'n figlio allo sbando?» E Manuel sapeva che sua madre l'avesse sentito rientrare in casa non più d'una manciata di ore prima, come sapeva perfettamente d'aver fatto un casino infernale nel tragitto dal bagno al letto, sbattendo per ben due volte contro la cassettiera lasciata aperta prima di uscire. Quindi mentire al riguardo non avrebbe avuto alcun senso. Pure se trovava assurdo dover giustificare i propri orari a vent'anni. D'altronde era pure responsabile, ché quando beveva più del solito s'affidava allo stesso tassista abusivo che lo scorrazzava in giro dai tempi del liceo in cambio di pochi spicci. E comunque non si trattava d'un evento così ricorrente.

«Tanto finché er metro de paragone è Matteo, puoi stare serena.» La donna schioccò la lingua contro il palato, stizzita, e passò a legarsi i capelli con l'elastico che aveva al polso. Manuel s'apprestò a passarle gli occhiali che lei subito posizionò sul naso. Chiavi alla mano raccattate direttamente dallo svuota tasche sulla console all'ingresso, spalancò la porta con il proprio zaino ben imbracciato, facendo cenno al figlio di precederla.

«Prego Dio che Simone c'abbia un minimo di sale in zucca più di voi, che du' piantagrane ce bastano e c'avanzano. - borbottò, non appena fu sul pianerottolo. - Hai chiuso la finestra in cucina?» Aggiunse, prima di tirarsi dietro la maniglia.

Annuì distrattamente alla domanda, piegando poi il capo di lato. «Simone chi?» La montatura dei Ray-Ban scivolò sulla punta del naso di sua madre, rivelando un paio d'occhi tanto scettici quanto indagatori.

«Ma te sei rincretinito? - si sentì domandare, per poi assistere ad un drammatico scossone del capo. Anita lo superò, avanzando verso le scale che affacciavano sulla strada, per raggiungere la vecchia e fidata utilitaria che condividevano. - Er figlio de Floriana. Dai Manuel, quanti Simone conosci?» In realtà ne conosceva abbastanza, a partire dal salumiere in fondo alla via che, convito d'avere una chance, sollevava le sopracciglia e cominciava a sudare sulla fronte ogni qualvolta sua madre mettesse piede nel negozio, fino ad arrivare al tipo con cui era uscito un paio di volte l'anno precedente che s'era rivelato essere un borioso impudente incapace di portare avanti una conversazione di cui lui non fosse l'argomento cardine.

«Ma non stava a Napoli col padre?» Si ritrovò a chiedere con un cipiglio poco convinto, mentre seguiva il passo svelto dell'altra.

Che poi conoscere era veramente un'iperbole.

Sua madre passava gran parte della propria vita extra lavorativa in compagnia di Floriana, di Gloria e di Anna, la mamma di Chicca. Erano anni ormai che quelle quattro donne, così diverse tra loro, ma accomunate e pertanto unite dal fatto d'essere madri single, si trattavano reciprocamente come sorelle. Non v'era un sabato sera che non s'organizzassero per uscire, o per riunirsi a casa di una del gruppo al cospetto d'un calice di vino o due ad accompagnare del sano gossip rigenerante.

Manuel aveva smesso d'andar dietro sua madre con l'inizio del liceo e l'acquisizione di un minimo d'indipendenza, limitandosi ad accompagnarla solo a quelle che con Matteo e Chicca s'era divertito a rinominare come "le feste comandate". Si trattava generalmente del compleanno di una delle quattro, o ancora, proprio come quel giorno di metà agosto, d'un rosso sul calendario.

In realtà, per quanto s'ostinasse a negarlo, trovava piacevole trascorrere il proprio tempo in compagnia di quelle quattro signore che d'attempato non conoscevano neanche il termine. Matteo e Chicca pure gli piacevano, anche se la loro frequentazione si limitava a quei pochi giorni l'anno. Nei restanti, ciascuno aveva la propria comitiva a cui far fronte e la propria vita privata da mandare avanti in piena autonomia. Era un rapporto particolare, quello che li legava, confidenziale alla stregua d'un legame di sangue e condito da segreti impronunciabili che si scambiavano scevri d'ogni vergogna. Potevano passare mesi interi senza né vedersi né sentirsi con la consapevolezza che, alla successiva "festa comandata", la lontananza non ne avrebbe scalfito la natura. In definitiva, se analizzata con occhio critico, poteva affermare che fosse la relazione più sana e duratura che avesse mai instaurato con dei coetanei, caratterizzata dalla peculiarità che non fosse stressata dal solito ingente numero di pretese con cui generalmente venivano forgiati i rapporti umani.

Il figlio di Floriana, Simone, era però tutta un'altra storia.

Esattamente come loro aveva partecipato a quegli incontri, che si trattasse di rinfreschi in casa, cene al ristorante o pic-nic in campagna, fino alla fine della terza media. Poi, quando loro s'erano già guadagnati la propria indipendenza dalle rispettive madri, sancendo la tradizione delle "feste comandate", lui s'era trasferito a Napoli per iscriversi nel liceo dove insegnava suo padre. Ed era sparito, riducendosi alla stregua d'un fantasma di quel ragazzino perennemente imbronciato che guardava con sufficienza lui e gli altri neanche fossero tre imbecilli ben assortiti.

Già, perché Simone Balestra - quello era il suo cognome, e già così pareva tutto un programma -, complice il fatto che fosse più piccolo d'età, non s'era mai adattato alla volontà delle adulte, preoccupandosi di sottolineare il proprio malcontento con lagne continue, silenzi punitivi e sguardi torvi. Se giocava con Chicca e Matteo, lui si metteva in disparte a leggere; se veniva organizzato un tavolo apposito per i più piccoli, lui stava ben ancorato alla sottana di Floriana finché non veniva cambiato di posto.

Per non parlare di quel terribile e fastidiosissimo vizio che c'aveva.

