❄️ | GIFT CARD CASTLE
PERSONAGGIO: Max Verstappen.
PROMPT: Carta Regalo.
CARATTERISTICA: Per racimolare qualche soldo, il personaggio lavora al centro commerciale e scatta cartoline natalizie ai bambini assieme ad un burbero Babbo Natale.
GIFT CARD CASTLE
Il fiato si fa condensa tra le sue mani coperte dai guanti sui quali si sciolgono sottili fiocchi di neve. La sensazione della sostanza appiccicosa che cola dal naso praticamente congelato la porta a tirare fuori la punta della lingua e leccarsi la pelle poco sopra le labbra, facendola apparire molto simile ad un cane randagio che trema in mezzo alla strada.
Affonda metà del viso nella sciarpa di lana che le fa due giri attorno al collo soffiando via qualche ciocca ribelle della frangetta che sotto all'ingombrante cappello munito di pon pon schiaccia sulla sua fronte.
È il terzo centro commerciale dal quale esce affamata, raffreddata e senza un lavoro e se non ne trova uno entro le otto di quella sera ritorna dritta in casa famiglia, e passarci anche le vacanze di Natale non era decisamente tra i suoi piani.
Sono esattamente dodici mesi e quattro giorni che le sue narici non vedono una striscia bianca sulla carta di credito di uomo insoddisfatto della sua vita, generalmente sposato e con un minimo di due figli e un'azienda di famiglia a carico. Si merita decisamente un premio, e andare a trovare la sua famiglia dopo più di un anno è ciò che aveva in mente già da un po'.
Ha cercato ovunque, negozi di abbigliamento, tavole calde, bar, caffetterie, ferramenta, negozi di esche da pesca, di animali, persino sexy shop, ma a quanto pare nessuno vuole assumere un'ex tossico dipendente nella sua attività.
Le porte automatiche si aprono al passaggio dei suoi scarponi e i suoi sensi vengono investiti dall'odore di zucchero e aghi di pino, dal miscuglio di motivetti natalizi provenienti dalle diverse vetrine, dal prevalere di colori come rosso, verde e oro.
Il Natale non è una di quelle feste per le quali non è mai andata matta una volta sorpassata la soglia dei sette anni, ma è decisamente una di quelle in cui occorre più personale possibile per gestire tutta la clientela che si accalca specialmente poco prima del ventiquattro, quando si va a caccia degli ultimi regali mancanti finendo sempre e comunque per comprare sciarpe, tazze o calze antiscivolo.
Travolta dalla frenesia dei dipendenti che scorrazzano da un reparto all'altro, i suoi occhi si posano su un grande cartello colorato che richiama la sua attenzione, sul quale a caratteri cubitali troneggia quella che potrebbe essere la sua ultima occasione: Cercasi amante dei bambini, solare e cordiale per Elfo di Babbo Natale.
Definirsi un amante dei bambini è un parolone, però dopo aver cresciuto sei fratelli più piccoli può quantomeno dire di saperci fare, o meglio, di saperli gestire. Per quanto riguarda i punti che richiedono solarità e cordialità può sempre recitare, in fondo l'importante è riuscire a racimolare abbastanza soldi per piantare il culo su un volo per Chicago prima del venticinque dicembre, al quale per la cronaca mancano circa sei ore.
Non si tratta di una corsa contro il tempo, è piuttosto come fare da spalla a Tom Cruise in tutta la serie di Mission Impossible.
Per poco non travolge una renna di plastica ornamentale mentre corre a perdifiato nella direzione di un tizio calvo e tarchiato appena sotto il cartello intento a sistemarsi il cappello a punta sul capo in attesa di lasciar passare il prossimo bambino che siederà sulle gambe di Babbo Natale.
<<Sono io!>> Proclama di colpo, senza alcun apparente motivo, piantandosi di fronte alla sottospecie di Umpa Lumpa dalle sopracciglia aggrottate che le arriva si e no allo sterno come fosse un soldato pronto per l'alzabandiera.
L'altro, scosso dall'euforia della giovane, sussulta e fa un passo indietro portando avanti le mani quasi dovesse difendersi da un gancio destro in arrivo. <<Prego?!>> Gonfia il petto poi, sbigottito, inforcando un paio di occhialetti rotondi dietro ai quali la squadra smorfioso.
<<Mi propongo io come elfo!>> Si batte solenne il palmo della mano aperta sul petto. <<Mi piacciono i bambini, sorrido spesso e sono gentile>> aggiunge per dare una buona prima impressione di sé allo schizzinoso elfo che pare non averla presa in simpatia dal primo momento in cui l'ha vista.
L'uomo dal buffo travestimento sospira insofferente riducendo le proprie labbra ad un'unica linea retta. <<Ha con sé un curriculum, delle referenze lavorative?» Chiede palesemente in maniera retorica mentre esamina attentamente dall'alto in basso la pelliccia sintetica sgualcita del suo parka nel quale è stretta come se fosse appena uscita da una cella frigorifera.
Conoscendo il soggetto se gli presentasse davanti agli occhi il certificato che le è stato attestato dalla casa famiglia come minimo chiamerebbe la sicurezza per cui lo caccia freneticamente nella tasca dei jeans accartocciandolo perché rimanga ben saldo sul fondo.
<<Oh andiamo, devo prendere in braccio un moccioso e posarlo sulle gambe di un vecchio pedofilo di cento cinquanta chili, credo che sia capace chiunque, no?>> Sbotta nel tentativo disperato di convincerlo allargando le braccia per poi lasciarle cadere con un tonfo sordo lungo i fianchi, pestando compulsivamente i piedi a terra come una bambina.
E' costretta a spostarsi per via di un'orda di genitori con i loro figli che spingono per prendere posto in fila e l'elfo di Babbo Natale approfitta per cominciare a spintonarla via con la scusa di essere fattore di intralcio. <<Mi dispiace, non possiamo assumerla senza delle referenze. Ora se non le dispiace qui bisogna tornare a lavoro>>.
