31 ottobre - You make me feel like it's Halloween
Quell'anno il giorno di Halloween fu preannunciato da un vento gelido, anomalo per essere fine ottobre, che si abbatté sulla Capitale. Pareva quasi che l'inverno avesse fretta di arrivare e Anita non aveva fatto che lamentarsene per tutta la mattinata sottolineando, agli sbuffi del figlio che s'era permesso d'accendere i riscaldamenti con ben quindici giorni d'anticipo rispetto alla solita tabella di marcia, che poi la mazzata vera l'avrebbero ricevuta in bolletta nel giro d'un paio di mesi.
All'ennesimo impropero, a malapena masticato tra le labbra strette, Manuel si limitò a rivolgerle un cenno distratto. Poi si rannicchiò sul divano, per quanto possibile, con una coperta sulle gambe e il cellulare stretto tra le mani. Scrollò rapido le chat per quella che doveva essere la decima volta, passando in rassegna i gruppi su Whatsapp, da quello universitario che organizzava una festa in maschera per il giorno successivo, a quello dei compagni di studio che proponevano invece una serata chill gentilmente ospitata a casa di due fuorisede con cui Manuel non aveva alcun tipo confidenza.
L'entusiasmo generale dei suoi conoscenti a malapena lo sfiorava. Halloween, per lui, non era mai stata una ricorrenza particolarmente sentita. Da ragazzino aveva significato travestirsi e raccogliere caramelle andando porta a porta in giro per il suo quartiere natale; da adolescente trovare una scusa per stare fuori casa tutta la notte. Ora si trattava più che altro di un pretesto per vedersi con gli amici, poco importava ciò che prevedevano i piani. Quell'anno, con Luna e Aureliano, s'era organizzato con ben quattro settimane d'anticipo, prenotando un'escape room che prometteva d'essere hardcore, alla quale avrebbero seguito un panino al volo e qualche partita a bowling.
Peccato che Luna avesse ben deciso di dargli buca all'ultimo per uscire a cena con Laura e che Aureliano gli avesse scritto quella mattina per informarlo del fatto che si fosse beccato l'influenza. «Quindi? - la domanda di sua madre gli arrivò direttamente dalla cucina, seguita dal tintinnio delle tazzine e dal borbottio della moka quasi pronta. - Stai da solo?»
«Che ne so, mo vedo.» Mormorò con gli occhi ancora rivolti allo schermo quando la donna s'affacciò a guardarlo. Le aveva raccontato dei suoi piani andati a rotoli più che altro per dar voce alla propria frustrazione e lei, da buon genitore, aveva finito per prendersi a cuore quelle che sarebbero state le sue sorti nella giornata seguente,
«Nun te ce vedi più co' quella ragazzetta bionda? - capì al volo che stesse parlando di Sara. In genere non era tipo da confidarsi con la madre ogni qualvolta gli capitasse d'avere una frequentazione, complice la consapevolezza che lei nemmeno sarebbe riuscita a stare al passo con gli aggiornamenti. Quella volta però era stato inevitabile, perché s'erano conosciuti al cospetto del suo sguardo e per portarla a mangiare un gelato aveva dovuto chiederle di farsi dare un passaggio a casa da Gloria così da avere l'auto per sé. Non le rispose, se non con un sospiro svilito, la cui replica giunse con un'alzata di mani al cielo. - Io comunque vado con le altre al Pumpkin Patch, ce lavora la nipote de Gloria. Potresti venire con noi, se proprio non ti riesci ad organizzare diversamente.»
Alzò le iridi dal telefono solo per declinare gentilmente la proposta, ma quando incrociò lo sguardo di sua madre si ritrovò a labbra schiuse. «Chi ce viene?» Chiese invece e lei sollevò un sopracciglio, nel tentativo di capire se il quesito del figlio fosse serio. E che ne poteva sapere lei che in realtà il suo timore più grande risiedesse nel sentire pronunciare a voce alta il suo nome. Non aveva alcuna voglia di vederlo più del dovuto e visto che...
«Chi ce deve venì, Manuel? Semo io, Anna, Gloria e Floriana. Come sempre. - Soppesò l'idea con un misto di scetticismo e rassegnazione. Trascorrere il giorno di Halloween assieme ad un gruppo di signore nel bel mezzo di un giardino d'ortaggi pompati da troppi ormoni non era certamente qualcosa a cui aspirasse. Ma l'alternativa che si prospettava - restarsene a casa da solo - non gli appariva comunque più allettante. - Famme sapè. Te lo voi er caffè?» Annuì distrattamente e attese che Anita si dileguasse nuovamente in cucina, prima di raccogliere il cellulare sulle cosce e comporre il numero di Chicca.
Non erano soliti sentirsi, i contatti telefonici li relegavano in genere alle situazioni di emergenza e alle notizie che non potevano attendere l'incontro alla successiva "festa comandata". Proprio per quel motivo esitò qualche istante, prima di inoltrare la chiamata.
Lo fece attendere giusto un paio di squilli e «È morto qualcuno?» fu la domanda che giunse naturalmente in risposta dall'altro capo.
Manuel sbuffò una risatina, lanciando un'occhiata svelta alla cucina. «La mia vita sociale, a quanto pare. - l'amica non disse nulla, rimase invece in attesa che Manuel le rivelasse il motivo di quella telefonata improvvisata. Prese un respiro profondo e - Che fai domani?» chiese tutto d'un fiato.
«Al cinema danno Beetlejuice, quello dell'ottantotto. Ce vado co' Monica e Giulio. Perché me lo chiedi? - Ed era ovvio che avesse preso già impegni e che i suddetti non riguardassero un'uscita in compagnia delle loro madri. Per di più la prossima "festa comandata", quella a cui avrebbero partecipato tutti, sarebbe stata di lì a due pomeriggi: un pranzo da Gloria e Matteo per il giorno dei Santi. - Manuel?» Domandò, quando la conversazione ristagnò nel silenzio per troppo tempo.
«M'ero organizzato con Luna, che m'ha pisciato all'ultimo pe' vedesse co' 'na tipa, e co' Aureliano che s'è beccato nun so che virus.»
