Capitolo 3

«Corro in ospedale! Luca occupati di Nanci e poi vieni anche tu» dissi autoritario per evitare di discutere con lui, o di scontrarmi con il suo parere. Sapevo che non mi avrebbe appoggiato perché anche lui sarebbe voluto venire, ma non potevamo permetterci di lasciare nostra sorella a casa da sola, ne tantomeno di spiegarle cosa stesse accadendo. A dodici anni, la sensibilità di una ragazza è fragile, e le volevo troppo bene per farle sentire anche solo una piccola parte del dolore che stavo provando.
Mio fratello evidentemente capì, così mi fece un piccolo cenno di consenso e mi permise di partire. Il tragitto mi  sembrò interminabile, anche se non avevo rispettato nemmeno un singolo limite di velocità. Ormai non mi importava più, perché vedere i miei genitori era la cosa più importante in quel momento. Parcheggiai di fretta e mi fiondai all'ingresso del pronto soccorso. Presto mi resi conto che non sapevo nemmeno dove cercarli perché non mi ero mai trovato in una situazione simile prima di quel momento.
«Salve, sto cercando Chiara Poletti e Fabrizio Marcuzzo» chiesi al centralino. In realtà non sapevo nemmeno io se lo stavo domandando o se stavo ordinando loro di indicarmi il più presto possibile dove fossero i miei genitori, visto che il mio tono uscì più duro di quanto volessi.
«In questo momento sono entrambi in sala operatoria, può aspettare il dottore in sala d'attesa al terzo piano» rispose. Ero consapevole che stressare la donna che stava al centralino con tutte le domande che avrei voluto farle, non sarebbe servito a nulla. Mi avviai verso le scale, le salii il più velocemente possibile e raggiunsi la sala d'aspetto.
Non sapevo nulla, nulla di come potessero stare. Mi ritrovai completamente solo a fissare uno stupido orologio a pendolo, che ondulava da destra a sinistra. Ormai erano passate due ore da quando ero arrivato e nessun medico era ancora uscito da quella maledetta sala, che si trovava esattamente di fronte a me. Chiusi gli occhi e ripercorsi tutti i momenti più belli della mia vita che riuscivo a ricordare. Il primo provino di calcio accompagnato da mio padre, i primi giorni di scuola quando non volevo lasciare mia madre, le partite di calcio che andavamo a vedere, la prima volta che avevo sciato con mio padre e tutte le vacanze in montagna. Erano solo pochi degli istanti bellissimi che condividevo ogni giorno con la mia famiglia, ed era così ridicolo che solo uno stupido incidente mi avesse fatto capire quanto tutto ciò fosse importante. Avevo passato tutta la mia vita, credendo di essere insoddisfatto quando in realtà avevo tutto.
Improvvisamente venni riportato alla realtà a causa del cigolio di una porta che sembrava essersi spalancata violentemente, così aprii gli occhi.

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