La calca che man mano si fa sempre più fitta nell'ingresso gremito di quel centro commerciale non le da il tempo di replicare che travolgendola fa sì che finisca addosso all'enorme albero di Natale che fa da protagonista alla sceneggiatura lì organizzata. Il grande pino oscilla sopra di lei, e mentre tenta di salvare la propria vita unicamente per non avere sulla propria lapide qualcosa di simile a "La famiglia piange la sua morte per mano di un sempreverde" rimane incagliata tra le decorazioni.
Con il corpo avvolto da una ghirlanda dorata della quale sente la presenza persino nelle mutande e la fastidiosa sensazione di aghi di pino appiccicati alla lingua riesce ad amalgamarsi con la folla prima che intervengano i due uomini della sicurezza che mettono fine al traballare dell'albero.
Un altro guaio provocato dalla sua fama da imbranata e potrà dire addio a quel lavoro e al Natale con la sua famiglia, ma adesso il suo obbiettivo principale è quello di persuadere quel tappetto ad assumerla, anche a costo di terrorizzarlo a morte.
Scalpitando tra le spalle larghe dei papà e le enormi borse delle mamme, scavalcando la testolina di qualche bambino, riesce finalmente a fronteggiare nuovamente quel pelato malefico. <<La prego, mi ascolti bene: se non ottengo questo lavoro non potrò andare a trovare la mia famiglia per Natale, se non andrò a trovarli probabilmente mi ripudieranno, se mi ripudieranno non avrò più una casa, senza una casa vivrò per strada, senza una casa e un lavoro partirò la fame e se partirò la fame morirò>> lo insegue senza porre fine a quella pappardella mentre lui tenta di defilarsi da quella situazione quasi stesse fuggendo da un branco di cani affamati.
Nella più totale disperazione si aggrappa alla giacca di feltro del suo costume e lo attira a se parlando minacciosa al suo orecchio, <<E posso assicurarle che se morirò a causa sua il mio fantasma la perseguiterà fino alla fine dei suoi giorni>> sibila scandendo il ritmo secondo il quale gli occhi di lui si spalancano sopraffatto dallo shock.
<<Va bene, basta così>> piagnucola afferrando la mano con la quale lei stringe il suo indumento nella speranza che lo lasci andare. <<Vada a cambiarsi>> si arrende poi sgonfiando le spalle privandosi di quella sua aria di superiorità.
<<Sul serio? Lei è il nano migliore del mondo!>> Prende a saltellare e battere le mani in preda all'entusiasmo per poi gettarsi al suo collo abbracciandolo calorosamente.
Lo lascia lì, scombussolato e a bocca aperta, mentre si fionda verso i camerini accorgendosi solo dopo di non avere la più pallida idea di dove essi si trovino. Forse la prossima volta prima di minacciare dovrebbe imparare a chiedere.
<<Sono un elfo!>> Le urla alle spalle ma lei lo ignora totalmente, in preda all'ebrezza del momento.
Si limita a seguire una sfilza di dipendenti vestiti anche loro da elfi in una sorta di deposito e le bastano pochi istanti per raccapezzarsi e capire di trovarsi nel posto giusto. Gironzola senza meta alla ricerca di un costume della sua taglia in mezzo a tutti quei rotoli di carta regalo e quelle scatole di giocattoli nuovi di zecca.
<<Serve aiuto?>> Una voce la risveglia da quella sorta di stato di trance in cui era precipitata.
Si volta per verificare da dove provenga e si trova davanti alla visione più buffa e quanto più simile all'inizio di un porno che abbia mai visto in vita sua. Due ragazzi che - bisogna dirlo - si fanno proprio guardare, vestiti rispettivamente da Babbo Natale e il suo più fidato elfo.
Alti più o meno uguali, il primo biondo, dalla carnagione diafana e gli occhi glaciali, i tratti spigolosi, quasi minacciosi, la guarda scuro come se avesse appena visto una zecca pronta ad attaccarsi alle sue palle, e il secondo dalla tonalità di pelle più ambrata, una zazzera di capelli ricci e un sorriso largo e contagioso stampato in volto.
<<Magari>> sorride sghemba di rimando, maliziosa nello squadrarli entrambi centimetro per centimetro, <<Nessuno mi aveva avvisato di quanto fossero scopabili Babbo Natale e i suoi elfi. Maibel, molto piacere» protende un braccio nella loro direzione pronta a farsi stringere la mano.
Il biondo per poco non assume un'espressione schifata e dopo averla linciata con lo sguardo sbuffa oltrepassando la figura dell'amico e la sua uscendo definitivamente da quella sorta di magazzino lasciando che la porta si chiuda alle sue spalle provocando un fracasso assordante.
<<Guarda che scherzavo!>> Gli urla dietro anche se ormai non è più in grado di sentirla, poi si volta confusa nella direzione dell'altro ragazzo che se la ride di gusto, <<Ho detto qualcosa di sbagliato o è lui che è suscettibile?>>
Il suo sconosciuto interlocutore che ha tutta l'aria di essere in vena di scherzare scrolla le spalle, <<No, è semplicemente Max, è fatto così>>.
A quanto pare adesso conosce il nome di uno dei due, anche se si tratta del più scorbutico e di quello a cui lei di certo sta meno simpatica.
Inarca un sopracciglio e un angolo della bocca le si piega all'insù in un ghigno di scherno <<E me lo hanno piazzato a fare Babbo Natale?>> Domanda retoricamente impregnando le sue parole di sarcasmo.
<<Mi ero proposto io ma dicono che sembro troppo australiano per venire dal Polo Nord>>.
Nel frattempo, mentre ascolta distrattamente il racconto del ragazzo Maibel intercetta un costume da elfo in balia di nessuno sull'unica gruccia ancora attaccata allo stender appendiabiti a rotelle abbandonato in un angolo.