«E vuoi venire al cinema con noi? - Avvertì chiaramente quanto fosse stranita da quella situazione che andava contro ogni regola che s'erano preposti da ragazzini. E in prima istanza a Manuel balenò seriamente in testa l'idea di acconsentire e d'unirsi a loro per andare a vedere quel film, pure se lo conosceva già a memoria. Poi il pensiero di Matteo lo fece desistere. Programmare un'uscita con Chicca pareva un tradimento nei suoi confronti ancor più di quella chiamata disperata. D'altronde vederlo in giro con Simone gli aveva causato il medesimo disturbo, pur essendo Simone esente dai loro accordi. Così scosse il capo, quasi l'amica potesse vederlo oltre lo schermo. - Ti prendo un biglietto?»
«No... no, grazie. - e si morse la lingua, con le palpebre calate, prima di farsi coraggio e continuare. - Le vecchie vanno a 'sto Pumpkin Patch, se me girano m'unisco a loro. T'avrei chiesto de venì, in caso fossi stata libera.»
Era pronto a salutarla e a chiuderla lì, ma la ragazza ne bloccò l'intenzione. «Me libero e vengo co' te.» Fu la sua risposta, così inaspettata da lasciarlo impreparato e senza fiato. Alle volte dimenticava che quella, nonostante il patto atto a mantenere saldo il loro legame, fosse una delle sue più care amiche.
«Ma che dici?»
«Tanto me sarei comunque ritrovata a fa' la candela. - avvertì il ticchettio delle sue unghie contro lo schermo del telefono. - Dici che ce fanno dipingere sulle zucche?» Domandò, colta da un improvviso entusiasmo che spinse Manuel a scuotere il capo.
«Che ne so'... ma non c'è bisogno, veramente!»
«Ma stai zitto, sto scrivendo a Matteo. Vedi che quello pure se è impegnato molla tutto e s'unisce.»
Il nome dell'amico lo fece scattare sul posto, la schiena improvvisamente dritta e un «No!» quasi urlato ad attirare finanche l'attenzione di sua madre. La scacciò con la mano, quando col suo solito sguardo interrogativo capitolò nuovamente dalla cucina.
«Che?» Fu il quesito di Chicca dall'altro capo.
«Non dire niente a Matteo.» Si sentì sporco come un ladro ad avanzare quella richiesta proprio a lei, che probabilmente stava accettando quella situazione soprattutto nella speranza di passare un giorno in più proprio in compagnia del ragazzo.
La sentì ridere dall'altro capo, segno che non avesse preso sul serio la sua richiesta. «Perché non dovrei?»
«Perché... - perché Matteo ormai frequentava Simone ed era plausibile pensare che, considerando il fatto che Laura fosse impegnata con Luna, avrebbero passato la serata assieme. E se Matteo dava buca a qualsiasi cosa avesse in programma per stare con loro, avrebbe finito per trascinarsi dietro pure Simone. E Manuel non aveva alcuna voglia di vederlo più del dovuto. Il solo pensiero di doversi specchiare nuovamente nei suoi occhi, dopo gli esiti di quella notte in discoteca, gli dava il voltastomaco. Ancor di più se ragionava lucidamente sull'accaduto, realizzando che non sarebbe potuta andare diversamente, e ricordava la reazione che invece lui aveva avuto. Se ne vergognava immensamente e al tempo stesso riusciva a percepire ancora viva la collera sottopelle. Chicca era del tutto estranea a quegli eventi, così dovette armarsi di coraggio per esalare - è successa una roba, se c'hai dieci minuti te spiego però pe' cortesia nun di' niente a Matteo.»
...
Il parcheggio sterrato era separato dal cuore del Pumpkin Patch solo da una staccionata di legno dipinta di bianco, oltre la quale si apriva un ampio giardino illuminato da lucine arancioni e ghirlande di fiori secchi. L'aria profumava di terra umida, fieno e latte speziato, un misto che Manuel reputò inaspettatamente piacevole, per quanto stucchevole. Da dove si trovava, poteva già distinguere le file ordinate di zucche sparse sull'erbetta verde, alcune tanto grandi da sembrare finte e altre più verdognole e acerbe.
Qua e là si vedevano spuntare sagome di spaventapasseri e decorazioni a tema: fantasmi di stoffa appesi tra gli alberi, ragni finti che pendevano dai rami, e persino una piccola giostra per bambini addobbata con scheletri innaturalmente sorridenti.
Una musica soffusa, quella tipica delle fiere, si mescolava alle risate e alle chiacchiere che giungevano dalla folla in fila all'ingresso. La luce calda del sole che s'infrangeva tra le foglie secche
conferiva al luogo un'atmosfera accogliente, quasi fiabesca. E Manuel, nonostante si fosse detto fin dal principio disinteressato a quella gita fuori porta, non poté fare a meno di trovare il tutto vagamente affascinante, per quanto surreale: Halloween, in provincia di Caserta, tra bimbetti urlanti e in un ambiente del tutto estraneo alle sue abitudini. Gli sembrava più la scena di un film americano che un evento reale.
Si infilò le mani nelle tasche del giubbotto per parare le frustate del vento e seguì sua madre, notando i affettuoso silenzio come Anita sembrasse già completamente immersa nello spirito della giornata. Lo sguardo della donna si muoveva con curiosità da una parte all'altra, le dita a puntare verso gli stand allestiti a tema o verso i recinti che accoglievano pulcini e ochette.
«Ce stanno Chicca e Anna.» disse, smorzandole l'entusiasmo per coinvolgerla in un'alzata di braccio atta ad attirare l'attenzione delle due.
Si vennero incontro vicendevolmente, Chicca immersa in una giacca di pelle da un paio di taglie di troppo e sua madre con indosso un foulard per proteggere le orecchie dal freddo. «Hai visto che bello? - fu la domanda di Anita, dopo essersi sporta a baciare affettuosamente le guance dell'amica. - Gloria c'aveva proprio ragione.» Si sentì agguantare per un braccio e trascinare qualche passo più distante appena prima di riuscire a scambiare un saluto con Anna.
