Prologo

«Corri! Corri!» Tiravo Elián con tutte le mie forze.

Svoltammo in un vicolo e per poco non sbattei contro il muro, incapace di mantenere l'equilibrio. Ero affannata, mi facevano male le gambe e lo stomaco. La mela che mi costringevo a mangiare durante la ricreazione per seguire la dieta non mi sfamava mai.

«Sono andati di qua. Prendiamoli!» Sentii Josh gridare e i passi del suo gruppo avvicinarsi sempre più.

«Forza, f-forza!» incoraggiai Elián, ma in realtà stavo pregando me stessa di non fermarmi. Non volevo che ci prendessero di nuovo. Gli avrebbero fatto del male e avrei sofferto più per lui che per gli insulti che mi avrebbero urlato.

Mi accorsi di star rallentando quando Elián mi superò. M'immersi nei suoi occhi grigi, che mi fissavano preoccupati. «I-Io... d-devo fermarmi. N-Non ce la faccio più... Tu corri. C-Corri...» biascicai, cercando di catturare l'aria che continuava a sfuggirmi.

Va bene se mi dicono che sono grossa. Va bene se mi dicono che sono brutta. Va bene se mi dicono che i miei capelli sembrano bianchi come quelli delle vecchie. Almeno non lo butteranno a terra, non gli faranno i dispetti e non piangerò al posto suo vedendolo trattenere le lacrime.

Provai a lasciare la mano di Elián, ma lui me la strinse ancor più forte. «Non fermarti, Sun. Ti aiuto io!» Toccò a lui tirare me, ma ero grande il doppio e faticava. Forse se non avessimo avuto le cartelle in spalla sarebbe stato più semplice, però eravamo usciti da scuola pochi minuti prima.

Volevamo solo tornare a casa.

Con difficoltà riuscimmo ad attraversare il vicolo stretto e proseguimmo verso la strada. Il parco era vicino, tuttavia non potevamo permettere che scoprissero il nostro posto segreto e fummo costretti a fare un giro più lungo. Elián ansimava quanto me, non solo odiava correre ma stava impiegando tutte le sue forze per portarmi con sé. Io cercavo di non essergli troppo di peso, però ero stanca. Così stanca...

Che cosa avevamo fatto di male? Non avevamo mai dato fastidio a nessuno. Volevamo soltanto stare insieme e conoscere qualche nuovo amico alle medie, ma ci reputavano strani. Lui magrolino, io grassa; lui più basso, io più alta; lui silenzioso, io chiacchierona.

Eravamo davvero così diversi dagli altri? Per questo meritavamo quelle cattiverie?

Entrammo nel parco, Elián mi spinse subito dentro la pancia dell'ippopotamo celeste. Sopra le nostre teste, sulla parte esterna, c'era uno scivolo, ma non lo usava più nessuno da quando un buco aveva rotto la pancia dell'animale. Gli altri non si avvicinavano perché avevano paura che si rompesse di più, noi avevamo trovato un luogo di pace.

Ci schiacciammo verso la parte più buia, sistemando gli zaini sotto le ginocchia sollevate. L'ombra ci copriva del tutto, ma i nostri respiri affannati erano impossibili da mascherare.

Mi faceva male lo stomaco, avevo fame e avevo paura. Ma dovevo farmi forza. Con Elián accanto potevo superare ogni cosa.

«F-Fa caldo» mormorai fra un ansito e l'altro.

«Sono... stanchissimo». Il suo respiro era forse più affannoso del mio. «I-In vita mia, non farò mai sport».

Ridacchiai e appoggiai la testa alla sua spalla. Elián mi strinse la mano e per un istante pensai che fosse tutto finito. Un solo istante.

Dei passi pesanti passarono molto vicini. «Sei sicuro di averli visti venire qui?» Fu Josh a parlare. Anche se aveva undici anni come noi, la sua voce sembrava già quella di un grande.

«Mi è sembrato... O-O forse sono andati di là». Alle parole di Mike si susseguì un suo «Ahi!», forse conseguenza di un pugno da parte del capobranco.

«Andiamo verso casa della cicciona. Vanno sempre lì. Quel pisciasotto sta sempre a casa sua. I suoi genitori non lo vogliono». Rise di qualcosa che in me provocò tanta rabbia.

M'irrigidii, non potevo sopportare che lo prendessero in giro. Non sapevano nulla! Non avevano idea del perché Hanna e Luca lasciavano Elián a casa mia ed ero certissima che gli volessero un mondo di bene. Non sapevano nulla!