<<Ah beh, non sanno che si perdono lì in Lapponia>> schiocca la lingua contro il palato mentre insieme si dirigono verso il separé a pannelli che da quanto deduce è l'unico luogo in cui potrà cambiarsi a meno che non voglia farlo di fronte a tutti in mezzo a tonnellate di carta da regalo.
<<Comunque mi chiamo Daniel, il piacere è tuo, Maibel>> ride lui, bloccato però dall'atterraggio di un paio di jeans dritti sulla sua faccia.
Dopo averli rimossi se li rigira per qualche istante tra le mani, sono logori oltre che esageratamente sgualciti e come se non bastasse la taglia deve essere stata alterata talmente tante volte da lavaggi alla temperatura sbagliata da farli apparire ancora più smessi di quanto già non siano.
Li piega maldestro per poi lasciarli lì appesi ad uno dei pannelli in attesa che quella giovane tutta pepe ed ironia venga fuori.
<<Te lo farò sapere quando ci vedremo in bagno durante la pausa>> Gli fa l'occhiolino sgusciando fuori nella sua mise da elfa pestifera per poi recuperare i propri vestiti e spingerli a forza all'interno di ciò che rimane della sua borsa più somigliante ad una vecchia sacca informe.
<<Proposta allettante, ma non abbiamo pause, se non entriamo in scena ci tocca impacchettare tutti i nuovi regali che arrivano>>.
Una volta fuori dal buio deposito tutto sembra assumere realmente il gusto del Natale, i genitori che litigano sottovoce per non farsi sentire dai figli, il calore di quei costumi e i caminetti che divampano sulle tv dietro le vetrine del negozio di elettronica, il grande albero che prima aveva tentato di ucciderla pieno zeppo di doni ai suoi piedi, i biscotti a forma di omino di pan di zenzero fatti con gli scarti dell'impasto, i negozi di cosmetici che strabordano di ragazzine indecise sul fortunato che si prenderà la loro verginità per poi mandarle a quel paese il giorno dopo e soldi, tanti, tanti soldi.
Il Natale dei ricchi. Quello in cui madri e padri che a malapena ricordano la conformazione del volto di quell'ammasso di capricci che hanno procreato e subito dopo affidato ad una tata hanno tutto il tempo di perdere un intero pomeriggio in fila perché il loro bambino chieda ciò che più desidera ad un Babbo Natale finto convinti che ciò possa colmare un anno di assenza.
Il Natale utile a coloro che passano mesi dietro una scrivania ad impartire ordini a dipendenti sottopagati per professarsi più buoni, per venire in posti come quello e squadrare il sedere delle commesse con le mogli a braccetto. Il Natale per i bambini che durante le vacanze vengono giù dal letto alle undici e sono liberi di giocare tutto il giorno con l'unico obbligo di dover fare i carini al telefono con parenti di cui neppure ricordano il nome.
La festa per quelli a cui il destino ha servito tutti i giorni un pasto caldo sulla tavola su un piatto d'argento.
<<E quanto ci pagano per promuovere la schiavitù intonando canti natalizi?>> Dissimula facendo della sua scorza menefreghista la sua impenetrabile corazza per poi stringersi nel suo costume in un improvviso brivido di freddo.
<<Dipende da quante ore lavori e quanto rendi, ti servono soldi Maibel?>> Domanda l'elfo al suo fianco arcuando le sopracciglia.
<<Credi che se non mi servissero soldi a quest'ora il mio culo non starebbe prendendo la tintarella alle Maldive mentre qualcuno mi versa del whiskey in una noce di cocco?>>
Il riccio se la ride portandosi le mani ai fianchi per poi lasciarle scivolare all'interno delle capienti tasche della sua giacca verde brillante <<Certo che ne hai di fantasia>>, poi, colto da un moto di curiosità, si spinge a chiederle: <<Mi spieghi per quale motivo proprio questo?>>
<<Beh, l'alternativa era la prostituzione e considerando l'esperienza che ho con le malattie veneree per stavolta passo>> scrolla le spalle lei, come se quanto appena detto fosse comune routine per qualsiasi altra ragazza della sua età.
in fondo è questo che le hanno insegnato in comunità, a fare della sua condizione un punto a suo favore, un modo disonesto di anticipare la mossa dell'avversario avvalendosi della magica arte dell'ironia. Riderci su, di qualsiasi cosa si tratti, è la via più breve per mandare chiunque in confusione.
<<E voi due, bei fustacchioni, che ci fate il ventiquattro dicembre vestiti da Babbo Natale e Lupo Lucio in un centro commerciale?>> Incalza poi, ma Daniel non è uno semplice da prendere alla sprovvista.
<<Gli assomiglio così tanto?>> Lancia uno sguardo veloce alla sua mise con un sorriso furbo in volto, quasi quanto quello di Maibel.
<<Se ti tingessi i capelli di arancione con tutti questi bambini usciresti da qui con le tasche abbastanza piene da comprarti una Ferrari, ammesso che quel programma esista ancora>> mormora distrattamente mentre spostando una pila di giocattoli impacchettati vicino alla poltrona di Babbo Natale tiene Max sotto tiro, quasi fosse un cecchino intento a prendere la mira.
<<E comunque lo facciamo per beneficenza, il nostro ricavato andrà ai bambini poveri>> spiega l'australiano sottraendole buona parte dei doni comportandosi da gentiluomo a differenza del suo amico, che freddo per com'è sembra provenire davvero dalla Lapponia, in maniera particolare per come si rapporta ai bambini, sembra che prenda in braccio dei malati di peste.
<<Che cazzate>> sbotta realizzando troppo tardi di aver pronunciato quelle parole ad alta voce.
<<Credi che donare sia una cazzata?>> Il tono incredulo dell'altro suona quasi stridulo, più acuto della sua naturale voce calda, mettendo oltretutto notevolmente in risalto il suo accento marcato.