Manuel, Chicca e Matteo non potevano compiere un passo falso che subito, con la sua vocina tanto acuta quanto perfidamente smaliziata, si preoccupava di fare un resoconto dettagliato alle quattro donne col sol fine di metterli nei guai. Un'antipatia che presto era diventata reciproca: più lui faceva la spia, più Manuel si premurava di fare comunella con gli altri per indispettirlo.

Pure se non ricordava mezza volta in cui si fosse visto vincitore indiscusso di una di quelle faide, ché pure nelle occasioni in cui pensava d'essere riuscito ad avere la meglio insieme ai compari, quello tirava fuori la temibilissima arma segreta che puntualmente ribaltava gli esiti delle loro sorti: un pianto lungo e disperato.

Oh, da ragazzino frignava tantissimo, Simone (per quanto ne sapeva poteva non essere cambiato nulla). E Manuel per un periodo aveva realmente creduto che fosse un solo un piagnucolone viziato senza un minimo d'orgoglio.

Poi s'era dovuto ravvedere, maturando la convinzione che quel moccioso dai boccoli neri, malgrado l'aspetto angelico e l'apparente mitezza che mandava fuori di testa le loro mamme, fosse in realtà il demonio in persona che aveva volutamente scelto lui (anche più di Chicca e Matteo) come vittima sacrificale.

Capace di carpire in anticipo le loro mosse, aveva l'innata abilità di buttar fuori litri e litri di lacrimoni per contrastarle, con tanto di labbro inferiore esposto nella più docile e vittimista delle espressione. Portar conto di quanti scappellotti gli fossero stati rifilati, accompagnati da un hai fatto piangere Simone! Che hai combinato a Simone? Vuoi lasciare in pace Simone?, era impensabile.

Vederlo fare i bagagli e andar via da Roma era stato un sollievo. Fossero stati più grandi, all'epoca, lui e gli altri avrebbero stappato una bottiglia in suo onore con l'auspicio di un a mai più rivederci!

«Ed ecco la dimostrazione del fatto che quando parlo da 'n lato te entra e dall'artro te esce. - vittoriosa, sua madre colse la palla al balzo per rifilargli un altro rimprovero, puntandogli un dito contro il viso prima d'infilarsi in auto dal lato del conducente. - È tornato a stare con Flo da un paio di giorni, a settembre comincia l'università qui a Roma. - spiegò quando pure Manuel le prese
posto di fianco. - Sono sicura d'avertelo già detto almeno un paio di volte solo la scorsa settimana.»

Manuel invece era sicuro del contrario, ma non osò contraddirla, stupito com'era da quell'ennesima notizia. «Che vor dì l'università?»

«L'università, Manuel. Dovresti sapere cos'è visto che pago fior de tasse pe' mannartece.»

«Sì, ma che ce fa già all'università? Quello è 'n ragazzino.»

«Er ragazzino s'è maturato il mese scorso. Cento con lode, per la cronaca. - girò le chiavi nel quadro per avviare il motore, un ultimo sguardo al figlio. - Ma te sei serio, Manuel? - gli chiese, nel vederlo ancora perplesso. - Guarda che c'ha sì e no un anno meno di te, eh!»

...

«Oh, t'è arrivata la notizia?» La domanda di Matteo l'accolse non appena mise il naso fuori dall'auto e un primo piede sullo sterrato bianco della villa di Floriana. Aveva sempre amato quella casa immersa nel verde, così accogliente seppur immensa e ormai abitata da una sola persona. Comunque in prima istanza se ne rimase in silenzio, aspettando che sua madre s'allontanasse e raggiungesse Gloria, per poter parlare liberamente, standosene nel mentre a guardare l'amico che strofinava i palmi gli uni contro gli altri quasi fosse pronto a coinvolgerlo in un complotto.

E quando le donne furono lontane a sufficienza, incassò un colpetto d'incoraggiamento al braccio: un invito a commentare la situazione che accolse con un mezzo sbuffo divertito. Lo lasciò ancora un po' in sospeso, limitandosi a compiere il giro della vettura per aprire il cofano e recuperare la custodia della propria chitarra, che subito caricò sulla spalla. La borsa frigo invece la sbolognò a Matteo.

«Io nun lo reggo se fa ancora tutte quelle moine, t'o dico!» Si sentì dire Manuel, che immediatamente sollevò gli occhi al cielo per rendersi complice della medesima, seppur giocosa, seccatura. «A 'sto giro lo corco. - fu la riposta fulminea che decise di rifilargli, - quantomeno c'avrà quarcosa de interessante da raccontare alla madre.» Rimasero ad aspettare per qualche minuto, sghignazzando soffusamente per ingannare l'attesa, ché della moto di Anna e Chicca non v'era traccia all'ombra del cipresso che generalmente usavano come parcheggio.

Furono zittiti dal rumore delle ruote contro il graticcio che li spinse prima ad alzare il capo e poi in sincrono un braccio. Chicca saltò via dalla sella prima che sua madre ne spegnesse il motore, raggiungendoli con ancora il casco a schiacciarle i capelli e le mani intente a slacciarlo alla cieca da sotto il mento.

«Che state a confabulà voi due? Me parete du' comari de paese.» I diretti interessati si premurarono di salutare Anna e questa di rimando si preoccupò di raccomandarsi con la figlia sbrigate che c'avemo bisogno de 'na mano, Francè! E lei annuì, con una condiscendenza che palesò essere fittizia quando si voltò verso i ragazzi e simulò un conato di vomito con tanto di indice puntato alla gola.

«È tornato lo spione.» Bisbigliò Manuel, quando furono lontani da orecchie indiscrete, conscio che sarebbe bastato un singolo commento di quel tipo a far sì che sua madre schizzasse in una serie di improperi ai danni della sua persona. O una delle amiche, ché tanto ormai tutte c'avevano il diritto di riprendere i figli delle altre. Pure se i suddetti figli c'avevano ormai vent'anni suonati.

«Ma quanto sei rancoroso, Manuelì?» Lo sbeffeggiò Matteo, ridacchiando di gusto all'espressione austera che il questi gli rifilò.