Chicca lo teneva stretto per l'incavo del gomito, un sorriso di facciata stampato in volto per evitare che le rispettive madri potessero scorgere nella sola espressione ciò che era pronta ad intimargli. «Allora? - non occultò il tono pretenzioso. - Fai serata co' Matteo senza dirmi niente?»
«T'ho già spiegato che se semo beccati pe' sbaglio. - ribadì, proprio come aveva fatto più volte al telefono il pomeriggio precedete. - Ed era meglio se non succedeva. Piuttosto, te lo sapevi che aveva cominciato a frequentare quello lì?» La domanda, posta in quella maniera, fece storcere il naso dell'amica.
«Quello lì, mh? Te sei strano forte, lasciatelo dire. - piegò il capo su un lato, pregandola silenziosamente di fornirgli una risposta che l'esentasse dalle prese in giro. Si sentiva già sufficientemente in imbarazzo. E quando lei finì per annuire, lui inevitabilmente si lasciò andare ad un lungo sibilo di fastidio. - Non è che me l'hanno detto, solo che m'è capitato più volte di vedere le storie sull'Instagram di entrambi e, - scosse il capo. - Insomma i posti erano quelli, pure se non se riprendevano assieme era chiaro che lo fossero.»
«Ma perché, te segui co' Simone sul privato?» Una domanda retorica, visto quanto appena affermato dalla ragazza, che non riuscì a trattenere. Né riuscì a moderare il tono, esternando tutto lo sdegno accumulato fino a quel momento.
Chicca sollevò le spalle con noncuranza. «M'ha mandato la richiesta a Ferragosto e ho ricambiato, de che te stupisci?»
Frequentava assiduamente Matteo, riempiva Chicca e i suoi lavori di attenzione e lui, da bravo arrogante, s'era pure permesso di guardarlo negli occhi e schernirlo. Te me desideri, gli aveva detto, e mirando agli eventi si rendeva conto d'aver preso il più grande abbaglio della propria vita. Del ragazzino che forse un tempo era stato infatuato di lui non v'era più alcuna traccia. Se avesse avuto realmente ragione, come minimo gli sarebbe stato riservato un trattamento similare a quello che aveva invece indirizzato ai suoi amici. Aveva un fidanzato e nessun interesse - romantico o amicale - nei suoi confronti. E l'atteggiamento, che aveva scambiato per flirtante, coincideva unicamente con il suo modo di fare. Era strano? Sicuramente. Ma d'altronde cosa ne sapeva lui dei moventi che spingevano Simone Balestra a comportarsi in un determinato modo?
D'improvviso sentì defluire ogni traccia di rammarico dal proprio corpo, la rabbia soppiantata dal disagio più grande che avesse mai provato in vita sua. Più ci pensava, meno si raccapezzava. «De niente. Nun me stupisco più de niente, onestamente.» Si era sbagliato. Si era realmente sbagliato e non aveva alcun modo di ritornare dignitosamente sui propri passi.
«Improvvisamente se sentono tutti dei pischelli! - la voce di Gloria fece voltare entrambi in sincrono. - Se dovevano fa grandi pe' 'sta più del dovuto con le loro mamme.» Lo sguardo di Manuel vagò oltre la madre di Matteo, affiancata dal sorriso raggiante di Floriana indirizzato a lui e a Chicca, per specchiarsi negli occhi del suo più caro amico d'infanzia. Era lì, di fianco alla portiera dell'auto ancora aperta, con lo sguardo a spegnersi nella realizzazione.
«Tu non gli hai... vero?» Domandò all'amica, sollevando nel mentre una mano per rivolgergli un saluto. Gli occhi di Matteo vagarono dall'uno all'altra, preda della confusione; poi si fecero seri come mai prima di quel momento, palesando una delusione che causò a Chicca brevissimo singulto.
«No. - Confermò a voce bassa, coinvolgendo Manuel in una smorfia. Stava per compiere un passo nella sua direzione, pronto a rifilargli le proprie ragioni e a sottolineare che quella non fosse affatto una congiura orchestrata da lui e Chicca per danneggiarlo. Riuscì a malapena a prendere fiato. Il respirò gli si mozzò in gola quando, dal retro della vettura che Floriana aveva condiviso con Gloria e Matteo, vide uscire Simone. Bastò la sua sola presenza a farlo desistere e indietreggiare impercettibilmente. Le dita di Chicca, per conforto, gli carezzarono l'avambraccio finendo per calamitare l'attenzione di Matteo. E per quanto grato, si sentì in dovere d'allontanarsi dalla morsa della ragazza in un gesto tanto svelto da finire per destare ancor più sospetti. Lo lesse nel sopracciglio inarcato che gli rivolse apertamente il ragazzo. - Mo se sta a fa' chissà quali film, quel coglione. - Fu il commento a voce bassa che giunse unicamente alle orecchie di Manuel. E avrebbe voluto consolarla, esattamente come lei non s'era risparmiata di fare in quella e in altre centinaia di circostanze. - Ce devo parlà.»
«Aspe'... - fu la richiesta - estremamente egoista, ne era consapevole - che le avanzò. Si costrinse pure ad abbassare lo sguardo fino a fissarsi le punte delle scarpe, certo d'aver preso colore sulle gote e sul naso. Il tutto solo perché Simone, ora poggiato con la spalla alla vettura e con una macchina fotografica a tracolla, guardava come tutti gli altri verso di loro. Dovette costringersi ad ingoiare il groppo di vergogna, ripetendosi che per quanto potesse prodigarsi nell'evitarlo, le "feste comandate" li avrebbero comunque spinti ad interfacciarsi e ad avere un confronto. Così tirò le labbra nel più fasullo dei sorrisi, estrapolato dal suo ampio repertorio di sfacciataggine, sollevò il capo e indirizzò sia a Matteo che a Simone un cenno di saluto col mento. - Okay, vai.» Bastò quel semplicissimo via libera a mobilitare Chicca che, come un animale finalmente libero dalle redini, lo superò per andare incontro agli altri due.
«Mattè, senti-» La superò senza neanche ascoltarla. Non palesò alcun tipo di rancore eppure era chiaro come il sole che fosse deluso. Da entrambi.