<<Nella società di oggi? Assolutamente>>. Gli passa un pacco fin troppo pesante sbattendoglielo quasi al petto creando successivamente una catena di montaggio il cui ritmo è scandito dai discorsi di Maibel. <<Io sono stata una bambina povera, e non povera da non poter avere i vestiti firmati, povera da doverli cercare nei cassonetti, e chissà perché non mi è mai arrivato niente da nessuno. Forse perché ai ricchi piace tanto farsi belli con la beneficenza, ma gli fa più comodo fregarsene di quelli come me>>.
Nell'arco di dieci minuti hanno già sistemato metà dei nuovi pacchetti da consegnare ai bambini e Daniel non è più riuscito a spiccicare mezza parola. Afferra i pacchi e li sistema meccanicamente vicino alla renna di plastica di Babbo Natale, con la bocca semi-dischiusa e gli occhi vacui.
<<E comunque prima di preoccuparti dei bambini poveri forse dovresti pensare al tuo amico e a tutti quelli che sta facendo piangere in questo momento>>. Si asciuga una gocciolina di sudore che le riga il viso probabilmente a causa del caldo provocato dal sistema di riscaldamento e da quel cappello incandescente mentre rivolge con il mento un cenno verso Max.
Il comportamento schivo e austero di quest'ultimo da circa un quarto d'ora a quella parte ha cominciato a mietere fin troppe vittime per i gusti di Maibel, oramai due bambini su tre vengono giù dalle sue gambe in lacrime spargendo il loro disgustoso moccio sulle maniche dei loro cappottini.
L'elfo pelato dalle orecchie a punta intento ad accogliere altre famiglie per qualche motivo li fulmina tutti e tre con lo sguardo per poi tornare al suo lavoro. Non è affatto un buon segno, si dice Maibel, ma fortunatamente una manciata di minuti dopo l'elfo ruota il cartello di fronte all'ingresso che indica che è il momento di fare a cambio con i dipendenti in magazzino, per cui un'orda di elfi si raduna nuovamente lì per continuare ad impacchettare i nuovi giocattoli in arrivo.
La ragazza si guarda intorno incantata. Quel via vai, nonostante sia estenuante da sostenere, da l'impressione di trovarsi davvero all'interno del laboratorio di Babbo Natale, se non fosse che colui che detiene il ruolo di impersonare quest'ultimo sia in grado di disintegrare quell'atmosfera con un solo sguardo.
<<Ehi Dear Santa, di certo quest'anno i bambini non si dispereranno quando gli verrà detto che quello stronzo che li ha fatti scendere in lacrime dalle sue gambe non esiste>> punzecchia Max mettendosi a sedere con un balzo sul bancone tra i rotoli di carta regalo.
<<Ma perché non ti fai un po' i cazzi tuoi?>> Inveisce contro di lei guardandola con una punta di disgusto mentre si strappa il cappello rosso e bianco gettandolo malamente sul pavimento.
<<Calmiamo gli animi bellezza, che di farmi i cazzi miei non me lo dice neanche mia madre>>. Gli occhi si puntano nei suoi, glaciali, mentre sfoggia un sorrisetto da carogna che farebbe salire l'istinto omicida a chiunque.
Di certo quest'ultimo in lui non viene spesso a mancare.
Deve ammettere però, che con il volto arrossato e i capelli leggermente arruffati per via del sudore mentre con un gesto della mano slaccia il colletto del suo costume è attraente ai limiti dell'apnea. Peccato per il caratteraccio.
<<Sei tu che ti immischi in cose che non ti riguardano>> abbassa lievemente i toni quando la mano di Daniel si posa sulla sua spalla ma non intende smettere di guardarla come se stesse meditando come suo prossimo passo di metterle le mani al collo.
Cosa che in altre circostanze a Maibel non dispiacerebbe più di tanto.
<<O forse ti sei sentito troppo punto?>> mette un finto broncio infantile. Un bambino viziato, secondo lei sarebbe l'etichetta perfetta da appendere sulle sue spalle. <<Cos'è? Mamma e papà non ti hanno regalato il jet privato per Natale e scarichi le tue frustrazioni sui bambini?>> Piega il capo di lato assottigliando lo sguardo.
C'è un filo teso come le corde di una chitarra elettrica tra di loro e Max lo riavvolge avvicinandosi a passo pesante sfuggendo al tocco di Daniel, respirando di pancia, bruciandole le retine come se avesse dato loro fuoco.
Le sue mani si posano sul bancone, ai lati delle ginocchia di lei, stringendone i bordi fino a far sbiancare le nocche. Avanzano a mala pena due centimetri perché le punte dei loro nasi possano sfiorarsi ma nessuno dei due batte ciglio.
<<Perché non ti ci siedi tu su quella poltrona? Mi piacerebbe vedere le reazioni felici dei genitori quando vedranno i loro figli in braccio a una drogata>> sussurra, talmente pianto che Maibel per qualche secondo viene travolta dal dubbio di averlo solo immaginato. È una minaccia la sua, come a volerle dire che non si farebbe alcuno scrupolo a ripeterlo ad alta voce. <<Sì, se te lo stai chiedendo, se ne accorgerebbe anche un cieco>> inarca un sopracciglio imitando il ghigno che poco prima sfoggiava lei, diecimila volte più bastardo.
<<Ma vaffanculo>> sbotta spingendolo per le spalle saltando giù dal bancone per poi defilarsi e confondersi in mezzo alla folla.
Lui però, non la perde di vista neppure un attimo, vigile, come un leone che studia la sua preda, almeno fino a quando non varca la porta del magazzino sparendo oltre la soglia.
Poco più tardi tutti hanno fatto ritorno alle postazioni a loro assegnate, stavolta però, sono Daniel e Maibel ad accogliere i bambini e condurli da Babbo Natale.