«Parecchio. - asserì, seppur serio solo per metà. - 'N te immagini nemmeno quante ne tengo legate al dito.» Chicca gli circondò il collo con un braccio, il mentolo della gomma che stava masticando a fargli storcere il naso.

«Esagerato.»

«Esagerato. - la scimmiottò, spingendola via. - Esagerata sarai te. - riprese subito. - Te devo ricordà che pe' colpa sua non sono andato al concerto de Frah Quintale?» Che poi a lui nemmeno piaceva in quel periodo, solo che all'epoca aveva appena finito il primo liceo e c'era quella sua compagna di classe, Veronica, tanto caruccia, che v'adava matta. Voleva fare colpo e Simone gliel'aveva impedito.

«E io te devo ricordà che ce saresti annato se non gli avessi rubato il costume per poi lasciarlo da solo a piagne nello spogliatoio de quella spiaggia de merda su Ostia?» La domanda fu retorica, e gli fece arricciare le labbra di disappunto.

«Non l'avrei fatto se lui prima nun fosse corso da mi' madre a raccontarle d'avermi visto fumà assieme a Matteo. - rintuzzò, facendo sghignazzare il compagno che a quel giro l'aveva passata liscia perché Simone aveva affermato che ho visto solo Manuel! - Nun s'è mai saputo fa li fattaci sua, quello.»

«State a divagà! Io voglio i pettegolezzi. - li interruppe Matteo. - Come s'è fatto in questi anni? E soprattutto: chi si è fatto? - Manuel a stento trattene una risata di scherno ai danni di quel piagnone infame. - Fateme quantomeno avvalere der mio sacrosanto diritto ar gossip pe' 'na volta che c'avemo 'na conoscenza in comune.»

«Zero info. L'ho cercato su Instagram. C'ha l'account privato e una foto di Einstein come immagine del profilo.» Fece presente Chicca, la voce bassissima affinché Anna, che camminava a pochi passi di distanza, non la sentisse.

«Figuramose, er signor cento e lode c'avrà la sindrome di Leopardi. Già me lo vedo tutto curvo e con troppe diottrie mancanti.» Sbuffò, scatenando l'ilarità di Matteo, che subito gli rifilò una gomitata complice.

«E come li conosci i suoi voti?» Fu la domanda smaliziata di Chicca.

«Te pare che mia madre se faceva scappà l'occasione de loda er figlio d'oro dell'amica sua?»

«'N farte sentì che quello corre a frignà da Floriana, 'o sai che le abitudini so dure a... - fece schioccare le dita un paio di volte, nel mentre che circumnavigavano casa di Floriana per raggiungere la dependance a bordo piscina, dove la donna s'era già premurata d'allestire una lunga tavolata con una tovaglia amalfitana e di accendere il barbecue. - ao, e passatemi er termine, come se dice?» Manuel schiuse le labbra, pronto a sbeffeggiarlo, ma queste rimasero in posizione e le sue gambe ne accompagnarono l'immobilità, cementandosi all'erbetta ben falciata del prato. Gli occhi calamitati dalla flessione dei muscoli di un paio di braccia che facevano perno sul bordo di terracotta per issare il corpo scultoreo a cui erano giunte. Rimase immobile ad osservare il percorso svelto delle goccioline che cadevano dai capelli di nera vernice per percorrere un naso perfetto, delle labbra piene e una pelle così candida da sembrare neve, disegnando con dei rivoli armoniosi ghirigori trasparenti. Ed era pure detentore d'un sorriso da far invidia al creato.

«...morire.» completò Chicca, dopo altrettanti secondi di silenzio conditi da una boccuccia piegata all'ingiù in segno d'apprezzamento e un fischio basso, udibile solo agli altri due compari.

«Non ci posso credere.» Fu il primo commento a cui Manuel si lasciò andare, non riuscendo a staccare le proprie iridi da quella che doveva necessariamente essere l'ennesima beffa della vita ai suoi danni.

«Mortacci se gli ha fatto bene 'sta sindrome de Leopardi.» Adesso Chicca stava ridendo di gusto, le dita smaltate d'ottanio a tentare di celare tutta quell'improvvisa ilarità. Matteo alternò lo sguardo dagli amici al diretto interessato delle loro attenzioni per un paio di volte, un ghigno quasi malefico a sfigurargli il volto mentre si sintonizzava sulla medesima linea di pensiero.

«Manuelì, che davero stai a sbavà sul figlio de Floriana? - E Simone si voltò nella loro direzione, quasi avesse sentito l'illazione di Matteo (ma era impossibile, insomma non era così vicino!), sollevando una mano in cenno di saluto, per poi aprirsi in un... cordiale? Un cordialissimo e calorosissimo sorriso. Così tanto caloroso che Manuel si sentì avvampare di conseguenza. Dissimulò, sollevando appena il mento per ricambiare. E lo stesso, in sincrono, fecero Chicca e Matteo, prima che quest'ultimo riattaccasse. - Fino a ieri te piaceva sua madre, dev'essere 'na roba de famiglia.»

«Ma che piacere e piacere, so' solo... - sconcertato da tanta fastidiosissima perfezione. Non portava nemmeno più l'apparecchio ai denti, si rese conto ora che gli si stavano avvicinando. Abbassò ancor di più la voce. - colpito. - Chicca sollevò un sopracciglio. - Dal fatto che sia così alto. - ci tenne poi a specificare. - Oh, ma che volete? Quello m'arrivava a una spalla.»