«Bella giornata, ve'?» Fu la domanda dell'amico, rivolta a tutti e a nessuno, che coinvolse le madri in una serie di consensi che trovarono compimento in una migrazione naturale vero il capanno della biglietteria. Manuel lo seguì con lo sguardo, mentre si univa a loro, le labbra schiuse dallo stupore, per poi interfacciarsi con l'impotenza dipinta nei lineamenti di Chicca che, dopo appena un istante, gli andò nuovamente dietro.
Inevitabilmente, tornò su Simone, stavolta guardandolo apertamente e con astio nel metabolizzare cosa fosse stato in grado di fare con la sua sola presenza. Non aveva avuto bisogno di servirsi di quei trucchetti ignobili a cui s'affidava da bambino. Nessun lacrimone, nessuna spia. Era stato capace di creare scompiglio in un sistema perfettamente armonico, mettendone in evidenza le falle, limitandosi ad esistere.
Lo osservò avanzare, schiudere le labbra in un sorriso che Manuel, ora privo delle attenzioni genitoriali, ricambiò con ostilità. Non gli permise d'aprir bocca. Quando s'accorse che stesse prendendo fiato per parlare, e salutarlo magari, l'anticipò. «T'ho già detto che me devi sta' alla larga.» Quelle parole vennero fuori in un ringhio che, quantomeno, ebbe il potere di gelare l'altro sul posto. Non gli diede il tempo materiale di riscuotersi e replicare. Semplicemente gli rivolse la schiena e allungò il passo, per raggiungere le quattro donne e i suoi amici.
Non era più come quando erano ragazzini. Era peggio, era decisamente peggio.
...
Il campo di zucche era stato allestito con cura: enormi distese di ortaggi arancioni interrotte da carretti di legno, stand di dolciumi e bevande calde aromatizzate alla cannella, animatori travestiti da contadini per intrattenere i bambini e dar pace ai genitori.
Sotto il grande capanno al centro del campo, un'organizzatrice con un cappello da strega si stava occupando dello smistamento presso i laboratori offerti dall'esperienza.
Manuel aveva passeggiato attaccato al fianco di sua madre per tutto il tempo pur di non interrompere il confronto che alla fine Chicca era riuscita ad avere con Matteo. S'era limitato ad osservare da lontano il suo amico storcere il naso più volte, scuotere la testa di disappunto e sorridere con sarcasmo ai tentativi di lei. «Che succede?» Fu la domanda che Anita gli bisbigliò contro l'orecchio e Manuel si diede un'occhiata alle spalle, per accertarsi che Simone fosse effettivamente a debita distanza. E lui, quasi nemmeno avessero parlato, se ne stava tutto sorridente poco lontano dal gruppo con la sua Reflex stretta tra le mani. Parlava con gli sconosciuti, chiedeva a quelli vestiti a tema di poter scattare loro una foto e poi si concentrava con l'obbiettivo su dettagli che in genere l'occhio umano tendeva a trascurare per renderli protagonisti dei successivi click.
«Lasciatelo fare! - fu il commento di Floriana, nel notare Manuel improvvisamente fermo. Nemmeno s'era reso conto d'aver arrestato il passo per guardarlo e, quando la consapevolezza prese il sopravvento sulle azioni, si ritrovò a maledirsi mentalmente. Come poteva essere così magnetico pur svolgendo azioni tanto ordinarie? - Se aspettiamo lui facciamo notte.» Rise la madre, e Manuel si districò dal braccio di Anita, per poterla superare a camminare oltre il gruppo di signore e raggiungere Matteo.
Doveva quantomeno salvare il salvabile.
Gli arrivò alle spalle. Chicca già lontana e alle prese con un messaggio vocale nemmeno fece caso a loro. Lo fermò per un lembo della felpa e sottostò all'ostilità del suo sguardo per qualche secondo prima d'esordire con un: «Me fai spiegà?»
Nonostante tutto quell'astio ad irrigidirgli le spalle, riuscì comunque a scuotere il capo e a chiedergli. «De che parli?»
«Mattè, non è come pensi.» L'amico inclinò il capo su un lato, finendo per rivolgergli un'espressione interrogativa.
«E cos'è che penso?»
«Io... - scosse la testa, ritrovandosi a deglutire. - Non lo so, ma so' sicuro che te sbagli.» Matteo ne interruppe il discorso, sollevando tra loro un palmo aperto.
«Non voglio nemmeno sapere quante altre volte l'avete fatto. Dimmi solo 'na cosa. - fece un passo nella sua direzione e Manuel mantenne le cosce salde al suolo, limitandosi a tenere gli occhi alti nei suoi. - Te piace Chicca? Te piace sul serio, intendo.»
«Come ti viene in mente? - l'amico sollevò un sopracciglio, intimandogli con quel solo gesto di non essere assolutamente in vena di scherzi o battute. - No. Non mi piace Chicca e onestamente non capisco perché lo pensiate tutti. - improvvisamente il pensiero che fosse stato Simone ad inculcargli quell'idea malsana lo fece rabbrividire di rabbia. D'altronde non era stato proprio lui, il giorno del compleanno di Floriana, ad insinuare la stessa cosa? - Semo amici come lo semo pure io e te. Lo sai meglio di me.»
«Se 'n ce stanno differenze tra me e lei perché ve siete organizzati pe' venire qui senza manco pensare de famme 'no squillo?» Risultò innaturalmente tranquillo nel porgergli quell'ennesimo quesito e inevitabilmente gli occhi di Manuel scivolarono sulla destra, incrociando il profilo di Simone che camminò loro di fianco per superarli. Avrebbe potuto accusarlo della medesima colpa, in fondo anche lui s'era presentato lì con quello senza preoccuparsi di avvisare. Ma avrebbe finito per avvelenarlo ancor di più, ché Simone, come gli aveva già ribadito in precedenza, non faceva parte dei loro accordi.