La fila si accorcia man mano più spedita, principalmente perché dopo la loro discussione Max sembra ancora più insofferente nei confronti del genere umano, in maniera particolare di quella parte compresa tra gli ottanta centimetri e il metro e trenta, fatta eccezione per Maibel che supera di parecchio la loro taglia.
Quest'ultima sgancia la corda di velluto che segna l'ingresso del regno di Santa Claus facendo passare una bimba stretta nel suo cappotto bianco sul quale ricadono le lunghe trecce corvine in parte tenute al caldo da un cappello di lana apparentemente soffice come una nuvola.
Fulmina Max con lo sguardo mentre la aiuta a salire sulle sue gambe ma lui pare impossibile da scalfire, un muro di cemento armato.
<<Allora, come ti chiami?>> Le chiede scocciato, spalmandosi una mano sulla parte ancora visibile del suo viso per metà coperto dalla barba bianca.
<<Marianne>> sorride lei entusiasta lisciandosi il cappottino che tiene a non spiegazzare pur tenendosi salda alla coscia di Max per evitare di cadere.
<<E cosa vorresti per Natale, Marianne?>>.
Maibel sbuffa origliando la conversazione, sembra che quell'idiota stia facendo una fatica immane per rivolgere la parola a quella bambina. Potrebbe anche sforzarsi di fingere, ma tanto che gli importa, non giovano mica a lui quei soldi.
<<Desidero davvero davvero davvero tanto avere un cellulare, tutte le mie compagne di classe ne hanno uno tranne me...>> sospira la ragazzina a mani giunte con il mento alto e gli occhi sognanti ma viene immediatamente stroncata sul nascere.
<<Non mi importa la storia della tua vita, bambina. Dimmi che altro vuoi per Natale e smamma, la fila è lunga e ricordati che c'è la crisi>> la informa distaccato, di una freddezza che farebbe gelare il sangue a chiunque ma fa ribollire quello di Maibel.
Gli occhi della piccoletta si fanno lucidi riempiendosi di lacrime e l'elfo pelato torna in allerta osservandoli grave, colmo di dissenso.
La giovane vestita da elfo si fionda verso di loro afferrando il bicipite di Max stringendolo forte avvolgendone la forma centimetro per centimetro.
<<Che vuoi?>> Ringhia l'olandese sottovoce voltandosi di scatto nella sua direzione.
<<Ascoltami bene, a me questo lavoro serve e quel maledetto pelato non fa altro che guardarci male entrambi perché tu fai piangere i bambini ed io non so come sistemare la situazione. Ti prego, quantomeno provaci>> bisbiglia a denti stretti infastidita dalla barba sintetica che le solletica il viso
<<Cosa non ti è chiaro del fatto che non voglio avere a che fare con te? Se perdi il lavoro sono cazzi tuoi, non cambierò perché una cocainomane ha bisogno di guadagnare per andare a farsi in un vicolo lercio>> Maibel crede di non aver mai sentito tanto odio in una frase che non le appartenesse. Neppure la conosce e già la considera un topo di fogna, già rientra in quella categoria di persone che pochi anni prima l'anno scacciata come si fa un randagio rabbioso.
<<Complimenti, fate beneficenza e campate di pregiudizi>>. Maibel è una che impara in fretta, ha imparato dai marciapiedi sui quali è collassata più di una volta, dai letti di ospedale in cui ha dormito per giorni, dagli uomini nei vicoli che talvolta per un grammo si sarebbero accontentati di una palpatina qua e la. Ha imparato dalla comunità, da ogni reietto della società che ci abitava. Da tutte quelle lezioni ha appreso qualcosa, ossia che al veleno si risponde col veleno, più acido, più corrosivo, più letale, eppure Max non sembra avere mezzo punto debole, o forse così tanti da non riuscire a scinderli l'uno dall'altro.
<<Sono pulita da più di un anno se può interessarti, e quei soldi mi servono per andare dalla mia famiglia, ammesso e concesso che mi facciano ancora entrare in casa>> la sua voce risuona ovattata nei timpani di Max, come fosse sommersa dalle onde e stesse lentamente annegando senza ribellarsi, lasciandosi trascinare verso il fondale come se avesse un'incudine legata alla caviglia.
Percepisce una stretta allo stomaco, gli sembra di ingoiare un pugno di chiodi, di sentir sgorgare il sangue lungo la gola mentre lo manda giù, è il sapore metallico di tutte le menzogne che gli sono state rifilate nella sua vita per cucirgli la bocca e allenarla a tacere, poiché in lui e di lui, l'unica cosa a dover parlare è la pista al passaggio delle ruote della sua monoposto.
Di certo se non gli fosse stato imposto dal suo Team Principal per una qualche idiota campagna pubblicitaria sulla beneficienza ai bambini del terzo mondo non si sarebbe mai trovato lì, a conversare con una tossico-dipendete petulante ai limiti del suo istinto omicida, ma ciò che dicono Helmut Marko e Christian Horner è un ordine, a meno che non voglia nuovamente trovarsi faccia a faccia con suo padre.
Max Verstappen che esegue gli ordini, il diretto interessato potrebbe tranquillamente dire di aver sentito barzellette più verosimili, in maniera particolare ora che Daniel dopo anni è tornato ad essere il suo team mate.
<<Ed io dovrei crederti? Siete ottimi bugiardi voi>> pronuncia l'ultima sillaba talmente sprezzante che se non si trattasse di un osso duro come Maibel probabilmente sarebbe stato in grado di scavarle un buco del petto.
<<Ma si può sapere che cazzo te ne frega di cosa ci faccio io con quei soldi? A questo punto non credo che sia esattamente come dici tu, che non ti importi assolutamente niente di me. Non puoi semplicemente fare bene il tuo lavoro?>> Tuona rimarcando la presa sul suo braccio. Nel frattempo Marianne li guarda curiosa, come se avesse una domanda sulla punta della lingua ma allo stesso tempo troppa paura per porgerla ai due litiganti.