«E adesso sei te che gli arrivi ar cazzo. - Esordì l'amico, facendolo quasi affogare con la saliva. Giunse al loro cospetto che Manuel ancora tossicchiava, con gli occhi alle lacrime fortunatamente schermati dal paio di lenti nere. Matteo allargò le braccia, amichevole come con Simone Balestra non era mai stato. Nessuno di loro, in realtà, s'era mai preoccupato di coinvolgerlo più di tanto, così accecati da quella faida infantile di cui ciascuno portava le proprie ragioni. Gli rifilò una pacca sulla spalla e - Simò, da quanto tempo! T'hanno annaffiato in questi anni?» Chicca nell'immediato si appese al braccio di Manuel, al sol fine di risultare più civettuola del dovuto. Sbatté le ciglia un paio di volte, percorrendo senza alcun ritegno il corpo del diretto interessato, per poi puntare lo sguardo sul bel volto che a tutta quella curiosità e quelle moine pareva quasi abituato. Nessun imbarazzo, mentre ricambiava quelle battute con un sorriso raggiante, quasi fossero normalissimi convenevoli.

«Daje, Mattè... - ridacchiò lei, tutta leziosa e con le unghie lunghe a scavare l'avambraccio di Manuel. - Così lo metti in imbarazzo.» Ma quella faccia non sapeva nemmeno cosa significasse la vergogna, tanto bella quanto sfrontata nel tenere alta l'ossidiana che c'aveva incastrata tra le ciglia folte.

«Qualcosa del genere. - una risposta che di pacato c'aveva unicamente il tono. E Manuel più lo osservava più si convinceva d'averci visto lungo già da ragazzino: quella faccia d'angelo era la personificazione del demonio. D'altronde Lucifero non era proprio il più bello tra i serafini? - Come state?» Fu proprio lui, questa volta e contro ogni suo pronostico, a schiudere le labbra per primo. Ma il fiato gli si bloccò all'altezza dell'ugola, la lingua improvvisamente di marmo e la bocca in posa di muta sorpresa. Nemmeno i suoi amici ebbero il tempo di formulare una risposta adeguata a quella domanda di circostanza, che una paio di braccia avevano già avvolto il collo del più alto nella pretesa di un bacio che venne esaudita nell'immediato.

Non l'aveva nemmeno visto arrivare, forse perché era corso loro incontro nel giro di pochi secondi o magari perché l'attenzione di Manuel fino a quel momento era stata calamitata dalla figura statuaria che gli si era parata d'avanti, il ragazzo dai capelli color grano e dall'incarnato dorato. «Preso! - una risata limpida, che trovò compimento sul mento di Simone Balestra in un secondo schiocco. C'aveva un po' di fiatone, il che rendeva ancor più raggiante la sua espressione, tutta dedita al ragazzo che ancora s'ostinava a stringere con forza, quasi temesse di perderlo. E Manuel dovette ringraziare la sua buona stella, che gli aveva impedito di sfilare gli occhiali e per tanto permesso di non essere smascherato nello scetticismo naturale che gli si palesò in volto con un'alzata di sopracciglia involontaria proprio quando il ragazzo si voltò a studiarli. - Tu devi essere Chicca! - esordì, improvvisamente accorto della presenza di loro tre. E lo disse in modo affabile, quasi a sottintendere che l'avrebbe potuta riconoscere tra mille. Troppo semplice, a parer di Manuel, considerando fosse l'unica ragazza della comitiva. Poi i suoi occhi cerulei passarono in rassegna rispettivamente il viso di Matteo - E lasciatemi indovinare... - e quello di Manuel; poi di nuovo viceversa, con un indice ben puntato che dopo un paio di oscillazioni si fermò in direzione di Matteo. Un sorriso sghembo e - Manuel, giusto?» l'amico scoppiò a ridere, pago di quello scambio decise pure di stare al gioco per qualche istante prima di correggerlo con un'alzata di sopracciglia colma di ilare eloquenza.

«Io so' più bello, che 'n se vede?» E Manuel, di tutta risposta, si permise d'allungare una mano dietro la schiena di Chicca per raggiungere la sua nuca e schiaffeggiarlo. Non troppo forte, ma comunque il giusto per riappropriarsi della dovuta attenzione dell'amico. E questi lo guardo con le labbra schiuse da una sorpresa fittizia, prima d'allungare un braccio per tentare d'acciuffarlo al cospetto d'una alzata di occhi al cielo da parte della ragazza e una risatina deliziata di Simone. Manuel fu abile nell'evitare di fissarlo troppo a lungo, complice lo scatto a cui dovette sottoporsi per impedire a Matteo di agguantarlo. Quest'ultimo mollò la borsa frigo sull'erba falciata, mossa che gli permise d'anticiparlo di qualche secondo per sfuggirgli.

«Fanno sempre questo.» Sentì dire da Chicca, ma non ebbe il tempo di replicare che l'amico già gli stava alle costole. Lasciò al suolo la custodia della propria chitarra per giocare ad armi pari ed essere libero nei movimenti e con uno scarto all'ultimo fece lo slalom del colonnato per poterlo seminare.

«Più bello, più lento... - rise, azzardando una finta. - Più scemo. - lo prese in giro quando lo vide virare nella direzione sbagliata. - Sei 'n sacco de cose più de me in effetti!» E avrebbe vinto, ché era abituato ad avere la meglio su Matteo, se solo la sua attenzione non fosse stata calamitata da uno sbuffo divertito. Si concesse un solo attimo di distrazione, il capo voltato nella direzione del fautore di quel suono soffuso.

Simone lo guardava, del tutto scevro di quell'astio infantile che aveva caratterizzato il loro rapporto fin dagli arbori, con un sorriso sbilenco che sortì l'effetto di rendere Manuel dimentico dello spazio che stava occupando nell'universo tanto quanto delle azioni che stava compiendo. Rallentò, vittima d'un peso estraneo nel basso ventre, e il sorriso dell'altro s'affievolì in un'espressione d'aperta curiosità. Aveva tutta l'intenzione di ricambiare con un sopracciglio inarcato e un angolo delle labbra sollevato. L'avrebbe fatto se solo Matteo non fosse stato preso alla sprovvista dalla sua sosta improvvisa. L'amicò gli finì addosso, sbilanciandolo in avanti. Sarebbe capitolato al suolo, se ad accoglierlo con un palmo aperto al centro del petto e un paio di occhi spalancati non vi fosse stata Floriana. Fu dolcemente materno il modo in cui redarguì entrambi con lo sguardo, spingendo Manuel a grattarsi la nuca e a metter su quel mezzo sorrisetto storto che la donna amava definire da mascalzone. «Du' imbecilli.» Fu il commento meno docile di Gloria, a cui s'aggiunse subito un'indignata Anita con gli angoli delle labbra piegati verso il basso. «'N ve se sopporta proprio più.»