«Nun sei te er problema. - quella frase strappò a Matteo una breve risatina colma di sprezzo e lo indusse a dargli le spalle per allontanarsi. Manuel fu svelto a bloccarlo nuovamente per un braccio, stringendo il giusto per trattenerlo. - Volevo evità de vedere lui. E te ormai te lo porti sempre dietro.»
«Chicca m'ha detto la stessa cosa, vedo che quantomeno ve siete organizzati bene per riempirmi di stronzate.»
«Ma quali stronzate! Quali stronzate, Mattè? Sono serio.»
«Seh, vabbè...! E che c'avresti contro Simone, sentiamo?»
«C'ho provato co' lui e m'ha dato picche. - E magari si fosse trattato unicamente di quello. I sentimenti che provava, solo a guardarlo, erano quanto di più anomalo gli fosse mai capitato. Lo voleva. Lo voleva da morire. E ancor di più, forse per via di quella facciata così perfetta che si divertiva a sbandierare in giro, desiderava essere voluto da lui. O magari si trattava solo di senso di rivalsa: il ragazzo d'oro che perdeva la testa per lo scapestrato del gruppo. Il suo subconscio poteva realmente raggiungere quei livelli di malignità? Plausibile, considerando quante volte si fosse sentito ripetere, durante il corso della propria infanzia e preadolescenza, frasi come "Guarda Simone quanto è bravo". D'altronde quelle, assieme ai continui paragoni fatti passare per bonari, non avevano fatto altro che alimentare quel circolo vizioso d'acredine e competizione. E mai, neanche una singola volta, s'era visto vincitore. - Quando se semo beccati in discoteca. - Spiegò, per rispondere all'aria scettica dell'amico. - Te stavi co' Aureliano e non te ne sei accorto. Per questo nun m'andava de vedello pure oggi, considerando che domani siamo tutti a pranzo da te. 'Sta cosa, - e allargò un braccio, a indicare il giardino in cui erano immersi. - non era programmata. Solo che Luna m'ha dato buca pe' stare co' Laura e quell'altro-»
«Perché non hai chiamato anche me?»
«Te l'ho detto, credevo-»
«Credevi che non fossi in grado di fare quello che faccio da tutta la vita? - la domanda di Matteo lo spiazzò, inducendolo a trattenere il fiato. - Te sto dietro da sempre, Manuel. Te so' venuto dietro pure quanno nun m'annava de farlo. L'avrei gestita, come ogni sacrosanta volta, ma hai deliberatamente deciso de non dirmi niente. Ti sei comportato da stronzo e, - i suoi occhi saettarono oltre le spalle di Matteo, intercettando nuovamente Simone e finendo per incendiarlo col solo sguardo. Era colpa sua. Era tutta colpa sua. S'era permesso di rientrare a gamba tesa nelle loro vite e d'aprire una crepa. Matteo ne coprì la visuale col corpo e scosse il capo. - E lui non c'entra niente, è 'na roba tra me e te.»
«Me dispiace...»
«E fai bene a dispiacerti. - Si guardarono negli occhi fin quando Manuel non lasciò andare il respiro trattenuto, calando la testa e finendo per far sbuffare l'amico. - Poi me spieghi come t'è venuto in mente di provarci co' Simone? Sempre che 'sta storia sia vera, 'o sai che c'ha già uno.»
Si strinse nelle spalle, sollevandole appena. «Un errore di valutazione»
«Ne fai troppi ultimamente.»
...
Nonostante la tensione ancora palpabile, l'atmosfera divenne più serena nell'esatto momento in cui toccò a loro e alle rispettive madri accedere al giardino dedicato alla scelta della zucca da decorare.
Chicca l'aveva affiancato nuovamente, dopo avergli rivolto un sorriso incerto e stretto il braccio con una comprensione che in realtà sapeva di non meritare. Insieme, avevano vagato in quella distesa verdeggiante puntinata d'ortaggi arancio e ocra e delimitata da scenografiche casette in miniatura. Pareva d'essere immersi nel set di una di quelle commedie romantiche che Anita amava guardare prima di andare a dormire nelle sere d'inverno.
Con quel gazebo bianco bianco, poi, elegantemente decorato con rampicanti essiccati, che si stagliava al centro del prato. Era chiaro che ogni particolare fosse stato messo lì per ispirare scatti da immortalare e condividere sui social.
E proprio per via di quell'ambientazione così fotogenica, non riuscì ad evitare di notare che Simone avesse risposto la propria macchina fotografica per dedicarsi pienamente all'attività in compagnia di Matteo e in prossimità delle donne.
«Se continui così rischia de consumasse. - L'amica s'era accovacciata ad ispezionare una delle zucche, per assicurarsi, neanche fosse una bambina, che la forma s'adattasse bene al tipo d'espressione che aveva deciso di conferirle. Lo guardò dal basso, strizzando gli occhi e schermandoseli poi dal sole con un palmo aperto. Manuel le rivolse un'occhiata interrogativa, che lei finì per ricambiare con un ghigno saputo. - Simone. - Spiegò l'ovvio, facendolo sbuffare. - Te deve piacè proprio tanto, non fai che cercarlo co' l'occhi.»
«Hai finito de sparà stronzate, Chi'? - Una domanda retorica che finì unicamente per incentivare il riso di lei. S'abbassò, per
strapparle la zucca dalle mani e adagiarla nella carriola in dotazione, di fianco a quella che lui aveva selezionato dopo i primi minuti di ricerca. - Me sta sui coglioni, altro che piacere.»
«O te piacerebbe che te stesse sui cogli-»
«Oh. - la redarguì prima che potesse finire di parlare. - T'ho detto basta.» E a quella raccomandazione lei portò alle labbra indice e pollice per emulare la chiusura di una zip. Poi, per dimostrargli che la sua discrezione aveva dei limiti, indicò Simone con un movimento rapido del mento. - Comunque se carica su Instagram 'na sola foto de oggi è la dimostrazione che 'e zucche je piacciono più del ragazzo suo. - all'ennesima occhiataccia spazientita di Manuel sollevò le mani in segno di resa. - Solo un pensiero, eh!» Anna richiamò la loro attenzione prima che potesse maturare quella confessione. Chicca gli stava già a troppi passi di distanza, quando gli balenò tra i pensieri la malsana idea di sbirciare i profili di Simone dall'account dell'amica. In realtà fu un bene, perché una richiesta del genere non avrebbe fatto altro che avvalorare le parole a cui s'era opposto tanto fermamente.