<<Sai che ti dico, fattelo da sola Babbo Natale>>. Scatta in piedi prendendo la bambina da sotto le braccia facendola scendere dalle sue gambe per poi allontanarsi a passo pesante, tanto che il suono dei suoi scarponi da neve risuona in tutto l'androne del centro commerciale.
I bambini e le famiglie in fila si guardano smarriti, bisogna che Maibel prenda in mano la situazione ora che Max se n'è andato lasciandola lì come un pesce lesso se non vuole perdere il lavoro oltre che rovinare il Natale a centinaia di minuscole persone.
Sguscia di fronte all'enorme trono di legno imbottito e rivestito di velluto rosso aprendo le braccia e forzando un sorriso nervoso.
<<Oh oh oh, bambini! Babbo Natale è dovuto correre ad aiutare una delle sue renne rimasta incastrata nella neve e Mamma Natale è pronta a sostituirlo, chi per primo vuole dirmi cosa desidera trovare sotto l'albero?>>
Lo scetticismo per fortuna svanisce dai loro volti e ad uno ad uno la fila prosegue lasciando che i piccoletti le sussurrino all'orecchio desideri che alla loro età lei non sarebbe stata in grado neppure di sognare.
Quei bambini vivono in castelli fatti di carta regalo, si accontentano di qualcuno che usa bugie come mattoni per costruire loro tutto intorno delle mura tanto sottili e fragili che cadranno al primo soffio di vento fuori dalla campana di vetro sotto la quale vengono custoditi.
In un certo senso le sarebbe piaciuto usare un enorme fiocco rosso come tetto della sua innocenza, a darle quantomeno la parvenza di poter essere protetta quando era tanto piccola da trovare enormi i castelli altrui mentre il suo non aveva neppure le fondamenta.
Si chiede che sapore abbia la sensazione di essere vista come un dono e non come una delusione, cosa si prova a ricevere un sorriso sincero, di sorpresa, come accade quando si riceve qualcosa che si ha sempre desiderato, e non trovarsi ad essere avvolta da quella risatina tirata di quando si estrae dal pacchetto una tazza o un paio di calzini antiscivolo.
E' sempre stata quello lei, il regalo che nessuno voleva ma che comunque in qualche modo sarebbe potuto tornare utile, e che invece non ha fatto altro che rimanere abbandonato in fondo ad un cassetto ad inalare polvere.
Eppure sembrava il più bello, avvolto nella carta più colorata di tutte, sempre col sorriso e l'incapacità di rimanere ferma anche per un solo secondo. L'hanno strappata via, quella carta, se l'è strappata di dosso da sola, così nessuno potrà più cadere nella delusione scoprendola. Quel che è involucro è contenuto oramai, danneggiata dentro e fuori, senza vie d'uscita.
Ed è per questo che i bambini si fidano di lei, percepiscono la verità nei suoi occhi, sanno che dietro quel sorriso consumato non si cela un altro volto, la totale assenza di maschere, di carta regalo.
Ad osservarla, in disparte, con le palpebre ridotte a due fessure, c'è Max. Burbero, glaciale e dannatamente complicato Max. La osserva taciturno, studiando ogni sua movenza, ogni guizzo della sua espressione.
Neppure lui però, riesce a rimanere statico nel suo blocco di marmo mentre i bambini saltano giocosi sulle gambe di Maibel, ridono e scherzano insieme a lei, sussurrando qualcosa al suo orecchio con quei musetti timidi.
Li ha sempre odiati i bambini, probabilmente perché non gli è stato concesso di esserlo. Li ha sempre invidiati per la loro libertà di essere spensierati, di passare un quarto della loro vita a mettersi le mani nel naso e cucciare i loro pollici.
La metà dei pargoli che quel pomeriggio sono passati tra le sue mani hanno l'età in cui ha cominciato a correre, lì dove tutto è cominciato a partire dalle torture psicologiche di Jos per arrivare al mondiale di Formula 1 vinto da neanche un mese.
In quel centro commerciale però, imbacuccato fino alle punte dei capelli, con il viso ancora coperto dalla folta barba bianca e il capo avvolto dal cappello scarlatto per quei bambini lui è Babbo Natale e per i loro genitori è colui che ha distrutto l'idea che a quattro anni avevano di quella festività.
Per Maibel invece è soltanto uno stronzo, che tra l'altro sta sostituendo egregiamente, e a Max raramente va giù che qualcuno sia in grado di essere migliore di lui.
Il fatto è che nonostante provi immensurabile ribrezzo per il suo passato o presente che sia, non riesce ugualmente a vederla come un'avversaria, e questo gli da ancora più sui nervi. Perché oltre a essere secondo, Max più di tutte odia una cosa: non riuscire a pensare in maniera razionale, tornare il se stesso di pochi anni fa.
Tra le tante, un'altra cosa che detesta è perdere, e stando lì ad osservarla mentre lei se la cava alla grande con tutti quei bambini sta ammettendo una sconfitta. Non riesce a tollerare di avergliela data vinta, di aver mandato tutto all'aria senza neanche provarci fino in fondo.
È per questo che sommando tutte le sue forze, in particolare quel magone alla gola nel dover ammettere di avere torto, abbandona la sua posizione statuaria per raggiungere la poltrona su cui siede Maibel a grandi falcate.
Si china per biascicare al suo orecchio qualcosa di molto confuso e ovattato, simile ad un: <<Avevi ragione>>.
Sul volto della ragazza vestita da elfo si apre un sorriso enormemente soddisfatto, ma non sembra per niente intenzionata a fargliela scampare con così poco. <<Come scusa?>> Si porta una mano dietro l'orecchio abbellito dalla protesi appuntita per fargli cenno di ripetere.
L'olandese volge gli occhi al soffitto, <<Non ho intenzione di ripeterlo>> comincia a spazientirsi, più facilmente di quanto accada di solito.