Floriana li oltrepassò, non prima d'averli rincuorati entrambi con un buffetto affettuoso sulle spalle. Gli occhi di Manuel balenarono nuovamente sulla figura di Simone, che ormai non prestava loro più attenzione. «Lui è Mimmo.» lo sentì dire a Chicca, mentre lei ricambiava la stretta di mano e questi fu lestissimo a specificare l'ovvio a gran voce: «Il suo ragazzo.»

...

«Oh, comunque posso di'? - domandò Chicca a bassa voce, quando fu certa che l'attenzione degli altri commensali non fosse focalizzata su loro tre. Simone stava raccontando dei suoi esami di stato, fomentato da Mimmo che ad ogni sua affermazione si premurava d'ingigantirne il contenuto con adulazioni al limite del ridicolo per quanto esagerate. Sembravano una coppia di comici intenti a mettere in scena una spettacolo preparato appositamente per quell'occasione. - Tanta roba.»

«Fa effetto pure a me.» Commentò immediatamente Matteo, per poi volgersi in direzione di Manuel. I suoi occhi ora calamitati dalla mano di Mimmo, arpionata con forza all'incavo del braccio di Simone, piegato sul tavolo.

«Tutta scena. - si espresse infine, con uno schiocco di lingua che fece sogghignare l'amica. - I lacrimoni se li trattiene pe' gonfiasse l'ego. - Simone si voltò, con un sorriso raggiante, a guardare negli occhi il fidanzato per un breve attimo, prima di coinvolgerlo in un bacio. Manuel si ritrovò ad assottigliare lo sguardo, sbuffando dal naso.

«Ma stai a rosicà?» fu allora l'accusa bonaria che gli rivolse Matteo. Nulla di diverso dalle battute che si scambiavano di consuetudine quando passavano del tempo assieme. In genere avrebbe replicato con altrettanta ironia, e la conversazione sarebbe varata altrove.

«Ma che rosicà, me fa pena.» Quella sua affermazione fece scoppiare Chicca in una risata che attirò lo sguardo sia di Anna che di Gloria. Sollevò una mano per scusarsi, e a quel punto fu Matteo a ridere, coinvolgendo nell'occhiataccia di gruppo ai loro danni pure Anita.

«A me fai pena te. - sussurrò Chicca, quando Simone calamitò nuovamente su se stesso l'attenzione. Era come un faro per le falene: ogni suo gesto, per quanto semplice, sembrava studiato per accentuare la sua figura, come se fosse consapevole dell'effetto magnetico che esercitava e ne approfittasse con maestria per trarre la situazione a proprio vantaggio. Nulla di diverso da quando erano bambini. I suoi mezzi erano diametralmente opposti, certo, ma l'obbiettivo e il risultato sempre i medesimi: tutti lo amavano. Manuel distolse lo sguardo per puntare gli occhi in quelli di Chicca e sollevare un sopracciglio con fare interrogativo. - Pensi che 'n te conosco? L'hai visto e t'è piaciuto, mo te stai a magnà le mani perché chiaramente non ci puoi provare.»

«Ma che cazzo dici?» domandò, e Matteo intervenne di nuovo, parlandogli sopra col tono meno controllato. «Ma davero? - Manuel tentò d'assestargli un calcio nello stinco, per ricordargli di parlar piano, ma il colpo arrivò a Chicca che emise un lamento a voce alta. Gli occhi di Manuel s'alzarono ora in direzione di sua madre, seduta all'altro capo del tavolo, con le labbra strette per richiamarli al silenzio. Matteo non se ne rese conto, come non si rese conto del fatto che sia le loro madri, che Simone e Mimmo, stessero ora guardando nella loro direzione. Fu questione di pochissimi secondi, Manuel schiuse le labbra per invitarlo a tacere, ma l'amico fu più svelto a sbeffeggiarlo. - Manuelì, ma da quant'è che non scopi?»

Chicca scoppiò in una ridarella nervosa, che dovette nascondere con un palmo della mano e che si intensificò quando Gloria, tutta indignata, si rivolse loro. «Siete due bestie, lo sapete?» e nel mentre Anita mimò con le sole labbra un Te meno! che coinvolse Manuel in uno sbuffo. «Te sei peggio de loro Francè, e nu' ride'!»

«Stamo a fa' conversazione. - la voce di sua madre s'alzò su quella delle amiche, le braccia conserte al petto e lo sguardo sul volto di suo figlio. - La prossima volta, se avvisate prima, le cameriere vi fanno trovare un tavolo tutto per voi.»

«Lasciate stare i ragazzi, - intervenne Floriana improvvisandosi portatrice di pace. - non si vedono mai, c'avranno un sacco di cose da raccontarsi, no?»

E quando Matteo tentò di darle ragione con un «Eh!» Manuel lo colpì con un piede, premurandosi di prender bene la mira sotto il tavolo, a questo giro.

«No, Flo. Mamma c'ha ragione. 'N famo gli asociali. - incrociò le braccia sul tavolo, tirando le labbra per esternare la sua migliore aria da "mascalzone" in uno sguardo che rivolse prima a sua madre e poi a Simone che ancora lo osservava in silenzio. - Dicevate?»

«Gloria aveva chiesto a Simone in quale facoltà si fosse iscritto. - Ripetè Anna, conciliante, rivolgendosi poi al diretto interessato che schiuse le labbra e passò in rassegna i volti di ciascuno ora rivolti nella sua direzione. Tutti, eccetto quello di Mimmo, che con un ardire impertinente s'era permesso di guardare Manuel di traverso. Fu capace di strappargli, con quegli occhietti inquisitori, uno sbuffo sprezzante che miracolosamente venne colto unicamente da Chicca. L'amica gli rifilò una gomitata, quando Anna poggiò un palmo sul braccio di Simone. - Dicevi, tesoro?»