Toccò a loro lasciare il giardino per dirigersi, guidati da un addetto, lungo il viale alberato che conduceva a rispettivi laboratori scelti. Le loro madri si fermarono per prime, nell'area dedicata alla pittura, dove tra pennelli e tempere colorate si sarebbero dedicate ad una decorazione degli ortaggi senza sforzi. Manuel sbuffò, forse troppo rumorosamente, nel notare Matteo - e Simone di conseguenza - proseguire assieme a loro. E il suo amico, ovviamente, finì per fraintendere di nuovo, indirizzandogli un sopracciglio inarcato a cui dovette necessariamente rispondere con una scrollata di spalle e la sua migliore faccia da gnorri. Ovviamente non ci cascò. Spinse Simone avanti, invece, costringendolo a superare lui e Chicca.
Seguirono la loro guida, attraversando la stradina staccionata fino al pergolato destinato al laboratorio d'intaglio.
I tavoli erano disposti in lunghe file, coperti da teli di plastica e corredati da strumenti di ogni tipo: cucchiai per svuotare, coltelli affilati, seghetti e pennarelli per tracciare le linee guida. Un vago odore di zucca fresca aleggiava nell'aria, mescolandosi ai suoni delle chiacchiere e del metallo che raschiava le superfici degli ortaggi.
«Benvenuti! Avete qui tutto ciò che serve. Se avete domande, siamo a disposizione! - annunciò una ragazza sorridente che indicava i posti liberi. - Vi abbiamo lasciato un foglio con alcune reference da seguire e le istruzioni su come procedere in caso di difficoltà.» Chicca fu la prima a prendere posizione, trascinando con sé la propria zucca e tirandosi Manuel dietro.
La seguì, con un passo svogliato, affiancandola sulla panca. Matteo e Simone, invece, si sedettero loro di fronte e gli sguardi di tutti e quattro si incrociarono per un istante, colmi di non detti.
Un colpetto di tosse e «Bene, da dove cominciamo?» chiese Chicca, rompendo il silenzio con un battito di mani. Aveva già preso un pennarello e iniziato a tracciare linee delicate sulla superficie liscia della sua zucca, con la naturalezza di chi sapeva esattamente cosa fare, quando Manuel decise di imitarla. Si chinò verso il centro del tavolo per recuperare un indelebile. Solo che nello stesso istante anche Simone allungò la mano e le loro dita finirono per scontrarsi. Fu un contatto breve, appena percettibile, ma sufficiente a farlo irrigidire. Il respiro gli si bloccò in gola, e per un istante troppo lungo si ritrovò a fissare quella mano – le nocche definite, le dita affusolate che sembravano fatte apposta per maneggiare strumenti di precisione. Erano belle, troppo, e lui... lui si stava nuovamente spingendo oltre col pensiero, finendo preda di un calore indesiderato che gli salì fino alle orecchie.
«Scusa.» La voce di Simone, bassa e modulata, non fece che gettare benzina sul fuoco. E Manuel, quasi quella singola parola avesse realmente avuto il potere di arderlo vivo, si ritrasse come scottato. Afferrò un altro pennarello dalla scatola e lo strinse tra le dita con troppa forza, senza però alzare lo sguardo.
«Figurati.» Si abbassò sulla zucca e iniziò a tracciare delle linee, anche se la sua mano tremava leggermente. Tentò comunque di concentrarsi su di esse, nel tentativo d'essere preciso, ma ogni tanto, suo malgrado, gli occhi gli sfuggivano verso l'altro lato del tavolo.
Simone era chino sulla propria zucca, completamente assorto nel suo lavoro. La schiena leggermente curva, le spalle ampie e i gomiti appoggiati al bordo del tavolo in una posa che a Manuel sembrava occupare tutto lo spazio disponibile. Il fastidio gli salì allo stomaco, cocente, e cresceva ogni volta che alzava gli occhi e lo trovava ancora lì, tranquillo, come se niente fosse.
Si morse l'interno della guancia, cercando di ignorarlo. Ma bastò un movimento di Simone, che scostò appena un coltello per liberare un angolo del tavolo, a fargli perdere il filo dei pensieri.
Sbuffò forte, troppo forte, tanto che Chicca alzò lo sguardo di scatto dalla propria zucca per guardarlo con una smorfia interrogativa. Matteo, dall'altra parte del tavolo, trattenne un sorrisetto sarcastico, ma non disse nulla.
«Che c'hai?» Gli bisbigliò l'amica, e quella domanda da sola bastò a farlo scattare. Sollevò il mento, senza nemmeno provare a celare tutta la stizza di cui s'era saturato da quando l'aveva visto scendere dall'auto.
«Te fai indietro? - Simone in un primo momento parve non rendersi conto del fatto che si stesse rivolgendo proprio a lui. Fu quando né Chicca né Matteo risposero, che sì degnò di alzare il volto per cercare gli occhi di Manuel. Poi piegò la testa con fare interrogativo, e lui fu costretto a ripetersi, accompagnando questa volta ogni parola con i gesti delle mani. - 'N ce stai solo tu, stai occupando tutto lo spazio.»
«Hai preso a core 'e zucche, Manuelì?» la domanda di Matteo, del tutto priva del genuino affetto con cui gli si rivolgeva in genere, giunse alle sue orecchie assieme al «Manu, dai...» di Chicca. Simone comunque non si scompose, limitandosi a tirare verso il petto l'ortaggio che stava decorando con un sospiro paziente. Rimasero tutti e quattro in silenzio, riprendendo ciascuno il proprio lavoro.