È l'effetto che gli fa, neanche Lewis Hamilton è in grado di fargli venire l'orticaria come lei, va oltre la sua volontà, oltre ogni limite di sopportazione.
<<Avevi ragione>> si costringe ad ammettere, gelido come un blocco di ghiaccio, provocando un risolino tremendamente irritante sulle labbra di Maibel.
<<Su cosa?>> decide che non è ancora il momento di mollare l'osso, viaggiando con lo sguardo sul suo volto corrucciato incastrando involontariamente un lembo di pelle delle sue labbra tra i denti mentre quelle di Max si serrano in un'unica linea retta.
<<Su tutto, a parte il jet privato, mio padre non è il tipo da regali di Natale, non lo è mai stato>> confessa, stringendosi in quelle spalle che lo fanno apparire grande e imponente quanto una montagna, ma in realtà sono altro che parte integrante della sua armatura.
A Maibel non serve che aggiunga altro per lasciargli il posto e tornare silenziosamente dagli altri elfi, compreso Daniel, con un sorriso sincero sulle labbra.
A fine giornata Max ha ottenuto dei risultati discreti: è stato in grado di rivolgersi ai bambini con meno schiettezza, di prenderli in braccio evitando di tenerli a distanza di sicurezza quasi potessero trasmetterli chissà quale malattia mortale, ma soprattutto, neanche uno è sceso dalle sue gambe in lacrime.
Maibel può dirsi soddisfatta, e molto ma molto in fondo anche Max, nonostante persista nel mantenere la sua aria da menefreghista.
Sono in fila indiana, in attesa che l'elfo pelato consegni loro il compenso, e quando Maibel finalmente stringe tra le mani la sua busta bianca con al suo interno la bellezza di duecento dollari per poco non si mette a fare i salti di gioia lì di fronte a tutti.
<<Buon Natale, piccola schizzata! E ricordati che mi devi un appuntamento in bagno!>> La saluta frettolosamente Daniel che sembra avere parecchia premura di andare via, difatti rivolge un cenno anche a Max prima di sgusciare fuori dalle porte automatiche e darsela a gambe.
Poco dopo la fila comincia lentamente a sciogliersi e tutti raccolgono le loro cose intenti ad andarsene. Lei è ancora lì, con quella busta stretta al petto che stenta a credere di aver avuto successo per la prima volta, di non essersi rivelata una delusione per se stessa e per gli altri.
Forse è per quello, che una volta fuori dal centro commerciale, vedendo che l'unico rimasto da solo è proprio Max, decide di andare a parlarci.
<<Io non l'ho mai avuto un regalo di Natale, ma da quando mio padre è guarito dal cancro ho sempre pensato di non voler trovare altro che lui la mattina del venticinque>> non si spiega il perché ma sente il bisogno di condividere con lui qualcosa di intimo, talmente intimo da avere la certezza che non riuscirà a dimenticarsene, forse perché in fondo si è accorta che il dolore che scorge nei suoi occhi ha le stesse sfumature di quello che lei ha vissuto. <<E comunque avevi ragione anche tu a pensare male di me, in fondo è vero che noi drogati siamo ottimi bugiardi>> fa spallucce facendo scivolare le mani nelle tasche del suo parka prima di incamminarsi per la sua strada.
<<Come è successo, intendo di tuo padre?>> La sua voce, dal tono se possibile più basso e rauco del solito, fa in modo che si blocchi come se le suole delle sue scarpe fossero state improvvisamente incollate al pavimento.
<<È probabile che c'entri l'inalazione di fibre di amianto, lavora in cantiere da quando aveva sei anni>> spiega voltandosi nuovamente nella sua direzione, trovandosi sorprendentemente vicina al suo petto, molto più di quanto non fosse prima.
<<Mi dispiace>> serra le labbra per poi chinare il capo. Si vede che non ci sa fare, pensa Maibel, con le emozioni, con i sentimenti, o con qualsiasi cosa implichi provare alcunché. È una muraglia impenetrabile, dietro le quali pareti però, si annida il caos in preda all'anarchia, congelato in quelle biglie di vetro indirizzate sulla punta delle sue scarpe nuove di zecca.
<<Adesso sta bene, se non fosse che al posto di una figlia ha una delusione vivente, in carne ed ossa>> si indica da sola rivolgendo le mani in direzione del suo volto per poi lasciarle scorrere a vuoto lungo il proprio corpo. <<Quantomeno gliene rimangono altri sei>>.
Max schiocca la lingua contro il palato, guardandola da sotto le sopracciglia, talmente intensamente da provocarle un vortice nello stomaco. <<Ho sempre pensato di essere lo stesso per mio padre, solo che magari al tuo non ha mai sfiorato l'idea di abbandonarti in una stazione di servizio>> gli angoli della bocca gli si piegano amaramente all'insù.
<<Dubito che tu sia la persona più amorevole del mondo e adesso capisco anche il perché, ma non penso che sarai mai una delusione ai livelli di qualcuno che decide di buttare la propria vita nel cesso come ho fatto io>>. Istintivamente adagia una mano sulla sua spalla trattenendosi però dal posarla sul suo viso dai tratti spigolosi per levigarlo con una carezza.
Ciò che prova è irrazionale, come se qualcuno avesse premuto un pulsante al centro della Terra in grado di resettare l'Universo. Proprio allo scoccare della mezzanotte tra il ventiquattro e il venticinque dicembre celebrata dal festoso suono delle campane lontane è come se Maibel e Max avessero dimenticato quel pomeriggio passato a litigare, a guardarsi male, a sputarsi addosso veleno a vicenda.
C'è chi lo chiamerebbe miracolo di Natale, Maibel invece, crede di aver capito che forse si sbagliava su di lui, credeva di assomigliargli un po' troppo in fondo. Era fermamente convinta che anche lui fosse totalmente privo di involucro, che la sua fortezza fosse in realtà nient'altro a parte ciò che mostrava, il suo essere burbero, freddo, terribilmente distaccato.