«Fisica.»

«Oh! - fu il sospiro ammirato della donna, che giunse le mani fino a intrecciare le dita. - Una cosa concreta, mi piace. Bravo.» Manuel avvertì Chicca irrigidirsi alla propria sinistra, come se quell'elogio rivolto a Simone fosse stato uno schiaffo diretto a lei. Anna continuava a sorridere, inconsapevole – o forse fin troppo consapevole – di quanto quel commento potesse pizzicare nervi ancora scoperti. Tra loro, madre e figlia, persisteva un velo di astio sottile ma innegabile, alimentato dalla decisione di Chicca di seguire il proprio sogno e frequentare l'Accademia di Belle Arti anziché intraprendere un percorso universitario più tradizionale. Conosceva fin troppo bene le dinamiche tra Chicca e sua madre: Anna aveva sempre avuto un debole per ciò che riteneva "solido" e "affidabile", mentre guardava con una certa sufficienza tutto ciò che, secondo lei, sfuggiva a schemi precisi. L'arte, per esempio. O l'idea di fare della passione un mestiere.

Chicca era bravissima a camuffare la delusione sotto una coltre di sarcasmo, ma Manuel riusciva a intravedere la punta amara che lanciava sotto forma di frecciatine.

Decise di intervenire, il tono rilassato, come se stesse lanciando un sasso in uno stagno per spezzare la superficie liscia.

«Se la fisica è concreta... allora l'arte dev'essere aria fritta, giusto?» esordì con un mezzo sorriso, guardando Anna di sottecchi.

Ci fu un attimo di silenzio prima che Simone ridacchiasse, cogliendo la provocazione mascherata dal fare leggero di cui si servì. Anna alzò un sopracciglio, incerta se prenderlo come uno scherzo o una sfida.

Fu invece Anita a cogliere la palla al balzo. «Ha parlato il filosofo!» commentò, scuotendo la testa con un'espressione improvvisamente bonaria e affettuosa, che subito strappò qualche risata.

Manuel scrollò le spalle con aria divertita, e accolse con un occhiolino il bacio volante che gli indirizzò la donna. Nonostante il continuo battibeccare che scandiva la loro relazione, erano profondamente legati, e quel legame si manifestava in gesti piccoli ma eloquenti: uno sguardo complice, una battuta affilata con cui si prendevano affettuosamente in giro, una coalizione improvvisata per ristabilire gli equilibri precari tra una madre e una figlia.

Per quanto amasse lamentarsi del suo spirito indomabile – e lei facesse altrettanto con il suo carattere spigoloso – Anita era una delle poche persone al mondo che Manuel ascoltava davvero. E lui sapeva che, dietro ogni frecciatina e rimprovero, c'era un orgoglio profondo, ben nascosto ma sempre presente e capace di farlo sentire al sicuro

E non sopportava che Chicca non potesse godere del medesimo privilegio, quando in realtà bastava così... poco.

Prima che il silenzio potesse farsi ingombrante, Simone intervenne, reclinando la testa di lato per cercare Manuel oltre il viso di Mimmo «A dirla tutta, filosofia e fisica non sono poi così lontane. In fondo, la fisica è nata da domande di natura filosofica.» esordì, rivolgendo lo sguardo al gruppo.

«Infatti te e Manuel siete proprio identici, guarda, spiccicati.» lo incalzò Matteo, riuscendo a risultare simpatico finanche a sua madre. Chicca, sotto il tavolo, strinse le mano di Manuel per ringraziarlo silenziosamente, e lui ricambiò con la medesima forza. Gli occhi ancora sul volto di Simone.

«Però è vero. Che cos'è il tempo, che cos'è la materia, come funziona l'universo...? - Simone alzò una mano, contando con le dita. - Domande a cui oggi cerchiamo di rispondere con esperimenti, ma che un tempo erano puro esercizio filosofico. Non è un caso che molti grandi fisici siano stati anche filosofi: Newton, ad esempio, o Heisenberg.»

«T'ho sempre detto che la meccanica quantistica ce deve tutto o no?» Straparlò, rivolgendosi ad una Chicca ora più serena.

«Ma che ne sai te? - la ragazza sollevò un sopracciglio. - E che c'entra la filosofia con la meccanica quantistica poi?»

Simone sorrise, compiaciuto. «Tutto,
in effetti. La meccanica quantistica è piena di paradossi, e senza un pensiero filosofico non si riuscirebbero neanche a concepire le sue basi. Tipo il principio di indeterminazione: è più un'idea filosofica che un fatto concreto, ma ha cambiato la fisica per sempre.»

Manuel si sporse sul tavolo, curioso, nonostante si trattasse semplicemente di un discorso del tutto campato in aria, avente come unico obbiettivo quello di distrarre la sua amica dal veleno della donna che l'aveva messa al mondo. «Quindi tu stai dicendo che anche io potrei fare il fisico?» La domanda gli venne fuori con un mezzo sussurro e malizia tale da far sghignazzare Chicca. La testa di Mimmo compì una rotazione talmente svelta da risultare quasi innaturale. Guardò prima lui, poi Simone, che dalla sua si dimostrò più preso dallo scambio che dall'ennesima richiesta d'una coccola da parte del fidanzato.

«Teoria e pratica non sono la stessa cosa. - Simone sollevò le spalle, per poi abbandonarsi con la schiena allo schienale della sedia. - Io non potrei mai studiare filosofia.»

«E Manuel non può studiare fisica. - intervenne Anita, ricevendo dal figlio un'occhiata fintamente oltraggiata. - Abbi pazienza a mamma, nun è arte tua. - Scrollò la testa, divertita, per poi rivolgersi alla propria amica. - Considerando che da ragazzini se prendevano a capelli direi che è 'n passo in avanti, no? Poteva andare peggio.»Floriana, dalla propria si limitò ad annuire, con una punta di compiacimento a colorarle l'azzurro delle iridi. Anna, invece, parve quasi confusa da quell'inaspettata difesa. Ma se ne stette zitta, lasciando che quella conversazione, animata ma inoffensiva, si esaurisse da sola.

