Capitolo 13
Dopo due ore ricevetti le chiavi della mia camera d'hotel. Il direttore mi aveva fatto firmare un contratto preparato al momento, che prevedeva anche una paga. I soldi non erano la mia priorità, ma ripensandoci non mi sarebbe dispiaciuto fare da istruttore, e in ogni caso non c'era altro modo perché i lotti dove campeggiare erano tutti occupati.
«Eccoti!» esclamò Andreas, correndomi in contro per poi abbracciarmi.
«Accompagnami in camera» gli dissi staccandomi dall'abbraccio.
«Hai preso una camera?» chiese confuso.
«Si ci sono stati alcuni disguidi, sono uno degli istruttori di questo campeggio adesso» spiegai mentre salivamo le scale.
«Wow e vieni anche retribuito magari?» domandò con un sorrisino stampato sul volto.
«Si» sghignazzai.
«Che numero è la camera?» chiese per aiutarmi a cercarla.
«126» risposi.
«Eccola» dissi non appena lessi il numero della targhetta posto sul muro. Infilai la chiave elettronica e la porta si aprì automaticamente.
«Wow, hai fatto davvero un bell'affare qui fratello» farfugliò il mio migliore amico. Io ero ancora a bocca aperta. Avevo davvero fatto un bell'affare. La stanza era enorme, oltre al bellissimo letto, c'erano due divani, un televisore, tre armadi e tantissimi particolari e dettagli che la rendevano splendida.
Appoggiai delicatamente la mia valigia sopra ad un tavolino, mi cambiai e presi il necessario per andare al mare.
Corremmo giù in spiaggia, lasciammo le cose all'ombrellone e ci tuffammo in mare.
Essere avvolti dall'acqua era una sensazione fantastica in quel momento. Ero riuscito a dissolvere tutte le mie tensioni.
«Faccio una nuotata» mi disse Andreas, prima di andare sott'acqua per poi riemergere qualche metro più distante.
Io nel frattempo decisi di uscire e di riposarmi un po' sulla mia asciugamano. Mi spalmai un po' di crema solare e mi stesi per prendere un po' di sole, ma mentre iniziavo a rilassarmi sentii qualcosa appoggiarsi al mio fianco.
«Ma che ca» esclamai non appena vidi Federica corrermi incontro, probabilmente per recuperare il pallone che mi aveva colpito.
«Ti direi che mi dispiace, ma non sarebbe la verità» farfugliò con quel suo sorrisino odioso.
«Anche la palla voleva tenersi a me» la provocai ricordando ciò che era successo la mattina. Lei rimase in silenzio, ma sollevò il pallone e mi colpì più volte sul petto. Mi alzai e la rincorsi, lei scivolò e cadde sulla sabbia bollente. Scoppiammo entrambi in una risata, ma quando mi accorsi che mi stavo divertendo, mi feci serio e mi allontani da lei.
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