Fu quando Manuel agguantò il seghetto che le istruzioni indicavano fosse preposto a scoperchiare la zucca che Simone si rivolse a Matteo. «Ho letto che qui vicino c'è anche un campo di lavanda. - Tenne gli occhi fissi sulle linee scure che aveva tracciato, mentre affondava con la lama nella buccia dura. Fai piano. Gli intimò Chicca a voce bassa, nel notare l'enfasi dei suoi movimenti. - Pare che gli infusi che offrono ai visitatori siano un toccasana per i nervi, - Manuel avvertì la palpebra inferiore vibrare di conseguenza. - potrebbe essere una tappa interessante.» Sbagliò il taglio, finendo per tranciare ben oltre il disegno, e sollevò il capo per fulminarlo.
«Famme capì, voi litigare?» Le iridi di Simone saettarono dal profilo di Matteo al volto contratto di Manuel. Forse era pazzo, forse stava fraintendendo ancora, ma poté giurare d'aver intravisto una scintilla di divertimento.
«Era per fare conversazione, ti sei sentito chiamare in causa? - Il quesito lo fece fremere, assieme alla consapevolezza che il suo intaglio fosse ormai irrimediabilmente rovinato. Simone parve notare solo in quel momento quel piccolo dettaglio e la sua espressione s'ammorbidì all'istante, quasi c'avesse di fronte un ragazzino irrequieto. - Si può recuperare.» Ma prima che potesse allungare una mano per osservare meglio il danno, Manuel si sporse per affondare la propria lama nella zucca di Simone e sciuparla alla stregua di quella a cui si stava dedicando.
«Recupera la tua.»
«E che cazzo, Manuel!» Il rimprovero di Chicca e lo sbuffo di Matteo fecero unicamente da sottofondo. Era troppo impegnato a sostenere lo sguardo di Simone.
E quello posò il seghetto sul tavolo, dove poi aprì i palmi per sporgersi nella sua direzione e avvicinarsi quanto bastava per invadere il suo spazio vitale. «Ti senti meglio, ora?» Chiese, riuscendo a risultare tagliente nonostante il tono cauto con cui aveva deciso di rivolgerglisi. Ed era palese che lo stesse prendendo in giro, talmente tanto che Manuel si ritrovò con i pugni stretti lungo i fianchi e col viso infiammato dal livore.
«Quello dipende da quando ce metti pe' corre' a piagne da mammina.»
Sollevò un sopracciglio. «Davvero maturo.»
«Vuoi vedere quanto so essere maturo, Simò?»
Chicca si mise in mezzo prima che la tensione esplodesse. «E basta, oh! - sibilò a denti stretti, tirando Manuel per il braccio e indirizzando a entrambi un'occhiata d'ammonimento. - Stateve boni, che già semo abbastanza al centro dell'attenzione.» E in effetti diversi presenti ai tavoli vicini si erano voltati ad osservarli, parlottando tra loro.
Simone fu il primo a ritrarsi, senza aggiungere nulla. Poi, come se niente fosse, si girò verso Matteo per rivolgergli il suo miglior sorriso prima di riprendere a lavorare con un coltellino differente. «Alla fine basterà rifare il design, magari viene pure meglio.» Commentò con un'alzata di spalle, come a voler dimostrare che quella discussione non l'avesse minimamente scalfito.
Manuel invece rimase lì a guardarlo, con la mascella serrata e il respiro pesante. Chicca dovette tirarlo per la spalla, per costringerlo a sedersi. «Te devi da' 'na calmata, seriamente.»
Manuel s'abbandonò al suo tocco lasciandosi tirare sulla panca. L'eco delle proprie parole gli rimbombava in testa, insieme a una consapevolezza amara: stava esagerando, di nuovo. Chicca aveva ragione, Matteo aveva ragione e... diamine, pure Simone aveva ragione: si stava comportando come un ragazzino. E non riusciva a mettersi un freno.
Era la vergogna a farlo straparlare, la stessa che si stava trascinando dietro da quel giorno in discoteca. E la rabbia nel vedere Simone lì, dall'altro lato del tavolo, come se niente fosse successo. Come se lui non avesse nemmeno in minima parte il potere di turbare il suo equilibrio. E mentre lo portava all'esasperazione gli strappava via dalle mani finanche l'affetto delle persone che fino a quel momento erano state pilastro e certezza.
Manuel abbassò lo sguardo sulla sua zucca, provando a concentrarsi, ma il nodo nello stomaco finì solo per farsi più stretto. Avrebbe voluto sparire, o almeno trovare un modo per smettere di sentirsi così vulnerabile. Ma tutto ciò che riuscì a fare fu stringere nuovamente il pennarello fino a sbiancarsi le nocche, e lasciarsi divorare dalla tensione.
...
Dopo i laboratori, il gruppo si era spostato nell'area break, un'ampia zona del giardino allestita con cura tra impalcature di legno e stand di prodotti locali. Lì s'erano ricongiunti con loro madri che, visibilmente soddisfatte dall'esperienza, si erano accomodate con aria rilassata davanti a bicchieri di sidro. Simone s'era defilato poco dopo, in silenzio, sparendo dalla loro visuale con la macchina fotografica a tracolla. «È successo qualcosa?» gli aveva chiesto sua madre, quando pure Chicca e Matteo s'allontanarono insieme lasciando Manuel da solo in compagnia delle quattro donne.
«Niente.» Una conferma a cui evidentemente Anita non credette, visto lo sguardo perplesso che indirizzò ai suoi amici ora distanti, ma che comunque si fece andare apparentemente bene, limitandosi ad annuire. S'alzò quando Gloria attirò nuovamente la sua attenzione, offrendole una sigaretta mentre riprendeva un discorso probabilmente imbastito durante il laboratorio di pittura. Approfittò di quella distrazione per seguire le indicazioni in legno grezzo e raggiungere un labirinto di pannocchie di granturco allestito appositamente per sfidare i più piccini.
Senza pensarci, attraversò l'arco che segnava l'ingresso e s'addentrò nel lungo corridoio delimitato ai lati da lunghi fusti dorati. L'aria era intrisa di quell'odore dolce e terroso tipico del mais maturo, e ogni tanto un raggio di sole riusciva a filtrare tra le spighe, disegnando strisce bronzate ai suoi piedi.