Quando le donne si alzarono, per sparecchiare, Manuel rivolse uno sguardo truce a Matteo che, dimentico di poco prima, spalancò le palpebre. «Mo che ho fatto?»

Anita s'affacciò dalla dependance prima che Manuel potesse rispondergli. «Manu porta dentro gli ultimi piatti e prendi il tiramisù dal frigo.» S'alzò, facendo strisciare la sedia contro la pavimentazione in pietra, gli occhi di Matteo a volare sul volto di Chicca. E lei alzò le mani, dichiarandosi neutrale.

Manuel sfilò le stoviglie da sotto il naso dell'amico, ancora intento a spiluccare la carne nel piatto, abbassandosi alla sua altezza. «Da ieri. - sputò inacidito, e poi dovette precisare anche. - Non scopo da ieri.» E detto questo s'allontanò dando le spalle ai ragazzi, non prima d'aver scorto un sorrisetto mal trattenuto sulle labbra d'un Simone che evidentemente fingeva solo d'ascoltare il proprio ragazzo straparlare.

«E 'n se vede, - gli gridò dietro, di rimando. - non è che te lo sei sognato, no?»

Suo malgrado, si ritrovò a ridere soffusamente.

...

Chicca era immersa nell'acqua della piscina, le braccia conserte sul bordo e il mento poggiatovi sopra per evitare di bagnare i capelli. Sennò se scoloriscono e mo nun c'ho sbatti de fa' er colore. Co' sto caldo poi! Aveva avvisato entrambi i compari, redarguendoli ancor prima che potessero pensare di schizzarla per scherzo.

Non lontano, Simone e Mimmo erano in disparte, anche loro in acqua. Si muovevano lenti, parlottando tra loro e sghignazzando con una ritrovata complicità. La distanza non era enorme, ma sufficiente a mantenere le due comitive separate, segno che, a prescindere dai convenevoli in fin dei conti sorprendentemente piacevoli, nessuno di loro fosse realmente pronto o intenzionato a riallacciare i rapporti.

«Ma ve pare normale? - sbottò Chicca. - Dico, l'avete sentita pure voi? Qualcosa di concreto...» Scimmiottò la voce della madre con una caricatura esagerata, strappando a Matteo una risata soffocata mentre continuava a galleggiare con la pancia all'aria. - È un anno che stamo a fa' questo. Ditemi voi come c'arrivo alla laurea di 'sto passo. - Schioccò la lingua con aria seccata. - Per lei manco è una laurea, tra l'altro.»

Manuel, seduto sul bordo con le gambe immerse nell'acqua e la chitarra poggiata in grembo, accarezzava le corde con delicatezza, come se volesse dare un sottofondo musicale alle lamentele dell'amica.

«Daje, Chicchè - intervenne Matteo, sollevandosi un po' per guardarla. - Mica ce devi arrivà per forza col suo benestare. Quando mai hai fatto qualcosa perché te lo diceva Anna?»

«Quasi mai...» ammise lei, soffiando piano sull'acqua accumulata nelle incanalature grezze della terracotta.

«Be', e allora? Hai sempre fatto tutto de capoccia tua. E comunque, 'o sai come la penso: meglio l'arte che tutte quelle robe pallose su cui ripiegano gli altri che non c'hanno talenti innati. Me compreso. Tua madre se ne farà una ragione.» aggiunse Manuel, sollecitando un paio di note più vivaci.

Chicca lo fissò un istante, come a valutare se credergli, prima di scuotere la testa. «Vorrei vedè te. Nun je va mai bene niente. Nemmeno quando porto a casa 'n esame cor massimo dei voti. Scema io che m'aspetto, non dico un complimento, ma almeno 'na frecciata de meno.»

Manuel sorrise, pronto a replicare per ribadire il proprio punto di vista, quando Floriana sbucò con un bicchiere d'acqua in mano e un'espressione decisa. «Manuel, canti qualcosa? Dai, che ci stai stuzzicando con quella chitarra da mezz'ora. E poi Simone e Mimmo non ti hanno mai sentito. Gli fai vedere quanto sei bravo? - sollevò una mano in direzione del figlio, invitandolo ad avvicinarsi. - È un autodidatta, il nostro Manuel.» Disse a voce più alta e di sottecchi, vide Mimmo sbuffare nell'esatto momento in cui Simone gli lasciò andare i fianchi per seguire la voce della donna. S'avvicinò appena, mantenendo comunque un'opportuna distanza di sicurezza.

«Che faccio? - domandò, e Chicca sollevò le spalle con le labbra piegate all'ingiù. Matteo neanche rispose, finendo per strappare a Manuel un lamento fintamente annoiato. - C'ho er pubblico difficile, Florià!» e questa ridacchiò, raggiungendo poi le amiche sedute all'ombra del tavolino con ombrellone a bordo piscina.

«Fai te, a mamma.» Fu il consiglio di Anita, che nel mentre riempiva quattro tazzine col caffè della moka preparato nel cucinino della dependance.

Suonò un paio di accordi, spostando a orecchio il capotasto mobile per trovare la combinazione giusta. Percepì il peso dello sguardo di Simone sulle proprie dita, che inevitabile tremarono in preda ad un'ansia da prestazione che decise di tenere a bada come sua consuetudine. «Questa l'ho dedicata alla mia ex quando mi ha mollato.» Raccontò, e Chicca storse il naso.

«A quella stronza?» Chiese, stando ben attenta a non pronunciare il nome di Alice. Manuel gliene fu grato, ricambiando la domanda con un ghigno.