Invece anche Max è un pacco totalmente avvolto dalla carta regalo, una diversa dalle altre però, nera, talmente satura e cupa da avere paura di scartarla, dietro alla quale però si celano sorprese che vanno ben oltre il rifugiarsi dietro all'apparenza.
Sigillato con fili di spine, chiunque tenti di scartarlo si ritroverà con le mani grondanti di sangue, ma a chi come a Maibel più di una volta ha sanguinato il cuore non ha paura di un taglio in più fra i tanti.
<<Neanche tu sei una delusione, Maibel>> la mano di Max si posa sulla sua, è grande il doppio e congelata, tanto da provocare una scarica di brividi lungo tutto il corpo della ragazza che si sforza di credere sia dovuta soltanto al freddo.
<<E tu come lo sai?>>
Le loro dita si intrecciano, strette, talmente strette da potersi rompere, come le iridi di Maibel sembrano potersi infrangere in quelle di Max. <<Le delusioni hanno gli occhi scavati come i tuoi e il cuore pesante come il mio, ma non sono così belle>>.
Alla giovane si mozza il fiato, le rimane incastrato lungo le vie respiratorie mentre a contatto con la sua pelle ruvida non sente più neppure i muscoli e le ginocchia le tremano, stavolta non per il freddo.
Continuano a guardarsi, come incastrati in un puzzle che solo loro sono in grado di completare. Galleggiano immobili nella resina, sono ali di farfalle intrappolate che sembrano conservare il battito del proprio cuore in eterno.
Imparano per osmosi, l'uno dall'altro, muovendosi casella dopo casella ripercorrendo le loro vite disastrate, piene di insuccessi e di vittorie che ne hanno saziato la fame, queste ultime assaggiate più da Max che da Maibel.
Non sanno niente l'uno dell'altra, neppure i rispettivi cognomi, eppure sono entrambi certi di non aver mai pronunciato né di essersi sentiti dire parole più belle di quelle sfuggite alle labbra di Max.
<<Le trovi nei cioccolatini queste frasi?>> Tenta di sdrammatizzare lei, questa volta costretta a chinare il capo e abbandonare il suo sguardo lasciandosi andare in una risatina spontanea che le permette di rilassare i nervi tesi.
<<Non osare ripeterla di fronte a Daniel, mi prenderebbe per il culo a vita>>. Ridono insieme in preda all'imbarazzo, poi Max rivolge la sua attenzione a qualcosa che pende sopra le loro teste.
<<Siamo sotto il vischio>> constata poi.
La difficoltà di Maibel di concentrarsi su alcuni particolari viene immediatamente fuori quando comincia a straparlare: <<Sai, credo di essere allergica, ho uno strano pruri->>, lui però la interrompe immediatamente.
<<Ti prego sta zitta>> abbandona la presa sulle sue dita per portare entrambe le mani a coppa sulle sue guance per poi darsi lo slancio verso di lei e in un istante di irrazionalità scontrarsi senza pietà contro le sue labbra.
Hanno un sapore che Maibel non saprebbe descrivere, è sangue amaro, aspro e allo stesso tempo acre, metallico. È caratteristico, pungente, magnetico, tanto che non sa più come uscirne, come fare a non desiderarne sempre di più.
Quando però sente l'ennesimo rintocco delle campane in lontananza quella sottospecie di incantesimo sembra essersi spezzato, poiché Maibel ricorda con quale scopo ha messo piede in quel centro commerciale.
Posa i palmi aperti sul suo petto e si stacca da quel bacio, per mezzo secondo rimasto incastonato in un rivolo di saliva che collegava la carne calda delle loro labbra.
<<Adesso devo andare, altrimenti perderò il volo>> fa un passo indietro a malincuore.
Il cruccio pieno di confusione di Max però non lascia ben sperare, <<È la notte di Natale, che arei vuoi che partano a quest'ora?>>.
Non può dargli tutti i torti, sicuramente a quell'ora non ci sarà alcun volo pronto a decollare, o almeno non uno con dei posti disponibili dato che probabilmente in molti disperati avranno avuto la sua stessa idea. L'ansia la pervade nonostante tenti di trattenersi dal precipitare nel panico più assoluto.
<<Ed io come ci arrivo a Chicago?>> Gli occhi per poco non le fuoriescono dalle orbite mentre si porta le mani alle tempie coperte dal cappello di lana.
<<Beh, io ho una macchina e nessun programma più allettante per festeggiare>> si stringe nelle spalle quasi volesse farsi prendere per timido con veramente scarsi risultati.
Maibel non resiste, quasi prende la rincorsa e poi lo abbraccia, talmente forte da non sentirsi più le braccia.
Ha baciato uno sconosciuto la notte di Natale e adesso lui la sta portando a Chicago dalla sua famiglia.
Non è in cima fra le cose più bizzarre che abbia mai fatto ma si trova sicuramente sul podio. Ma in fondo, se le fossero piaciute le cose normali non si sarebbe mai trovata lì quel pomeriggio, a sussurrare all'orecchio dei bambini che il vero Babbo Natale riserva loro sorprese ben più grandi e complicate dei giocattoli che chiedono in dono.
Che il vero castello non sia fatto di carta regalo? Che si stia lentamente costruendo attorno a loro sfuggendo alla vista dei suoi occhi? È probabile che si stia solamente illudendo, che crollerà tutto non appena Max scoprirà la sua vita e lei la sua, ma non vuole pensarci.
È uno dei suoi più grandi talenti, mettere il cervello in stand-by e non pensare per ore ed ore, vivere tutto sulla propria pelle e dimenticarsi delle conseguenze. Tutto ciò l'ha sempre portata a fare scelte sbagliate e quasi sicuramente quella è l'ennesima, ma non ha paura.
La notte di Natale niente può farle davvero paura.
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