Mentre camminava, perdendosi tra le viuzze impagliate, inevitabilmente tornò con la mente a quanto accaduto meno di un'ora prima: il litigio con Simone, la smorfia spazientita di Chicca e lo sguardo divertito – ma incredulo – di Matteo erano tutti dettagli che si rifiutavano di lasciarlo in pace. Aveva mandato un messaggio vocale a Luna, per spiegarle in breve l'accaduto col solo scopo di farsi rimproverare. Perché era perfettamente consapevole d'essere in torto marcio e d'aver inavvertitamente rovinato la giornata a tutti col suo temperamento incauto. Con quale faccia si sarebbe presentato il giorno seguente a casa di Gloria? Sedersi a tavola con lui e con i suoi amici, fingendo non fosse successo nulla, era quanto di più lontano dalla sua persona. E più ritritava quel pensiero, più avvertiva le alte mura di mais stringerglisi attorno, soffocandolo fino a deprivarlo dell'aria con la stessa irrequietezza che gli pulsava nello stomaco. Non era tanto per Simone – o almeno così cercava di convincersi – quanto per sé stesso. Per il modo in cui si era lasciato andare, incapace di controllare quella rabbia figlia di chissà quanti insoluti.
Fu quasi profetico lo spiazzo che gli si aprì davanti durante il percorso. E nonostante al centro si ergesse un campo di girasoli, disposti con precisione intorno a una piramide di zucche, l'aria divenne più respirabile. Meno fortuita fu invece la presenza di Simone, con la macchina fotografica stretta tra le dita e l'obbiettivo a puntare in direzione dell'allestimento. Dovette sentire il rumore dei suoi passi contro la paglia secca, perché si girò di scatto nella sua direzione con la lente che finì per mettere a fuoco sul suo volto.
Rimasero in posizione per qualche istante, poi Simone abbassò la Reflex, per potersi specchiare nei suoi occhi in maniera diretta. Riuscì a sorreggere il suo sguardo per un brevissimo lasso di tempo, poi inevitabilmente chinò il capo e diede una scossa alle cosce per rimettersi in moto e superarlo.
«Manuel, - gli si mozzò il respiro quando si frappose tra lui e l'uscita di dirimpetto. - aspetta.»
«Cos'è che non capisci? - fu la domanda che gli ringhiò contro, forzando le labbra in un ghigno sardonico. - Eppure me pare d'essere stato chiaro: me devi girà a largo.» Solo che non riuscì ad essere convincente, la voce gli si spezzò sul finale, lasciando l'altro interdetto.
Quasi non gli si fosse rivolto con toni apertamente minatori, Simone piegò il capo su un lato per studiarlo. Poi allungò una mano, finendo per sfiorargli il braccio e «Stai bene?» gli domandò, quando Manuel fece per sottrarsi al suo tocco.
«T'interessa? - chiese di rimando, ma non gli diede modo di replicare. - Matteo è convinto che io sia un infame, Chicca è incazzata nera pe' quello che è successo prima e tu... - scosse il capo. - Tu sei ovunque! Com'è possibile che una persona sia dappertutto, me lo spieghi? - buttò fuori l'aria, in un respiro secco. - Me stai sul cazzo in una maniera che manco t'immagini.»
«Mi dispiace.»
«No! - esclamò avvilito e s'addentò l'interno guancia. - Dispiace a me! So' stato pessimo, sia oggi che due settimane fa. E lo so, - alzò la voce quando Simone prese fiato per rispondere. - l'ho capito che so' stato io a fraintendere tutto come ho capito d'esse' er cojone egocentrico che se pija collera per un no. Ho fatto un casino e in genere non m'è così difficile chiedere scusa, solo che con te è...» In realtà non riusciva a spiegarlo, lui per primo faticava a comprendere i motivi che l'avevano spinto ad una reazione così plateale e con un'onda d'urto tanto potente da coinvolgere finanche la serenità di altri.
«Diverso. - completò Simone al posto suo e lui annuì in silenzio. - È diverso perché non hai frainteso niente. Credevo che questo fosse assodato. - s'accigliò e Simone fece roteare gli occhi. Poi raccolse nuovamente la macchina fotografica, che aveva lasciato penzoloni al collo, per cercare nuovi angoli da inquadrare. - Andiamo... - mormorò, ridendo brevemente. Suoni la chitarra da autodidatta, ti prodighi senza neanche pensarci per difendere i tuoi amici, hai un carisma da vendere e, - lasciò quell'elenco in sospeso per qualche istante, girandosi nella sua direzione per inquadrarlo. Un click accompagnò la fotografia che gli scattò, sorprendendolo. - sei bello da togliere il fiato. - gli saltò un battito a quella... dichiarazione? Non lo era. Simone aveva un ragazzo. Calò nuovamente la macchinetta, rivolgendogli un sorriso ancor più aperto. - Chi non cascherebbe ai tuoi piedi?»
In un'occasione differente gli avrebbe intimato di cancellare lo scatto appena rubato. Solo che era troppo interdetto, così dalle labbra gli uscì unicamente un: «Tu?»
«Ti farebbe stare meglio se ti dicessi che sono stato io a provarci con te e non viceversa?»
«Sarebbe la verità?»
Simone annuì e Manuel fu riflesso del medesimo gesto. «Non l'ho fatto di proposito, - aggiunse. - mi sono tirato indietro quando mi sono reso conto d'essermi spinto troppo oltre e di non potermelo permettere.»
«Possiamo... - alzò le spalle. - cancellare tutto e, non so, fare finta che non sia successo niente? - Domandò, perché che altro poteva fare? Aveva un ragazzo e, pure se lontano, era chiaro gli volesse bene. Era lui ad essere di troppo, in quella situazione, e pertanto lui a doversi fare da parte. - Ripartiamo da agosto?» Simone parve pensarci su, poi tese un palmo tra i loro toraci.
«Manuel? - domandò, fingendosi sorpreso. - Da quanto tempo! Come stai?» E suo malgrado si ritrovò inaspettatamente a ridere di gusto e a scuotere il capo.
Ricambiò la stretta, ignorando la scarica elettrica che gli percorse l'intero corpo a partire dal braccio.
«Che saranno, cinque anni? - stette al gioco, complice. - Io sto bene, te?»
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