«Le inviai una registrazione, ma credo non l'abbia mai ascoltata. - disse per confermare il suo sospetto, e Matteo fece un versaccio disgustato. - E visto che so coriaceo, quando me so lasciato co' Claudio l'ho dedicata pure a lui.» Aggiunse, allungando solo in quel momento lo sguardo sulla figura di Simone, per rivolgergli un breve sorrisetto irriverente. Si mostrò impassibile, eppure Manuel fu certo di vedere una scintilla andargli ad animare le iridi scure. E ne fu soddisfatto, d'altronde aveva nominato il suo ex solo per sottolineare il fatto d'aver avuto un ex. Matteo, inspiegabilmente, parve cogliere i suoi intenti, ché si raddrizzò nell'acqua e gli rivolse un'occhiata tanto eloquente quanto smaliziata. E pure Mimmo non fu immune,
che immediatamente avvolse il collo del suo ragazzo da dietro la schiena, salendogli cavalcioni nel buffo tentativo di rimarcare il territorio.

«Questo non fa di te una persona coriacea, ma solo de poca fantasia, Manuelì.» Fu il commento di Chicca. Con un mezzo sorriso sulle labbra, sfiorò le corde con un tocco più deciso, trovando subito l'accordo giusto. Iniziò a pizzicarle, le dita che si muovevano con disinvoltura, quasi senza pensare. La sua voce, bassa e roca, si alzò immediatamente, priva di esitazione, mentre cantava le prime parole di "Cosa mi manchi a fare".

La pioggia scende fredda e su di te
Pesaro è una donna intelligente
Forse è vero ti eri fatta trasparente
Ma non ci cascherai mai...

Simone, ancora a mollo vicino al bordo opposto della piscina, aveva smesso di muoversi. Guardava Manuel con un'espressione apparentemente atona. Furono gli occhi a tradirlo: in un primo momento inchiodati ai polpastrelli intenti a far vibrare le corde, vararono ai movimenti del corpo di Manuel che seguivano il ritmo della canzone, atterrando infine sulla bocca che dava voce a ogni parola di Calcutta.

E non mi importa se non mi ami più
E non mi importa se non mi vuoi bene
Dovrò soltanto reimparare a camminare,
Dovrò soltanto reimparare a camminare,
Se non ci sei tu... uh...

E non fu difficile coglierlo in flagrante, ché gli accordi di quella canzone li conosceva talmente bene da riuscire a suonarla senza nemmeno guardare il proprio strumento. Si crogiolò nella sua attenzione, pago d'essere, apparentemente e per tre minuti scarsi, il centro dell'universo d'uno che si sentiva costantemente sulla cima del mondo. Mimmo non ne fu particolarmente felice. Scese dalla schiena del fidanzato e si issò, per andarsi ad asciugare, proprio mentre Manuel intonava gli ultimi versi.

Che io da te non ho voluto amore
Volevo solo scomparire in un abbraccio

La musica sfumò nei fischi d'approvazione di Matteo e nell'applauso di Chicca. Gesti che Manuel ricambiò, facendo un breve ma teatrale inchino col solo capo. Sentì in lontananza Gloria complimentarsi con Anita, quasi si fosse esibita lei con la chitarra classica. «Sa fare tutto, ma nun vole fa' niente!» Lo disse scherzosamente, la mamma, e Manuel calò gli occhi sulla cassa dello strumento, con un sorrisetto inorgoglito e mal celato. Tenne lo sguardo fisso fin quando le increspature più ampie dell'acqua non invasero il suo campo visivo.

«Sei bravo.» Sollevò il volto di scatto, trovandosi Simone ad un paio di bracciate tutto intento a studiarlo: i capelli tirati all'indietro dall'acqua e il cloro, le labbra piegate verso l'alto. Toglieva il respiro, per quanto bello, eppure non faticò a riconoscere i medesimi lineamenti di quel bimbetto tutto ricci e occhioni annacquati. Era proprio lui, solo più cresciuto e al massimo del suo potenziale. Fu come riconoscerlo per la prima volta, complice il fatto che gli fosse così vicino. E inevitabilmente fu scosso da una scarica di fastidio, figlia di quelle dinamiche infantili mai realmente superate.

«Pensa te, so capace de fa' qualcosa pure io. - Bastarono quelle parole ad allontanare Chicca, che nuotò in stile rana verso un Matteo tutto intento a fare delle immersioni con scarsissimi risultati. Fu tagliente, se ne rese conto solo dopo, quando Simone gli rivolse un sopracciglio inarcato. - Dev'essere dura da digerire.» Fu il rammarico a animarne il continuo, strappando via dal volto dell'interlocutore l'ultima traccia di sorriso.

«Non ti seguo.» Parlò a voce bassa, e Manuel sollevò gli occhi al cielo.

«Te so sempre stato sul cazzo, limitati a sti convenevoli quando mi' madre e tu' madre ce girano intorno.»

Ora parve confuso. «Non mi sei mai stato sul cazzo.» Disse con una naturalezza che strappò a Manuel una risatina sarcastica.

«Seh, come no.» L'espressione di Simone tornò serena. Gli si avvicinò ancora, e lui fu costretto ad abbassare il volto per poterlo guardare negli occhi.

E Simone pure piegò il capo su un lato, per cercare il suo sguardo e immergervisi, il petto ad un soffio dai suoi piedi. Gli sarebbe bastato allungare una gamba per poterlo toccare. «Ti giuro di no. Anzi...» Lasciò la frase in sospeso e quella pausa rianimò improvvisamente la curiosità di Manuel.

«Anzi?» Chiese velocissimo, incurante di quanto potesse sembrare lunatico agli occhi dell'altro.

«Amò, t'vuò muove? Facimm' notte accussì.» La voce di Mimmo, in piedi alle sue spalle che troneggiava su entrambi, fece sbuffare Manuel dal naso. Simone, in maniera quasi impercettibile, fece roteare le iridi, prima di affacciarsi oltre il suo corpo per rivolgersi al ragazzo.

«Arrivo. - lo rassicurò. Un'ultima occhiata a Manuel e un bisbiglio: - Poi te lo dico.» Prima di sollevarsi sul bordo della piscina per raggiungere il fidanzato.

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