Forse Elián intuì il mio tormento perché mi strinse di più la mano. Lo guardai, i capelli neri scombinati per la corsa si confondevano con il buio dell'ombra ma sul volto dalla pelle chiara vidi il suo sorriso. Come faceva a sorridere? Io mi arrabbiavo e lui restava in silenzio. Non reagiva, sembrava ignorarli, però sapevo che non era così. Quando era molto turbato non staccava gli occhi dall'album dei disegni per ore. Per quello intuii subito cosa mi stesse per dire ancor prima che lo pronunciasse.

«Sono andati via. Ci mettiamo alla luce? Ti faccio il campo di fiori che mi hai chie...»

«Non devi fare per forza così» lo interruppi. «Puoi arrabbiarti. Puoi dirmi cosa provi».

Il volto di Elián si rabbuiò. «Non m'importa, lo sai. Prima o poi si stancheranno».

«Sì, ma...»

Mi strinse in un abbraccio veloce, che riusciva sempre a farmi smettere di protestare, e m'indusse a spostarmi con lui verso l'entrata per raggiungere la luce.

Sbuffai. «Che stronzi. E ho fame».

Elián ridacchiò. «Ho delle patatine nello zaino. Sono riuscito a nascondere degli spiccioli nella scarpa stamattina e non me li hanno presi». Aprì la tasca d'avanti dello zaino blu e mi porse il pacchetto, ma non lo accettai.

«Le patatine... Beh...» Mi guardai le mani. Erano cicciotte, non potevo dire il contrario. Mi toccai il viso, morbido e troppo tondo.

«Siamo riusciti a scappare. Io dico che ci meritiamo un premio». Mi mise il pacchetto sulle gambe. «E poi, mh... Sei carina». Cominciò a rovistare nel suo zaino. «Non devi preoccuparti».

«Carina?» Il cuore riprese la corsa nel petto più forte di prima, il viso sembrò andare a fuoco.

«Sì, insomma...» Mi fissò, il suo volto condivideva le mie stesse fiamme. «N-Non dovevo dirlo?»

«No, no. Va bene... Grazie...» Carina. Elián mi trovava carina. Che strana sensazione mi provocò. A parte i miei genitori, non me l'aveva detto mai nessuno. E sentirlo proprio da lui fu... un'emozione calda e colorata.

Carina.

Ridacchiai, afferrando il pacchetto di patatine.

«Fiori?» Elián prese l'album dal suo zaino, impolverato a causa dello sgambetto che gli avevano fatto prima che riuscissimo a fuggire via. La pelle dei suoi palmi era scorticata e arrossata. Avrebbe detto a Hanna e Luca di essere caduto, ne ero certa.

«Sì, fiori. Come quelli che sono arrivati in negozio da mamma ieri pomeriggio». Mangiai una patatina, poggiai il pacchetto fra noi e aprii di più il suo zaino; presi l'astuccio di latta, sollevai il coperchio e gli passai la matita e la gomma pane.

Elián sorrise e mi resi conto che avrei fatto di tutto per quel sorriso. Anche se mi sentivo spesso inutile, volevo proteggerlo. Era il mio migliore amico. Il mio confidente da sempre. La mia parte sinistra. Il mio mondo.

«Sai una cosa?» disse, tracciando diversi cerchi al centro del foglio.

«Cosa?» Appoggiai la testa sulla sua spalla e ripresi il pacchetto. D'improvviso, anche se ero molto stanca, mi sentivo come se non avessi più nessun pensiero. Era il potere di Elián: farmi stare bene.

«Sono felice».

Sbattei più volte le palpebre. «Sei felice di essere stato rincorso dai bulli?» Gli passai una patatina e la mangiò subito, ridacchiando.

«Sono felice perché anche se succedono cose brutte tu sei con me, Sol. Se siamo insieme, il resto non ha importanza, no?»

Sorrisi e gli strinsi la destra mentre continuava a disegnare. «Sì. Il resto non ha importanza».

A volte la vita ti delude. È come un disegno bellissimo che vive nella tua testa, ma quando poi lo riporti su carta non è come ti aspettavi. Con la matita non sei riuscito a delineare bene i contorni, si vedono i solchi sul foglio lasciati dalla bozza, i colori non sono belli come li avevi immaginati e il risultato finale è una brutta copia del tuo sogno.

Allora cosa fai? Strappi il foglio e ne inizi un altro, perché da qualche parte bisognerà pur cominciare a costruire il proprio futuro.

E nel mio ci vedevo sempre insieme. Contro tutto e tutti.

Un solo disegno per entrambi.

Che a un certo punto si è diviso in due.

Come noi.

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