Capitolo 18
Mi voltai di scatto preoccupato che potesse aver sentito qualcosa, ma la vidi qualche metro più in là seduta su uno dei divanetti. Tirai un sospiro di sollievo.
«Cazzo mi hai fatto prendere paura. Credevo fosse davvero qui accanto a me» farfugliai per non farmi sentire da nessuno, tranne che da lui che nel frattempo si stava divertendo vedendomi preoccupato.
«Amico, sappi che non ha fatto altro che fissarti da quando abbiamo iniziato a parlarci». Stupito mi voltai. La vidi nella stessa posizione in cui era qualche secondo prima, intenta a fissare l'immenso guardino dell'albergo. Era estremamente improbabile che fosse vero ciò che mi aveva riferito Andreas. Che motivo aveva di guardarmi?
Poi capii e l'ansia prese il sopravvento.
«Sarà incazzata sono in ritardissimo per l'uscita che ha organizzato. Spero solo che non mi faccia perdere il lavoro. Scappo da lei, ci vediamo più tardi» dissi, ma lui mi bloccò prima di lasciarmi andare.
«Riki, tra un'ora arriva mio cugino, stasera pensavamo di andare ad una festa, ti unisci a noi?» mi chiese. Io annuii e corsi verso l'ingresso, proprio dove Federica mi stava aspettando.
Più mi avvicinavo, più il suo sguardo si abbassava. Qualcosa non mi quadrava.
«Non puoi essere veramente tu il mio istruttore della giornata. Dimmi che mi sbaglio» bisbigliò forse per autoconvincersi che fosse tutto un errore.
«Sono Riccardo Marcuzzo. È un piacere anche per me conoscerti» sdrammatizzai allungando una mano, ma lei non si degnò nemmeno di stringerla.
«Cretino, già ti conosco e fidati, mi è già bastato. Me ne torno in camera» disse prima di allontanarsi. Non potevo permetterle di fare così. Il direttore sarebbe venuto a saperlo sicuramente, ma la realtà è che non mi importava. Non era per il lavoro che mi stavo "arrabbiando", ma era l'orgoglio che stava prendendo il sopravvento sulla razionalità. Non sopportavo che potesse prendere il controllo di tutto e soprattutto non poteva permettersi di influenzare così anche la mia vita. Dovevo farle capire che non era nessuno per stravolgere un programma a causa dei suoi capricci.
La inseguii e la presi per mano. Lei si bloccò, si voltò e mi fissò dritto negli occhi, confusa dal mio gesto. Non avevo mai notato quanto fosse intenso il suo sguardo o forse non mi aveva mai guardato così. Non riuscivo a leggere sul suo volto nessun'emozione, era veramente brava a nascondersi dietro alla maschera che si era creata. In fondo non eravamo così diversi.
«Niente pregiudizi. Lasciati andare».
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